Arredamento

Universo del Corpo (1999)

Arredamento

Renato De Fusco

Il termine indica l'arte e la tecnica di conformare con vari elementi (divisori, mobili, suppellettili ecc.) gli ambienti interni al fine di renderli più funzionali e confortevoli. L'arredamento si definisce anche 'architettura degli interni'. Nelle varie tipologie di arredamento si rileva la tendenza del mobilio a modellarsi sulle forme del corpo, ma anche l'orientamento a rappresentare, a esprimere il gusto e i costumi di una civiltà. In questo senso il rapporto dell'arredamento con il corpo non si configura mai in astratto, quanto piuttosto con le forme che esso assume nel corso dell'evoluzione storica.

Il corpo e gli spazi dell'arredamento

L'arredamento ha un notevole rapporto con il corpo umano e rappresenta un oggetto di riflessione culturale sotto vari aspetti: dall'antropologia alla dimensione artistico-estetica, dall'ergonomia alla componente tecnico-produttiva, dall'economia all'evoluzione del costume e del gusto, dagli interessi meramente formali a quelli di valore linguistico e simbolico, e altri ancora. Come per ogni altra forma di conoscenza, è necessario ridurre questi aspetti ad alcuni schemi che ne facilitino la comprensione.L'arte applicata dell'arredamento è un campo pertinente lo spazio interno dell'architettura e in particolare lo spazio di ogni singolo invaso architettonico, la 'stanza', intesa come la cellula basilare dell'edificio, sistema spaziale presente in tutti i tempi e paesi (De Fusco 1985a). Tralasciando gli arredi per gli spazi esterni e l'arredo urbano, limiteremo l'esame all'invaso-stanza assumendolo come luogo privilegiato dell'arredamento. La struttura dell'invaso-stanza costituisce lo schema spaziale entro il quale, in una prospettiva evidentemente antropocentrica, si possono stabilire i rapporti del corpo, sia tattili sia ottici, con il complesso degli arredi. In esso, possiamo distinguere uno 'spazio-contatto', così definito per designare quegli oggetti, segnatamente i mobili, che stabiliscono con il corpo umano il più stretto rapporto spaziale; uno 'spazio a media distanza' riguardante la categoria della suppellettile, vale a dire l'insieme degli oggetti che l'uomo utilizza saltuariamente e che giacciono a una certa distanza da lui; uno 'spazio a più lunga distanza', rappresentato dai piani e dalle pareti, definibili come la 'fodera' dell'invaso. Di questa terza categoria fa parte anche il pavimento, sul quale poggiano le persone, i mobili e gli oggetti, ma che costituisce un piano percorribile in più direzioni e a contatto con il corpo solo in quei punti in cui dinamicamente poggiano i piedi. Le pareti sono a una spazialità distante; anche qui persone, mobili e oggetti trovano appoggio diretto, ma generalmente prevale più la fruizione ottica che quella tattile. I soffitti infine sono piani di arredo che non hanno alcun contatto con il corpo umano: la loro fruizione è puramente ottica.

La struttura dell'invaso-stanza, così delineata, consente di effettuare un excursus storico, dal quale far emergere le varie forme assunte dal rapporto dell'uomo con gli elementi di arredo; e ciò non solo in ordine alle esigenze pratiche e funzionali, ma anche in relazione agli usi e ai costumi, ai significati e ai simboli, che fissano di volta in volta, con il mutare della cultura e del gusto, la storicità di tale rapporto.All'excursus storico occorre anteporre due premesse riguardanti alcune costanti riscontrabili negli oggetti d'arredo nei vari periodi, senza le quali il rapporto che cerchiamo si ridurrebbe a un'osservazione meramente funzionale. La prima riguarda la duplice proprietà, comune all'architettura, di molti prodotti dell'arredamento: la proprietà di 'conformare' e di 'rappresentare'. Le due valenze si trovano evidentemente in una relazione dialettica: non si dà conformazione senza rappresentazione; tuttavia in alcune epoche si nota una prevalenza della prima, in altre della seconda. La rappresentazione, inoltre, comporta il rinvio a un referente, a ciò che gli elementi d'arredo rappresentano. La seconda premessa al nostro excursus è che i mobili possono ridursi a due sole categorie: quella dei contenitori e quella dei sostenitori. Entrambe le premesse trovano felice sintesi in un giudizio di M. Praz: "i mobili sono in origine di due specie: mobili che sostengono e mobili che contengono: i primi arieggiano forme animali, i secondi architettoniche; la sedia s'ispira al cavallo, la cassa della biancheria, come del resto anche la bara, s'ispira alla casa" (Praz 1964, p. 54).

