ARCHITETTURA - Secoli 6°-10°

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

ARCHITETTURA - Secoli 6°-10°

G. Lorenzoni

Per un profilo dell'a. altomedievale si può procedere per exempla significativi, prendendo le mosse da alcuni monumenti sorti nei territori occupati dai Merovingi in Francia, dai Longobardi in Italia settentrionale (e successivamente anche in Italia meridionale), dai Visigoti in Spagna.Con l'instaurazione dei nuovi regni venne a determinarsi una situazione storica nuova anche rispetto alla tradizione architettonica tardoantica. Tale situazione fu determinata dall'incontro o dallo scontro tra due mentalità: l'una essenzialmente urbana, e perciò anche architettonica, l'altra originariamente nomade, e pertanto antiarchitettonica. Secondo una visione piuttosto schematica, ma forse indicativa di una reale situazione, si può affermare che la tradizione architettonica tardoromana nella Francia merovingia, nell'Italia longobarda, nella Spagna visigota ebbe il sopravvento sul nomadismo delle popolazioni barbariche. Ma è anche da notare che tale sopravvento appare concretamente realizzato con soluzioni architettoniche nuove (non più definibili come tardoantiche) e abbastanza omogenee tra loro. E tale omogeneità è il risultato non di una reciproca interdipendenza né di un significativo apporto di una regione alle altre, bensì del fatto che su un sostrato locale che può, con un po' di genericità, essere definito comune, in quanto tardoromano, s'innestarono apporti nuovi che pur dovettero avere caratteri abbastanza comuni se, appunto, i risultati che ne sortirono furono tra loro omogenei, almeno dal punto di vista dell'interpretazione dello spazio. È opportuno chiarire subito che per innesto di nuovi apporti non si deve far riferimento a elementi di struttura architettonica, che di certo non erano patrimonio della tradizione barbarica. Le novità sono nel campo della 'mentalità', nella diversa Weltanschauung: di fatto lo scontro avviene tra vincitori incivili (proprio nel senso di non cittadini) e vinti culturalizzati. Ne esce una situazione nuova, diversa dalla precedente: non più tardoantica, bensì decisamente medievale.Il sec. 7° - considerato 'il più buio dei secoli bui' - rappresenta il lungo momento di attenta comprensione di questa nuova situazione, che si concreta in monumenti che ne rispecchiano la cultura. Gli esempi sono pochi ma sufficientemente significativi.Uno dei caratteri più specifici dell'a. tardoantica, profana e religiosa (cristiana), è il definirsi come struttura continua, privilegiando i dati figurativi di superficie, e ciò in coerenza con quella continuità cui si è fatto riferimento. Il porto di Classe e il palazzo di Teodorico nell'od. S. Apollinare Nuovo di Ravenna sono raffigurati il più possibile spianati, per non determinare, con un'eventuale rappresentazione tridimensionale, una soluzione della continuità dello spazio interno della basilica stessa. Se si assume tale definizione come specifica della struttura spaziale tardoantica, attraverso l'esame di costruzioni attribuite al sec. 7°, si può giungere alla conclusione che queste ultime sono caratterizzate da una nuova sensibilità spaziale, del tutto diversa da quella tardoantica. Le prove di questa affermazione possono venire offerte da chiese edificate in regioni spesso tra loro piuttosto lontane, le cui vicende storiche hanno avuto come dato comune la romanizzazione e come dato differenziato l'occupazione di popolazioni barbariche diverse.Nella Spagna visigota, San Pedro de la Nave, presso Zamora, databile alla seconda metà del sec. 7°, è un esempio ben chiaro di una nuova sensibilità spaziale rispetto a quella tardoantica. In pianta si presenta con un naós a tre navate, abside centrale a testata rettilinea, al centro una campata che all'esterno è coperta da un tiburio. Sulle navatelle si aprono due nuclei architettonici, che fungono da transetto. Il suo interno è