ARCO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

Vedi ARCO dell'anno: 1958 - 1994

ARCO (v. vol. I, p. 582)

S. De Maria; P. Callieri

Architettura greca. Terminologia. - Il lessico architettonico greco indica l'a. coi termini - entrambi traslati - di άψίς (con maggiore frequenza in età romana imperiale, anche nel linguaggio epigrafico) e di ψαλίς, che normalmente designa piuttosto la volta (al pari di καμάρα). L'oscillazione terminologica corrisponde peraltro a un dato di fatto, dal momento che, sul piano strettamente architettonico, la differenza fra a. e volta (a botte) deriva più dalla consistenza dimensionale che da caratteristiche propriamente strutturali. Una delle più antiche testimonianze in cui il termine ψαλίς sia usato con certezza nel senso di costruzione con copertura a volta è costituita da un passo delle Leggi di Platone (947, d-e), nel quale viene descritta una tomba a camera che ha indubitabili punti di contatto con le costruzioni funerarie a volta note in gran numero in Macedonia dagli ultimi decenni del IV sec. a.C. Dal momento che il testo di Platone risale a pochi anni prima della sua morte (348-347 a.C.), la testimonianza letteraria anticiperebbe di poco l'uso più antico della volta a botte noto monumentalmente, a meno di non pensare che in questo caso il termine ψαλίς si riferisca a una pseudo-volta ottenuta col sistema dei blocchi progressivamente aggettanti, secondo una soluzione ben nota anche in età pre-ellenistica. Incerta resta invece l'interpretazione del termine ψαλίς che compare in un frammento delle Làkainai di Sofocle (fr. 367), dunque in un periodo ancora più remoto rispetto ai primi esempi di a. e volte noti nell'architettura greca: nell'accezione sofoclea il termine è forse impiegato nel senso di «scolo di acqua» (coperto a volta?).

Grecia e Asia Minore. - Secondo la testimonianza di Seneca (Ep., 90, 32), il filosofo Posidonio aveva riferito di una tradizione che individuava in Democrito (c.a 460-370 a.C.) l'inventore dell'a. a conci. La descrizione è ricca di particolari precisi: «Democritus invenisse dicitur fornicem, ut lapidum curvatura paulatim inclinatorum medio saxo alligaretur». Lo stesso Seneca non nasconde il proprio dissenso, ma non - come a noi parrebbe ragionevole sulla base del confronto con la più antica documentazione monumentale della Grecia - per l'eccessiva antichità di Democrito, bensì per la ragione esattamente contraria, quando chiarisce che «ante Democritum et parietes et portas fuisse, quarum fere summa curvantur». In effetti a. e volte in mattoni crudi erano in uso, in Egitto e Vicino Oriente, già fra IV e III millennio a.C. e Democrito poteva averne lasciato ricordo nei suoi scritti, a tal punto da legittimare una tradizione che proprio in lui ne individuava il πρώτος εύρετής. È un fatto invece ormai largamente assodato che l'a. a conci e la volta a botte si diffondono largamente in ambito greco a partire appunto dagli ultimi decenni del IV sec. a.C. In favore di una data più alta può tuttavia essere intesa la testimonianza di Platone testé ricordata, alla quale si deve accostare un passo di Plinio (Nat. hist., XXXV, 124), secondo il quale l'uso di dipingere le volte (camaras) ebbe inizio con Pausia, con l'implicita ammissione che strutture di questo tipo erano esistite già precedentemente al tempo in cui aveva operato il pittore sicionio (c.a 380-330 a.C.). Le attestazioni monumentali più antiche databili con buoni argomenti sono precedute soltanto da pseudo-a. e pseudo-volte ottenuti per aggetto progressivo di blocchi, opportunamente sagomati e sovrapposti fino a ottenere la copertura (come già in numerosi esempi attestati nell'architettura funeraria micenea), oppure con la copertura del vano di passaggio mediante uno pseudo-a. ottenuto con la posa in opera di un blocco monolitico o di due blocchi accostati, impostati sui piedritti e inferiormente scavati a semicerchio. In alcune cinte murarie ellenistiche di città dell'Acarnania, fra le quali Eniade, e ad Assos in Asia Minore si trova impiegata questa tecnica accanto a quella dell'a. a conci. Gli esempi di quest'ultima più antichi e ben databili riguardano diversi impieghi architettonici, sia in ambito funerario che civile: frequentemente le porte delle cinte murarie, ma anche coperture di riserve d'acqua, ambienti di disimpegno e sostegno nei teatri e in complessi religiosi, ambulacri coperti all'ingresso degli stadi.

Un caposaldo, sia cronologico che geografico, è costituito dalle citate tombe macedoni a camera con copertura a volta a botte, note in diverse decine di esemplari a partire dagli ultimi decenni del IV sec. a.C. e con precoce diffusione in altre aree geografiche (Asia Minore e, come si dirà più avanti, anche in Italia). A questa classe appartiene la tomba regale scoperta a Verghina da M. Andronikos: qualora se ne accetti la plausibile attribuzione a Filippo II, la cronologia riporterebbe agli anni attorno al 336 a.C., qualificando questo monumento come il più antico della serie. In alcune di queste tombe, che in facciata hanno soluzioni monumentalmente molto differenziate, alla volta a botte della camera interna si associa la porta ad a. (Filippi, heròon ellenistico di Mileto). Nelle porte delle cinte murarie l'a. a conci compare in Grecia continentale, in Asia Minore e in Siria all'incirca contemporaneamente, nei decenni fra la fine del IV e gli inizî del III sec. a.C.: a Corinto, nel muro che collega a E la città al porto del Lechàion (realizzato con ogni probabilità per iniziativa di Demetrio Poliorcete: cfr. Diod. Sic., XX, 103, 2-3); a Eraclea al Latmo in Caria (porte nella cinta muraria pseudo isodoma, per la quale si deve accettare la datazione agli inizî del III sec. a.C.); a Dura-Europos, nelle mura che sono certamente da riportare alla fondazione, al tempo di Seleuco I.

In questi stessi decenni si conoscono i primi esempi in edifici civili e utilitari: corridoi coperti con volta a botte nei teatri di Sicione (c.a 300 a.C.) e di Eretria (inizî del III sec. a.C.); volte a botte a copertura delle cisterne della fontana nel ginnasio ancora a Sicione (risalenti con ogni probabilità ai rinnovamenti edilizî promossi nel 303 a.C. da Demetrio Poliorcete: Diod. Sic., XX, 102, 2-4; Paus., II, 7, 1; Plut., Dem., 25, 3).

