SHARON, Ariel

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

SHARON, Ariel

Ciro Lo Muzio

Militare e uomo politico israeliano, nato a Kfar Malal il 26 febbraio 1928. Appartenente a una famiglia ebrea immigrata dalla Russia, il cui cognome originario era Scheinermann, a soli 14 anni entrò a far parte del Gadna, un battaglione paramilitare giovanile, e più tardi del Haganah, la forza paramilitare clandestina da cui avrebbero avuto origine le Forze di difesa israeliane; negli anni seguenti avanzò di grado fino a ottenere il comando della Unità 101 (poi fusa con la 202ª Brigata di paracadutisti), il primo nucleo di forze speciali israeliane, con la quale lanciò una serie di campagne contro i palestinesi e gli Stati arabi limitrofi responsabili, in diversi casi, di un elevato numero di vittime nella popolazione civile (in particolare, l'operazione Qibya che, nell'autunno del 1953, causò la morte di 69 civili, in buona parte donne e bambini). Nonostante la condanna internazionale, l'operato di S. fu considerato con indulgenza dai vertici politici e militari di Israele, che gli riconoscevano il merito di fortificare l'immagine del Paese e di attirare su di esso l'attenzione della stampa mondiale. In seguito all'avventata operazione del passo di Mitla (1956), in Sinai, quando in un assalto alle forze egiziane, in procinto di ritirarsi, trovarono la morte 35 soldati israeliani, la sua carriera militare subì un arresto per alcuni anni, durante i quali S. si laureò in giurisprudenza all'università di Tel Aviv. Nel 1962, tuttavia, ricominciò a scalare le gerarchie militari fino a ottenere il grado di generale. Nella guerra dei Sei giorni (1967) ebbe il comando della più potente divisione armata del fronte del Sinai e nel 1969 divenne capo del comando meridionale dell'esercito israeliano. Ritiratosi dalla vita militare nell'agosto 1973, si avvicinò alla politica e fu tra i fondatori del Likud, partito di centrodestra (luglio). Dopo poco (ottobre), fu richiamato nell'esercito in seguito allo scoppio della guerra dello Yom Kippur, nel corso della quale ancora una volta si rese protagonista di un'azione militare che, pur dando un contributo sostanziale alla disfatta egiziana, fu oggetto di giudizi controversi, tanto che nel febbraio 1974 fu sollevato dall'incarico. Nel 1975-76 S. fu consigliere militare del primo ministro, Y. Rabin; fallito il tentativo di sostituirsi a M. Begin nel 1977 alla guida del Likud, costituì un proprio partito, Shlomtzion, che alle elezioni successive ottenne solo due seggi. Poco dopo egli riuscì a fondere il suo partito con il Likud e a ottenere l'incarico di ministro dell'Agricoltura. Durante il suo mandato S. diede un forte impulso alla creazione di insediamenti di coloni israeliani nei territori occupati. Alla vigilia delle elezioni legislative del 1981 fu tra i fautori della decisione di bombardare un reattore nucleare nei pressi di Baghdād; l'atto fu accolto negativamente a livello internazionale, ma accrebbe la popolarità del Likud che uscì vincente agli scrutini e S. ottenne il Ministero della Difesa. Durante il suo mandato ebbe luogo il massacro di palestinesi nei due campi profughi di Ṣabrā e Šātīlā (sett. 1982), a opera delle milizie maronite libanesi, cui le forze israeliane fornirono supporto logistico e assistenza durante l'operazione. A seguito di questo episodio, che provocò lo sdegno internazionale, una commissione di inchiesta governativa giudicò l'esercito israeliano indirettamente responsabile dell'eccidio, mentre a S. attribuì responsabilità personali in merito all'accaduto. Sollevato dall'incarico da Begin (1983), tornò tuttavia a ricoprire il ruolo di ministro nei governi successivi: del Commercio e dell'Industria (1984-1990), dell'Edilizia (1990-1992), delle Infrastrutture nazionali (1996-1998) e degli Esteri (1998-99). In seguito alla vittoria laburista alle elezioni legislative del maggio 1999, S. assunse la guida del Likud; l'anno seguente fu accusato di aver contribuito allo scoppio della seconda intifāda di al-Aqṣā con una discussa visita alla Spianata delle moschee, a Gerusalemme (sett. 2000).

Dopo la caduta del governo di E. Barak, forte del grande successo elettorale del suo partito (febbr. 2001), S. divenne primo ministro a capo di un ampio governo di unità nazionale. Una delle sue prime proposte fu quella di ridurre della metà i territori offerti ai palestinesi da Barak nell'incontro di Camp David (luglio 1999); nei due anni seguenti S. tenne fede alla sua politica intransigente e aggressiva in merito alla questione israelo-palestinese, contribuendo a far arenare definitivamente il processo di pace. Nel febbraio 2004, tuttavia, egli si rese protagonista di un atto inatteso e di interpretazione controversa, annunciando il ritiro unilaterale dell'esercito israeliano dalla striscia di Gaza. Salutata da molti come un passo significativo verso la soluzione del conflitto, questa decisione fu duramente criticata all'interno del suo stesso partito; altri ancora la interpretarono come una mossa strategica utile a ritardare i negoziati e, quindi, la costituzione di uno Stato palestinese (v. israele e palestina). Ancor più aspre furono le reazioni del Likud, e in generale della destra israeliana, quando, nell'agosto 2005, fu realmente effettuato il ritiro di 8200 coloni da 21 insediamenti nella striscia di Gaza e di circa 670 coloni da 4 insediamenti in Cisgiordania. In novembre, mentre entrava definitivamente in crisi la sua coalizione di governo, S. abbandonò la guida del partito (che passò al suo più severo detrattore, B. Netanyahu) e fondò un nuovo partito di centrodestra, Kadima (Avanti), che alle elezioni del marzo 2006 ottenne il maggior numero di seggi in parlamento, ma ormai sotto la direzione di E. Olmert, poi designato primo ministro. Il 4 gennaio 2006, infatti, fu colpito da emorragia cerebrale; entrato in coma, il 14 aprile dello stesso anno fu ufficialmente destituito dalla carica di primo ministro.

È autore di Warrior: the autobiography of Ariel Sharon (in collab. con D. Chanoff, 1989, 20012).

bibliografia

B. Kimmerling, Politicide: Ariel Sharon's wars against the Palestinians, London-New York 2003 (trad. it. Politicidio: Ariel Sharon e i palestinesi, Roma 2003);

N.H. Finkelstein, Ariel Sharon, Minneapolis 2005.

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