ARIA

Enciclopedia Italiana (1929)

ARIA (fr. air; sp. aire; ted. Litft; ingl. air)

Camillo PORLEZZA
Stefano Ludovico STRANEO
Riccardo OLIVERI
Francesco SCURTI
Tommaso COLLODI

Nella più remota antichità si ammetteva che l'aria fosse un elemento, cioè uno dei quattro principî (aria, acqua, terra e fuoco) che costituivano nel loro assieme la natura. Solamente verso la fine del sec. XVIII le conquiste della scienza sperimentale dimostrarono che i primi tre principî non sono da considerarsi sostanze elementari, e che il fuoco è un fenomeno e non un elemento.

Anche sullo stato fisico dell'aria gli antichi avevano idee vaghe e sommarie. Leonardo da Vinci la definiva una specie di fluido pesante, dilatabile, compressibile e resistente, che ravvolge la sfera della terra e dell'acqua; il suo peso e la pressione che essa esercita su tutti i corpi alla superficie della terra furono riconosciuti dal Galilei.

John Mayow fu il primo a riconoscere che l'aria contiene un determinato spiritus nitroaëreus (corrispondente all'odierno ossigeno), che è anche un componente del nitro: stabilì inoltre che l'aria privata delle particulae nitroaëreae non è più atta a mantenere la respirazione.

La prima analisi dell'aria fu fatta da Lavoisier. Facendo bollire per molti giorni il mercurio in una storta comnunicante con una campana (v. fig. 1), egli osservò la formazione di ossido di mercurio e stabilì che il volume assorbito era circa 1/5 del volume di aria inizialmente impiegato; di più constatò che scaldando poi a 400° l'ossido rosso ottenuto si aveva ossigeno, il quale, mescolato al residuo del trattamento con mercurio, forniva un gas che aveva le proprietà dell'aria da cui era partito.

Il metodo seguito da Lavoisier era largamente approssimativo. Risultati più precisi sono stati ottenuti in seguito con metodi ponderali e volumetrici.

L'analisi volumetrica si può eseguire assorbendo l'ossigeno con fosforo, con pirogallolo in soluzione alcalina o anche con idrosolfito in soluzione leggermente alcalina; allo stesso scopo sono stati impiegati il cloruro cromoso, l'idrato ferroso e l'idrato manganoso, e anche una soluzione di solfato ferroso saturata con ossido di azoto. Molte analisi di aria vennero eseguite facendo combinare l'ossigeno con ossido d'azoto, e trattando poi con alcali il miscuglio o tenuto.

Anche il metodo per esplosione, il quale consiste nel mescolare l'aria con idrogeno, può dare risultati assai buoni; questo procedimento, che fu indicato da Volta nel 1774, è stato poi adottato da molti sperimentatori.

Per quanto concerne l'analisi gravimetrica dell'aria, essa è stata eseguita (Dumas e Boussingault) facendo passare aria secca e priva di anidride carbonica sul rame rovente (pesato prima e dopo l'assorbimento), e raccogliendo e pesando l'azoto residuo; la fig. 2 riproduce schematicamente l'apparecchio impiegato. Nel pallone P viene fatto inizialmente il vuoto e in esso viene raccolto (aprendo cautamente il rubinetto R) ciò che rimane dell'aria dopo che questa ha attraversato: il tubo L1 (contenente soluzione di potassa caustica), i tubi T1 e T2 (contenenti potassa caustica in pezzi), i tubi T3 e T4 (contenentì pomice imbevuta di soluzione concentrata di potassa caustica), il tubo L6 (contenente acido solforico concentrato), i tubi T5 e T6 (contenenti pomice imbevuta con acido solforico concentrato), il tubo T (contenente rame metallico scaldato al rosso); quest'ultimo tubo è munito di due rubinetti R1 ed R2.

In altri esperimenti, invece del rame metallico, sono stati anche impiegati il ferro ridotto e scaldato (Brunner, 1833), e anche il fosforo, che veniva poi pesato (Lakowsky e Verver, 1843, Leduc, 1917, Moles, 1922).

I risultati delle indagini sulla composizione dell'aria hanno portato a concludere che le proporzioni relative di azoto e di ossigeno nell'aria sono approssimativamente, non esattamente, costanti. Ciò risulta dalla tabella seguente, ove sono riassunti alcuni dati relativi al contenuto in ossigeno dell'aria (volumi %):

Nell'aria l'azoto e l'ossigeno sono mescolati e non combinati, e questo può dedursi da una serie di fatti:

1. La proporzione tra azoto e ossigeno nell'aria varia di poco in località differenti, mentre nei composti chimici puri non si osserva neppure la più piccola variazione.

2. La proporzione atomica dell'azoto e dell'ossigeno nell'aria è 3,77 : 1, cioè approssimativamente 15: 4; perciò se tutto l'azom e l'ossigeno fossero combinati, risulterebbe la formula N15O4 o NO0,26s, che non si inquadra bene nei fatti contemplati dalla legge delle proporzioni multiple.

3. Le proprietà fisiche caratteristiche (indice di rifrazione, assorbimento del calore radiante, ecc.) dell'azoto e dell'ossigeno sono modificate nell'aria soltanto nella misura che si avrebbe mescolando azoto e ossigeno nelle stesse proporzioni, mentre sarebbero da aspettarsi modificazioni più profonde se si fosse formata una combinazione chimica.

4. I costituenti dell'aria possono venir separati con mezzi meccanici, come soluzione in acqua, atmolisi, evaporazione dell'aria liquida (evapora l'azoto prima dell'ossigeno). Solidificando l'aria liquida, si riesce a separare per mezzo di un elettromagnete l'ossigeno dall'azoto.

5. Quando si riproduce artificialmente l'aria mescolando nelle volute proporzioni i gas che la compongono, non si ha nessun segno di reazione chimica (variazioni di temperatura o di volume, ecc.).

Per quanto nessuna di queste ragioni appaia, presa a sé, di assoluto valore probativo, pure dall'insieme di esse rimane giustificata la conclusione di J. W. Döbereiner: "il gas atmosferico non è una combinazione chimica."

Oltre all'ossigeno e all'azoto sono contenute nell'aria varie altre sostanze che qui partitamente consideriamo.

Anzitutto è noto (v. argo) che l'azoto atmosferico è un miscuglio complesso di azoto, argo, ecc.; più precisamente l'aria contiene le seguenti percentuali in volume di gas rari:

Il vapore acqueo nell'aria è di solito meno dell'1% in volume, ma può raggiungere il 4% nei climi umidi; è ovvio che la quantità di vapor d'acqua saturo presente nell'aria dipende dalla temperatura; nella tabella seguente è indicato il peso (espresso in mgr. per litro) del vapor d'acqua nell'aria satura da −200 a + 40° C:

L'umidità assoluta dell'aria si riferisce alla massa di vapor d'acqua presente nel volume unitario, e si stabilisce facendo passare un determinato volume di aria attraverso un opportuno dispositivo contenente cloruro di calcio o perossido di fosforo, ecc.: e determinando l'aumento di peso che subisce la sostanza disidratante; il contenuto di vapore acqueo può venire espresso anche indicando la pressione da questo esercitata. L'umidità relativa ad una certa temperatura esprime invece il rapporto della quantità di vapore presente nell'aria, a quella corrispondente alla saturazione, oppure il rapporto della pressione osservata, a quella di saturazione.

