ARES

Enciclopedia Italiana (1929)

ARES ("Αρης ed "Αρευς)

G. Ben.
*

Uno degli dei principali dell'Olimpo greco, da taluni ritenuto originario dalla Tracia, ordinariamente considerato figlio di Zeus e di Era. Rappresentato fin dai più antichi poeti greci esclusivamente come dio della guerra (identificato perciò con il Marte latino). I passi dell'Iliade nei quali questo dio è ricordato, ce lo presentano con vive immagini, amante delle mischie e dei combattimenti, unicamente smanioso di sangue e di strage. Ares impersona cioè la forza distruggitrice, la guerra per la guerra, senza speciali preferenze per l'uno o l'altro dei due eserciti in campo. Davanti a Ilio promette alla madre Era e ad Atena di parteggiare per i Greci, e si getta poi dalla parte dei Troiani, combattendo a fianco di Ettore (Iliade, V, 830 segg.); cosa che Atena non manca di rimproverargli (Iliade, XXI, 410 segg.). Pittoresca l'imprecazione di Atena (Iliade, V, 31 segg.);

O Marte, Marte esizïoso iddio,

che lordo ir godi d'uman sangue e al suolo

adeguar le città...,

e l'imprecazione di Apollo (Iliade, V, 455 segg.):

Eversor di città, Marte omicida,

che sol nel sangue esulti...

Il suo aspetto stesso rivela la terribilità del suo carattere, giacché Ares ci è descritto munito di pesante armatura e di elmo a visiera, con minaccioso cimiero, in atto di aggirarsi furioso "roteando bieco le luci", insaziato di sangue, scotendo la lancia, trapassando gli scudi, scompigliando le schiere. Egli è, insomma, la furia scatenata della guerra, sia che combatta a piedi, sia su carro tirato da quattro cavalli dai nomi significativi: Αἵϑων (ardente), Φλόγιος (divampante), Κόναβος (strepito), Φόβος (spavento), o da due soli cavalli: Φόβος e Δεῖμος (terrore). Questi ultimi appaiono talora nel mito come gli stessi suoi figli, che lo accompagnano nel combattimento, insieme con Eris (la discordia), e con la dea della guerra, sua compagna, 'Ενυώ (Bellona). Enyalios è sinonimo di Ares.

Per quanto tremendo e invincibile egli appaia alle schiere dei Greci e dei Troiani, Ares è tuttavia lungi dall'ispirare adeguato timore o rispetto (come risulta già dai passi citati) alle altre divinità olimpiche. Queste non solo possono, fino a un certo punto, disporre di lui:

E sì di Febo

i precetti adempia, di Febo Apollo

d'aurea spada precinto, che comando

dato gli avea d'accendere ne' Teucri

l'ardimento guerrier...;

ma anche approfittano del suo impeto bruto, cieco e irragionevole, per metterlo talora in condizioni difficili e umilianti. Specialmente Atena, alla quale è riconosciuta, per bocca dello stesso Zeus, la superiorità nell'arte della guerra su Ares, di quanto la forza intelligente e ben diretta è superiore all'impeto cieco e brutale. Così nell'impari lotta tra Ares e Diomede, Atena, che parteggia invisibile per l'eroe greco, fa in modo che la lancia di Diomede colpisca Ares nel fianco. All'inatteso colpo il dio, gridando con la forza di nove o diecimila uomini (Iliade, V, 860), si rifugia come una nera nuvola nell'Olimpo, ad esporre a Zeus i suoi lamenti contro Atena e contro tutti i mortali. Ma Zeus lo accoglie sdegnato, chiamandolo (Iliade, V, 889 segg.)

fazïoso incostante, e a me fra tutti

i Celesti odïoso....

Sembra di risentire in queste parole tutto lo sdegno e il disprezzo di un popolo colto e raffinato, come il greco, conscio non solo del suo valore, ma degli umani diritti, per la natura ancora bestiale e la mentalità ancora troppo involuta delle popolazioni barbare che si affacciavano moleste ai suoi confini, e la cui tracotanza, impersonata in Ares, occorreva rintuzzare col valore intelligente della stirpe greca, personificato in Atena. Patria di Ares è infatti ritenuta la Tracia o altro paese nordico, abitato da stirpi barbariche. Simile all'episodio omerico accennato è l'altro della lotta fra gli stessì dei (Iliade, XXI), nella quale Ares cade colpito al collo da una pietra scagliatagli da Atena (Iliade, XXI, 406 segg.):

Ei cadde, e steso

ingombrò sette iugeri; le chiome

insozzarsi di polve, e orrendamente

l'armi sul corpo gli tonar...