Antropomorfismo e rappresentatività

Nella Grecia classica il mobile più significativo è il sedile detto κλισμός. Si tratta di una sedia leggera con quattro gambe a sciabola, di cui le posteriori proseguono a formare la spalliera incurvandosi nuovamente in senso opposto, cioè verso l'interno, all'altezza del dorsale. È indubbio che a ispirarne il morbido, elastico profilo sia stato il corpo femminile, le cui curve anatomiche e il panneggio delle vesti trovano una perfetta corrispondenza nei tratti essenziali della sua elegante struttura; non opera di falegname dunque, ma di grande scultore. L'attribuzione allo scultore dell'invenzione del κλισμός non è solo una metafora per indicare l'aderenza delle fasce lineari di questa sedia al corpo umano. Ne abbiamo conferma nel fatto che esemplari di κλισμοί si trovano scolpiti nei sedili marmorei dei teatri, al di sopra dei ripiani delle gradinate. Evidentemente la valenza estetica di questo modello fu tale da conservarsi al passaggio dall'isolata sedia lignea al seriale sedile marmoreo dei teatri, dove il suo maggiore pregio funzionale, l'elasticità, non aveva più ragion d'essere, né è da escludere che nella cavea del teatro questo tipo di sedile fosse riservato alle donne.

In età romana, uno dei mobili più tipici è il lectus triclinaris, derivato dai greci, sia per l'uso di mangiare distesi, sia per il termine κλίνη, un letto appunto, composto da un telaio in legno cui erano collegate corde intrecciate e sorretto da quattro gambe, delle quali le posteriori più alte per sagomarvi il materasso secondo la giacitura del corpo, ora disteso, ora poggiato a questa sorta di spalliera o, meglio, di bracciolo. I romani perfezionarono tale modello traducendolo in ferro con più ricche decorazioni, ma lasciandolo sostanzialmente immutato; il nome latino deriva dal fatto che le κλίναι venivano disposte ai tre lati della stanza, donde triclinium fu detto l'ambiente destinato ai banchetti.

Nel Medioevo, i continui trasferimenti delle corti portarono all'adozione di un arredo facilmente trasportabile, e pare che il termine mobilio derivi proprio da questo nomadismo. A tale costume risalgono i modelli divenuti tipici nel primo Rinascimento: i mobili pieghevoli, già in uso presso i romani, e i cassoni. Si direbbe che i primi ‒ si pensi alle seggiole savonarola e dantesca ‒ associno la loro riducibilità all'antropomorfismo, mentre per i secondi non vale altrettanto, data la loro funzione di contenitori di ogni genere di oggetti da riporre o trasportare da un luogo all'altro. Ciò è vero specie se si considera che le seggiole appartengono all'ordine dei mobili sostenitori e i cassoni a quello dei contenitori; d'altra parte, il molteplice uso del cassone non esclude che fanciulli e domestici potessero anche fruirlo come lettuccio, riconducendolo in tal caso nell'ordine dei mobili sostenitori caratterizzati da 'spazio-contatto'. Il più emblematico mobile fiorentino del Quattrocento, il letto a cassoni, è appunto un normale letto a uno o due posti, circondato per tre lati da cassoni, generalmente usati per riporvi la biancheria, ma occasionalmente anche per farvi dormire una domestica o una persona di compagnia.

Il cassone, che può ritenersi matrice di tutti i mobili contenitori, al passaggio fra il primo e il secondo Rinascimento, oltre a cambiare nella decorazione, da dipinta a scolpita, diventa anche cassapanca, ovvero un cassone con schienale e bracciolo, un misto fra cassettone e divano; in tal caso modellato secondo la forma del corpo umano.

