ARPICORDO

Enciclopedia Italiana (1929)

ARPICORDO

Francesco Vatielli

. Vincenzo Galilei, nel suo Dialogo della musica antica e della moderna (Firenze 1581), scrisse: "Tornando all'invenzione e origine de' moderni strumenti, dico che dall'Harpa dovette verosimilmente (per la convenienza del nome, della forma e della quantità, disposizione e materia delle corde, se bene in Italia i professori di essa dicano haverla loro inventata) havere origine l'Harpicordo, il quale strumento altro non è che un'Harpa giacente, et da esso introdursi appresso gli altri di tasti". Nel '500 e nel primo '600 in Italia il vocabolo arpicordo era più comune di quello di clavicembalo, per indicare appunto quegli strumenti a becco di penna in cui le corde erano collocate a serie digradanti come nell'arpa, e la parola harpsichord, che gl'Inglesi hanno sempre adottata per designare il cembalo o clavicembalo o gravicembalo, fu foggiata su quella italiana (v. clavicembalo).

Il Lichtenthal, nel suo Dizionario e bibliografia della musica (1826), sotto questa voce scrive: "Specie di Cembalo fuor d'uso, da cui, mediante le zampettine d'ottone applicate alle corde, s'ottiene un suono simile all'arpa". Ma probabilmente si trattava d'uno strumento d'eccezione, nel quale la tastiera era formata non da leve munite di penne che direttamente agivano sulle corde, come nel cembalo usuale, ma da leve che percotevano le zampettine di ottone.

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