caratterizzato da uno spazio che si potrebbe definire cellulare, in quanto determinato da nuclei architettonici a sé stanti tra loro connessi, con un esplicito rifiuto dell'unitarietà dello spazio tardoantico. I capitelli istoriati (con Daniele nella fossa dei leoni, il Sacrificio di Isacco e figure di apostoli) sono coerenti, nella loro definizione stilistica, con lo spazio di cui fanno parte integrante: la rude e schematica resa volumetrica, tesa a presentare il senso dell'episodio più che la sua rappresentazione scenica, è segno di spazio bloccato, che si articola pesantemente, come quello dei singoli nuclei architettonici. La decorazione continua interna, impostata entro girali curvilinei con animali e vegetali, vuole forse evidenziare la necessità di un'unitarietà, compromessa proprio per la stessa struttura spaziale dell'edificio.Un legame più stretto con la tradizione romana sembra essere presente in uno dei monumenti più noti della Francia merovingia: il battistero di Poitiers. Ma a una più attenta lettura dell'edificio risulta che tale legame è più apparente che sostanziale. La costruzione è impostata su una base rettangolare, con abside esorbitante e nuclei spaziali laterali che rendono la pianta dell'edificio cruciforme. In alzato il parallelepipedo, completamente ristrutturato in età romanica al suo interno, si erge altissimo, anche rispetto ai corpi collaterali a esso. È un battistero atipico, in quanto la tipologia tradizionale è a pianta accentrata, per lo più ottagona. Sia il parallelepipedo sia i corpi architettonici laterali presentano frontoni di gusto antico; la struttura muraria è caratterizzata dalla presenza di timpani triangolari, mensole, archetti, pilastrini, ecc., con uso di materiale diverso che suggerisce effetti coloristici. Nell'impresa romanica si è modificata la forma delle finestre anche all'esterno, per il resto si può parlare di opera abbastanza integra, che si data tradizionalmente al 7° secolo. I singoli elementi decorativi dell'esterno appartengono al lessico architettonico antico, ma lo spazio che contribuiscono a definire non è classico. Al di là della tipologia certamente eccezionale, la struttura del monumento appare caratterizzata da una parte dalla sproporzione tra l'altissimo corpo di fabbrica principale e i nuclei che da esso esorbitano, abside compresa, piuttosto limitati in verticale; dall'altra appunto dalla struttura muraria che, pur presentando elementi classici, si articola secondo moduli compositivi del tutto originali e che non si possono definire classici. L'effetto spaziale dell'esterno, sia per la sconnessione dei volumi sia per quanto riguarda la struttura muraria, è nell'ambito di un'articolazione di masse che viene ripreso e in qualche modo approfondito dalla specifica struttura muraria dell'edificio stesso. La preferenza ambigua per gli elementi lessicali classici, che però tendono a rendere una forma non più classica, è ben chiara anche all'interno, dove i capitelli, riusati nel rifacimento romanico, manifestano chiarissimi riferimenti all'antico. Si presenta invece con assai meno ambiguità l'altro noto monumento merovingio di Poitiers, l'oratorio dell'abate Mellebaude, cioè il c.d. Ipogeo delle Dune. Vi si nota una chiara articolazione dello spazio interno, che si vede ripresa, con coerenza, anche nella schematica, rude e quasi approssimativa forma delle sculture dei due ladroni posti ai lati di un probabile crocifisso, scomparso. Tale rudezza compositiva, non priva di forza vitale, si configura come una lenta e pesante articolazione di massa, appunto in coerenza con la struttura architettonica. Più difficile è il discorso sulla chiesa dedicata a s. Dionigi e commissionata da re Dagoberto negli anni intorno al 630. Edificata nei pressi di Parigi, sul luogo di un precedente martyrium, in onore del santo, ricordato come primo vescovo di Parigi, fu poi ricostruita nel sec. 8°, dall'abate Fulrado al tempo di re