L'anidride carbonica, riconosciuta nell'aria tra il 1752 e il 1754, fu inizialmente ritenuta presente in proporzioni molto maggiori di quanto sia stato poi stabilito con le misure più moderne: la proporzione dell'anidride carbonica nell'aria atmosferica oscilla intorno a 3 volumi per 10.000 volumi di aria.

In spazî chiusi si può avere accumulo di anidride carbonica, ma all'aperto l'azione equilibratrice dei venti assicura una distribuzione pressoché uniforme.

L'ozono e l'acqua ossigenata si formano probabilmente nell'atmosfera per azione delle scariche elettriche; l'ozono nell'aria umida a temperatura ordinaria viene rapidamente convertito in ossigeno, cosicché nella parte più bassa dell'atmosfera sono state trovate soltanto tracce di esso. Invece nella parte superiore dell'atmosfera, dove si ha poca umidità, e dove la temperatura si avvicina a −55°, l'ozono è molto più stabile; e poiché le radiazioni dell'estremo ultravioletto, passando attraverso a ossigeno freddo e secco, lo convertono in ozono, è presumibile che, nella parte superiore della atmosfera, vi siano quantità apprezzabili di tale gas; è stato anzi dedotto che il contenuto di ozono nell'alta atmosfera sia eguale a quello che vi sarebbe in uno strato di gas puro, alla pressione e temperatura normale, avente 4,2 cm. di spessore.

L'idrogeno è stato trovato nella distillazione dell'aria liquida; si tratta di quantità piccole che secondo Claude non raggiungono una parte in un milione di parti di aria. Lord Rayleigh ha valutato la proporzione di idrogeno a una parte su 30.000 di aria.

Composti combustibili del carbonio sono stati trovati nell'aria, specialmente in vicinanza delle città, mentre soltanto tracce minime sono state riscontrate nell'aria del mare o delle regioni montuose; ad esempio nell'aria di Parigi sono stati trovati su 100 litri: 19,4 cmc. di idrogeno libero, 12,1 di metano, 1,7 di benzene e idrocarburi analoghi, 0,2 di ossido di carbonio con tracce di olefine e di idrocarburi acetilenici.

Anche composti del cloro e dell'iodio si trovano nell'aria, e specialmente nelle vicinanze delle coste marine, mentre si ha una diminuzione rapida di essi a mano a mano che si procede dalla costa verso l'interno. Questo fenomeno ha una grande importanza dal punto di vista agricolo, poiché la pioggia, attraversando l'atmosfera, si arricchisce di tali sostanze che vengono poi portate in contatto del terreno.

Gli ossidi d'azoto e l'ammoniaca, come venne constatato nel sec. XVIII, si trovano in piccola quantità nell'aria; e, come per i cloruri, si hanno anche molte osservazioni sulla quantità di composti azotati che vengono portati al terreno, specialmente agrario, dalla pioggia.

Infine composti solforati, soprattutto anidride solforosa, acido solforico e solfati, sono stati trovati in piccola quantità nell'aria, specialmente in vicinanza di stabilimenti industriali; cosa anche questa che ha una notevolissima importanza, in certi casi, in relazione all'agricoltura.

Sono infine comunissimi nell'aria solidi sospesi sotto forma di pulviscolo atmosferico; nell'aria esterna di Londra, ad esempio, sono state osservate da 80.000 a 116.000 particelle per cmc., mentre nell'interno di una stanza ne sono state contate circa 2.000.000 per cmc.; nell'aria sull'Oceano Pacifico ne sono state osservate da 280 a 2200 per cmc.; una porzione del pulviscolo appare anche essere di origine meteorica. Nei bassi strati dell'atmosfera abbondano anche varie specie di microrganismi, spore, ecc. Mentre un fascio di raggi luminosi attraversando l'aria mette in evidenza una moltitudine di particelle in continuo movimento, l'aria filtrata attraverso asbesto, cotone, ecc., può arrivare ad essere otticamente vuota. È stato mostrato che in numerose reazioni il pulviscolo atmosferico può agire da catalizzatore.

È da notare altresì che l'aria contiene delle emanazioni radioattive, le quali sono state valutate, sopra l'Oceano Pacifico a 3,3 • 10-12 curie per mc., sopra l'Oceano Antartico a 0,4 • 10-12 curie, mentre sulla terra si ha una media di 88 • 10-12 curie. Calcolati in volume, questi dati corrisPondono a un contenuto rispettivo di 1,98 • 10-12, 0,24 • 10-12, 52,8 • 10-12 mmc. di emanazione radioattiva per mc. di aria, considerandola interamente come emanazione di radio (in realtà è stato osservato che vi è anche emanazione di torio). È da aggiungere infine che l'aria presenta normalmente una ionizzazione che solo parzialmente si può attribuire alle emanazioni radioattive.

Al livello del mare i principali gas sono presenti nell'aria secca con le seguenti pereentuali in volume:

Considerando poi il fatto che il contenuto medio in vapor d'acqua decresce, al livello del mare, passando dall'equatore ai poli, si hanno naturalmente variazioni delle percentuali di ciascuno degli altri costituenti; così:

Per quanto riguarda poi il modo di variare della composizione dell'aria con l'altezza, abbiamo la seguente tabella che è stata calcolata fino a 140 km., e che corrisponde al diagramma della fig. 3.

Naturalmente i valori più alti sono ottenuti per estrapolazione: più precisamente i risultati per la pressione si riferiscono ad osservazioni fatte fino a 30 km. di altezza, e per quanto riguarda la composizione dell'aria le osservazioni concernono campioni raccolti fino a 9 km. Alcuni però ritengono non sufficientemente comprovata la presenza di idrogeno nelle regioni superiori dell'atmosfera, e che al di sopra di 150 km. l'atmosfera sia costituita quasi interamente da elio. Fu anche supposto che nelle estreme regioni dell'atmosfera si trovasse un nuovo elemento, il coronio (o geocoronio), di peso molecolare 0,4 che si supponeva esistesse in piccole quantità anche nell'aria. Tale ipotesi è però oggi completamente abbandonata.

Proprietà fisiche dell'aria atmosferica. - Dalle numerose determinazioni del peso di un litro di aria secca a 0° e 76o mm., si può dedurre come valore più probabile 1,2930 gr. al livello del mare ed alla latitudine di 450. Naturalmente, date le piccole variazioni nella composizione, è inutile pesare con una esattezza superiore a 1/20 di mgr. quando contemporaneamente non si eseguisca l'analisi dell'aria; per conseguenza anche le misure di densità di altri gas rispetto all'aria non possono presentare un errore inferiore a 0,0001. Le accurate esperienze di E. Moles sulla densità dell'aria in luoghi e condizioni diverse, hanno portato questo sperimentatore a concludere, tra l'altro, che "le variazioni estreme della densità dell'aria nello stesso luogo sono dell'ordine dell'uno per mille, cosa che conduce a sconsigliare in maniera definitiva l'impiego dell'aria come campione nelle misure di densità dei gas". I′'aria pesa 14,368 volte più dell'idrogeno (assumendo come peso di un litro di idrogeno il valore 0,09001 di lord Rayleigh); e rispetto all'acqua possiede una densità di 0,001293.

La formula seguente permette di ricavare il peso specifico dell'aria secca, col 0,04% di anidride carbonica, alle varie temperature e a 760 mm.

La compressibilità dell'aria atmosferica non devia notevolmente dalla legge di Boyle; soltanto a pressioni molto alte, sopra 2790 atm., l'aria è un po' meno compressa di quanto corrisponda alla legge.