Di particolare importanza il lungo (oltre 36 m) passaggio con volta a botte recentemente scoperto a O dello stadio di Nemea, sia per la sua cronologia alta (ultimo quarto del IV sec. a.C.), sia perché si pone all'inizio della serie di accessi coperti per giudici e atleti di cui esistono attestazioni monumentali per gli stadi di Epidauro (di cronologia controversa, ma certamente ellenistico) e di Olimpia, da identificare con la κρυπτή εἴσοδος ricordata da Pausania (VI, 20, 8) e datata da W.-D. Heilmeyer attorno al 150 a.C., e anche testimonianze epigrafiche, alla metà c.a del III sec. a.C., per lo stadio di Delfi (cfr. BCH, Suppl. IV, 1977, p. 106, l. 34). Nell'architettura religiosa l'impiego più antico di strutture a volta risale alla prima metà del III sec., in un ambiente sotterraneo in corrispondenza del pronao dello Ptolemàion di Samotracia (c.a 280-279 a.C.) e in due passaggi fra pronao e àdyton ipetrale del Tempio di Apollo a Didyma.

Strutturalmente questi più antichi tipi di a. e volte a botte sono impiegati o nelle cinte murarie o in ambienti sotterranei, in modo che le spinte laterali esercitate dalle coperture a conci fossero agevolmente contenute dalla stessa compattezza del contesto, con soluzioni che permarranno a lungo negli esempi della Grecia e dell'Asia prima delle innovazioni dovute agli architetti di cultura romana. Per quanto riguarda la genesi o l'acquisizione, occorre osservare come le aree interessate da questa casistica siano in stretto rapporto e spesso si identifichino con la cultura macedone o comunque con l'attività dei primi sovrani ellenistici: non sfuggirà la coincidenza con le citate iniziative urbanistiche di Demetrio Poliorcete sullo scorcio del IV sec. a Corinto e a Sicione, con la fondazione di Dura-Europos a opera di Seleuco I, infine con la presidenza dei giochi di Nemea tenuta da Cassandro nel 315 (Diod. Sic., XIX, 64, 1). Un legame piuttosto stretto in questo senso è innegabile, anche se resta aperto il problema se si tratti di una genesi locale di a. e volte, dovuta alla «razionalità» dei Greci applicata alle soluzioni architettoniche (Lauter) e probabilmente caratterizzata da una lunga fase di sperimentazione attestata più che dai resti monumentali dalla tradizione scritta (Andronikos), o piuttosto - come vorrebbero altri studiosi (Boyd), proprio in considerazione di tale scarsezza di resti - di un'acquisizione dal Vicino Oriente, per la quale avrebbero avuto un ruolo decisivo le imprese di Alessandro e la conseguente «acculturazione» di cui furono oggetto gli architetti macedoni. Le scoperte più recenti fanno tuttavia propendere per la prima ipotesi.

Nel corso del III sec. a.C. l'impiego di a. a conci prosegue nelle porte delle cinte urbiche, come nei discussi casi di Eniade e Palairos in Acarnania (v. vol. I, fig. 763), secondo alcuni da riportare ancora al V sec., ma databili piuttosto alla fine del III. A Eniade e anche altrove, nelle mura poligonali, si riscontrano, come si è ricordato, tecniche assai diverse, certamente indizio di fasi costruttive distinte. Forse ancora della fine del IV sec. (Boyd) sono le porte E e O della cinta di Priene, nel cui a. la disposizione dei conci è assai regolare. L'architettura civile conosce l'impiego di a. e volte in ambienti sotterranei, spesso con funzioni di sostruzione: ben databile attorno al 223 a.C. è la volta che copre l'esedra sotterranea della terrazza davanti alla stoà di Attalo I a Delfi. Un caso particolarmente ricorrente, dalla fine del III a tutto il II sec. a.C. (con seguiti anche in età romana), è quello degli a. affiancati in serie a sostegno di una copertura (soprattutto di cisterne) e di un pavimento sovrastante. Molte case private ed edifici pubblici di Delo presentano questa soluzione caratteristica, che si trova ancora, nella Grecia nord-occidentale, nel Nekyomantèion di Ephyra (a sostegno del pavimento della sala centrale) e in Asia Minore a Klaros, nel Tempio di Apollo (camere sotterranee forse risalenti a un intervento già del I sec. a.C.). L'architettura del tardo ellenismo conosce anche l'uso, che sarà di lì a poco ampiamente sviluppato dagli architetti italici e romani, delle serie di a. ciechi affiancati con funzione di sostegno, addossate a un pendio naturale o a un corpo architettonico. Si possono ricordare le soluzioni di questo tipo nel muro di fondo della stoà di Eumene II alle pendici dell'acropoli di Atene e la struttura simile addossata alle mura di Perge in Panfilia, per sorreggere i camminamenti superiori. Del resto, da questo momento in poi, l'uso di a. e volte in area greca procede in parallelo con le realizzazioni dell'architettura di Roma tardorepubblicana, sia nel senso della monumentalità delle strutture sia sul versante della definizione architettonica e formale. A Priene, nel corso del II sec. a.C., l'a. compare per la prima volta in rapporto a una finestra (parete S dell'Ekklesiastèrion) e con la funzione di accesso a un'area urbana (porta dell'agorà), impieghi poi largamente sviluppati dall'architettura romana. Le imponenti sostruzioni voltate della stoà dell'acropoli di Lindos (fine II inizî I sec. a.C.) e poi quelle dell'Asklepièion di Coo attestano un impiego di a. e volte che contemporaneamente viene esaltato al massimo grado nell'architettura santuariale centroitalica. Anche la definizione formale delle membrature degli a. (evidenziazione delle cornici d'imposta e degli estradossi, applicazioni di paraste al di sotto dei fornici, sovrapposizione di frontoni) conosce negli esempi microasiatici di Priene (porta dell'agorà), Alinda (passaggi ad a. nel lato S dell'agorà v. vol. I, fig. 368 - e nel teatro) e di Xanthos (fornici di accesso ai corridoi del teatro del Letòon) significativi paralleli per le analoghe soluzioni avviate dall'architettura italico-romana.