Pipino, per essere poi totalmente riedificata dall'abate Suger nel 12° secolo. La difficoltà di ricostruzione dell'edificio di età merovingia è determinata dalla totale mancanza di strutture in alzato e da dubbi sulla sua icnografia: secondo Formigé (1960) la pianta dell'edificio di Fulrado sarebbe la stessa dell'edificio precedente di Dagoberto, naós diviso in tre navate, profondo transetto e abside unica. L'attenzione degli studiosi si è soffermata sulla tipologia del transetto che, secondo ipotesi precedenti a Formigé, sarebbe stato continuo, sul modello del S. Pietro in Vaticano (Krautheimer, 1942). La proposta di Formigé, che indica una stessa pianta per i due edifici altomedievali, porta a concludere che tale derivazione si deve far risalire al tempo di Dagoberto e non solo a quello di Pipino.Un altro punto di riferimento per la storia dell'arte di età merovingia è la cripta di Jouarre. L'attuale cripta, un edificio isolato e seminterrato, che si trova dietro l'abside della chiesa di Saint-Paul a Jouarre, a poche decine di chilometri a E di Parigi, non è la cripta del sec. 7°; potrebbero essere attribuiti a tale secolo: il muro occidentale, che presenta una struttura muraria non molto dissimile da quella del battistero di Poitiers, ma anche da quella di costruzioni carolinge (per es. Lorsch); i capitelli, reimpiegati nella struttura attuale, che probabilmente furono eseguiti non in loco, ma presso una bottega dell'Aquitania; i sarcofagi di due abbadesse, Teodechilde e Aghilberta, nei quali è presente un gusto decorativo aniconico, spesso con ripetizioni dello stesso elemento figurativo, di derivazione irlandese (d'altronde secondo la tradizione l'abbazia di Jouarre avrebbe avuto come suo fondatore s. Colombano), e il sarcofago del vescovo Angilberto. In uno dei lati lunghi di quest'ultimo è rappresentato il Giudizio universale, opera famosa se non altro per l'altissima qualità. È certo, in ogni modo, che se il complesso di Jouarre è da datare al sec. 7°, pur avanzato, si deve ammettere, per es. nei confronti dell'Ipogeo delle Dune, un ambito culturale ben altrimenti organizzato e strutturato.Per quanto riguarda l'Italia settentrionale, nella Langobardia maior si hanno notevoli difficoltà a definire le caratteristiche delle prime costruzioni del periodo longobardo, certamente eseguite da maestranze locali, perché se ne conosce l'esistenza solo attraverso ricordi storici: per es. è ben noto che Teodolinda si fece costruire una reggia, decorata da pitture raffiguranti personaggi in foggia longobardica, come ricorda Paolo Diacono (De Gestis Langobardorum, IV, 22; PL, XCV, coll. 550-551), e la chiesa di S. Giovanni Battista, ambedue a Monza. Le lastre marmoree di Monza e di Castelseprio, databili al sec. 7°, sono il segno, assai impoverito, della tradizione paleocristiana. Novità, probabilmente anche in campo architettonico, sono forse da datare alla metà circa del secolo. Ci si riferisce ai capitelli della cripta di S. Eusebio di Pavia: secondo Paolo Diacono (ivi, IV, 44; PL, XCV, coll. 581-582) la chiesa di S. Eusebio, sotto re Rotari (632-652), era residenza del vescovo ariano. Di questa chiesa rifatta in diverse occasioni non rimane ora che la cripta, probabilmente di età romanica, nella quale si sono reimpiegati alcuni dei capitelli di quello che dovette nascere come complesso ariano, verso la fine della prima metà del 7° secolo. Perciò di questa prima edizione della chiesa sarebbero rimasti solo i capitelli, ora della cripta. Essi rappresentano notevolissime novità quanto alla loro struttura compositiva: alcuni di essi sono stati definiti 'alveolati', in connessione con gli alveoli dell'oreficeria contemporanea. Essi appaiono caratterizzati da una linea di tensione anticipatrice di altre soluzioni. Ma la conclusione alla quale essi possono portare è questa: l'a. (perduta) di cui essi erano parte integrante, doveva essere, per coerenza, caratterizzata da una