Come un Ares terreno, molto più attraente e suggestivo dello stesso figlio di Era, Omero ci descrive più d'uno dei suoi eroi preferiti, ad es. Diomede (Iliade, V, 4 segg.):

Lampi gli uscian dall'elmo e dallo scudo,

d'inestinguibil fiamma, al tremolio

simigliante del vivo astro d'autunno

che lavato nel mar splende più bello.

Fuori del ciclo omerico, Ares ci viene rappresentato in lotta con Eracle, per vendicare la morte del figlio Cicno, uccisogli dall'eroe. Qui pure, nelle varie versioni della leggenda, viene riconfermata, per l'intervento di Atena e di Zeus, l'inferiorità di Ares. Omero anche narra come Ares fosse una volta fatto prigioniero dai giganti Oto ed Efialte, gli Aloadi, e come, tenuto in duro carcere per la durata di tredici mesi, venisse finalmente liberato da Ermete, messo sull'avviso dalla loro stessa matrigna Eeribea (Iliade, V, 385 segg.).

Per una fortunosa vicenda d'idee religiose, Ares, l'odiatissimo fra gli dei, viene associato, già presso Omero, ad Afrodite, la dilettissima fra le dee, specie presso i mortali. Ares è costantemente compagno o paredro di una divinità femminile, detta in origine Enyo o Erinni. Tale divinità viene in Atene trasformata in Aglauro, a Tebe in Afrodite. La seconda versione è quella accolta nell'epos omerico. Mentre nell'episodio di Enea condotto in salvo fuori della mischia da Afrodite, e di Afrodite stessa ferita da Diomede, Ares dà a quella il suo carro (Iliade, V, 311 segg.), nella successiva battaglia fra gli dei Afrodite stessa interviene in favore di Ares, allorché questo, colpito dalla pietra scagliatagli contro da Atena, giace disteso sulla polvere (Iliade, XXi, 416 segg.):

Frattanto al dio prostrato

Venere accorse, per la mano il prese,

e lui, che grave sospira e a fatica

riaver può gli spirti, altrove adduce.

Ma per istigazione di Era, Atena insegue la coppia ed abbatte ancora una volta i suoi divini compagni, dileggiandoli. Afrodite appare nell'Odissea come la sposa di Efesto, ma già in seguito a una tradizione parallela, che faceva Afrodite sposa di Ares, si creò la leggenda dei segreti amori di Ares e Afrodite. Efesto viene informato da Elio (il Sole) della illecita relazione e pensa di vendicarsi atrocemente dell'affronto. Colta l'occasione di un convegno tra i due amanti, fa ingegnosamente in modo ch'essi rimangano presi insieme dentro una inestricabile rete, e chiama quindi a raccolta gli dei tutti perché vengano ad irridere la coppia disavventurata (Od., VIII, 266 segg.). Per intercessione di Posidone, Efesto libera finalmente i due amanti dalla rete, cosicché questi possono sottrarsi ai prolungati dileggi, rifugiandosi ciascuno nel proprio regno, Afrodite in Cipro, Ares in Tracia. Tale racconto di Demodoco nell'Odissea sembra dovere la sua origine all'incrocio di due leggende, la tebana con la coppia Ares e Afrodite, e la più comune con la coppia Afrodite ed Efesto.

In seguito a tale elaborazione della leggenda, avviene che i figli, attribuiti singolarmente all'una o all'altra divinità, siano dai mitografi considerati figli della coppia divina Ares e Afrodite. Tali Eros, Antero, Priapo, Deimo, Fobo, Armonia, sposa questa di Cadmo, il fondatore di Tebe. La figura di Ares appare anche nel mito di Adone, bellissimo e sfortunato giovinetto amato da Afrodite. Spinto Ares da invincibile gelosia, scatena il feroce cinghiale, che uccide in un episodio di caccia l'innocente rivale. È questa però una versione tarda e poco accreditata della leggenda; come a tardi influssi religiosi, ritenuti di natura orfica, deve farsi risalire l'inno cosiddetto omerico Ad Ares, dove il dio è chiamato per la prima volta difensore dell'Olimpo, coadiutore di Temi (la Giustizia), guida dei giusti, ecc.: un'apoteosi insomma del dio, culminante nella sua identificazione col pianeta Marte.