Per unità di volume di aria a una atmosfera e 15° di temperatura è stato trovato:

La pressione alla quale il prodotto della pressione per il volume diventa minimo dipende dalla temperatura; i suoi valori, in atmosfere, risultano (Amagat):

La velocità del suono nell'aria a 0° è circa 331 m. per secondo. La velocità media delle molecole a 0° e 760 mm. è valutata 40.000 cm./sec.; il cammino medio libero è 0,00000608 cm.; il diametro molecolare medio 0,000000031.

Il coefficiente α di espansione termica dell'aria alla pressione costante p (atmosfere) è dato dalla seguente tabella:

A 30 atmosfere di pressione, per temperature tra 0 e t gradi è stato trovato:

e da 0° a 100° a p atmosfere di pressione:

La conduttività termica dell'aria può rappresentarsi con la formula: 0,0002379 (1 + 0,00365 t).

Il calore specifico dell'aria a pressione costante si aggira intorno a cp = 0,24, e cresce di poco con la temperatura (cp = 0,2405 = 0,0000095 t); per il calore molecolare dell'aria ad una atmosfera si ha Cp = 7 circa, mentre a volume costante C = 5 circa; il rapporto dei due calori specifici si aggira intorno a 1,41.

L'indice di rifrazione dell'aria atmosferica secca è stato trovato, per la linea D, n = 1,0002933.

Il Colore è generalmente ritenuto turchino.

Lo spettro di scintilla dell'aria è complesso e formato dalla sovrapposizione degli spettri dei suoi componenti; non ancora completamente chiariti spettroscopicamente appaiono i fenomeni relativi all'aurora boreale o aurora polare, che è un fenomeno luminoso dell'alta atmosfera.

La conducibilità elettrica nell'aria atmosferica è connessa alla ionizzazione dovuta a diversi fattori, tra cui quello della presenza di sostanze radioattive. L'ordine di grandezza della ionizzazione è approssimativamente in media:

La costante dielettrica dell'aria è 1,00059 a 0° e 760 mm.

Per la solubilità dell'aria nell'acqua v. acqua; la solubilità dell'aria è stata studiata per varie sostanze, ed è stato studiato anche l'assorbimento dell'aria per parte di varî corpi come il carbone di legno, e varî sali e minerali.

L'effetto Joule-Thomson è rappresentato per l'aria nella seguente tabella, dove le pressioni sono date in kg. per cmq.

Aria compressa.

Quando le esperienze degli emisferi di Magdeburgo e di Torricelli dimostrarono l'esistenza e il valore della pressione atmosferica, sorse subito l'idea di utilizzare tale pressione per compiere del lavoro meccanico: il Papin studiò la possibilità tecnica di una macchina che potesse mantenersi in movimento vincendo resistenze utili, e propose una macchina che doveva compiere lavoro utilizzando la differenza di pressione tra la pressione atmosferica e una pressione più bassa, che egli realizzava servendosi dell'energia cinetica delle acque correnti dei fiumi. La sua proposta non fu accolta, e fino all'inizio del sec. XIX non fu eseguito alcun tentativo di pratica attuazione di macchine basate sul principio esposto. Verso tale epoca fu eseguito dal Taylor, in Inghilterra, il primo impianto di posta pneumatica, il quale utilizzava soltanto una frazione della pressione atmosferica, mediante macchine a rarefazione. L'entusiasmo per questo impianto fu immenso e si credette alla possibilità di far viaggiare entro tubi, allo stesso modo che le lettere, corpi di grande mole e anche persone. Verso il 1825, venne inoltre proposto di comprimere l'aria in modo da utilizzare non più una pressione minore di un'atmosfera, ma pressioni di gran lunga più elevate, e negli anni 1829 e seguenti dalla Revue des deux mondes e da altre riviste furono pubblicati articoli i quali assicuravano che mediante l'aria compressa si sarebbero sostituite tutte le altre forme di forza motrice. I sistemi di compressione erano a quel tempo alquanto primitivi: non si conoscevano che le macchine a colonna d'acqua, che avevano un rendimento minimo e richiedevano un'altezza di più di 10 metri di acqua per ogni atmosfera di pressione effettiva che comunicavano all'aria. Intanto assiduamente si studiavano i mezzi per il trasporto a distanza dell'aria compressa, ritenendosi generalmente che l'aria, percorrendo un tubo, dovesse necessariamente perdere la maggior parte della pressione. Nel 1844 Pequer e Zambeaux dopo lunghi esperimenti conclusero che i gas, movendosi in tubi e condotti, seguono all'incirca le stesse leggi dei liquidi entro limiti estesi di pressione: e queste parole dissiparono immediatamente la paura generale di resistenze straordinariamente grandi e di impossibilità tecniche di trasmissione a distanza dell'aria compressa. Si istituirono allora vere condotte di parecchi chilometri di lunghezza che disiribuivano aria compressa. Questa fu subito applicata alla propulsione di convogli e per scacciare l'acqua dalle miniere. Il Triger applicò l'aria compressa nelle miniere poste circa 10 metri al disotto del livello della Loira, trasmettendola a circa 350 m. di distanza: la potenza ottenuta era di una decina di cavalli ed era utilizzata per mettere in moto un piccolo convoglio ferroviario: si aveva il vantaggio che l'aerazione della galleria veniva con tale sistema garantita. E nel 1855 sull'Isère in Savoia furono eseguite le prime fondazioni servendosi dell'aria compressa, in modo analogo a quanto viene fatto oggi nelle fonoazioni coi cassoni ad aria compressa. L'aria compressa fu efficacemente applicata dal Sommeiller nel suo traforo del Cenisio. Un primo progetto di traforo delle Alpi fu redatto dall'ingegnere belga Maus; egli proponeva come mezzo di escavazione una macchina a cesoie che tagliava blocchi di roccia, ma non sapeva come effettuare la trasmissione della potenza nella galleria: l'ing. Piatti propose l'aria compressa, senza peraltro dire in qual modo l'aria compressa avrebbe dovuto essere preparata e utilizzata. ll Sommeiller ideò il compressore a colonna; in esso l'acqua in movimento in un tubo verticale, a causa del suo peso e della sua energia cinetica, entrava in una camera piena d'aria, comunicante con l'atmosfera per mezzo di una valvola; questo ingresso dell'acqua comprimeva l'aria determinando la chiusura della valvola di entrata; quando la pressione aveva raggiunto un valore sufficiente, si apriva automaticamente un'altra valvola che comunicava col serbatoio, s'interrompeva l'afflusso dell'acqua e il ciclo ricominciava. Con questo sistema il Sommeiller, utilizzando un salto di acqua di 26 m., otteneva una pressione di 6 atm.: l'aria compressa era poi condotta alle perforatrici, ideate anch'esse dal Sommeiller. Le imperfezioni di questo compressore indussero il suo inventore a studiarne un altro tipo, che fu detto a tromba e del quale si riporta lo schema (fig. 4). Uno stantuffo, la cui posizione di riposo è quella della figura, si muove nell'acqua fra le posizioni A e B. Quando esso si porta verso A, l'aumento di pressione della camera C1 provoca la chiusura della valvola v1 e l'apertura della V1. Per il passaggio S l'aria va al serbatoio. Contemporaneamente nella camera C2, attraverso la valvola v2 viene aspirata l'aria atmosferica che nel ritorno dello stantuffo sarà compressa.