spazialità nuova, impostata su nuclei spaziali definiti autonomamente, nei quali i capitelli rappresentavano, proprio nel punto nodale del rapporto peso-resistenza, tutta la tensione che pur doveva esistere nel nucleo architettonico stesso.Tra i centri longobardi dell'attuale Lombardia non si può non citare Castelseprio e il suo edificio più noto, famoso per la sua decorazione pittorica, S. Maria foris portas. Questa chiesetta, pur nella povertà della sua struttura muraria, assume una rilevanza notevole, in quanto ricalca la tipologia di edifici martiriali paleocristiani nella sua pianta a trifoglio, ma mentre nelle tricore precedenti (per es. quella di Concordia) il muro perimetrale segue un andamento continuo, qui invece nell'abside centrale (e in quelle laterali, opera del restauro di questo secolo) il muro dell'arco di trionfo chiude parte dell'apertura delle absidi medesime, determinando di fatto l'esistenza di nuclei spaziali in una certa maniera autonomi.L'esistenza nel sec. 7° di costruzioni a pianta accentrata (fatta eccezione per i battisteri) è documentata dal ricordo della chiesa di S. Maria in Pertica di Pavia: pur nell'incertezza di alcune soluzioni architettoniche, lo schema base doveva essere un vano centrale coperto da cupola, circondato da un ambulacro, ma purtroppo ciò è troppo poco per suggerire ipotesi sulla struttura figurativa dell'edificio. A livello di pianta, questa chiesa, da datare alla seconda metà del sec. 7°, riprende ancora tipologie della tradizione paleocristiana, ma la presenza lungo il muro perimetrale dell'ambulacro di nicchie, a pianta rettangolare o semicircolare, potrebbe essere il segno di un'articolazione dello stesso muro perimetrale, in direzione di un possibile valore di massa.Sembra dunque esservi una costante, seppure generica, nelle costruzioni databili al sec. 7° di aree diverse, dalla Spagna alla Francia, all'Italia del Nord: una tendenza all'articolazione della struttura tramite la costruzione di nuclei architettonici a sé stanti, pur nell'ovvia stretta connessione tra gli stessi o tramite l'articolazione della singola parete, che tende a realizzare valori di plasticità, il che denota una sensibilità spaziale del tutto nuova, rispetto alla tradizione locale che era quella tardoromana.Anche in Roma, dove la tradizione tardoantica era certamente assai viva, non mancano casi nei quali si accenna a un diverso senso dello spazio, rispetto appunto alla tradizione paleocristiana: in S. Agnese, sulla via Nomentana, da datare al tempo di papa Onorio I (625-638), i matronei, presenti anche sul lato dell'entrata, oltre che sulle navatelle laterali, suggeriscono un'articolazione dello spazio più complessa, inoltre comportano che le finestre, ridotte di apertura, siano spostate in alto, al di sopra, ovviamente, delle logge, modificando, sempre rispetto alla tradizione paleocristiana, il significato della luce.Un nuovo rapporto con l'antico è documentato in edifici di età successiva, nei quali la tipologia della tradizione paleocristiana sembra riacquistare apparentemente significato, ma le aggiunte 'decorative' stravolgono radicalmente il senso dello spazio antico, al quale la tipologia sembra volersi riferire. Un esempio concreto in questo senso è offerto dalla chiesa di S. Salvatore di Brescia. Che essa sia della metà circa del sec. 8° o degli inizi del successivo, non è qui ora oggetto di discussione: quello che preme evidenziare è che, pur facendo riferimento alla tipologia della basilica paleocristiana, si apportano delle modifiche significative. Si crea un ritmo più accelerato nell'andamento longitudinale, ma soprattutto si modifica di fatto la struttura di base con la decorazione a stucco e pittorica: la parete è tutto un articolarsi di parti aggettanti (gli stucchi sugli archi di accesso alle navatelle e la decorazione pittorica del registro superiore del cleristorio) e di decorazione pittorica che sfonda figurativamente