PIZZINATO, Armando

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PIZZINATO, Armando

Davide Lacagnina

– Nacque a Maniago (Pordenone) il 7 ottobre 1910 da Giovanni Battista e da Andremonda Astolfo. Tutte le biografie dell’artista raccontano di una precoce passione per il disegno coltivato sin dall’infanzia nella solitaria tranquillità di una famiglia della piccola borghesia friulana, allietata dalla nascita di altri due figli maschi: Dante (1912) e Vincenzo (1914), morto in tenera età nel 1920. Fu probabilmente a seguito di questo lutto che il padre, proprietario del Caffè dell’Unità italiana, noto e ben avviato ritrovo cittadino, decise di liquidare l’attività nel 1921 e di trasferire la famiglia a Pordenone, dove aprì un nuovo locale; poco dopo però, sopraffatto dai debiti di una cattiva gestione finanziaria, si suicidò nelle acque del porto fluviale di Pordenone il 1° ottobre 1922. A quel punto la responsabilità della famiglia ricadde interamente sulle spalle della madre, che, dopo aver ottenuto, nel 1925, l’autorizzazione all’ampliamento della propria abitazione in viale Grigoletti, avviò la gestione di una pensione in casa. Nello stesso anno Armando, terminati gli studi presso la Reale Scuola tecnica Licinio, iniziò una collaborazione gratuita con il pittore Tiburzio Donadon; ottenne quindi un modesto impiego come fattorino presso la Banca di Pordenone, in cui entrò in contatto con Francesco Maddalena e Romano Pascutto, d’idee socialiste. Grazie all’interessamento del direttore, che aveva avuto modo di apprezzare il talento del giovane, il Consiglio d’amministrazione dell’istituto di credito decise di farsi carico dei costi delle lezioni di pittura: Pizzinato iniziò allora a frequentare lo studio di Pio Rossi, che era stato già suo professore di disegno alla Licinio.

Furono questi gli anni di un solitario tirocinio, diviso fra gli insegnamenti del maestro e le incursioni nella campagna circostante per la pittura en plein air di paesaggi e nature morte. Ne rimane testimonianza in una ricca produzione di opere, prevalentemente conservate in collezioni private (se ne veda una rappresentativa selezione in Armando Pizzinato. Nel segno dell’uomo, 2013, Catalogo, tavv. 1-5).

Solo nel 1930, forte di una ritrovata stabilità economica in famiglia, Pizzinato s’iscrisse all’Accademia di belle arti di Venezia, dove seguì i corsi di pittura di Virgilio Guidi e strinse amicizia con Giulio Turcato e Alberto Viani. A partire dal 1931 partecipò con regolarità alle mostre organizzate dal Sindacato regionale fascista di belle arti e alle iniziative dei Gruppi universitari fascisti (Arte e Stato, 1997; Palma, 2010), anche se l’artista più tardi avrebbe ridimensionato il rilievo di queste partecipazioni giovanili, in una sorta di autocensura ideologica, per riconoscere come episodio più significativo della sua prima attività il debutto milanese alla galleria del Milione di Milano, con la mostra 5 giovani pittori veneti nel gennaio del 1933 (Nota autobiografica, aggiornamenti bibliografici e curriculari, in Pauletto - Padovese, 1984, p. 57). Alla XXIV Esposizione dell’Opera Bevilacqua La Masa-IV del Sindacato regionale fascista di belle arti, nel palazzo delle Esposizioni del Lido di Venezia, espose il dipinto Bagnanti, già nella collezione Cardazzo, riacquistato dall’artista nel 1983 e oggi conservato nella Galleria d’arte moderna e contemporanea Armando Pizzinato di Pordenone: una gessosa composizione di evidente sapore primordiale, in cui la figurazione larvale dei nudi e la frammentata resa pittorica rivelano una disposizione intellettuale scopertamente antinovecentista, più matura e consapevole rispetto ai testi degli esordi.

Nel 1934 partecipò alla mostra dei Littoriali della cultura e dell’arte di Firenze (Ojetti, 1934). Nello stesso anno, interrotta la frequenza dei corsi dell’Accademia di Venezia, rientrò a Pordenone, dove ottenne un impiego come disegnatore nella fabbrica di ceramiche Galvani.