Oggi l'aria compressa si prepara o comunicando all'aria la velocità corrispondente alla pressione voluta, o comprimendola direttamente mediante un corpo solido (stantuffo), o mediante la pressione esercitata da fluidi. Il primo sistema fornisce aria a pressione effettiva molto bassa: il secondo anche a pressioni altissime. Naturalmente, quanto più è forte la pressione richiesta, tanto più riesce complessa la costruzione della macchina. Lo schema di una macchina del secondo tipo si vede nella fig. 5.

Lo stantuffo muovendosi nel senso della freccia comprime l'aria dello scomparto superiore del cilindro: provoca sia la chiusura della valvola v2, sia l'apertura della V2 che comunica col serbatoio dell'aria compressa: poiché il cilindro è a duplice effetto, durante questa corsa si riempie d'aria, attraverso la v1, lo scomparto inferiore, restando chiusa durante tutta la corsa la valvola V1 di comunicazione col serbatoio. Quando lo stantuffo, terminata la corsa di andata, inizia quella di ritorno, si chiudono le valvole ora aperte e viceversa. Detta s la corsa dello stantuffo, e d il suo diametro, se esso è a doppio effetto, a ogni corsa viene assorbito un volume d'aria a pressione atmosferica dato da

d2 s; e se il numero di giri al minuto primo della manovella è n, il volume di aria al minuto secondo sarebhe teoricamente

Ma il ritardo di chiusura delle valvole e la presenza di spazî nocivi ha un'influenza molto dannosa sulla portata. Lo spazio nocivo ha poi un'influenza tanto più dannosa quanto più alta è la pressione: e se nelle macchine soffianti a piccola pressione il rapporto fra la portata effettiva e quella teorica arriva a 0,85 ÷ 0,90, per i compressori ad alta pressione esso discende talvolta fino a 0,60. Le dimensioni di questi compressori sono molto variabili, essendo stati costruiti anche con cilindri del diametro di 2,50 ÷ 3 m.; ordinariamente però si consiglia dai costruttori di usare diametri non troppo maggiori di un metro: questa limitazione obbliga spesso a ricorrere a più cilindri invece che a uno solo di dimensioni eccessivamente grandi. Anche la corsa è variabile: in genere il rapporto fra corsa e diametro oscilla fra 1 e 2; ma in alcuni casi si abbassa fino a 0,60. Questo abbassamento del rapporto però, se ha alcuni grandi vantaggi, p. es. di fornire aria compressa con maggiore regolarità, ha però il grave inconveniente di aumentare il numero di giri necessarî per fornire un dato volume di aria, e quindi di aumentare corrispondentemente gli spazî nocivi: questo aumento porta con sé una forte diminuzione del rendimento. La velocità media dallo stantuffo varia da 0,80 a 2,5 metri per secondo, ma i valori vicini a quest'ultimo sono da usarsi in casi assolutamente speciali. Le aperture delle luci del cilindro compressore possono essere ottenute mediante valvole automatiche a sollevamento rettilineo e a chiusura elastica, o anche con valvole comandate da apposita distribuzione. Quest'ultimo metodo permette allo stantuffo una velocità maggiore, non dovendo temersi l'effetto nocivo dato dall'inerzia delle valvole automatiche e quindi fornisce una portata maggiore in relazione alle dimensioni del compressore. Il sistema di distribuzione a cassetto, dopo i primi tentativi, fu abbandonato a causa dei gravi inconvenienti e delle difficoltà costruttive che portava con sé. Infatti le dimensioni dell'otturatore risultavano molto grandi e aumentavano gli spazî nocivi; e inoltre si potevano realizzare aperture di aspirazione e compressione minori che con le valvole automatiche. Però da alcuni anni questo tipo di distribuzione sta riacquistando favore, in grazia ad alcuni importanti miglioramenti introdotti. Accessorî di particolare importanza in queste macchine sono i regolatori che permettono di ottenere una portata pressoché costante.

Le motrici che utilizzano l'aria compressa non differiscono gran che, né per costruzione, né per funzionamento, dalle ordinarie macchine a vapore. Un grave inconveniente che si verifica con l'aria compressa è che l'espansione non può essere prolungata molto, perché, a causa della bassissima temperatura che si raggiungerebbe, si avrebbe congelamento del vapor d'acqua e dei lubrificanti, ostruzione dei condotti, grandi resistenze e conseguenti logoramenti. Perciò queste macchine funzionano con piccola ammissione e ciò porta con sé ovvî e grandi inconvenienti. Per ridurre il raffreddamento prodotto dall'espansione dell'aria si usa, per le macchine ad aria compressa a una pressione superiore alle 3 atmosfere, riscaldare fortemente l'aria compressa stessa, prima dell'espansione: accurate misure hanno dimostrato che questo riscaldamento preventivo produce anche un notevole aumento di potenza. Sempre allo scopo di ridurre gl'inconvenienti di una espansione troppo prolungata, si è anche ricorso al sistema di frazionare l'espansione, usando macchine compound, analogamente a quanto è stato fatto per le macchine a vapore.

Oggi l'aria compressa è ancora usata in moltissimi casi. Le moderne applicazioni dell'aria compressa si possono dividere in due categorie: 1. applicazioni in cui dell'aria compressa è utilizzata soltanto la pressione statica; 2. applicazioni in cui si fa espandere l'aria compressa, raccogliendo e trasformando la grande energia che essa può racchiudere in un piccolo volume.

Le più importanti tra le applicazioni del primo tipo sono le fondazioni pneumatiche usate specialmente per fondazioni di pile o spalle di ponti su corsi d'acqua. Le prime volte che questo metodo fu applicato, fu detto delle fondazioni tubolari. Per ogni pila o spalla del ponte si affondavano parecchi tubi o cilindri di ghisa, del diametro di 2 a 3 m., in ciascuno dei quali gli operai conducevano il lavoro indipendentemente da ciò che si faceva negli altri tubi. l cilindri erano formati da anelli sovrapposti di 2 ÷ 3 m. di altezza; ogni tubo era sormontato da una campana d'aria o camera d'equilibrio. Si faceva discendere il tubo mediante dei pesi; con l'invio di aria compressa si elevava la pressione interna fino a scacciare completamente l'acqua. Poi si otteneva l'affondamento del tubo con questo sistema: bruscamente si abbassava la pressione interna, e l'acqua, spinta dalla pressione esterna, si precipitava entro il cilindro trascinando con sé il limo e la ghiaia costituenti il fondo del corso d'acqua, e formando un'escavazione entro la quale il tubo scendeva. Si ristabiliva nell'interno la pressione, e si ricominciava la discesa nel modo anzidetto finché non si fosse raggiunto lo strato di fondazione. Con questo sistema si aveva un grande spreco di aria compressa. Oggi vengono esclusivamente usati cassoni o camere di lavoro di altezze molto limitate, per ridurre così lo spazio da riempire. Questi cassoni possono essere metallici, di cemento armato, di murature, di ferro e legno: sono forniti di camini di comunicazione con l'esterno. La pressione nell'interno può raggiungere anche 4 atmosfere. Si affonda il cassone e contemporaneamente si inizia la costruzione sul cielo del cassone stesso, in modo che questo enorme aumento di peso provoca il suo affondamento. Quando si è raggiunta la profondità voluta, si smontano i camini di comunicazione e si riempie il cassone con calcestruzzo. Questo sistema fu usato, oltre che in moltissimi altri casi, anche per il ponte di Kehl sul Reno, ove si raggiunsero grandi profondità. Un'applicazione analoga dell'aria compressa si ha nella costruzione delle gallerie col metodo dello scudo di avanzamento; questo è usato quando la costruzione debba avvenire in condizioni particolarmente cattive per forti infiltrazioni di acque o per la grande mobilità del limo. Tale sistema è stato specialmente usato nelle costruzioni di gallerie subacquee e di metropolitane.

