Arcobaleno

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Fisica

fig. 1

Fenomeno di ottica atmosferica, dovuto alla rifrazione e riflessione della luce di una sorgente luminosa (generalmente il Sole, ma anche la Luna o una sorgente artificiale molto intensa) da parte di goccioline d’acqua disseminate nell’atmosfera. Si presenta come una serie (talvolta duplice: a. primario e secondario) di archi colorati circolari, concentrici, i cui centri C (fig. 1) si trovano sulla retta a condotta dalla sorgente luminosa, in direzione b, all’osservatore O, dalla parte opposta della sorgente rispetto all’osservatore e quindi al disotto dell’orizzonte. I colori sono quelli dello spettro solare e si succedono dal rosso all’esterno, all’azzurro e violetto verso il centro nell’a. primario (fig. 1A) e in senso inverso nell’a. secondario (fig. 1B). Il cono dei raggi che dall’occhio dell’osservatore vanno all’estremo esterno, ha apertura di 42° nell’arcobaleno primario e di 51° nel secondario. L’a. è osservabile soltanto quando la sorgente di luce, per es. il Sole, ha sull’orizzonte un’altezza α minore di 42°, perché altrimenti i raggi rifratti dalle gocce d’acqua, che formano con la direzione dei raggi angoli di tale ampiezza (o maggiori), non giungerebbero all’occhio dell’osservatore.

fig. 2A

La teoria del fenomeno, data inizialmente da Cartesio (1637), prendendo in considerazione soltanto i fenomeni di rifrazione e riflessione, fu completata da G.B. Airy (1837). Nella fig. 2A è mostrato il cammino dei raggi che, investendo una goccia (sferica), penetrano in essa, vi si riflettono totalmente e fuoriescono. La deviazione δ subita dai raggi in conseguenza della duplice rifrazione e della riflessione nella goccia varia al variare dell’angolo d’incidenza i (nella fig. sono stati considerati tre raggi, a, b, c, per ognuno dei quali è indicato angolo d’incidenza e deviazione); esiste un valore ib di i in corrispondenza del quale δ è minimo: si chiama raggio di Cartesio il raggio, b, che incide sulla goccia sotto questo particolare angolo; i raggi che incidono sulla goccia sotto angoli assai maggiori o assai minori di ib, vengono dispersi in varie direzioni, quelli che incidono sotto angoli poco differenti da ib vengono concentrati nella direzione del raggio di Cartesio emergente, b′: un osservatore vede il cielo più luminoso nella direzione di tale raggio. I raggi di Cartesio relativi alle varie gocce vengono a trovarsi su una superficie conica il cui vertice è nell’occhio dell’osservatore e il cui asse è la retta a della fig. 1. Così dunque si forma l’a. primario; per quello secondario valgono considerazioni analoghe, salvo il fatto che esso è dovuto a raggi che subiscono due riflessioni totali nell’interno della goccia, e non una (fig. 2B). La colorazione dei due archi deriva dal fatto che le rifrazioni danno luogo a dispersione. Completando la teoria di Cartesio, Airy, tenendo conto anche dei fenomeni di diffrazione, riuscì a spiegare fra l’altro l’aspetto biancastro che l’a. assume quando le goccioline sono molto piccole (diametro minore di 0,1 mm) e la formazione di archi supplementari rossastri, verdi e giallastri (diametro delle gocce tra 0,1 e 0,25 mm). Ogni osservatore vede il suo a. in quanto i raggi che giungono in punti diversi di osservazione provengono da punti distinti.

Religione

Presso i popoli di interesse etnologico, l’a. è concepito come segnale dell’Essere Supremo celeste o come ponte tra il cielo e la Terra, lungo il quale discende l’Essere Supremo stesso o sono discesi i primi uomini (gruppi etnici del Congo, della Costa d’Avorio ecc.) o salgono al cielo le anime (Indiani, Tlinkit, Hawaiani); talvolta come figlio dell’Essere celeste medesimo o come serpente che sta sotto il suo sedile. Tale concezione dell’a. come serpente è pure di altri popoli che non hanno la credenza nell’Essere Supremo (Ewe e altre tribù africane, Caribi, varie tribù dell’America Meridionale e dell’Australia). Per altri l’a. è un demone o, come nella mitologia greca, una figura divina (Iride). Nella Bibbia è il segno del ‘patto’ tra Dio e il genere umano dopo il diluvio.

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