ARCANGELO di Cola da Camerino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ARCANGELO di Cola da Camerino (anche A. di Cola di Vanni Camerino)

Marco Chiarini

La prima notizia accertata finora su A. è che egli dipinse una Maddalena e altre figure (oggi scomparse) nella sala Maggiore del Palazzo pubblico di Città di Castello, per le quali ebbe un acconto di 30 ducati il 26 ottobre 1416 (Magherini-Graziani). Il 29 giugno 1420, A. è presente a Firenze, dove prende a pigione una casa nel "popolo di San Michele Bisdomini" (Procacci). Il 27 settembre dello stesso anno il pittore si iscriveva all'Arte dei Medici e Speziali; nel 1421 A. è registrato anche nel Libro della Compagnia di San Luca. Nel giugno di quell'anno, egli ebbe commissione da Ilarione de' Bardi di dipingere una tavola con predella da porre sull'altare di una cappella fatta costruire dal nobile fiorentino in S. Lucia de' Magnoli, in onore dei ss. Lorenzo e Ilarione. I costruttori furono Gherardo di Niccolò e Andrea di Onofrio. Bicci di Lorenzo fu incaricato di affrescarla. Tale cappella andò più tardi distrutta e la tavola di A. dispersa. Ad essa il pittore dovette attendere a partire dalla metà circa del giugno 1421, poiché il 21 di quel mese tale Andrea di Giovanni, maestro di legname, ebbe il pagamento della tavola che A. doveva dipingere. La paia fu compiuta entro un anno circa: un pagamento di dieci fiorini è attestato al 2 settembre 1421, e il 20 giugno del 1422 A. riceveva il saldo del compenso complessivo di ottanta fiorini. La cifra, piuttosto alta per quei tempi, indica la stima in cui era tenuto il pittore, che nel frattempo era impegnato in altri lavori. Tra l'altro, accettava di dipingere una tavola per l'Ospedale di S. Maria Nuova: questo dipinto, per volontà testamentaria di Simone da Spicchio, avrebbe dovuto ornare una cappella della Pieve di Empoli. Ad A., impegnatosi all'esecuzione, furono versati anche due anticipi, l'11 ott. e il 19 nov. 1421, ma la tavola non fu mai eseguita, poiché il pittore ricevette l'invito a recarsi a Roma al servizio di papa Martino V. Il 18 febbr. 1422 A. otteneva un salvacondotto, per poter raggiungere m tutta sicurezza Roma, in un momento politicamente agitato. Il pittore forse pensava di poter eseguire successivamente la tavola per l'Ospedale di S. Maria Nuova, poiché chiese otto mesi di tempo, per attendere alle commissioni papali, restituendo intanto una parte dei danari avuti. Ma in seguito, avendo evidentemente molto lavoro a Roma, faceva rendere altri danari alla Confraternita da Michele d'Agnolo pittore, il 23 ag. 1422. L'intero debito fu saldato più tardi dal banchiere fiorentino Esaù Martellini, a nome di Arcangelo. L'ultima opera documentata di A. è il trittico un tempo su un altare della chiesa di Monastero dell'Isola (Cessapalombo), nelle Marche, bruciato nel 1889, e che in uno dei pilastrini laterali portava la scritta "A. D. MCCCCXXV Pinxit Arcangelus Cole de Camerino" (M. Santoni). Il trittico rappresentava nel mezzo il Crocifisso con Maria e Giovanni, nei laterali S. Giovanni Battista e un Santo Vescovo, S. Venanzio e s. Pietro; nei pilastrini erano dipinte figure di santi, e nelle cuspidi L'Eterno e l'Annunciazione. Le ultime notizie che riguardano A. non sono relative a sue opere: nel 1428, nella città natale è testimone al testamento di Niccolina Varano, vedova di Braccio da Montone; nel 1429 è arbitro per la stima del coro di S. Domenico di Camerino, intagliato da Gaspare da Foligno (Feliciangeli, 1906).