Nel Cinquecento gli elementi di arredo perdono ogni traccia di medievalismo ancora persistente nel secolo precedente ‒ linearità strutturale, proprietà di piegarsi, leggerezza ecc. ‒ per acquistare carattere scultoreo e persino monumentalità; si caratterizzano per l'adozione di motivi a 'grottesche' (le surreali decorazioni ispirate a quelle antiche riscoperte negli scavi archeologici, nelle 'grotte' sottostanti i ruderi), un genere che associava il gusto classico con quello trasgressivo e innovativo del manierismo. Nel tardo Rinascimento e per tutta l'età barocca l'arredamento non perde la sua componente antropomorfa, l'attenzione per lo 'spazio-contatto' proprio dei seggioloni, dei letti a baldacchino e di quant'altro si adegui alle forme del corpo, ma prevale lo 'spazio a media distanza' della suppellettile, e soprattutto lo 'spazio a più lunga distanza': si pensi ai soffitti cassettonati o affrescati in trompe-l'œil, nonché all'uso degli specchi che moltiplicano a dismisura questi effetti spaziali. Si può dire che nell'arredo barocco la componente rappresentativa, narrativa e spettacolare sovrasti quella conformativa e la visione ottica quella tattile.

Dalla convenance al funzionalismo

Una sensibile svolta si verifica nel Settecento, il secolo in cui, specie con il rococò, l'arredamento sembra prevalere sulle altre arti sussumendole tutte. È in quest'epoca che il corpo, sia nell'accezione meramente fisica, sia in quella che rimanda alla sensualità, diventa il centro di ogni moto del gusto, di ogni manifestazione del costume. Al posto della grande manière, che aveva contrassegnato il barocco, specie in Francia, subentra la douceur de vivre; a un atteggiamento di classico e razionale ideale eroico se ne alterna un altro prettamente edonistico, rivolto al piacere fino al libertinaggio; l'austero pittore C. Le Brun lascia il campo al sensuale A. Watteau, al disinibito erotismo di F. Boucher e di J.-H. Fragonard. Nell'arredamento si afferma il principio della convenance, da intendersi come il funzionalismo di allora, grazie al quale sedie, poltrone e divani aderiscono tanto alla forma del corpo umano quanto al costume del tempo. Infatti alcune delle principali fogge di poltrone settecentesche ‒ la cabriolet, la più imbottita bergère ‒ hanno i braccioli rientrati rispetto al filo anteriore del sedile per consentire alle dame di sedere senza danno per le loro larghe vesti con sostegni a 'paniere'. Analogamente gli schienali sono alti al punto giusto affinché la dama possa poggiare le spalle senza rovinare l'acconciatura dei capelli.Il tema del rapporto fra il corpo e gli elementi di arredo trova nelle poltrone e nei divani la sua più palmare espressione. La bergère presenta numerose varianti fra cui la 'confessionale', così detta per il suo schienale limitato in alto da due 'orecchie', per poggiarvi il capo, e la voyeuse o pointeuse. Si tratta di una poltrona dallo schienale piatto, sormontato da un piccolo ripiano anch'esso imbottito, che consentiva a una persona in piedi di appoggiarsi da dietro per unirsi alla conversazione o puntare una posta in una partita a carte, donde il doppio nome del modello. Dalla poltrona bergère deriva altresì la vasta serie dei divani: il canapé à corbeille, una dilatazione della citata poltrona per accogliervi più persone; la veilleuse, un divano che presenta uno dei suoi lati corti del tutto simile alla bergère vista di profilo, ma con la variante di avere un solo bracciolo mentre l'altro diventa un lungo schienale, via via decrescente in altezza fino a raggiungere l'altro lato, ora senza più braccioli. Oltre a proteggere con la sua parte più alta la testa e con la sua parte più bassa i piedi della persona che giace distesa su un unico morbido cuscino, la veilleuse costituisce forse il modello più dissimmetrico e antropomorfo di tutta la produzione del tempo. Il tipo di divano descritto può inoltre considerarsi una sintesi delle diverse versioni di poltrona con prolunga per poggiarvi le gambe: la chaise longue duchesse, una bergère con poggiapiedi; la duchesse brisée, ossia un mobile a tre pezzi, composto da una poltrona a spalliera alta, un poggiapiedi e ancora una poltrona a spalliera bassa ecc. Tanto grande è stato il successo della chaise longue duchesse che, nata nella linea del gusto rococò, si ritrova negli stili posteriori, dal neoclassico fino a quelli dei giorni nostri.