Si può ritenere che l'aria compressa agisca per semplice pregsione statica nei freni Westinghouse delle ferrovie e tramvie.

Tra le macchine della seconda categoria in cui l'aria compressa compie un vero e proprio lavoro espandendosi, si debbono ricordare anzitutto le perforatrici. Esse ricevono l'aria compressa mediante tubazioni: ma questo trasporto è così pieno d'inconvenienti quando le gallerie cominciano ad assumere lunghezze molto grandi, che oggi le perforatrici ad aria compressa vengono generalmente sostituite con le perforatrici ad acqua. Resta però incontestabile il vantaggio che hanno le macchine ad aria compressa lavoranti in ambiente difficilmente aerabile; il loro scarico non solo non è nocivo, ma serve anzi a migliorare le condizioni di aerazione dell'ambiente: ed è questa la ragione per cui le locomotive esercitanti la trazione dei piccoli convogli di servizio durante la costruzione delle gallerie sono esclusivamente azionate da aria compressa, che esse portano con sé in bombole d'acciaio. L'energia dell'aria compressa è anche utilizzata per l'avviamento dei motori Diesel, e in moltissime macchine utensili (martelli, trapani, chiodatrici), perché non richiede, come le macchine ad acqua, tubazioni di ritorno e non dà versamenti d'acqua, facendosi avvenire lo scarico liberamente nell'atmosfera. Si usano anche battipali ad aria compressa. Un'applicazione dell'aria compressa che appartiene contemporaneamente alle due categorie è quella della posta pneumatica, dai piccoli impianti locali di distribuzione oggi adottati in moltissime banche, alle grandi reti pneumatiche attraversanti le città, e utilissime appunto per la sollecita consegna, negli uffici dei singoli quartieri, dei dispacci e delle lettere urgenti. L'aria compressa viene ancora adoperata per la ventilazione delle gallerie.

Infine si ricorda che l'aria compressa è stata recentemente usata come organo di trasmissione del movimento nella locomotiva Zarlatti. In essa un motore Diesel comprime l'aria che, inviata nel cilindro d'una macchina a stantuffo mediante apposita distribuzione, mette in movimento le ruote motrici. La convenienza dell'uso dell'aria compressa consiste nel fatto che mentre il rendimento delle macchine a vapore è molto basso, quello del Diesel è tanto superiore da compensare largamente lo scarso rendimento della trasmissione ad aria compressa. Il motore Diesel può così esser montato direttamente sulla locomotiva, senza i complicati accessorî per l'avviamento sotto carico.

Bibl.: Champly, L'air comprimé ou raréfié, Parigi 1929; E. Garuffa, Macchine motrici e operatrici a fluido, Milano 1897; R. Ingria, Le fondazioni delle opere terrestri e idrauliche, Milano 1912; Jorini, Costruzioni di ponti, Milano 1921; G. B. Biadego, I grandi trafori alpini, Milano 1906; V. Baggi, Costruzioni stradali e idrauliche, Torino 1907.

Aria liquida.

Per ottenere la liquefazione dell'aria, fu dapprima tentato dal Natterer il metodo della compressione, col quale era stato possibile liquefare altri gas, come l'anidride carbonica, l'ammoniaca, il cloro, ecc. Tuttavia, nonostante l'altissima pressione a cui fu sottoposta, l'aria conservò lo stato gassoso, sicché si ritenne dapprima che fosse un gas incoercibile o permanente, cioè non suscettibile di assumere lo stato liquido in qualunque condizione. Esperienze successive dell'Andrews misero in chiaro, invece, che tutti i gas sono suscettibili di assumere lo stato liquido, sotto una conveniente pressione, purché vengano portati al disotto di una certa temperatura (diversa per i diversi gas) detta temperatura critica. Gl'insuccessi incontrati allorché si era tentato di liquefare l'aria (e anche l'ossigeno, l'idrogeno, l'azoto e altri gas) erano dovuti soltanto al fatto che questi gas hanno una temperatura critica molto bassa (per l'aria circa −140°) e comunque assai inferiore a quella a cui i gas medesimi erano mantenuti durante la compressione. Le esperienze dell'Andrews indicarono pertanto la via da seguire per ottenere la liquefazione dell'aria e in generale dei gas detti permanenti: si deve cioè raffreddarli al disotto della temperatura critica, e insieme comprimerli convenientemente.

I principali componenti dell'aria furono liquefatti per la prima volta dal Pictet e dal Cailletet (1887), i quali - operando separatamente e con metodi diversi - riuscirono a provocare la liquefazione di piccole quantità di ossigeno e di azoto. Successivamente (1883) Wroblewski e Olszewski poterono ottenere discrete quantità di tali gas liquefatti, mediante raffreddamento con etilene liquido bollente, sotto pressione ridotta, accompagnato da un'opportuna compressione.

Ma un metodo veramente industriale per la produzione su larga scala dell'aria liquida, fu trovato soltanto più tardi dal Linde e dal Hampson contemporaneamente (1895). Il metodo è basato sul cosiddetto effetto Joule-Thomson, cioè sul fatto che quasi tutti i gas, nell'espandersi - pur senza compiere lavoro esterno - subiscono sensibili diminuzioni di temperatura. In virtù dell'effetto Joule-Thomson l'aria - compressa a temperatura ordinaria entro un recipiente - si raffredda sensibilmente quando viene fatta bruscamente espandere attraverso un rubinetto. L'abbassamento di temperatura subito dall'aria, allorquando la sua pressione decresce da un certo valore iniziale p1 (in atmosfere) a un valore finale p2, è dato da:

essendo T la temperatura iniziale dell'aria, espressa in scala assoluta. Esso è dunque direttamente proporzionale alla variazione di pressione e inversamente proporzionale al quadrato della temperatura assoluta. Alla temperatura ordinaria il raffreddamento è, come si vede, assai piccolo (circa un quarto di grado per ogni atmosfera), ma cresce rapidamente col diminuire della temperatura iniziale.

Su questo fatto è basato l'apparecchio del Linde, rappresentato in modo assolutamente schematico dalla fig. 6. Un compressore, non visibile in figura, comprime l'aria fino ad una pressione di circa 200 atmosfere, mentre con una circolazione d'acqua si elimina il calore svolto dalla compressione. L'aria compressa viene condotta nel tubo interno ab, e - raggiunta una certa pressione - si espande, attraverso il rubinetto R, nel tubo esterno cd, mentre la sua temperatura si abbassa di qualche decina di gradi; l'aria così raffreddata percorre il tubo esterno cd e raffredda quindi l'aria compressa che frattanto continua ad arrivare nel tubo interno ab; questa, espandendosi alla sua volta attraverso il rubinetto R, subisce un ulteriore e più forte abbassamento di temperatura, e così via. Con questo procedimento, che consente dunque di sommare gli effetti di successive espansioni, si riesce dopo un certo tempo ad ottenere una temperatura assai inferiore alla temperatura critica dell'aria; questa può allora divenire liquida, sotto una pressione conveniente.