Nel 1935 espose a Roma, alla mostra dei Littoriali della cultura e dell’arte, il dipinto Donne e cavalli, mentre dell’anno successivo è la commissione per un grande dipinto murale, oggi non più esistente, per l’atrio della palestra della casa del Balilla progettata dall’architetto Ermes Midena a Maniago (Baccichet, 2007). Nel 1936 vinse la borsa di studio Marangoni, grazie alla quale si trasferì a Roma, dove visse fino al 1939 (Nota autobiografica, aggiornamenti bibliografici e curriculari, in Pauletto - Padovese, 1984, p. 57). Furono anni d’importanti sollecitazioni culturali e di scambi proficui con gli artisti 'della Cometa': Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Mario Mafai, Renato Guttuso, con cui strinse amicizia e consolidò le ragioni di una ricerca figurativa d’intonazione antiretorica e anticelebrativa (Trombadori, 1939). Nondimeno, come molti artisti della sua generazione in polemica con gli indirizzi accademici della cultura fascista, continuò a partecipare alle mostre organizzate dalla politica sindacale: così, ancora, nel 1937 partecipò ai Littoriali della cultura e dell’arte. Mostra internazionale d’arte studentesca di Napoli e alla VIII Mostra d’arte del Sindacato interprovinciale fascista delle arti (XXVIII dell’Opera Bevilacqua La Masa) nella sala Napoleonica del Palazzo reale di Venezia. Negli anni romani divise casa per un breve periodo con lo scultore Aurelio De Felice e quindi con Guttuso, che lo ospitò nel proprio studio di piazza Melozzo da Forlì. Grazie all’interessamento di Giulio Carlo Argan, ottenne un insegnamento annuale di ornato e pittura alla scuola d’arte di Marino Laziale. Nel 1940, alla IX Mostra del Sindacato interprovinciale fascista belle arti del Lazio, espose quattro dipinti: Ritrattino, Fiori, Figura e Natura morta, particolarmente apprezzati dalla critica per «intensità di timbro ed accento personale», propri di un temperamento «impegnato a fondo in una ricerca strettamente pittorica» e che «da qualche tempo raffina[va] in un senso antiaccademico le sue attitudini di colore» (Guttuso, 1940, p. 28). Ritornato dapprima in Friuli dopo l’entrata in guerra dell’Italia, si stabilì quindi a Venezia, dove riuscì a ottenere un contratto per l’insegnamento di mosaico e interpretazione presso l’Accademia di belle arti. Nel mese di settembre partecipò al II premio Bergamo, dove ricevette un premio-acquisto d’incoraggiamento da parte del ministero dell’Educazione nazionale (Zanzi, 1940). Fu presente anche nelle due successive edizioni, nel 1941 e nel 1942.

Nel 1941 espose alla Galleria di Roma con gli artisti della collezione di Carlo Cardazzo (Tridenti, 1941) e nel settembre dello stesso anno allestì la prima mostra personale alle Botteghe d’arte di Venezia, premiata dall’acquisto di una Natura morta da parte della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. Incaricato dell’insegnamento d’interpretazione dall’antico nell’Accademia di Venezia, fu dispensato dal richiamo militare per problemi di salute. Nel marzo del 1943 espose le prime opere d’ispirazione cubo-espressionista (si veda in tal senso la Natura morta in un interno, nella collezione Boschi-Di Stefano al Museo del Novecento di Milano) alla galleria del Milione, nel capoluogo lombardo, in una doppia personale con Luciano Gaspari (Pacchioni, 1943) e, nel mese di giugno, alla Mostra sindacale triveneta (XXXVI dell’Opera Bevilacqua La Masa) nei padiglioni della Biennale di Venezia. Ancora nella città lagunare, al dicembre dello stesso anno data la prima personale alla galleria del Cavallino.