Negli elementi d'arredo neoclassici e neogotici, anch'essi nati nel Settecento e protrattisi per tutto l'Ottocento, a causa forse dell'eccessiva e intellettualistica attenzione rivolta alla 'ripresa', al revival, il rapporto del mobile con il corpo diventa più labile. Ritornano, con l'emulazione dell'antico, motivi zoomorfi e fitomorfi, cui si aggiungono elementi allegorici, con una maggiore attenzione alla monumentalità, alla 'rappresentazione' piuttosto che alla 'conformazione', quindi al comfort.Ma l'Ottocento non è solo il secolo dell'eclettismo storicistico; vi sono almeno due generi di arredamento che ne riscattano la modernità: i cosiddetti mobili brevettati e la produzione di M. Thonet. Dei primi si è occupato, nel modo più lucido e chiaro, lo storico svizzero S. Giedion; dopo aver notato che l'altra faccia dell'Ottocento è rappresentata dalle costruzioni degli ingegneri e dai mobili brevettati, questi ultimi rispondendo, con la loro trasformabilità e funzionalità, alle esigenze dei ceti medi in ascesa assai meglio e con più originalità dei pesanti mobili del gusto dominante, Giedion si sofferma su alcune considerazioni di carattere più tecnico. "Il mobile viene scomposto negli elementi singoli: si tenta, nei limiti delle possibilità, di adattarlo al corpo umano. Non è un caso che il problema degli arti artificiali attiri nell'identico momento tanto interesse. I piani, sezionati in elementi, vengono collegati e regolati da un congegno meccanico [...] il mobile ha cessato di essere uno strumento inerte. Esso può adempiere contemporaneamente a parecchie funzioni [...] Ottenere il comfort con un adattamento attivo al corpo e non offrendo cuscini, in cui il corpo sprofondi passivamente, rende evidente la differenza che intercorre fra i mobili essenziali e quelli transitori del secolo passato" (Giedion 1948, trad. it., p. 360).I mobili brevettati sono prodotti soprattutto negli Stati Uniti e si possono distinguere in tipi destinati a nuove esigenze e in tipi tradizionali realizzati con nuove soluzioni. I primi comprendono poltrone articolabili e trasformabili per invalidi, per studi medici - come quelli dei dentisti -, per barbieri; sedili ribaltabili per vagoni ferroviari o per scuole e laboratori; interi arredi per vagoni letto ecc. I secondi comprendono poltrone con struttura metallica trasformabili in divani, letti, poltrone a dondolo ecc.; letti che, per economia di spazio, si combinano con divani, armadi, scrivanie.

La risposta europea a questa intelligente linea meccanicistica può identificarsi nella produzione iniziata da Thonet nel 1830. Nel suo caso il brevetto non riguarda l'invenzione di un singolo mobile, ma quella di una nuova tecnologia, fissata una volta per tutte e generatrice di un intero sistema produttivo. Tale tecnologia si basa sul principio di inumidire elementi di legno a sezione tonda od ovale per poterli piegare come si fa con i rami relativamente sottili degli alberi, ovvero quando il legno è ancora vivo perché permeato di linfa; restituendo ai tondini di legno, grazie al vapore, l'elasticità iniziale, essi possono essere sagomati in casseforme metalliche e quindi lasciati essiccare in modo da fissarne definitivamente la forma. La tecnica si trasformò presto in uno stile che, sia pure nel ricordo di qualche motivo del rococò e nell'anticipazione di qualche altro dell'art nouveau, si riduce a due soli fattori: i tondi lignei sagomati e i piani d'appoggio ottenuti dall'intreccio della cosiddetta paglia di Vienna. La 'povertà' essenziale di tali elementi e il linearismo delle parti strutturali non potevano che portare all'antropomorfismo, una delle maggiori caratteristiche dello stile Thonet. Lo conferma il fatto che questi mobili, seggiole e sedie a dondolo hanno resistito dai primi decenni dell'Ottocento fino ai nostri giorni a tutte le successive mode e tendenze figurative. In più, per tornare allo schema di partenza, si può sostenere che questi modelli si sono rivelati sia 'conformativi' sia 'rappresentativi'. Con i due soli fattori della struttura lineare e dei piani traforati in paglia diventa possibile, come osserva P. Portoghesi, racchiudere lo spazio senza nasconderlo alla vista e l'arredamento non è più "'riempimento', ma filtraggio di uno spazio, caratterizzazione dinamica [...] attraverso un sistema equilibrato di linee [...]. I dondoli, le chaises longues, i divani, i letti sono strutture dotate di una loro spazialità interna che ha nella trasparenza il suo carattere e la sua specificità" (Massobrio-Portoghesi 1980, p. 123).