Magna Grecia e Sicilia. - Molto meno cospicua e complessivamente assai meno studiata è la documentazione di a. e volte di Sicilia e Magna Grecia in età ellenistica. Anche precedentemente a quest'ultima, l'architettura greca e greco-punica della Sicilia sembra conoscere esclusivamente la tecnica dell'a. ottenuto per aggetto progressivo dei blocchi e di quello formato da uno o più blocchi accostati scavati a semicerchio. È quanto si osserva, fra V e III sec. a.C., nelle porte e postierle dei sistemi difensivi dell'acropoli di Selinunte (v. S 1970, fig. 714) e di Erice e nel Castello Eurialo di Siracusa. La stessa tecnica è impiegata nell'apertura arcuata nel muro di sostegno del teatro di Segesta, forse ancora della metà del IV sec. a.C. Stante l'assoluta particolarità della copertura a cupola (non a volta) di un ambiente delle terme di Morgantina, ottenuta con serie di tubi fittili accostati e rivestiti di intonaco (III sec. a.C.: cfr. C. H. L. Alien, in AJA, LXXVIII, 1974, pp. 376-379), l'unico esempio per ora noto di a. a conci per la Sicilia ellenistica è quello documentato in una casa di Solunto, dove la copertura della cisterna ricavata al di sotto del peristilio è sorretta dal ben noto ed economico sistema di archi paralleli, che si è visto largamente diffuso in Grecia, in Asia Minore e in particolare a Delo.

Un quadro diverso e più articolato presenta la situazione del Sud della penisola. Abbastanza numerose, fra III e I sec. a.C., le tombe a camera con a. e volte a botte di conci, le più antiche delle quali sono attestate nella Campania greca e sannitica agli inizî del III sec. a.C., con una recezione precoce dei più monumentali modelli greco-orientali, di poco più antichi. Di solito si tratta di piccole camere (c.a m 3 X 2), come nei casi di Cuma (tre tombe note da vecchi ritrovamenti) e Capua. Architettonicamente più articolata è la tomba di S. Maria la Nuova a Napoli (datata dal Gabriel al III sec. a.C.), con ampia camera di m 7 X 4,60, alta m 4, recante all'interno un passaggio arcuato a conci. Più tarda (fine II inizî I sec. a.C.) la piccola tomba a camera di Teano, con porta d'ingresso ad a. scavato nel monolito di copertura. Casi simili - almeno due - sono noti a Taranto, coevi alla tomba di Teano, a documentare l'ulteriore diffusione del sistema di copertura a volta applicato all'architettura funeraria. A Reggio Calabria le piccole tombe di mattoni di poco eccedenti le misure del corpo umano, datate al III sec. a.C., presentano talora coperture con voltine a botte, che attestano l'estesa diffusione del tipo - anche a scala ridotta - nell'architettura funeraria ellenistica della Magna Grecia. Al contrario è molto scarsamente documentato l'uso di a. e volte nell'architettura pubblica. Di grande importanza è l'aver accertato che la copertura dell'apodytèrion (m 7 X 14) delle c.d. terme centrali di Cuma, costituita da una volta a botte di conci di tufo uniti con malta, risale alla fine del III inizî del II sec. a.C. (v. s 1970, pp. 273-274), trattandosi di un caposaldo cronologico per questa tecnica applicata all'architettura pubblica. Le cinte murarie ellenistiche, rispetto agli esempi coevi greco-orientali, impiegano raramente l'a. a conci nelle porte. Il problema cronologico delle mura di Paestum è ancora troppo aperto per poterne trarre conclusioni definitive, ma va comunque ricordato che il tratto orientale - che probabilmente è da riportare al IV-III sec. a.C. o forse è in rapporto con l'istituzione della colonia latina del 273 - impiega in una postierla il sistema della copertura arcuata ottenuta scavando a semicerchio due blocchi accostati, mentre la c.d. Porta della Sirena (v. vol. V, fig. 1008) ha un a. a conci radiali molto regolare, con figura di sfinge nella chiave di volta, dal significato apotropaico.

Il caso delle porte pestane richiama quello, assai controverso, della Porta Rosa di Velia (v. vol. VII, fig. 1240). Si tratta di un passaggio con a. di conci molto regolari aperto nella sistemazione monumentale della gola fra le colline presso l'acropoli della città. La cronologia proposta dallo scopritore M. Napoli, fondata su dati stratigrafici evidenziati alla base della costruzione, si fissa attorno alla metà del IV sec. a.C. Si tratterebbe quindi del più antico in assoluto o almeno di uno fra i più antichi esempi di a. o volte a conci di tutta l'architettura greca, all'incirca coevo alle prime volte a botte delle tombe a camera della Macedonia. Certamente la struttura più alta del complesso di Porta Rosa, comprendente un a. di scarico che sorregge il camminamento trasversale superiore, è di molto più tarda; un'ulteriore diversità di tecnica si osserva inferiormente, fra i piedritti e il tratto corrispondente all'archivolto. È dunque possibile che l'a. della Porta Rosa risalga a un rifacimento successivo alla costruzione dei piedritti, anche se la cronologia alta appare oggi generalmente accettata. Sta di fatto che, in Grecia, esempi strutturalmente e architettonicamente simili risalgono probabilmente a circa un cinquantennio più tardi (porta nel muro che, congiunge Corinto al porto del Lechàion).