Dopo l’8 settembre divenne urgente l’impegno antifascista, cui seguì l’adesione alla Resistenza: con il nome di battaglia di 'Stefano' prese parte alle azioni della brigata Francesco Biancotto di Venezia coordinate dal comandante 'Abe', e nella soffitta della propria casa veneziana, in calle dei Frati 942, organizzò una tipografia clandestina, in cui veniva stampato il Fronte Unico, foglio della Federazione comunista di Venezia. Fermato dalle brigate nere nel gennaio del 1945, fu rinchiuso dapprima nella loro sede a Mestre e quindi nel carcere giudiziario di Venezia, dove rimase fino al giorno della Liberazione. Nello stesso anno fu reintegrato nel suo insegnamento nella Scuola libera del nudo dell’Accademia di Venezia. A queste date prese avvio anche l’intensa attività pubblicistica del pittore, fra testimonianze biografiche, scritti di poetica, resoconti di viaggio e interventi di critica artistica (un’antologia degli scritti è disponibile in Armando Pizzinato. Nel segno dell’uomo, 2013, pp. 259-279).

Nel 1946 fu tra i fondatori del Fronte nuovo delle arti, raccoltosi intorno alla personalità critica di Giuseppe Marchiori (Il Fronte Nuovo delle Arti, 1997). In aprile espose, con Emilio Vedova, alla mostra Grandi tempere partigiane presso la galleria dell’Arco di Venezia (Marchiori, 1946). Nello stesso anno si aggiudicò il premio Burano, il cui importo di 5000 lire decise di devolvere in beneficenza all’Unione donne italiane (UDI) a favore dei bambini poveri.

Nel 1947 partecipò alla mostra I secessionisti veneziani: Pizzinato, Santomaso Vedova, Viani alla galleria dell’Arco di Venezia e alla Prima mostra del Fronte nuovo delle arti alla galleria della Spiga di Milano nel mese di giugno. L’anno successivo espose con gli artisti del Fronte nuovo delle arti alla Quadriennale di Roma, da cui la Galleria nazionale d’arte moderna trattenne il dipinto Squero cantiere (Margozzi, 2005), e alla XXIV Biennale di Venezia: l’opera Primo maggio (May Day), esposta in quella circostanza, fu acquistata da Peggy Guggenheim e successivamente donata al Museum of modern art di New York.

L’interesse di Guggenheim per il lavoro dell’artista spiega forse la sua presenza a New York alla mostra Twentieth century Italian art, presso il Museum of modern art nell’estate del 1949 e alla collettiva 5 Italian painters nella Catherine Viviano Gallery nel gennaio del 1950. Nel marzo dello stesso anno si chiuse definitivamente l’esperienza del Fronte nuovo delle arti. Alla XXV Biennale veneziana l’artista espose Un fantasma percorre l’Europa, forse la sua opera più celebre, oggi nella Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro a Venezia, e, sempre nel 1950, partecipò a due importanti mostre internazionali: The 1950 Pittsburgh International Exhibition of contemporary painting e l’esposizione itinerante Italienische Kunst der Gegenwart a Monaco, a Mannheim, ad Amburgo, a Brema e a Berlino.