Il culto di Ares si trova anzitutto in Tracia, di dove si riteneva originario, per cui le stesse Amazzoni, indicate dalla leggenda figlie di Ares e di Armonia, si diceva parlassero dialetto trace. Esso è diffuso quindi nella Macedonia, nella Tessaglia e in tutta la Grecia, ma specialmente radicato è in Tebe (la terra del Παλαίχϑων "Αρης; Eschilo, Septem, 105), essendo Ares considerato il capostipite della stirpe regia dei Cadmei. Sacro ad Ares, anzi figlio di questo e della Erinni Tilfossa, era il serpente (l'"Αρειος δράκων) che Cadmo uccise alla fontana di Ares ("Αρειος κρήνη), prima della fondazione di Tebe (l'"Αρειον τεῖχος, Iliade, IV, 407). Di un tale sacrilegio Cadmo dovette subire il fio, restando in schiavitù di Ares per un anno, pur ricevendone successivamente in isposa la figlia Armonia, che Ares avrebbe avuta da Afrodite (Eschilo, Septem, 125-129; Pindaro, Pyth., IV, 155 segg.). Non per questo l'ira del dio cessò di pesare come una maledizione perpetua sulla stirpe di Cadmo, le cui tremende sventure si facevano appunto risalire ad Ares. Come padre del serpente, simbolo ctonio per eccellenza, Ares era anche considerato divinità ctonia o sotterranea, e il suo culto parificato a quello delle altre divinità infere. L'infiltrazione in Beozia di un ramo etnico di origine trace, che però è molto contestata dai critici, giustificherebbe la persistenza e la complessità della leggenda di Ares in quella regione. Lo stesso culto era in onore nell'Eubea (Calcide), nell'Etolia, nell'Attica, e specialmente in Atene, dove Ares era considerato sposo di Aglauro e padre di Alcippe, violata da Alirrothios. Anche in Atene, come ci attesta Pausania, era un santuario di Ares, presso l'agorà, con due statue di Afrodite, una di Ares, una di Atena, una di Enyo (Paus., I, 8, 4). Si credeva, e si credette fino ai tempi nostri, che la collina dello Areopago, sede del più antico tribunale ateniese, prendesse appunto il nome da Ares ("Αρειος πάγος), intendendosi che su quella collina Ares ebbe a subire il processo, terminato con la sua assoluzione, da parte degli altri dei, primo esempio di processo regolare su suolo ateniese, in seguito all'uccisione, da lui commessa, di Alirrothios, figlio di Posidone. Secondo studiosi moderni tale leggenda sarebbe unicamente dovuta a una falsa etimologia degli antichi, mentre effettivamente Areopago non significherebbe già "collina di Ares", ma piuttosto collina delle Eumenidi etimologia questa giustificata dal fatto che sulle pendici della medesima collina sorgeva un tempio venerato delle Eumenidi (le 'Αραί), come risulta da Pausania (I, 28, 6). In cotesto tempio, detto da Pausania delle Erinni o Σεμναί (le Venerande), si trovavano anche le statue di Ade, di Ermete e della Terra. "In questo tempio sacrificano tutti coloro che sono assolti dall'Areopago, stranieri e cittadini ugualmente". Si rileva bastantemente da questo passo come la presenza, sulla collina, di un culto così diverso da quello di Ares, costituisca per sé un'ottima base a sostegno della moderna etimologia. Ares Enyalios risulta inoltre venerato in parecchie città dell'Argolide a cominciare da Argo, nell'Acaia (Corinto), nella Laconia, dove da tempi antichissimi vigeva il sacrificio del cane ad Ares lacedemone, nella Ionia. A Olimpia si ha il culto di Ares ἵππιος. Lo stesso culto di Ares è praticato in tutti i paesi orientali e occidentali imbevuti di cultura greca.

Simboli di Ares sono la lancia e la fiaccola, con le quali due sacerdoti del dio precedevano gli eserciti greci in combattimento. Animali sacri ad Ares il cane e l'avvoltoio: quelli stessi che, con qualche aggiunta, vanta il Marte latino.

Bibl.: Tümpel e Sauer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., II, coll. 642 e segg.; Stoll e Furtwängler, in Roscher, Lexicon der griech. u. röm. Myth., I, col. 478 segg.; il commento di H. Blumner a Pausania, ed. H. Hitzig, Lipsia 1896-1910, I, p. 311 seg.; Preller e Robert, Griechische Mythologie, 4ª ed., I, p. 335 seg.; L. R. Farnell, The cults of the greek States, V, Oxford 1909, p. 396 segg.; O. Gruppe, Griechische Mythologie u. Religionsgesch., I, Monaco 1903, p. 1375 esg.; Fr. Nägelsbach, Homerische Theologie, 3ª ed., Norimberga 1884, p. 101.

La figura di Ares non ha avuto nella tradizione artistica greca l'ampia trattazione e il largo sviluppo di altre figure divine, più prossime e più consone all'ideale greco di bellezza: d'altro lato la mancanza di attributi caratteristici ha forse molte volte confuso, o per lo meno non ha distinto con chiarezza, la figura del dio della guerra da quella generica del guerriero.