la parete stessa.Situazione simile è presente in un altro famoso monumento, per la cui costruzione la datazione alla metà del sec. 8° proposta è generalmente accettata: il c.d. tempietto longobardo di Cividale, nel quale le varie decorazioni a lastre marmoree, a mosaico, a stucco e pittoriche, frutto di un unico progetto (Torp, 1977), determinano, soprattutto nel vano principale, voltato, tutto un susseguirsi di elementi aggettanti che manipolano la struttura di base, in un modo tale da mutare completamente il senso dello spazio. L'aggiunta decorativa ha una valenza fondamentale: incide in modo sostanziale sull'interpretazione dello spazio, che dalla sua presenza assume un significato del tutto nuovo, anche se si pone sulla continuità dell'esperienza precedente.Nel contesto del sec. 8° va ricordata una costruzione per tanti versi originale che si configura come un unicum nella storia degli edifici accentrati, alto raggiungimento architettonico nella Langobardia minor: la Santa Sofia di Benevento, fatta costruire dal duca Arechi II (760). È a pianta che si può definire stellare, con tre absidi esorbitanti dal perimetro, con doppio ambulacro all'interno. Il muro perimetrale ha un andamento continuamente spezzato dalla presenza degli angoli della stella, mentre lo spazio interno viene, a sua volta, spezzato dai numerosi sostegni, colonne e pilastri, creando un tipo di costruzione del tutto originale, pur nell'accoglienza dei dati di fondo dello spazio altomedievale, come si è tentato fin qui di delineare.I monumenti carolingi, quelli autenticamente tali, cioè innalzati su commissione della corte o dei grandi funzionari imperiali, hanno spesso un significato politico o politico-religioso, che trova i suoi punti di riferimento nella cultura artistica tardoromana. Che si scelga, per es., il transetto continuo sul modello della basilica di S. Pietro in Vaticano di Roma è frutto di un preciso intendimento dell'autorità politica, che si era appena costituita in potere imperiale, riferendosi al modello costantiniano. L'esempio più tipico di tale scelta tipologica è l'abbazia di Fulda: l'equiparazione della figura di s. Bonifacio, l'apostolo della Germania, a quella di s. Pietro si concreta nella costruzione, per s. Bonifacio, di un complesso architettonico che ripeteva la sistemazione avuta dal corpo di s. Pietro nella basilica vaticana. Come nella basilica vaticana, nell'abbazia di Fulda l'abside impostata sulla tomba del santo era a occidente e preceduta da un transetto continuo.Altro classico esempio di derivazione dalla cultura paleocristiana (questa volta non più del sec. 4° bensì del 6°) è la Cappella Palatina di Aquisgrana, per la cui scelta tipologica la vecchia ipotesi di derivazione dal S. Vitale di Ravenna sembra essere la più attendibile, in quanto si può supporre che Carlo Magno, che fu presente a Ravenna e vide senz'altro S. Vitale, abbia potuto interpretare la stessa chiesa come imperiale, data la presenza dei due pannelli con Giustiniano e Teodora. La scelta del modello dunque sarebbe stata determinata dallo stesso Carlo, con un significato politico esplicito: creare per sé, nuovo imperatore, uno spazio 'imperiale' (rifacendosi all'unico titolo imperiale legittimo, quello bizantino), ritenendo, seppur sbagliando, che S. Vitale fosse una chiesa imperiale. Così la presenza del Westwerk nella stessa Cappella Palatina di Aquisgrana e in varie abbazie imperiali, convalida il legame con la cultura architettonica soprattutto tardoimperiale, in quanto queste costruzioni occidentali hanno elementi di derivazione dalla c.d. a. di potenza tardoantica, che si giustifica appunto con la scelta di fondo per le tipologie tardoromane, voluta da Carlo Magno o da personaggi legati più o meno direttamente alla sua corte. In altre occasioni la scelta di derivazione romana è più generica, come nel caso della Torhalle di Lorsch: la chiara derivazione non da un arco di trionfo