La fig. 7 rappresenta la macchina di Linde, com'è realmente costruita. Essa comprende un compressore, costituito da una pompa a due (e talora a tre) cilindri, rispettivamente a bassa e ad alta pressione, che permette di raggiungere pressioni di 200 atmosfere e più. I due cilindri comunicano con tubi a serpentino, mantenuti costantemente a temperatura ordinaria mediante un'attiva circolazione d'acqua, la quale assorbe via via il calore svolto durante la compressione. Per il buon funzionamento del compressore, occorre iniettare continuamente nei cilindri una miscela di acqua ed olio, sicché l'aria compressa dev'essere poi sbarazzata da queste sostanze che trascina con sé: a ciò serve un lungo cilindro verticale S di acciaio, chiamato separatore. L'aria dev'essere altresì liberata dal vapore d'acqua - che, congelandosi, otturerebbe ben presto i varî tubi e le valvole - e dall'anidride carbonica. Ciò si ottiene mediante un depuratore a bassa pressione e uno ad alta pressione, situati rispettivamente a monte e a valle del compressore e formati da recipienti contenenti cloruro di calcio, calce e potassa caustica. L'aria purificata ed essiccata passa poi nel refrigerante A, costituito o da un serpentino immerso in un miscuglio frigorifero (come si vede nella figura) o - nelle macchine di grande portata - da una macchina frigorifera ausiliaria a vapor saturo; arriva poi, attraverso il tubo a, nel liquefattore. Quest'ultimo è formato da tre tubi di rame coassiali, avvolti a serpentino e collocati entro un recipiente a pareti poco permeabili al calore. Il tubo interno comunica per mezzo del condotto a, col refrigerante, mentre l'altro suo estremo può esser posto in comunicazione, mediante il rubinetto R, col tubo intermedio, e di qui, attraverso il condotto b, col compressore; il rubinetto R′, infine, permette di far passare l'aria compressa nel tubo esterno, che, nella parte superiore, comunica con l'ambiente.

L'aria compressa, convenientemente depurata e raffreddata, viene dunque condotta nel tubo interno del liquefattore, dal quale si espande bruscamente nel tubo intermedio, con una variazione di pressione da 200 a circa 40 atmosfere, producendo un notevole raffreddamento; dal compressore viene riportata alla pressione primitiva e spinta nuovamente nel serpentino, già raffreddato alquanto, ove di nuovo si espande; e così via. Allorquando si è raggiunta una temperatura convenientemente bassa, una parte del gas, nell'effluire, diviene liquido e sgorga nel recipiente a doppia parete B, dal quale può essere estratto per mezzo del tubo c.

Un altro tipo di liquefattore, analogo a quello ora descritto, è stato ideato dal Hampson, e consiste in una serie di quattro tubi di rame, avvolti a serpentino e collocati, l'uno a fianco dell'altro, entro una camera ben protetta dal calore esterno. I quattro tubi terminano in un unico rubinetto, che permette di fare espandere l'aria compressa, con conseguente raffreddamento progressivo

In queste macchine si utilizza dunque il raffreddamento dovuto all'espansione del gas attraverso rubinetti; ma un raffreddamento assai più intenso si può ottenere mediante l'espansione adiabatica, qual è quella che si ottiene nel cilindro di una macchina a stantuffo. Questo metodo di produzione delle basse temperature, e quindi di liquefazione dell'aria, è stato tentato da Siemens, Solvay, Thrupp, ed altri, ma con scarso successo, a causa delle difficoltà inerenti all'isolamento termico della macchina, e soprattutto per l'impossibilità di lubrificare convenientemente le superficie destinate a scorrere le une sulle altre, dato che gli ordinarî lubrificanti congelano a temperature assai meno basse di quelle che debbono essere raggiunte dalla macchina. Il Claude è invece riuscito a costruire una macchina fondata sull'espansione adiabatica, valendosi, come lubrificante, dell'etere di petrolio, e adottando la liquefazione sotto pressione, come nella macchina di Linde. Con tal procedimento si ottiene la liquefazione dell'aria senza bisogno di raffreddare la macchina al disotto di −150°. La fig. 8 mostra schematicamente una macchina di questo tipo; l'aria compressa giunge - attraverso il tubo ab - al cilindro C, nel quale si espande adiabaticamente, con forte raffreddamento; poi, per il tubo de, passa nel liquefattore, cioè in una camera HK contenente un fascio di tubi metallici, comunicanti col tubo di alimentazione ab, e quindi pieni di aria compressa. Dal liquefattore l'aria, raffreddata dall'espansione adiabatica, torna al compressore attraverso il condotto anulare mn che circonda il tubo di alimentazione. La temperatura del gas che, attraverso questo tubo, si dirige verso il cilindro di espansione, diminuisce pertanto progressivamente, sicché - in seguito alla espansione - si ottiene un continuo raffreddamento nella camera HK. Si raggiunge quindi ben presto in questa camera una temperatura sufficientemente bassa per provocare la liquefazione dell'aria contenuta nel fascio di tubi, sotto forte pressione. L'aria liquida si raccoglie nello spazio r, dal quale può essere estratta ad intervalli per mezzo del rubinetto R.

Proprietà dell'aria liquida. - L'aria liquida si presenta come un liquido mobile, incoloro, simile all'acqua: presenta talora un aspetto opalescente, a causa di minutissimi cristalli di ghiaccio e di anidride carbonica, contenuti in sospensione. Abbandonata a sé assume presto un colore azzurrino, dovuto all'ossigeno, che evapora meno rapidamente dell'azoto, sicché l'aria liquida si riduce a poco a poco a contenere soltanto ossigeno liquido, il cui colore è di un azzurro intenso. L'aria liquida ha una temperatura di ebollizione (sotto la pressione atmosferica normale) di circa − 190°, sicché in essa quasi tutti i liquidi e anche molti gas sono rapidamente congelati. Tutti i componenti del gas illuminante, ad esempio - all'infuori dell'idrogeno - sono congelati dall'aria liquida; su questo fatto si basa anzi un processo per la produzione dell'idrogeno (D'Arsonval). Alcuni corpi solidi subiscono profonde modificazioni nelle loro proprietà fisiche, con l'immersione nell'aria liquida, a causa della temperatura molto bassa a cui vengono portati. Così il caucciù, il feltro, i tessuti organici, divengono oltremodo rigidi e fragili, tanto da poter essere polverizzati mediante percussione; il piombo acquista un notevole grado di elasticità, sicché un campanello di piombo, dopo un bagno in aria liquida, squilla come se fosse di bronzo; la resistenza elettrica dei metalli diminuisce grandemente, ecc.

La tabella seguente dà le temperature di ebollizione dell'aria liquida in funzione della sua composizione, cioè dell'azoto liquido a tenore crescente in ossigeno.

Come si vede la temperatura varia da −194, temperatura di ebollizione dell'azoto col 21,60% di ossigeno, a −182, temperatura di ebollizione dell'ossigeno puro; è da avvertire che in queste esperienze non è stato tenuto conto dell'argo, il quale, verso la fine dell'evaporazione dell'aria liquida, tende a far cambiare alquanto i risultati.

La pressione di vapore dell'aria liquida a differenti temperature è stata trovata:

Il peso specifico D dell'aria liquida alle varie temperature t, riferito all'acqua a 4°, è:

Questi valori variano col contenuto in ossigeno e quindi si trovano numeri diversi secondo che l'aria liquida è recente o è stata lasciata a sé per qualche tempo: l'aria liquida recente col 53,83% di ossigeno ha il peso specifico 0,9951; dopo un po' di tempo (64,2% di ossigeno) il peso specifico è 1,029, dopo uno o due giorni (93 ,6% di ossigeno) il peso specifico è 1,112. La densità D dell'aria liquida (al suo punto di ebollizione) contenente x % di ossigeno, è data da D = 0,86 + 0,00289 x.