Nei primi anni Cinquanta si definì compiutamente la svolta in senso realista della pittura di Pizzinato, in un confronto sempre più serrato con Guttuso e gli indirizzi di politica culturale del Partito comunista italiano (Realismi, 2001; Nigro Covre - Mitrano, 2011). Si intensificarono così le partecipazioni a mostre e premi e i riconoscimenti ufficiali (un regesto completo delle esposizioni personali e collettive è in Armando Pizzinato. Nel segno dell’uomo, 2013, pp. 305-314). L’insediamento nella cattedra di stile e pittura murale presso l’Istituto d’arte Toschi di Parma nell’anno scolastico 1952-53 è strettamente legato all’esito del concorso per la decorazione della sala consiliare della Provincia di Parma. L’artista si aggiudicò la commissione nel 1953 e vi attese fino al 1956, chiamando Carla Scarpa per gli arredi e la regia visiva dell’intero ambiente. Per i soggetti dei quattro dipinti murali, di dimensioni monumentali, si ispirò al mondo del lavoro operaio e contadino e alla storia novecentesca della città di Parma: Costruzione di un ponte, Le barricate, L’eccidio di Bosco, La trebbiatura. Nel 1956, deluso dalla presa di distanza della commissione culturale del Partito comunista dalle poetiche del realismo, l’artista si chiuse in un periodo di volontario isolamento. Nello stesso anno venne trasferito nel liceo artistico di Venezia, dove tenne l’insegnamento di ornato disegnato fino alla pensione nel 1975. In questi anni si registrano numerosi viaggi e mostre nelle repubbliche sovietiche e nella Germania dell’Est. Espose inoltre in numerose gallerie private in tutta Italia: alla galleria del Girasole di Udine nel 1959, alla galleria Bergamini di Milano e alla galleria Il Canale di Venezia nel 1960, alla galleria Penelope di Roma nel 1962. In quest’ultimo anno la morte della moglie Zaira segnò, per l’artista, un momento di profondo sconforto e di crisi creativa; fu grazie al sostegno e alle indicazioni di Giuseppe Mazzariol che Pizzinato iniziò una nuova fase della pittura, lontana dal realismo e incline piuttosto a un ritrovato lirismo neonaturalista di concezione astratta, come nel dipinto Piante del 1963 (nella Galleria d’arte moderna e contemporanea Armando Pizzinato di Pordenone), o nel trittico Arcipelago rosso del 1965 (al Museo d’arte moderna di Bologna, MAMbo). Con queste rinnovate credenziali affrontò numerosi impegni espositivi nel corso degli anni Sessanta, fra cui quello di una mostra nella galleria Gian Ferrari di Milano nell’ottobre del 1963. Il momento più alto di questa più matura stagione creativa fu segnato dall’allestimento di una sala personale alla Biennale di Venezia del 1966, con una presentazione in catalogo di Mazzariol.

Numerose furono le mostre personali di Pizzinato ancora in questi anni, sia in Italia (Pordenone, Venezia, Trieste) sia all’estero (Mosca, Leningrado, Berlino, Dresda, Praga), intese a consolidare una posizione di ormai riconosciuto valore internazionale. Nel 1971 l’artista venne insignito della croce al merito di guerra per la sua attività di partigiano e nello stesso anno sposò Clarice Allegrini in seconde nozze. Al 1972 datano le mostre personali alla galleria Schreiber di Brescia, alla galleria d’arte La Nuova Pesa di Roma e alla galleria Santacroce di Firenze. L’anno successivo fu la volta di una mostra alla galleria d’arte Sagittaria di Pordenone, centrata sull’attività grafica coltivata negli ultimi decenni e occasione di un volume monografico a firma di Marchiori (1973). Al 1981 risale invece l’importante mostra retrospettiva allestita al Museo Correr di Venezia (Pizzinato. L’arte come bisogno, 1981).

Accanto al lavoro di sistematizzazione in sede storico-critica avviato sulla sua opera, rimasero vive le istanze di una ricerca originale e del tutto personale, che trovarono ancora importanti occasioni di verifica nelle partecipazioni alla Quadriennale di Roma nel 1986 (Salaris, 2004) e alla Biennale di Venezia nel 1988. Ancora, nell’ultimo decennio di attività, sono da segnalare la pubblicazione del volume autobiografico Poffabro luogo magico (1992), in cui alla rievocazione fantastica della propria infanzia fa il paio un appassionato quanto dolorosamente lucido atto d’accusa nei confronti della speculazione edilizia e della distruzione del paesaggio friulano, e l’allestimento di un’ampia e documentatissima retrospettiva nella villa Manin di Passariano, in provincia di Udine, nel 1996 (Goldin, 1996).

Morì a Venezia il 17 aprile 2004.