Architettura etrusca. - Tombe con porte scavate ad a. sono note in gran numero fin dall'Orientalizzante Antico e Medio, p.es. nelle necropoli di Cerveteri (Tombe Campana, della Capanna, della Nave, dei Leoni dipinti, Mengarelli), così come è in uso il sistema della falsa volta: valga per tutti il ben noto esempio della Tomba Regolini Galassi (cfr. F. Prayon, 1975). L'a. o la volta a botte costruiti a conci radiali sono invece documentati assai più tardi, dal momento che la porta d'accesso della Tomba Campana di Veio (c.a 600 a.C.) apparentemente sormontata da blocchi recanti al centro una sorta di concio a mo' di chiave di volta - è in realtà realizzata col tradizionale sistema dei blocchi aggettanti e con una conformazione complessiva non arcuata, ma trapezoidale; può inoltre trattarsi di un rifacimento più tardo, realizzato per rinforzare l'originaria parete d'ingresso scavata nel tufo (L. Banti, in StEtr, XXXVIII, 1970, pp. 42-43). Spesso si è invocata la cronologia alta della Porta dell'Arco di Volterra - e anche quella delle porte di Perugia (v. vol. VI, fig. 94) - per attestare un impiego precoce dell'a. a conci nell'architettura etrusca. Ma nonostante gli sforzi compiuti il problema non sembra risolto. Soprattutto per la Porta di Volterra le cronologie proposte sono molto discordanti (dalla fine del IV al pieno II sec. a.C.) e nessuna di esse definitiva. Viceversa, ricerche recenti (Defosse, Matteini Chiari) hanno confermato per le porte urbiche di Perugia la vecchia cronologia alla fine del II sec. già proposta dal Riis. Altrettanto problematico sotto il profilo cronologico è il ritrovamento, lungo il lato Ν dell'impianto urbano di Tarquinia, di blocchi a cuneo pertinenti alla copertura di una porta di tipo sceo, che G. Colonna riporta al IV se non ancora al V sec. a.C. (in Rasenna, Milano 1986, figg. 370-371). Un riferimento cronologico e strutturale fondamentale per l'introduzione in Etruria dell'a. e della volta a conci è invece senz'altro costituito dal ritrovamento (1974) a Cerveteri, in località S. Angelo, della Tomba del Charun. Si tratta di un'ampia struttura interamente costruita su più livelli, comprendente una corte di forma trapezoidale e due vaste camere funerarie, con facciata adorna di sculture e false porte. La camera di sinistra presenta una copertura con volta a botte (luce di m 5) costituita da due ghiere di conci.

La datazione si fissa agevolmente alla seconda metà del IV sec. a.C. e attesta un'introduzione in Etruria assai precoce - anzi quasi contemporanea - dei modelli di tomba aristocratica diffusi in Macedonia e in altri centri del mondo greco. La Tomba del Charun di Cerveteri è per ora l'esempio più antico di struttura voltata costruita a conci noto in Italia, al quale si può eventualmente affiancare soltanto la Porta Rosa di Velia, qualora se ne accetti la cronologia alta.

Nel corso del III e soprattutto del II sec. a.C. si diffonde l'uso di queste tombe a camera costruite, ma di dimensioni più ridotte, con volte a botte di copertura. Lo si rileva in particolare nell'Etruria settentrionale, geologicamente inadatta all'uso delle camere funerarie scavate nella roccia. Gli esempi noti sono discretamente numerosi, contemporanei - e in parte simili - a quelli del Sud della penisola (soprattutto della Campania) di cui si è detto più sopra. Cinque o sei casi sono noti nel territorio di Chiusi, tutti del II sec. a.C.; quattro nel territorio di Perugia, anch'essi del II sec.; un solo caso è noto presso Orvieto (Tomba di Surripa) ed è anche il più antico del gruppo (inizi del III sec. a.C.). Per la presenza delle volte a botte vanno menzionate, anche se strutturalmente diverse per conformazione della camera funeraria, le «Tanelle» di Cortona (Tanella di Pitagora, Tanella Angori), la cui datazione al IV-prima metà del III sec. a.C. (Lugli, Minto) deve ora essere abbassata al II, dopo gli studi più recenti (Matteini Chiari, Oleson). Talune di queste tombe impiegano anche l'a. a conci in vista, nelle porte d'ingresso (Tombe Galeotti e di Vigna Grande a Chiusi) o negli accessi a vani o nicchie laterali interne (Tomba di San Manno a Perugia, Tanella Angori di Cortona).

In questo stesso periodo, nel quale sono ormai determinanti i rapporti con Roma, la documentazione monumentale relativa all'architettura civile non è cospicua quanto quella funeraria. Ad attestare però la diffusione di a. e volte a conci sta tutta una serie di raffigurazioni - soprattutto di porte ad a. nelle quali spesso è ben evidenziata la struttura a conci radiali. Innanzi tutto diverse urnette raffiguranti porte urbiche, dove tuttavia manca l'indicazione dei conci negli archivolti, spesso inserite entro torri nelle cinte murarie: si ricorda la serie con l'assalto alle mura di Tebe (Volterra, Museo Guarnacci, inv. 370 - porta con protomi umane simili a quelle della Porta dell'Arco di Volterra - 371, 372, 436, 643; Firenze, Museo Archeologico, inv. 5739, 78483, 96936) e l'urna col ratto delle Leucippidi di Volterra (Museo Guarnacci, inv. 590). Tra la fine del III e la prima metà del II sec. a.C. la pittura funeraria raffigura assai spesso, nel contesto di scene di commiato o di cortei funebri, la porta dell'Ade e del sepolcro come una struttura ad a., con o senza battenti, talora con la precisa raffigurazione dei conci dell'archivolto: si vedano le pitture tarquiniesi delle Tombe Querciola II, degli Eizene, del Cardinale, Tartaglia e Tomba 5636; anche il sarcofago Bruschi, pure di Tarquinia, presenta una scena analoga comprendente una porta ad a. entro torre merlata. È ovvio il significato simbolico e puramente allusivo di queste raffigurazioni, ma la frequenza di dettagli indica la diffusione ormai ampia di queste strutture anche nell'architettura civile, per la quale difetta ampiamente la documentazione diretta. Un'ulteriore, eloquentissima immagine è costituita dalla ben nota urna «a palazzetto» del Museo Archeologico di Firenze (inv. 5539), proveniente dal territorio chiusino, la cui cronologia è controversa ma quasi certamente da riportare al II sec. a.C.; in essa l'edificio raffigurato - forse un'abitazione aristocratica - mostra una porta sormontata da un a. a conci regolarissimi perfettamente riprodotti.

