ARDASHĪR

Enciclopedia Italiana (1929)

ARDASHĪR

Antonino Pagliaro

. Con questo nome, che è la forma moderna dell'antico persiano artašaäa (i tre re di questo nome della dinastia achemenide si conoscono invece sotto la forma grecizzata di Artaserse) e del medio-persiano artaxšir (nelle iscrizioni artaχšatr) si indicano tre personaggi della famiglia reale dei Sāsānidi (v.)

Ardashīr I. - È il fondatore della potenza sāsānide. Sulla sua vita si hanno notizie attraverso una tradizione conservata negli storici arabi e particolarmente in at-Tabarī e una tradizione leggendaria che prende corpo specialmente in un racconto romanzesco in pahlavī dal titolo Kārnāmak-i Artaχšīr-i pāpakān "il libro delle gesta di Ardashtr figlio di Pāpak"; il quale servì di fonte anche a Firdusi nel Libro dei Re. Scarse invece sono le notizie che se ne hanno attraverso gli scrittori greci e latini. Dal confronto delle due tradizioni, le quali concordano nelle linee fondamentali e hanno preziose conferme nel materiale numismatico ed epigrafico, si sa che Ardashīr fu figlio di Pāpak, e Sāsān, l'eponimo della famiglia, fu suo nonno. (Nella tradizione leggendaria Ardashīr è dato invece come nipote di Pāpak, e come figlio di Sāsān e di una figlia di Pāpak). Inviato dal padre, che era signore del distretto di Stakhr, nelle vicinanze dell'antica Persepoli, alla corte reale per completarvi la sua educazione cavalleresca, il giovane A. si distinse per le sue capacità e venne nominato āχvarsālār "grande scudiero" e ottenne anche in isposa la figlia dello stesso re Artabano V. Intanto Pāpak moriva e gli succedeva sul trono il figlio maggiore Shāpūr, da lui prediletto. Forte delle relazioni contratte alla corte, A. si disponeva ad entrare in lotta con il fratello per impadronirsi dell'eredità paterna, ma la morte di questo gli lasciò libero il campo. Conscio della debolezza che travagliava la dinastia arsacide, A. guadagnò alla sua causa i capi delle due nobili famiglie degli Spāhpat e dei Sūrēn e si ribellò al suo signore. A lui subito si unirono i distretti di Kirmān, Makurān e Ispahān. Artabano con un esercito accorse verso l'Ādharbaigiān e il Khorāsān occidentale, ma dopo vari scontri venne definitivamente battuto ad Hormazdagān in Susiana nel 224 d. C.; due anni più tardi Ctesifonte, la capitale dei Parti, cadde nelle sue mani, ed egli ne fece la capitale del suo regno insieme con Stakhr, la capitale dinastica. Di fronte a Ctesifonte sul lato destro del Tigri Ardashīr sulle rovine di Seleucia fondò una nuova città che ebbe nome Vēhardashīr, "il buon Ardashir". Fra le altre città la cui fondazione è a lui attribuita è da ricordare Ardashīr Khurrah, cioè la "Maestà di Ardashīr", che fu in seguito assai famosa per il tempio del fuoco in essa stabilito. Divenuto signore della Persia e allargato il suo dominio sulla Media e lungo le coste del Golfo Persico, A. assunse il titolo di "Re dei re n e dopo aspre lotte riuscì ad annientare tutti i vari principati locali riunendo nelle sue mani il dominio di buona parte dell'Irān, della Susiana e della Babilonia. Il tentativo di sottomettere l'Armenia dove continuavano a dominare principi della casa arsacidica, la Mesopotamia e la Babilonia, lo portò a contatto dei Romani e qui fu costretto ad arrestarsi dinanzi alle legioni di Alessandro Severo (233 d. C.). Verso SE. egli poi si spinse sino ad urtare contro i Kūshān i quali dominavano la valle di Kābul e il Panjāb. Morì nel 241 e gli successe il figlio Shāpūr, che egli si era associato nel regno.

Nonostante la sua vita fosse occupata da imprese di guerra, Ardashīr fu accorto uomo di governo e gettò le basi di quella salda organizzazione che per quasi quattro secoli fu la forza della sua dinastia. In contrasto con la dinastia arsacidica, la dinastia da lui iniziata fu sentita come dinastia nazionale, continuatrice diretta dei grandi re Achemenidi, dei quali nella leggenda A. è considerato discendente. A ciò soprattutto contribuì il ritorno voluto da Ardashīr all'antica religione mazdaica, che con lui entra in un nuovo periodo di splendore e diventa religione di stato.

Bibl.: Th. Nöldeke, Geschichte der Perser und Araber zur Zeit der Sasaniden, aus der arabischen Chronik des Tabari, 1879; id., Geschichte des Artachsir-i Pâpakân, in Bezzemberger Beiträge, IV (1879); F. Justi, in Grundriss der iranischen Philologie, II (1904), p. 515 segg.; E. Herzfeld, Paikuli, Monument and Inscription of the early History of the Sasanian Empire, Berlino 1924, p. 35 segg.; A. Pagliaro, Epica e romanzo nel Medioevo persiano, Firenze 1928.

Ardashīr II. - Fratello del re Shāpūr II, fu da lui posto al governo di Adiabene e in tale carica si distinse per l'accanimento col quale perseguitò i Cristiani (344 e 376 d. C.). Alla morte di Shāpūr II venne, già settantenne, innalzato al trono (379), ma dopo quattro anni di regno, alienatosi per la sua severità l'animo dei nobili, venne deposto.

Ardashīr III. - Figlio di Qawādh II fu assunto al trono all'eta di sette anni (628 d. C.). Durante il suo regno, che durò solo due anni, l'esercito iranicoi comandato dal generale Shahrvarāz, fu battuto dai Qāgiāsi che avevano fatto un'incursione in Georgia e in Armenia. A. fu ucciso nel 630 da Shahrvarāz quando questi con il consenso di Eraclio s'impadronì del trono.

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