Fonti e Bibl.: U. Ojetti, I Littoriali dell’arte. La prova dei giovani, in Corriere della sera, 24 aprile 1934; A. Trombadori, A. P., pittore, in Corrente, 15 luglio 1939, n. 13; R. Guttuso, Pittori alla IX Sindacale del Lazio, in Primato, 15 maggio 1940, pp. 26-28; E. Zanzi, La pittura italiana al II Premio Bergamo, in Gazzetta del Popolo, 29 settembre 1940; C. Tridenti, La Collezione Cardazzo alla Galleria di Roma, in Il Giornale d’Italia, 4 aprile 1941; A. Pacchioni, Milano. Luigi Broggini alla Galleria Cairola; Gaspari e Pizzinato alla Galleria del Milione, in Emporium, XCVII (1943), pp. 224-226; G. Marchiori, Vedova e Pizzinato. Il Premio della Colomba, ibid., CIV (1946), pp. 178-180; Pitture di A. P.(catal.), testo di R. De Grada, Venezia 1962; A. P., pittore (catal.), Milano 1963; A. P. Antologica (catal.), a cura di P. Rizzi, Pordenone 1970; A. P. (catal.), testi di G. Marchiori - G. Mazzariol, Roma [1972]; G. Marchiori, P. Opera grafica, Udine [1973]; Le incisioni di A. P. (catal.), testi di G. Trentin - G.M. Pilo - M. Rigoni Stern, Pordenone 1973; A. P. (catal.), testo di G.C. Argan, Firenze 1975; G.C. Argan - G. Marchiori, P.(catal., Milano), Cittadella 1975; A. P. Opere recenti (catal.), testo di L. Ruffinelli, Busto Arsizio 1976; Mostra di A. P.(catal.), testo di M. Gemin, La Spezia 1979; P. L’arte come bisogno di libertà. 1925-1981 (catal., Venezia), con una poesia di A. Zanzotto, saggio introduttivo di G. Carandente, Vicenza 1981; A. P. Opere dal 1949 al 1962 (catal., Carpi), testo di E. Di Martino, Venezia 1983; G. Pauletto - L. Padovese, P. a Maniago, Pordenone 1984; A. Pizzinato, Poffabro luogo magico. Barba Jacu da la Mariza il suo artista, Maniago 1992; M. Goldin, P. (catal., Passariano), Milano 1996; Arte e Stato. Le esposizioni sindacali nelle Tre Venezie 1927-1944 (catal., Trieste), a cura di E. Crispolti - M. Masau Dan - D. De Angelis, Milano 1997, p. 286; Il Fronte Nuovo delle Arti. Nascita di una avanguardia (catal.), a cura di L.M. Barbero, Vicenza 1997, passim; P. Dopo il realismo: pitture 1963-1994 (catal.), a cura di M. Goldin, Conegliano 1999; Album per P. 7 ottobre 2000, Venezia 2000; A. P. Dal Fronte Nuovo delle Arti ai Giardini di Zaira (catal., La Spezia), a cura di M. Ratti, Cinisello Balsamo 2001; Realismi. Arti figurative, letteratura e cinema in Italia dal 1942 al 1953 (catal., Rimini), a cura di L. Caramel, Milano 2001, p. 223 e passim; C. Salaris, La Quadriennale. Storia della rassegna d’arte italiana dagli anni Trenta a oggi, Venezia 2004, pp. 72, 89, 109, 226; A. P. Spazi di libertà. Opere note e opere inedite 1927-1990 (catal.), a cura di G. Pauletto - P. Pizzinato, Pordenone 2005; M. Baccichet, Un’opera perduta di Ermes Midena: la Casa del Balilla a Maniago, in Atti dell’Accademia San Marco di Pordenone, VII-VIII (2005-2006 [2007]), pp. 357-392; C. Palma, Le riviste dei GUF e l’arte contemporanea (1926-1945). Un’antologia ragionata, Cinisello Balsamo 2010, pp. 11, 51, 103, 205, 260 s., 315 s.; J. Nigro Covre - I. Mitrano, Arte contemporanea: tra astrattismo e realismo. 1918-1956, Roma 2011, pp. 123 s., 140 s., 151 s., 162 s.; A. P. Nel segno dell’uomo (catal., Pordenone), a cura di C. Di Crescenzo, Torino 2013. Per la biografia e la bibliografia completa sull’artista si rimanda al sito dell’Archivio Armando Pizzinato: www.armandopizzinato.it.

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