Architettura romana. - Terminologia. - I latini indicavano l'a. coi termini fornix, prevalente in età repubblicana, soprattutto nel linguaggio epigrafico e di norma in Livio (cfr. D. W. Packard, A Concordance to Livy, Cambridge Mass. 1968), e arcus, che nella più antica iscrizione nota in cui compare (CIL, I2, 808 = VI, 3824, l. 18, di età sillana?) designa probabilmente l'arcata di un ponte. Arcus, in senso tecnico, è prevalente in Vitruvio (V, 10, 3; VI, 8, 3; IX,1, 12; X, 13, 7), che peraltro impiega una volta soltanto il termine fornix (sempre con valenza tecnica: VI, 8, 4). Con ianus (che nel senso di arco quadrifronte è accezione moderna) è da intendere ogni struttura ad a. che consentisse il passaggio (Cic., Nat. deor., II, 67: Ianum ... ab eundo ... ex quo transitiones perviae iani … nominantur); talora, soprattutto in età imperiale, il termine è intercambiabile con arcus. Per indicare la struttura a volta è impiegata in latino la parola camera (camara, derivata dal greco), ma anche fornix o fornicatio, nel senso di un piccolo vano coperto a volta (anche concameratio).

Introduzione e impiego dell'arco. - Per l'architettura romana propriamente detta non si conoscono esempi di a. o volte a conci sicuramente databili anteriormente ai decenni centrali del III sec. a.C. Il cunicolo con volta a conci policentrica alle pendici del Campidoglio presso il Tempio di Saturno (G. Lugli, Tecnica edilizia, tav. lxii, 5) è stato spesso datato al V (Ashby) o al IV sec. a.C. (Franck), o abbassato al IV-III (Lugli), ma resta di cronologia del tutto incerta, come la volta della Cloaca Massima (più volte riparata, anche al tempo di Agrippa v. vol. I, fig. 765), il cui tratto sottostante la Basilica Emilia è piuttosto da riportare a interventi successivi all'incendio del 210 a.C. (Lugli, Adam). Anche le fonti storiche non offrono elementi sicuramente riferibili a prima della fine del III sec., mentre la più antica documentazione epigrafica è naturalmente ancora più tarda, degli ultimi anni del II secolo.

Resta ovviamente aperto il problema dell'originaria copertura delle porte ricavate nelle mura serviane della prima metà del IV sec., che secondo G. Säflund dovevano impiegare il sistema del monolite o dei due blocchi accostati scavati a semicerchio, largamente in uso, p.es., nell'architettura siceliota anche d'età classica. Certamente le aperture a semicerchio con a. di conci pertinenti a camere balistiche nelle mura serviane sono assai più tarde, risalendo a restauri d'età sillana.

I più antichi documenti monumentali sono così costituiti dalle porte di città interessate dagli interventi urbanistici del III sec.: certamente costituite da a. a conci erano le porte della cinta di Cosa, colonia latina del 273 a.C., che non si sono interamente conservate, ma la cui conformazione è accertata, mentre opera forse di architetti etruschi furono le porte di Falerii ricostruite dopo la distruzione del 241 a.C. (v. vol. III, fig. 686). Qui la ben nota Porta di Giove costituisce un importante punto di riferimento cronologico, anche per la perfezione formale raggiunta dal sistema di conci di peperino delimitati da una ghiera rilevata sormontata al centro dalla protome divina, secondo un'usanza nota anche altrove in ambito italico (Paestum, Volterra, forse anche dal frammento di Orvieto: cfr. Rasenna, cit., fig. 377). L'impiego dell'a. a conci quale copertura delle porte urbiche, caratteristico come s'è visto dell'architettura greco-orientale del primo ellenismo, si estende dunque precocemente con la colonizzazione romana del III sec., almeno per quanto ci è noto nell'Italia centrale, dove era preesistente una solida e antica tradizione architettonica che aveva già sperimentato l'a. e la volta di conci lapidei. Contemporaneamente diversi interventi estendono l'uso dell'a. e della volta a botte ad altre tipologie edilizie, soprattutto nel campo dell'architettura civile. Agli stessi decenni in cui viene realizzata la cinta muraria di Falerii risale il ponte ad arcata unica sulla Via Amerina (fra Falerii e Roma), mentre un prezioso passo di Livio (XXII, 36, 8) ci informa della costruzione nel Campo Marzio (216 a.C.) di una via fornicata, certamente un viadotto sostenuto da arcate o concamerazioni voltate cieche.

Queste esperienze, già abbastanza articolate durante il III sec. a.C., vengono enormemente diffuse nel corso di quello seguente, fin dai primi decenni, quando il rilevante incremento demografico ed economico susseguente alla conclusione della seconda guerra punica sollecita interventi di grande portata. In rapporto alla viabilità urbana e soprattutto extraurbana, la costruzione di ponti e viadotti richiede largamente l'impiego delle duttili ed efficaci strutture ad a. e a volta. Basterà ricordare l'attività edilizia dovuta ai censori del 174 a.C., Q. Fulvio Fiacco e A. Postumio Albino, per avere un esempio eloquente della varietà degli interventi e delle realizzazioni che richiedevano l'impiego di a. e di volte (Liv., XLI, 27, 5-13). Per l'uso massiccio della volta a botte come copertura di ampi ambienti interni in questo caso veramente innovativo, a tal punto che diverrà ben presto una caratteristica peculiare dell'architettura romana - occorre ricordare la realizzazione, fra il 193 e il 174 a.C., dei vasti magazzini sul Tevere, la Porticus Aemilia, costituita da 50 navate affiancate coperte con volte a botte, con largo impiego dell'opera cementizia e dell'a. a conci nelle finestrature esterne. Su scala minore, ma con analogo significato nel processo di autonomia e impiego completamente libero delle strutture ad a., va menzionata l'introduzione del fornix, semplice o triplo, come monumento d'ingresso ad aree sacre o ai fora, nelle colonie e a Roma stessa. Gli iani del Foro Romano, i fornices di Stertinio e dell'Africano a Roma (rispettivamente del 194 e del 190 a.C. v. arco onorario e trionfale) e quello del foro di Cosa (c.a 175-150 a.C.), ancora parzialmente conservato - altri sono noti dalle fonti, p.es. a Sinuessa per il 174 a.C. (Liv., XLI, 27, 12) - inaugurano la serie di monumenti ad a. utilizzati quali accessi di questo tipo, investiti di un evidente valore simbolico e talora sacrale, che avrà un seguito cospicuo anche nel corso dell'età imperiale.