romano, bensì dalla tipologia della porta urbica, con il significato simbolico che la presenza di una porta reca con sé in età tardoromana e medievale. Che la Torhalle non possa derivare dalla tipologia dell'arco di trionfo è documentato dal fatto che i tre fornici sono uguali (come di regola nelle porte urbiche) e che il vano superiore è ampio e abitabile, dunque non come il c.d. attico degli archi di trionfo.Tutto questo vale per quanto riguarda la tipologia; relativamente all'interpretazione dello spazio, la Cappella Palatina di Aquisgrana, assunta qui come esempio concreto di a. carolingia, si manifesta nella contrapposizione di luce e ombra, con pesanti e lente articolazioni di masse plastiche; se tipologicamente il riferimento al S. Vitale di Ravenna è sufficientemente chiaro, dal punto di vista dell'interpretazione dello spazio non vi è alcuna menzione di tardoantico, invece ci si pone sulla tradizione dello spazio rinnovato, che trova i suoi precedenti nelle a. del 7° secolo.Una situazione più legata alla tradizione è presente a Roma in età carolingia (o immediatamente postcarolingia), dal pontificato di Adriano I (772-795) a quello di Pasquale I (817-824). Da S. Maria in Cosmedin, con i pilastri che interrompono la serie di colonne, a S. Maria in Domnica, con la navata centrale amplissima rispetto alle navatelle laterali assai ridotte, così come anche in S. Prassede, sullo schema dello spazio paleocristiano si innestano tenui tentativi di aggiornamento tramite l'interruzione della continuità delle colonne e con variazione nei rapporti spaziali interni.Collegata con il culto delle reliquie, che ebbe grande diffusione in età carolingia, è la struttura seminterrata della cripta, che dal tipo anulare, più antico, passa, appunto con i Carolingi, a forme sempre più complesse e articolate.Tra i numerosi monumenti di età carolingia, vale la pena di soffermarsi sul gruppo asturiano. In essi il ricordo delle vicine testimonianze architettoniche del periodo visigoto appare ben presente: si veda San Julián de los Prados (la chiesa di Santullano), nei pressi di Oviedo, da datarsi intorno all'840. Di qualche anno dopo, sotto il regno di re Ramiro I (842-850), è una delle costruzioni più note di questa regione, la chiesa di Santa Maria de Naranco, sempre nei pressi di Oviedo, edificio sorto come padiglione reale e trasformato successivamente in chiesa (già forse nel sec. 9°). È a pianta rettangolare, a due piani, molto slanciato verticalmente. Il vano principale, il superiore, è delimitato sui lati lunghi da pareti articolate soprattutto da arcate cieche e sui lati brevi da tre arcate aperte; la copertura è a botte con costoloni. Si sale a questo vano superiore tramite una doppia scala, posta al centro del lato nord. È uno spazio molto elaborato nel suo apparato decorativo (colonne tortili, medaglioni, ecc.) così come nella struttura della copertura. La luce lo inonda tutto, lasciando soltanto alla presenza delle arcate sulle pareti longitudinali quello sforzo di articolazione spaziale che si è visto come costante dell'a. altomedievale. L'esempio asturiano appare importante perché da una parte segna la continuità dell'esperienza precedente più prossima (a. visigota), dall'altra anche l'autonomia linguistica rispetto alle contemporanee costruzioni carolinge: accanto a dati comuni, che si possono definire altomedievali, si notano specificità linguistiche e di struttura diverse da regione a regione. Nella Spagna settentrionale, fino agli inizi del sec. 11°, erano presenti monumenti, legati alla cultura mozarabica, che partendo da soluzioni proprie del mondo visigoto si arricchirono di altri elementi, anche islamici, creando una situazione originale, che si diffuse anche in luoghi, come appunto la Spagna settentrionale, che erano rimasti indenni dall'occupazione islamica.La Cappella Palatina di Aquisgrana è una delle costruzioni più significative nell'ambito della cultura