La tensione superficiale dell'aria liquida contenente 49,9 volumi di ossigeno % a − 190°,3 è 11,61 dine per cm. e la coesione specifica è 2,41 mmc; a contenuto più alto in ossigeno si ha:

Il calore di evaporazione dell'aria liquida dipende dal suo contenuto in ossigeno; per il calore latente di vaporizzazione dell'aria liquida è stata proposta la formula:

dove p rappresenta la percentuale dell'ossigeno nel miscuglio; 49,59 è il calore latente di vaporizzazione dell'azoto.

Per l'indice di rifrazione dell'aria liquida è stato trovato, per la riga D, il valore μ = 1,2062.

È stato osservato che l'aria liquida non conduce l'elettricità; ma se in essa viene immerso un pezzo di metallo, questo acquista una carica elettrica; questa proprietà non si manifesta se il liquido è stato filtrato, ma compare nuovamente se viene poi esposto all'atmosfera.

Conservazione dell'aria liquida. - L'aria liquida non può esser conservata in recipienti chiusi sotto pressione (bombole), come si fa con l'anidride carbonica, perché a una temperatura superiore a − 140° (temperatura critica) lo stato liquido dell'aria non può sussistere, qualunque sia la pressione a cui il fluido è sottoposto. Essa deve perciò essere conservata in un recipiente aperto (o chiuso semplicemente con un turacciolo di cotone idrofilo) alla pressione ordinaria, dove assume e mantiene la corrispondente temperatura di ebollizione (cioè −190°), evaporando continuamente, a misura che riceve calore dall'esterno. Per conservare lungamente l'aria liquida bisogna dunque isolarla termicamente dall'ambiente: ciò si ottiene adoperando recipienti speciali, immaginati dal D'Arsonval e perfezionati dal Dewar, costituiti da ampolle sferiche o cilindriche di vetro, a doppia o tripla parete, accuratamente argentati per impedire la penetrazione del calore raggiante; nello spazio compreso tra le due pareti si fa il vuoto, allo scopo di rendere impossibile il passaggio del calore, dall'esterno all'interno, dovuto ai moti convettivi del fluido circostante. In questi recipienti (fig. 9), l'aria liquida si può conservare lungamente.

Applicazioni dell'aria liquida. - L'aria liquida ha avuto diverse applicazioni, sia per le bassissime temperature che con essa si possono raggiungere, sia per il fatto che quando essa contiene molto ossigeno liquido e viene mescolata con sostanze combustibili si hanno veri e proprî fenomeni esplosivi. È notevole che il carbone, specialmente quello ottenuto dalle noci di cocco e dai noccioli di ciliege, alla temperatura dell'aria liquida, assorbe quantità notevoli di gas (sono poco assorbiti l'elio, il neo e l'idrogeno) e permette così di fare il vuoto nei recipienti.

Si è anche tentato di usare l'aria liquida in medicina, non solo per anestesia locale, ma anche per distruggere tessuti patologici, specialmente cancerosi. Ma l'applicazione di gran lunga più importante dell'aria liquida consiste nella preparazione industriale dell'ossigeno. L'aria liquida è naturalmente un miscuglio di ossigeno liquido e di azoto liquido, nelle proporzioni note. Ma l'ossigeno bolle a −182°, mentre l'azoto bolle a −195°,5. Sicché questi due gas possono ottenersi separati dall'aria liquida, mediante un processo di distillazione frazionata. L'aria liquida, abbandonata a sé, va continuamente aumentando il suo tenore in ossigeno, come mostra il diagramma della fig. 10, nel quale sono riportati sull'asse delle ascisse la percentuale di aria liquida evaporata, e su quello delle ordinate il corrispondente tenore in ossigeno sia del liquido (curva superiore) sia del suo vapore (curva inferiore).

Il sistema più semplice per ottenere ossigeno dall'aria liquida consiste dunque nell'abbandonare l'aria liquida a sé stessa, saggiando via via la composizione della miscela. Quando il liquido è giunto a contenere quasi esclusivamente ossigeno (per esempio il 98%), si invia il vapore, che continuamente si forma, nei compressori, da cui viene iniettato sotto pressione nelle apposite bombole. Questo sistema è poco economico, perché non consente di utilizzare il freddo, prodotto dall'evaporazione dell'aria liquida. Con un processo ideato dal Claude, invece, l'evaporazione frazionata dell'aria liquida provoca la liquefazione d'una corrispondente quantità di aria (gassosa) che si trova, sotto pressione, entro un fascio di tubi, immersi nell'aria liquida stessa, cosicché il costo di fabbricazione dell'ossigeno (e anche dell'azoto che si ottiene come sottoprodotto) è notevolmente abbassato.

Al Claude stesso si deve un altro sistema di separazione dell'ossigeno dall'aria liquida, basato sul fatto che, durante la liquefazione, l'ossigeno tende a liquefarsi prima dell'azoto, sicché facendo condensare soltanto una parte dell'aria contenuta nel liquefattore, la rimanente parte rimane costituita da azoto quasi puro.

Nel ricordare infine che con l'aria liquida, sottoposta alla distillazione frazionata, sono stati messi in evidenza i gas rari, è da aggiungere che Claude mise a disposizione di sir W. Ramsay il residuo liquido di 100 tonnellate d'aria, senza che questi abbia potuto trovare altri elementi oltre quelli già scoperti.

Bibl.: F. W. Clarke, The data of Geochemistry, in Bulletin 695 of U. S. Geol. Survey, Washington 1920; G. Claude, Air liquide, oxygène,e azote, gas rares, Parigi 1926; E. Moles, Dieci anni di ricerche sui gas, in Gazz. chim. it., LVI (1926), pag. 915; G. Bilancioni, Svolgimento storico del concetto di aria, in Annali delle Università Toscane, n. s., XI (1926-27), pag. 107; W. Mellor, A comprehensive treatise on inorganic and theoretical Chemistry, VIII, Londra 1928.

Rapporti dell'aria col terreno agrario.

L'aria confinata nel suolo ha composizione chimica variabile e, in ogni caso, diversa da quella del miscuglio originario: è ovvio, infatti, ch'essa debba risentire delle reazioni chimiche dovute al funzionamento delle radici, dei processi di decomposizione delle sostanze organiche, e di ogni attività biochimica del terreno.

I primi studî sulla composizione quantitativa dell'aria confinata e sulla variabilità di essa a seconda dell'epoca, delle coltivazioni e delle particolari caratteristiche del terreno, datano dal 1854 e sono dovuti a Boussingault e Lewy, i quali esaminarono diversi terreni, in tempi e in condizioni notevolmente diverse, determinandone il contenuto in anidride carbonica, ossigeno e azoto. I diversi campioni d'aria venivano estratti introducendo a una certa profondità del suolo un imbuto rovesciato, chiuso con rete d'argento e connesso opportunamente a un pallone collettore e a un aspiratore. I risultati delle esperienze sono riassunti nello specchietto qui appresso riportato; da esso risulta nettamente che l'aria confinata nel terreno agrario è assai più ricca di anidride carbonica che non l'aria atmosferica e che la percentuale oscilla intorno all'1% in volume del gas esaminato, ma che può anche salire sino a un massimo del 10% in terreni concimati con stallatico. Risulta ancora che, nei confronti con l'aria atmosferica, l'aria confinata nel terreno presenta una percentuale assai più bassa di ossigeno, la quale può scendere sino al 10%, quando le condizioni del suolo impediscano il rinnovamento del miscuglio gassoso. Come è da prevedere si eleva invece notevolmente la percentuale di azoto.