L'impiego ora veramente capillare di a. e volte a botte diviene, fra la fine del II e tutto il I sec. a.C., elemento costitutivo basilare delle maggiori realizzazioni architettoniche. I santuari tardorepubblicani di Palestrina, Tivoli e Terracina dimostrano che ormai l'uso di questi elementi (sempre più massicciamente realizzati in opera cementizia) è completamente libero, anche nella realizzazione di sequenze compiutamente proiettate in facciata, come nell'esempio straordinario della terrazza dei fornici a semicolonne del Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina. Il nuovo accordo che si instaura fra le strutture voltate e l'antico sistema dell'architettura trilitica è un apporto di questo felicissimo momento dell'architettura romana: la serie di a. nelle facciate degli edifici, inquadrati da un ordine di semicolonne sormontate da una trabeazione anch'essa applicata alla parete, già presente - e intensamente - nei santuari laziali, è realizzata a Roma nella facciata del Tabularium (78 a.C.) e diverrà in seguito lo strumento più idoneo per definire architettonicamente grandi superfici esterne anche articolate su più piani, come attesta una tradizione plurisecolare, quella dell'architettura di teatri e anfiteatri (nella particolare accezione delle superfici curvilinee), degli accessi monumentali, degli a. onorarî. L'architettura di età imperiale svilupperà i presupposti e moltiplicherà le applicazioni precedenti. Soprattutto sul piano decorativo i sistemi di eleganti arcatelle inquadrate da colonnine poste su mensole saranno caratteristici dell'architettura tardoantica (Palazzo di Diocleziano a Spalato, a. quadrifronte del Foro Boario e Tempio di Venere e Roma nel restauro di età tetrarchica). Dal III sec. d.C. i sistemi di arcate affiancate non poggeranno più soltanto su solidi piedritti, ma anche su più esili colonne, delineando sequenze di grande eleganza formale, caratteristiche degli elementi divisori delle navate di edifici civili prima (come nel foro e nella basilica di Leptis Magna: v. vol. IV, fig. 680) e poi di tanti edifici sacri paleocristiani.

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Mondo romano. - Terminologia: G. A. Mansuelli, Fornix e arcus. Note di terminologia, in Studi sull'arco onorario romano, Roma 1979, pp. 15-17. Opere generali: M. E. Blake, Ancient Roman Construction in Italy from the Prehistoric Period to Augustus, Washington 1947, pp. 192-226; G. Lugli, La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma 1957, pp. 335-359; L. Crema, L'architettura romana, in P.E. Arias (ed.), Enciclopedia Classica, sez. III, 12, 1, Torino 1959, pp. 6-12 e passim, H. Reuther, Römische Wölbkunst, in AW, II, 1971, pp. 21-29; B. Hofmann, La voûte symbole de l'architecture romaine, in ArcheologiaParis, 93, 1976, pp. 8-13; A. Boëthius, op. cit., pp. 123-125, 144, 208-209; J. B. Ward-Perkins, Roman Imperial Architecture, Harmondsworth 19812, pp. 97-120; J.-P. Adam, La construction romaine. Matériaux et techniques, Parigi 1984, pp. 173-211; R. Krautheimer, Architettura paleocristiana e bizantina, Torino 1986, passim. - Porte urbiche: G. Säflund, Le mura di Roma repubblicana (Skrifter Utgivna av Svenska Institutet i Rom, I), Lund 1932, pp. 195-208, 258-262; G. Brands, Republikanische Stadttore in Italien (BAR, Int. S., 458), Oxford 1988. Ingressi monumentali: E. Weigand, Propylon und Bogentor in der östlichen Reichskunst, ausgehend vom Mithridatestor in Ephesos, in Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte, V, 1928, pp. 71-114; F. Coarelli, Il Foro Romano, II: periodo repubblicano e augusteo, Roma 1985, pp. 180-189; F· Castagnoli, Gli iani del Foro Romano. Ianus = arco quadrifronte?, in BullCom, XCII, 1987-88, pp. 11-16.

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(S. De Maria)

Asia occidentale e centrale, India. I numerosi studî dedicati nell'ultimo ventennio alle architetture tradizionali dell'Asia occidentale e centrale, oltre che dell'Africa settentrionale, hanno portato un contributo decisivo alla conoscenza di molti degli aspetti tecnici relativi alle architetture delle antiche civiltà di queste stesse aree. Qui il denominatore comune tra passato e presente è costituito dalla grande diffusione dell'argilla cruda come materiale edilizio, un materiale che oramai non appartiene più alla cultura architettonica dell'Occidente e che quindi gli studiosi dell'antichità possono comprendere meglio solo mediante il contributo di quelle testimonianze vive rappresentate dalle architetture tradizionali.

Una buona parte degli a. noti nell'Oriente antico rientra sotto questo appellativo solo per la forma, senza peraltro appartenere a pieno titolo alla categoria architettonica dei veri a., quelli cioè che ripartiscono su due punti d'appoggio i carichi verticali e li trasformano in forze oblique che mantengono al contempo la coesione degli elementi che li compongono. Se infatti numerose tecniche costruttive in argilla cruda conferiscono agli a. le caratteristiche di strutture monolitiche, la cui stabilità è data dalle sole forze di coesione e che si comportano quindi come architravi, trasmettendo i carichi integralmente sui punti d'appoggio, anche l'architettura in pietra ricorre frequentemente a un sistema di copertura per aggetti successivi (francese: en encorbellement), costituito in realtà da una serie sovrapposta di mensole che scaricano l'una sull'altra.

Da un punto di vista strutturale l'a. si può considerare come una volta di traslazione di breve sviluppo, e in molti degli edifici in crudo, caratterizzati da un notevole spessore dei muri, la distinzione tra a. e volta è di scarso significato.

La diffusione di tecniche costruttive simili in diverse regioni asiatiche, dal Mediterraneo all'India occidentale, rende plausibile un discorso unitario relativo alle forme e alle tecniche costruttive degli a. e delle volte.

Una prima classificazione di a. e volte è possibile in relazione al profilo delle loro sezioni: queste possono essere circolari (a tutto sesto, a sesto rialzato o ribassato), paraboliche (di forma propriamente parabolica, ellissoidale, catenaria o composita), ogivali (cioè spezzate, composte di due curve) o non curve (ad angolo acuto).