architettonica carolingia, e lo è anche nell'ambito delle costruzioni accentrate. Tra queste giova ricordare l'oratorio di Germigny-des-Prés, fatto costruire dal vescovo Teodulfo tra il 799 e l'818, quasi contemporaneamente al complesso imperiale di Aquisgrana. Malamente restaurato e in parte trasformato, esso presenta al suo interno un notevole slancio verso l'alto. La pianta è un quadrato di base, con quattro absidi, in origine - quella occidentale è andata perduta - esorbitanti dal perimetro del quadrato stesso, che, all'interno, appare diviso in nove campatelle, di cui la centrale è rialzata, suggerendo quella pluralità di nuclei architettonici in forma assai esplicita, che già si è vista in altre opere architettoniche altomedievali. Mentre la composizione spaziale della Cappella Palatina appare sintattica, qui sembra dominare la paratassi, caratterizzata appunto dalla pluralità degli spazi senza possibilità di sintesi.Un altro esempio di costruzione accentrata, che forse potrebbe discendere, quanto a tipologia, dalla Cappella Palatina di Carlo Magno, è la chiesa di S. Donato a Zara (sec. 9°): a una unità di spazio anche nella zona absidale all'esterno corrisponde all'interno una duplicazione delle tre absidi, al pianterreno e all'altezza del deambulatorio (forse in ricordo del duplice altare della Cappella di Aquisgrana, quello del Salvatore al piano della loggia imperiale, l'altro dedicato alla Vergine a pianterreno). Perciò lo schema base di questa chiesa dalmata può essere stato assunto da Aquisgrana, ma ancora una volta i rapporti spaziali mutano, con una limitazione del vano centrale in pianta e con un suo sviluppo verticale, che appare molto più pronunciato in quanto si innalza su una base più piccola. Dunque un notevole verticalismo, con una spazialità compatta e con effetti plastici abbastanza evidenti.Circa mezzo secolo prima che Ottone I diventasse imperatore avvenne un fatto apparentemente di limitata rilevanza e che invece ebbe, nei suoi esiti successivi, importanza storica di enorme rilievo, anche nei riguardi delle scelte architettoniche. Nel 910 Guglielmo, duca di Aquitania, fondava un piccolo monastero benedettino nella villa carolingia di Cluny. Da questa piccola comunità di monaci doveva nascere quello che fu definito, alla fine del secolo, 'impero cluniacense'. La seconda chiesa di Cluny (seconda metà del sec. 10°), soprattutto nella sua zona presbiteriale, appariva assai complessa nella connessione ben articolata dei suoi nuclei architettonici, portando a una soluzione matura una tipologia che affonda le sue radici, a livello di primi tentativi, nell'ambito del 7° secolo. Gli inizi del sec. 11° furono segnati, presso la corte di Ottone III, da un aspetto nuovo e diverso anche dalla tradizione che si è tentata fin qui di definire. Con Bernoardo, maestro di Ottone III e consigliere di Teofano, la principessa bizantina andata sposa a Ottone II, si costruì il St. Michael di Hildesheim. Tipologicamente è una chiesa ad absidi contrapposte, con presbiterio rialzato sulla cripta, secondo, almeno apparentemente, una certa tradizione carolingia (pianta di San Gallo, conservata a San Gallo, Stiftsbibl., 1092; abbazia di Fulda, ecc.); ma la spazialità invece è del tutto nuova e originale, nella sua geometrica definizione lineare che collabora a creare un'atmosfera di rarefatta luminosità pura, senza gli accidenti dei contrasti chiaroscurali. È di difficile storicizzazione: nemmeno un possibile legame bizantino, che potrebbe aver avuto in Teofano la sua ragion d'essere, giustifica lo stile di St. Michael a Hildesheim. E inoltre non ha molta storia dopo di sé. Qualche anno dopo, con Corrado II il Salico si fondò il duomo di Spira: il discorso innovativo, avviato dall'a. altomedievale occidentale, con i suoi vari tentativi, idealmente si conclude, si inizia l'età che si suole definire romanica.

Bibl.:

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