Nelle rappresentazioni più antiche, che ci sono offerte dalle pitture vascolari con figure nere, Ares compare come un uomo adulto, barbato, tutto coperto da capo a piedi della pesante armatura degli opliti: così egli ritorna nel corteo degli dei del vaso François, così in altri vasi dello stesso stile nella lotta contro i Giganti, uno dei miti cui egli più frequentemente partecipa.

Nel sec. V il tipo di Ares subisce un'evoluzione: da uomo adulto, barbato, esso si trasforma in un giovane, non più tuttavia della freschezza efebica, ma già maturo, nel pieno possesso delle sue forze fisiche, imberbe o appena coperto di una breve pelurie sulle guance: è di solito ignudo, con elmo in capo, spada o lancia nelle mani. In tale aspetto egli si presenta nel fregio del Partenone, seduto, con il tronco e le gambe nude e il chitone trascuratamente avvolto intorno ai fianchi: stringe fra le mani il ginocchio destro, ed ha vicino a sé appoggiata al sedile la lancia.

Circa lo stesso tempo in cui gli scultori del Partenone raffiguravano così Ares, altri artisti creavano per esso altri tipi statuarî, uno dei quali era destinato ad avere una grande fortuna nei secoli posteriori, fino in età romana: quello detto dell'Ares Borghese, dalla migliore delle repliche, ora al museo del Louvre. Il dio, interamente ignudo, ma con il capo difeso dall'elmo attico, che lascia uscire sulla fronte e sulla nuca ciocche di capelli, poggia saldamente sulla gamba sinistra, mentre avanza di un poco la destra; il braccio destro scende lungo il corpo, il sinistro è ripiegato all'altezza del tronco sorreggendo la lancia. Lo schema della figura e la salda struttura del torace derivano dall'arte di Policleto, mentre la testa, leggermente reclinata verso destra, e soffusa di un velo di melanconia, è nettamente attica. La creazione del tipo è ormai con quasi unanimità di opinione attribuita ad Alcamene, la cui scultura fu posta nel tempio del dio ad Atene.

Numerose, come abbiamo accennato, sono le repliche della statua: in età romana su di essa si modellò la figura del gruppo assai frequente di Marte e Venere. Una delle ultime e delle migliori repliche tornate alla luce è quella delle terme di Leptis Magna: in questa l'elmo è liscio, ornato appena di una fascia a rilievo terminante a volute; la mano destra abbassata tiene la spada, nella sinistra era la lancia; sul sostegno è gettata la corazza.

Nel sec. IV, mentre alcuni tipi, rappresentatici da piccoli bronzi o da sculture di secondaria importanza, mostrano di essere discesi, con leggiere varianti, dalle staiue del sec. V, un tipo nuovo s'introduce, quello dell'Ares Ludovisi, il quale, se non stilisticamente, è concettualmente la derivazione dell'Ares Borghese. Il senso di melanconia, che il volto di questo già accusava, si accentua, e lo si spiega: il dio non è più in piedi, ma siede, con il ginocchio sinistro alzato fra le mani; nella destra ha ancora la spada, ma lo scudo è deposto a terra, presso il sedile: il piccolo Eros (il volto è moderno di restauro dell'Algardi), che gli scherza fra i piedi, ci dice la ragione di quella melanconia. Lo stile della figura è lisippeo. tranne nella testa che più dimostra il carattere attico.

Relativamente meno frequente, o meglio più facilmente confuso con rappresentazioni generiche di guerrieri o di eroi, è il tipo di Ares combattente, sia a piedi, sia sul carro tratto da cavalli: così era figurato il dio nel rilievo dell'ara di Pergamo, nel quale tuttavia sono conservati soltanto i cavalli del carro, così esso compare in molti tipi monetali, sia della Grecia propria, sia della Sicilia e della Magna Grecia. Notevole il fatto che in questi ultimi, anche quando di Ares è rappresentata la sola testa, il tipo adottato per essa è ancora talvolta quello barbaro.

Per l'Ares Borghese: M. Collignon, Hist. sculpture grecque, II, Parigi 1897. p. 124 seg.

Pcr la copia di Leptis Magna: R. Bartoccini, Le terme di Lepcis (Leptis Magna), Bergamo 1929, p. 119 segg.; per le copie romane nel gruppo di Marte e Venere: G. Moretti, in Not. scavi, 1920, p. 63 segg.; per l'Ares Ludovisi: H. Brunn-F. Brinckmann, Denkmäler, n. 388; R. Paribeni, Le Terme di Diocleziano e il Museo Naz. Rom., Roma 1928, p. 140; W. Helbig e W. Amelung, Führer durch die öff Samml. Rom, 3ª ed., II, Lipsia 1913, p. 91, n. 1297, ecc.

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