Le uniche opere documentate di A., che avrebbero costituito un caposaldo per la ricostruzione critica della sua attività, sono andate perdute; dell'ultima, se ne ha l'unica testimonianza in una fotografia pubblicata da A. Venturi (1910), insufficiente per poter giudicare a fondo i suoi caratteri stilistici. Alla ricostruzione, quindi, del percorso del pittore, unico valido sostegno è il dittico oggi nella coll. Frick, a New York, noto anche come dittico Longland, dal nome del precedente possessore, che recava su una delle due valve, posteriormente, il nome dell'artista, tracciato però con grafia più tarda. Tuttavia, non è da mettere in dubbio questa antica ascrizione, che evidentemente doveva essere tradizionale e appoggiata a sicure prove. Da taluni il dittico è ritenuto il più antico documento pittorico a noi noto dei camerte; ma talune soluzioni, chiaramente allusive al mondo fiorentino, escludono questa probabilità: né basta a suffragarla l'evidente ricorso, nel pannello con la Crocifissione, al mondo della cultura riminese trecentesca, poiché tale suggestione è presente in opere che sono certamente più tarde. Il dittico Frick sembra preceduto infatti da un'opera che è sicuramente di A., la Madonna in trono con due angeli, assai sciupata, nel Museo di Camerino, che riflette un tipico gusto marchigiano per la preziosità ornata e un plasticismo tenero, che saranno di Gentile da Fabriano. Sicuramente di A., per le tante parentele con il dittico Frick, è la tavola scompartita in trittico già a Città del Messico, e oggi nella coll. Cini, con la Madonna in trono, santi e la Crocifissione, che ci attesta ancora una volta la cultura riminese dell'artista, assieme ad evidenti suggestioni fiorentine, che si riflettono, ad esempio, nel gruppo centrale. Segue la Madonna in trono e quattro angeli, a New Haven (Conn.) nel Museo della Yale University, già nella coll. Griggs, che ripete, ma con un'ampiezza di motivo e di campitura chiaramente fiorentina, il tema già noto di Camerino e del dittico Frick; poi la Madonna in trono e sei angeli, nella Prepositura di Bibbiena, in cui giustamente il Longhi (1940) ha visto un riflesso della paia pisana di Masaccio, del 1426, nel motivo del Bimbo che si succhia le dita: a confermare i contatti con l'ambiente fiorentino, da parte di A., anche dopo il ritorno nella città natale.

A tale nucleo esiguo di opere, di tempo in tempo, si è tentato di aggiungere qualche numero; ma solo poche attribuzioni, antiche e recenti, possono essere accolte, anche se in via di prova.

Il Berenson ne dava una lista (1936) che, se aggiungeva qualche numero notevole (Madonna Griggs), era tuttavia estesa a cose non pertinenti. Così andranno defalcate le Madonne di Baltimora, di Bergen, di Cambridge (USA), di Rotterdam (coll. Van Beuningen, che ormai è quasi generalmente riconosciuta come dell'Angelico); mentre incerti lasciano le attribuzioni dell'affresco nella chiesa di S. Matteo a Osimo (ascritto ad A. da L. Venturi), e dei quattro pannelli johnson a Filadelfia, che pure tanti punti di contatto - fin nella punzonatura dei nimbi - hanno col dittico Frick.

Tra le attribuzioni del Longhi, particolare interesse hanno quelle di una tavoletta col Martirio di s. Lorenzo (già Gentner' oggi Cini), ritenuta scomparto di predella della pala di S. Lucia de, Magnoli, del '22; della predella dell'Estense di Modena, che tuttavia lascia un po, dubbiosi; della Deposizione di Cristo nel sepolcro (già a Firenze, coll. priv.), ritenuta del '24-'26, cosa molto probabile.

Lo Zeri crede di A. una tavoletta con la Madonna dell'Umiltà circondata da angeli, che, se ha punti di contatto con A., è tuttavia tanto arcaica di gusto e pur così individuale, che a stento si può inserirla nel percorso, sia pure inizíale, del camerte. Di recente è stata ascritta ad A. una Annunciazione sul mercato antiquario tedesco (1959, già a Colonia, coll. Lempertz, v. Sele-arte, VIII[1959], n. 42, p. 74), fortemente angelichiana, e che ripete, nella figura della Vergine, il motivo già apparso in una valva di dittico attribuita a Masolino, ma non di lui, e piuttosto vicina ad Arcangelo (Londra, Catalogo Vendita Sotheby del 20 luglio 1955). Inoltre il Serra crede della tarda attività di A. una Annunciazione a fresco, nella chiesa del Crocifisso a Pioraco (Marche), che se non è sua cosa certa, ha tuttavia molti degli elementi propri di Arcangelo.

Difficile, se non impossibile, assegnare ad A., come talvolta è stato tentato, un ruolo di un certo peso nella Firenze tra secondo e terzo decennio del '400: A., su una prima cultura di estrazione riminese, fonde elementi del linguaggio fiorentino rinnovato, pur senza intenderlo appieno, fermandosi all'epidermide, e sciogliendolo in squisite cadenze, in anticipo, ma di poco, su Gentile, che ben altrimenti avrebbe agito nell'ambito fiorentino, Tornato in patria, lontano dal mondo rinascimentale, è probabile che A. sia stato di nuovo assorbito dal gotico marchigiano attardato, con spunti, tuttavia, e ritorni a precise suggestioni toscane (Madonna di Bibbiena): ma il trittico di Cessapalombo doveva tenere più dalla parte di Gentile che da quella di Masaccio.

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