PIERACCINI, Arnaldo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PIERACCINI, Arnaldo

Matteo Fiorani

PIERACCINI, Arnaldo. – Nacque a Poggibonsi, in provincia di Siena, il 15 novembre 1865, da Ottaviano e Polissena Sprugnoli, sua seconda moglie. Secondo di tre figli, perse la madre a cinque anni; il padre, medico come il nonno, si risposò con Argene Zani ed ebbe altri due bambini.

Frequentò assieme al fratello Gaetano, di 11 mesi maggiore, le scuole e l’Università, prima a Pisa e poi, dal 1884, a Firenze presso l’Istituto di studi superiori, dove si laureò in medicina e chirurgia nel 1888, sotto la direzione del fisiologo Luigi Luciani. Durante gli anni universitari frequentò, per il corso psichiatrico, l’ospedale Bonifazio di Firenze, dove rimase impressionato dalle disumane condizioni nelle quali erano assistiti i malati di mente.

Subito dopo la laurea sostituì vari medici condotti a Poggibonsi ed ebbe una condotta medica a Porto Longone (oggi Porto Azzurro) nell’Isola d’Elba. Presentato da Cesare Federici, suo professore a Firenze, la carriera psichiatrica di Arnaldo cominciò nel 1890 al manicomio di Ferrara, dove si formò con Clodomiro Bonfigli e Ruggero Tambroni. Su proposta dello stesso Bonfigli, con referenze di Enrico Morselli e Augusto Tamburini, a fine 1891 fu chiamato al manicomio di Macerata, diretto da Gianditimo Angelucci, nel quale ricoprì, dal 1893, il ruolo di vicedirettore. Qui operò in un istituto ancora permeato dall’attività riformatrice di Morselli (direttore dal 1877 al 1880), che per Pieraccini divenne un riferimento professionale e umano.

Affascinato da ambienti di matrice positivista animati dal desiderio di rinnovare la psichiatria italiana, si legò a una schiera di giovani alienisti (Alberto Vedrani, Ruggero Lambranzi e Iacopo Finzi) impegnati nella diffusione in Italia delle idee di Emil Kraepelin, con i quali condivise l’interesse per l’uomo e la continua ricerca di verifiche scientifiche.

Fin da questo periodo visse la professione come parte integrante degli ideali socialisti, attorno ai quali strutturò buona parte del suo carattere e della sua vita. In un territorio preda della pellagra e dell’alcolismo, cercò di realizzare una psichiatria in funzione sociale e, allo scopo di fornire strumenti alle classi disagiate a rischio di malattia e ricovero, si impegnò nella divulgazione tra il popolo di concetti scientifici utili alla salute pubblica (Alcool ed alcoolismo, Roma 1892; La pellagra. Conversazioni popolari di medicina sociale, Macerata 1895).

Soprattutto nel periodo maceratese, al lavoro manicomiale affiancò una notevole attività di ricerca diretta verso l’antropologia, le allucinazioni psicomotorie, l’ereditarietà psicopatica, la psichiatria forense con orientamenti lombrosiani. Collaborò con l’Enciclopedia medica italiana edita da Vallardi e curò l’appendice Pellagra nel Trattato di medicina, pubblicato sotto la direzione di Jean-Martin Charcot, Charles Jacques Bouchard ed Édouard Brissoud (Torino 1893). Studiò inoltre il linguaggio figurativo in psichiatria, da un punto di vista psicologico con indirizzi interpretativi dinamici (Di alcuni lavori artistici eseguiti da alienati. Contributo allo studio dell’arte nei Pazzi, Macerata 1894, con G. Angelucci), e nel tentativo di colmare il vuoto italiano nella formazione del personale, pubblicò il manuale L’assistenza dei pazzi nel manicomio e nella famiglia. Istruzioni elementari per infermieri ed infermiere, con prefazione di Morselli (Milano 1900 e 1907).

A Macerata, nel 1895, sposò Pasqualina Poloni, infermiera nello stesso manicomio, con la quale ebbe 5 figli: Gina (1895), Piero (1896), Ottaviano (1898), Eulalia (1899), Carlo (1903). Conseguita la libera docenza in psichiatria a Roma nel 1903, l’anno successivo, in seguito a pubblico concorso, assunse la direzione dell’ospedale psichiatrico di Arezzo, dove rimase fino alla pensione (1950), tranne sei mesi passati nel 1908 a dirigere il manicomio di Siena.