Maggiore interesse tuttavia presenta la classificazione in base alle tecniche costruttive. Una distinzione preliminare è relativa alla necessità o meno di una centinatura per la costruzione. L'uso di una intelaiatura, di legno o di fasci di canne a seconda dell'ampiezza dello spazio da coprire e del peso dei materiali impiegati, è necessario in tutti quegli a. in cui il materiale edilizio, pietra o mattone, è disposto radialmente rispetto alla curva dell'arco. Solo limitatamente alla copertura di luci strette, quali p.es. le porte, la centinatura può essere costituita da mattoni crudi non murati che riempiono lo spazio da coprire con l'a. e offrono un piano di posa curvilineo per la muratura. Ma le architetture in crudo, soprattutto in Iran e in Asia centrale, utilizzano procedimenti costruttivi che non hanno bisogno di centinatura: la fortuna di tali tecniche in aree oggi desertiche è stata spiegata proprio con la loro possibilità di evitare l'uso di legname e anche se le condizioni ambientali attuali non necessariamente ripetono quelle dell'antichità, i vantaggi di ordine economico ed ecologico di tali soluzioni sono evidenti.

Le tecniche che prevedono una centinatura producono in genere a. di forma semicircolare, in cui la messa in opera dei materiali risulta facilitata dalla relazione geometrica tra l'a. e i raggi (i blocchi o mattoni). Oltre che in mattoni crudi o cotti, disposti appunto radialmente e messi in opera filare per filare lungo tutta la lunghezza dell'a. o della volta, gli a. con centinatura possono essere costruiti con blocchi di pietra ben squadrati o anche con pietre allettate grossolanamente nella malta: in quest'ultimo caso la stabilità è data dalla coesione della malta, che finisce così per conferire all'a. una struttura monolitica.

Gli a. più caratteristici dell'Asia occidentale e centrale sono tuttavia quelli senza centinatura, che traggono vantaggio dall'uso di malte gessose, a presa rapida. Tre sono le tecniche costruttive possibili: ad aggetti progressivi, a segmenti inclinati e ad archetti opposti. La tecnica ad aggetti progressivi già ricordata sopra, che tende a conferire all'a. una sezione ogivale, non è limitata alle architetture in crudo e anzi trova la sua maggiore diffusione nelle regioni in cui il materiale edilizio più comune è costituito da lastre di pietra; è frequente anche l'uso di tale tecnica con mattoni cotti, soprattutto nelle epoche più antiche. Il secondo tipo di tecnica è caratteristico di tutte quelle aree in cui l'architettura predilige l'argilla cruda, dall'Egitto alla Mesopotamia, dall'Iran all'Asia centrale; la forma esemplare, in genere a sezione parabolica, è costituita da una volta a botte (nota oggi in Egitto come «volta nubiana») costruita con file inclinate di mattoni posti in opera di taglio, poggiante contro la parete di fondo dell'ambiente. È comune in queste volte l'uso di mattoni di forma trapezoidale, che possono aderire meglio l'uno all'altro nella messa in opera dei singoli segmenti di arco. La stessa tecnica è attestata anche con l'uso di lastre di pietra al posto di mattoni, come in una volta di una sostruzione di un mausoleo a Hatra. Il terzo tipo di copertura è ottenuto mediante due o tre elementi curvilinei modellati separatamente in terra cruda e giustapposti a comporre un a.; tale sistema permette di coprire una luce non larga, ed è infatti attestato prevalentemente in corridoi o in rampe di scale, ma anche in ambienti di dimensioni ridotte.

Le tre tecniche si trovano frequentemente utilizzate assieme in ambienti diversi di uno stesso complesso, in relazione alle loro dimensioni e funzioni, con una grande libertà e capacità di sfruttare al meglio le possibilità offerte dal materiale disponibile, soprattutto nelle architetture in crudo.

Le tradizioni architettoniche delle diverse regioni e delle diverse epoche presentano caratteristiche particolari e sono influenzate soprattutto dal tipo di materiale edilizio disponibile.

In Mesopotamia, dove la prima testimonianza di a. sembra risalire al VI millennio a.C. (porta nel complesso di Umm Dabaghiya), a. e volte sono diffusi prevalentemente nell'ambito dell'architettura funeraria, utilizzati per la copertura di ambienti sotterranei o semisotterranei, in cui le spinte laterali non creano difficoltà tecniche. La tecnica di maggiore diffusione nei periodi più antichi (Uruk e Protodinastico I) è quella ad aggetti progressivi (Eridu, Mari), cui però già nel Protodinastico I o II (periodo Villa di Tepe Gawra) si affiancano coperture di mattoni radiali. Un importante esempio di a. radiale è la c.d. Porta del Diavolo a Tellō, del Protodinastico Illb. Durante il periodo di Isin-Larsa nelle tombe regali di Ur compare anche la volta a segmenti inclinati. Le tombe di Assur forniscono una testimonianza dell'evoluzione seguita dall'uso dei sistemi di copertura nella Mesopotamia settentrionale, dove comunque il sito di Teli ar-Rima attesta già dagli inizî del II millennio a.C. la conoscenza di a. radiali e a segmenti inclinati: nel periodo antico-assiro prevalgono le coperture ad aggetti progressivi e sono testimoniati solo due esempi di coperture per filari di mattoni radiali, mentre nei successivi periodi medio-assiro e neo-assiro prevalgono queste ultime. È nel periodo partico che l'a. e la volta si affermano definitivamente nell'architettura civile e religiosa, legati alla fortuna della tipologia dell'iwān; il palazzo di Assur conserva alcuni a. di mattoni in corsi radiali accanto a volte a segmenti inclinati, mentre la muratura in blocchi di calcare di Hatra impiega prevalentemente a. e volte a tutto sesto con centinatura.

Le tombe della città reale di Susa del periodo elamita antico III presentano coperture a segmenti inclinati, mentre le porte nella ziqqurat di Čoqā Zanbil hanno a. di corsi radiali di mattoni. Tepe Nuš-e Jān fornisce la prova del fatto che le volte ad archetti contrapposti erano note in Iran sin dal periodo medo; le troviamo anche a Persepoli, nelle fortificazioni in crudo, usate su corridoi e scale, accanto a volte a segmenti inclinati, sugli ambienti. Altre testimonianze della diffusione nell'Iran delle coperture ad archetti sono rappresentate dai siti di Dahāna-ye Gholamān, nel Sistan, per il periodo achemenide, di Šahr-e Qumis, nel Nord-Est, identificata con la seconda capitale partica di Hekatòmpylos, e di Kuh-e Khwāǰā, nel Sistan, per i periodi partico e sasanide.