A questa prima serie di esperienze molte altre ne seguirono, anche da parte degli stessi autori, i quali, mentre riconfermarono i precedenti risultati, ebbero anche a constatare che l'aria confinata è sempre satura di vapor d'acqua e presenta una più alta percentuale di ammoniaca che non l'aria atmosferica; ciò che si spiega con la produzione di questo gas da parte delle sostanze organiche in decomposizione. D'altra parte il Pettenkofer studiando a Monaco l'aria confinata a diverse profondità del suolo nei diversi mesi dell'anno e in diversi anni (1871-1872), dimostrava che l'anidride carbonica aumenta con la profondità e con la temperatura; e K. Fleck facendo analoghe ricerche in prossimità di Dresda, riscontrava a due metri di profondità tanta anidride carbonica, quanta ne aveva trovata a Monaco, a quattro metri, il Pettenkofer. Seguirono ancora le esperienze del Wollny che studiò l'influenza delle radici, dell'Ebermayer che esaminò la composizione chimica dell'aria confinata nei terreni boschivi e finalmente le ricerche di T. Schlösing, il quale stabilì dei confronti tra l'aria confinata nei terreni lavorati e quella nei terreni lasciati a prato.

Riassumiamo brevemente i risultati ottenuti da questi ultimi sperimentatori: Wollny determinò l'anidride carbonica esistente in 100 volumi d'aria estratta da diverse porzioni di uno stesso terreno, recanti da 3 a 24 piante di avena per ogni 0,1 mq. di superficie. I risultati sono qui appresso riassunti e dimostrano che, col crescere del numero delle piante, diminuisce l'anidride carbonica del suolo; questo fatto si spiega ammettendo che con l'aumentare del numero delle piante si abbassa l'umidità del suolo e la formazione dell'anidride carbonica incontra un certo ostacolo.

Ebermayer confrontò l'aria estratta da terreni boschivi con quella estratta da terreni a coltura, servendosi di campioni presi a diverse profondità. Come appare dai seguenti risultati

i primi sono assai più poveri di anidride carbonica che non i secondi. Lo stesso Ebermayer credette di poter attribuire il fatto a una più lenta decomposizione della materia organica nei terreni boschivi e all'azione delle correnti aeree delle foreste, che disperdono l'anidride carbonica. Schlösing, infine, confermò pienamente i risultati di Boussingault e Lewy nei riguardi dell'aria dei terreni lavorati; invece nei terreni lasciati a prato riscontrò costantemente una percenmale più elevata di anidride carbonica, più bassa di ossigeno. Appare da tutto ciò che la causa principale della particolare composizione dell'aria confinata va ricercata nella combustione della materia organica del suolo. Di ciò lo stesso Boussingault ha potuto dare la seguente dimostrazione sperimentale. Ad un terreno del campo sperimentale di Bechelbronn, di composizione nota, egli aggiunse a più riprese e nello spazio di cinque anni, kg. 49.000 di concime organico contenente 7000 kg. di materia organica. Egli inoltre pesò e tenne conto rigoroso della materia organica che nello stesso intervallo di tempo vi fu abbandonata dai raccolti e calcolò in 11.000 kg. i residui organici passati nello stesso terreno. Alla fine dei cinque anni, dosata di nuovo la materia organica del terreno, non riscontrò né guadagni né perdite. La sostanza organica, dunque, passata ai terreni attraverso la concimazione e i residui dei varî raccolti, era stata totalmente decomposta e poiché in media essa conteneva il 31,66% di carbonio cioè circa 5.700 kg. di carbonio, poté calcolare che annualmente ogni ettaro di terreno aveva bruciato kg. 1140 di carbonio, con una produzione giornaliera di 6 metri cubi di anidride carbonica.

Quali le cause di questa decomposizione? Per molti anni si ritenne, col De Saussure, che si trattasse d'un fenomeno puramente chimico, ma dall'epoca in cui si riconobbe l'importanza di microrganismi del terreno agrario, si pensò invece che dovesse trattarsi di un fatto biologico, e l'ipotesi trovò conferma nell'esperienza. Basta infatti sterilizzare il terreno o per riscaldamento a 115° o per azione di una soluzione di sublimato corrosivo al 2‰, o di una soluzione di timolo o di altri antisettici, perché cessi immediatamente l'attività comburente del suolo. Né questa è dovuta soltanto a fermenti organizzati; il Deherain infatti, sterilizzando il terreno con cloroformio (il quale si oppone all'azione dei microrganismi) poté constatare che la formazione di anidride carbonica si attenuava ma non cessava del tutto; sicché un terreno che in condizioni normali e nello spazio di 24 ore arricchiva del 9,47% di anidride carbonica l'aria in esso confinata, sterilizzato con cloroformio, nello stesso spazio di tempo l'arricchiva solo del 0,11%. Ciò evidentemente per un'attività residuale del terreno dovuta a fermenti solubili.

È verosimile che a questi processi di ossidazione non siano estranei i colloidi; ma su ciò manca ogni dato sperimentale. Quanto alle cause, infine, che determinano così notevoli variazioni nelle percentuali di anidride carbonica confinate nel suolo, basti riportare le seguenti importanti conclusioni del Roster:

1. la quantità di anidride carbonica dell'aria confinata cresce rapidamente col crescere della temperatura del suolo. L'aumento va attribuito alla maggiore attività dei microrganismi;

2. detta anidride carbonica aumenta man mano che da una profondità di 50 cm. si passa a m. 1,50 di prof0ndità;

3. essa scema sensibilmente e costantemente durante la notte; la differenza fra il giorno e la notte è in media di mgr. 85 in mille volumi di aria, con un massimo di 181 e un minimo di 16;

4. le differenze tra giorno e notte, verificate contemporaneamente per l'aria confinata, e per l'aria atmosferica, procedono in senso diametralmente opposto;

5. la diminuzione durante la notte può anche essere attribuita all'abbassamento di temperatura e quindi a un rallentamento dei processi fermentativi; ma la causa principale si deve ricercare nella perdita maggiore, da parte del suolo, di quell'anidride carbonica, che nel giorno si va accumulando negli strati superficiali;

6. l'aumento dell'anidride carbonica dell'aria atmosferica nelle ore notturne è effetto dell'acido carbonico che esala dal terreno,

7. gli scambî gassosi tra suolo e aria aumentano d'intensità nelle ore della notte e sono principalmente dipendenti dalle differenze termiche tra i due mezzi.

Per l'aria negli scambî respiratorî v. respiratorio, sistema.

Bibl.: Annales de Chimie et de Phys., XXXVII (1953); Sestini, Il terreno agrario, Torino 1899; Pettenkofer, in Z. f. Biol., VIII; Feck in Jahresb. Chem. Centralst. Dresden, II (1873); id., Die Verschaffenheit der Waldflut, Stoccarda 1885; Schlösing, in Comptes Rendus de l'Ac. des Sciences, CLX (1889); Boussingault, ibid.,X (1840); Roster, in Atti Acc. Georg., 1888.

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