Nel continuo tentativo di coniugare studio, lavoro clinico e creazione di spazi di cura e assistenza per il benessere della comunità, Pieraccini avviò ad Arezzo una vasta opera riformatrice basata sull’esperienza maceratese e ispirata nelle strutture e nell’organizzazione alle ‘Scuole germaniche’ (L’edilizia e la tecnica dei manicomi tedeschi, in Quaderni di psichiatria, II (1912), 6, pp. 1-51). Compilò il Regolamento organico (1906) conforme alla prima legislazione psichiatrica unitaria (1904), proposto dal Consiglio superiore di sanità a modello nazionale. Avviò una scuola per allievi infermieri e sorveglianti, applicò il sistema no-restraint e promosse l’open-door. Al fine di favorire il recupero sociale del malato di mente, facilitò la vita in comune dei degenti, senza separazioni di genere, introdusse una colonia agricola e avviò attività ergoterapiche (Metodi psicagogici nel trattamento delle malattie mentali, in Rassegna di studi psichiatrici, XX (1931), 3, pp. 578-612). Si impegnò inoltre nell’assistenza extraospedaliera attraverso il sistema della custodia domestica omofamiliare, eterofamiliare e mista (conosciuta come ‘tipo Pieraccini’), effettuando personalmente, in tutta la provincia, le visite domiciliari ai sussidiati (Sull’assistenza domestica sussidiata degli alienati, in Il Cesalpino, VII (1911), pp. 41-45).

Sostenitore dell’unità di studio e di attività clinica tra psichiatria e neurologia, incoraggiato dall’esperienza fatta durante la Grande guerra con l’accoglimento dei militari provenienti dal fronte, per sua iniziativa nel 1926 fu inaugurato un reparto neurologico annesso al manicomio, ma indipendente da esso. L’asilo aretino si trasformò così in ospedale neuropsichiatrico, esempio seguito da molte altre province italiane (Il padiglione neurologico dell’ospedale neuropsichiatrico di Arezzo, in Quaderni di psichiatria, XIV (1927), 3-4, pp. 66-72). Nello stesso periodo, attento alla valutazione dei rapporti tra fattori ambientali e biologici nella patogenesi dei disturbi psichici, fu tra i promotori della Lega italiana di igiene e profilassi mentale (1924), nella quale ricoprì anche il ruolo di presidente onorario.

Gli ideali socialisti si erano intanto trasformati in militanza. Nel 1912 si iscrisse al Partito socialista italiano, aderente alla corrente riformista, avversò la guerra di Libia, fu neutralista nel 1915 e attivo nella propaganda tra le masse rurali, oltre a ricoprire la carica di consigliere comunale (1910, 1911, 1920) e di assessore ad Arezzo. Durante gli anni del fascismo subì la violenza squadrista e, segnalato come oppositore, fu sottoposto a vigilanza. Non si iscrisse mai al Partito nazionale fascista e in base alle circolari governative riguardanti gli impiegati non iscritti al partito, fu pensionato il 1° febbraio 1941. Mantenuto in servizio con la qualifica di ‘avventizio ed interino’ su iniziativa della Provincia, continuò a svolgere le mansioni di direttore. Dal settembre 1943 aderì al comitato provinciale di concentrazione antifascista e nel luglio 1944, subito dopo la liberazione di Arezzo, il CPLN (Comitato Provinciale di Liberazione nazionale) lo chiamò, per un breve periodo, a ricoprire la carica di vicesindaco. Nel frattempo l’ospedale psichiatrico di Arezzo, per la sua vicinanza alla stazione ferroviaria, era stato più volte bombardato. Pieraccini e una parte dei pazienti, nel novembre 1943, si erano così trasferiti a Galbino, nella provincia aretina.

Soltanto alla fine della guerra ebbe notizia della scomparsa del figlio Ottaviano, avvocato antifascista socialista, arrestato a Milano e morto a Mauthausen nel marzo del 1945. Anche il figlio Piero e il fratello Gaetano (sindaco di Firenze dopo la Liberazione) subirono persecuzioni politiche per la loro opposizione al regime.

Reintegrato nel ruolo di direttore nel 1946, si dedicò alla ricostruzione del padiglione neurologico e fu nuovamente consigliere comunale socialista. Sempre alla ricerca di riferimenti teorici, tra gli 88 e i 90 anni pubblicò manuali di neurologia e psichiatria (Manuale di psichiatria per studenti e medici pratici, Milano 1953; Manuale di neurologia per studenti e medici pratici, Milano 1955).

Morì ad Arezzo il 18 marzo 1957.

Fonti e Bibl.: Un fondo archivistico A. P. è stato donato dalla famiglia al Centro interdipartimentale ASPI - Archivio storico della psicologia italiana dell’Università degli studi di Milano-Bicocca. Notizie si trovano a: Arezzo, Biblioteca di area umanistica dell’Università di Siena (sede di Arezzo); Archivio storico dell’ospedale neuropsichiatrico di Arezzo, Carte A. P.; Roma, Archivio centrale dello Stato, ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, b. 3954.

Vedi inoltre: M. Benvenuti, Profili di neuropsichiatri. A. P., in Rivista di neurobiologia, III, (1957), 2, pp. 321-339; F. Martini, A. P. (1865-1957), in Note e riviste di psichiatria, L, (1957), 1 pp. 227-229; E. Gradassi, Il cerchio chiuso. A. P., fare un manicomio da disfare, Arezzo 2012.

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