L'architettura sasanide utilizza l'a. in una grande varietà di forme solo in parte legate ai materiali edilizi propri delle diverse regioni. A Bišāpur, nella muratura di conci di pietra e nei sistemi di copertura a tutto sesto adottati, si avverte la partecipazione di architetti romani o siriani al progetto edilizio, dimostrata dalla presenza di un espediente tecnico estraneo alla tradizione iranica quale l'a. di scarico al di sopra dell'architrave monolitico di una porta dell'edificio A. Nell'Iran del periodo sasanide si avverte, sia nell'architettura in pietra, sia in quella in crudo, una predilezione per la forma circolare, che viene ricercata e ottenuta con particolari espedienti persino nella tecnica ad aggetti progressivi, legata per sua natura alla forma ogivale. La forma parabolica era però insita nelle volte a segmenti inclinati, e gli a. frontali degli iwān, primo tra tutti il Ṭāq Kiṣrā di Ctesifonte, non tentano mai di dissimulare la loro forma. In quest'ultimo monumento va rilevata la presenza di rinforzi lignei sia al livello delle imposte della volta sia nella parete di fondo. Un tipo sasanide di a. con centinatura, documentato tra l'altro a Firuzābād, è quello in cui il diametro dell'a. è più ampio della larghezza della porta che esso copre, costruito con centina poggiante sui piani di imposta anziché sul pavimento. La tecnica a segmenti inclinati è utilizzata anche per la copertura di brevi a., quali p.es. quelli che collegano i pilastri dei cahār tāq: gli anelli di pietre inclinate, non avendo una parete di fondo contro la quale sostenersi, si appoggiavano su un primo archetto di gesso impastato con canne e fissato sui piedritti con gesso, quasi sempre scomparso e individuabile solo dalla posizione arretrata della muratura dell'a. rispetto alla parete. Simili elementi prefabbricati avevano una grande diffusione anche nella costruzione di volte e cupole. Nella Sala L del palazzo di Sarvistān (di epoca post-sasanide) è attestata una volta che alterna corsi disposti verticalmente come nella tecnica a segmenti paralleli e corsi disposti radialmente rispetto all'arco. Caratteristico del periodo tardosasanide è poi l'a. a ferro di cavallo, documentato in un'abitazione di Ctesifonte datata al VI sec. d.C.

In Asia centrale la volta ad aggetti progressivi è testimoniata a partire dal II millennio a.C. nella costruzione dei forni ceramici. La copertura degli ambienti dell'edificio centrale di Koi-Krïlgan-Kala in Chorasmia (IV sec. a.C.) presenta un esempio di volte a segmenti inclinati ricoperte da un filare di mattoni disposti radialmente. A Nisa Vecchia a. e volte sono utilizzati solo per coperture di luci inferiori a 2,5-2,8 m, sia nella tecnica a mattoni radiali sia in quella a segmenti inclinati; per dimensioni maggiori si presume invece comune l'uso di coperture lignee. Con il III-IV sec. d.C. la volta si afferma in tutta l'Asia centrale, soprattutto nella tecnica a segmenti inclinati, che offre una migliore resistenza alle scosse sismiche. A Toprak Kala, in Chorasmia, p.es., le volte in mattoni radiali sono confinate a corridoi e passaggi stretti. A partire dal VII sec. il profilo ogivale, che lavora su tutto l'a. e non solo sulla chiave, presentandosi perciò più resistente in caso di crolli al centro della copertura, si diffonde e diviene la forma di a. caratteristica della architettura islamica.

Nella regione gandharica il tipo di a. più diffuso nei monumenti conservati è quello ad aggetti progressivi con profilo ogivale, che troviamo sia nelle coperture dei corridoi dei monasteri (Takht-i Bahi) sia in quelle delle cappelle (vihāra) delle numerose aree di culto buddhistiche. Nei rilievi del Gandhāra compaiono anche altre forme di a., tra cui a. carenati e trilobati. La forma dell'a. trilobato è la stessa dei pignoni che decoravano le false nicchie dei monumenti sacri, ed è stata suggerita la sua derivazione dalla facciata o dalla sezione verticale dei vihāra a doppia cupola sovrapposta.

In India la maggior parte delle testimonianze relative agli a. proviene da monumenti di architettura rupestre e da rilievi scultorei, mentre gli a. e le volte reali sono rari. La forma più diffusa di a. è quella carenata, di cui troviamo una prima attestazione nella facciata della grotta di Lomās Ṛṣi (Barabar Hills, periodo maurya): la facciata, scolpita nella roccia, imita quella di un edificio in legno ed è coronata da un arco; carenato che rappresenta probabilmente il profilo della copertura in paglia sulla intelaiatura lignea. Tale forma, che spesso accoglie delle volute all'imposta dell'a. sui dritti, diviene caratteristica delle cappelle buddhistiche (caitya) scavate nella roccia nell'India occidentale, dal I sec. a.C. al VI sec. d.C. circa (Bhājā, Kārlī, Ajantā, ecc.) e compare anche nelle raffigurazioni sui rilievi in pietra che decorano i più antichi stūpa (Bhārhut, Sāñcī, Amarāvātī, ecc.). I gavakṣa o a. ciechi che decorano i templi del periodo gupta e dei successivi, hanno in genere tale profilo; tuttavia si diffonde anche una forma carenata, ma a tutto sesto sorpassato, nota come kuḍu. Nel periodo gupta il caitya costruito in mattoni a Chezarla presenta una facciata affine a quelle dei monumenti rupestri, ma la copertura a volta a botte è costruita con la tecnica ad aggetti progressivi di corsi orizzontali. Degna di menzione è la copertura delle nicchie che articolavano la parete W dello stūpa di Mīrpūr Khās, nel Sind (V sec. d.C.): accanto alla tecnica ad aggetti progressivi, infatti, qui è testimoniata anche una volta di mattoni cotti disposti di taglio in segmenti paralleli.

Un'altra forma di a. comune in India è l'a. trilobato, che conosce la sua maggiore diffusione nei templi kashmiri del VII-VIII sec. d.C. (e nel tempio di Malot nel Salt Range pakistano, a essi legato), ove è la forma propria degli a. di ingresso.

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(P. Callieri)