Dinamismo tecnologico e nuovi materiali

Nel Novecento, il rapporto fra elementi di arredo e corpo umano assume inizialmente un significativo rilievo con l'art nouveau, come, per es., nei mobili dello studio progettato da H.C. van de Velde nel 1897, in cui la scrivania accompagna 'a fagiolo' il corpo umano. Ben presto da questa 'decorazione funzionale' si passa a un vero e proprio feticismo decorativo, contro il quale si muovono dapprima il protorazionalismo, una tendenza dell'architettura e dell'arredamento classicheggiante e semplificatrice, poi gli studi di matrice scientifica e tecnologica. Rientrano in questa categoria: le ricerche ergonomiche che, valendosi dell'anatomia, della fisiologia, della psicologia ricercano il miglioramento del rapporto tra lavoratore e lavoro; quelle di aerodinamica condotte con la 'galleria del vento'; quelle relative allo stampaggio e all'invenzione di nuove materie plastiche; quelle rivolte alla standardizzazione e alla tipizzazione. Tutte concorrono a ridurre ogni morfologia a quella più strettamente connessa con il corpo umano.

Siamo nell'era del funzionalismo più esplicito di tutta la storia dell'arredamento. È ben vero però che tale funzionalismo non è privo di valenze simboliche e figurative. Le sedie in tubolare metallico di M. Stam, di L. Mies van der Rohe, di M. Breuer, come quelle in legno compensato di A. Aalto, uniscono alle caratteristiche funzionali del comfort e dell'elasticità il gusto verso l'essenziale, il minimo ingombro, la chiarezza formale. Questa estetica del prodotto industriale è palese soprattutto nell'aerodinamismo della produzione americana. Si comprende come lo stile streamline, alla ricerca di nuovi simboli più invitanti, abbia privilegiato particolarmente la velocità, "intesa come affermazione di potenza e valore di modernità. La velocità, infatti, attraverso gli effetti aerodinamici sugli oggetti, è intervenuta nelle forme avviluppanti dello styling, che per un altro verso non ha ignorato le ricerche plastiche di un Arp e di un Brancusi" (Frateili 1969, p. 130). Che il dinamismo tecnico si accompagni a un valore simbolico è testimoniato dalle affermazioni di uno dei maggiori designer americani degli anni Trenta, W.D. Teague: "Noi siamo in una età primitiva e siamo un popolo dinamico, siamo sensibili solo alle manifestazioni di tensione, di vigore, di energia, e questa linea si ritrova costantemente dovunque nei nostri corpi, il corpo di un uomo muscoloso o il corpo di una donna bella" (Teague 1940, p. 320).

Nel secondo dopoguerra, l'accento tecnologico si sviluppa maggiormente proprio a causa dei nuovi materiali e delle sperimentazioni effettuate durante il conflitto e successivamente nell'ambito delle ricerche spaziali. Tuttavia il ricorso a scocche di plastica, l'uso di sottili tondini metallici, del legno curvato ecc., riscontrabili nei mobili antropomorfi di C. Eames, di E. Saarinen, di H. Bertoia, non sono estranei alla tradizione del Bauhaus, la famosa scuola di W. Gropius, in cui le ricerche sulla percezione, sulla resistenza dei materiali e quanto altro avesse un rilievo scientifico non erano estranee alle esperienze artistiche dell'avanguardia figurativa.

Bibliografia

G.C. Argan, Il disegno industriale, in Id., Progetto e destino, Milano, Il Saggiatore, 1964.

F. Bologna, Dalle arti minori all'industrial design. Storia di una ideologia, Roma-Bari, Laterza, 1972.

M. Chigiotti, La progettazione di Raymond Loewy negli interni dei mezzi spaziali della Nasa, "Modo", 1982, 53.

R. De Fusco, Storia dell'arredamento, 2 voll., Torino, UTET, 1985a.

Id., Storia del design, Roma-Bari, Laterza, 1985b.

G. Dorfles, Introduzione al disegno industriale. Linguaggio e storia della produzione di serie, Torino, Einaudi, 1972.

E. Frateili, Design e civiltà della macchina, Roma, Editalia, 1969.

S. Giedion, Mechanization takes command: a contribution to anonymous history, New York, Norton, 1948 (trad. it. L'era della meccanizzazione, Milano, Feltrinelli, 1967).

A. Gonzáles-palacios, Il mobile nei secoli, 4°-6° voll., Francia, Milano, Fabbri, 1969.

H. Honour, Cabinet makers and furniture designers, New York, Putnam, 1969 (trad. it. I grandi mobilieri, Milano, Mondadori, 1969).

T. Maldonado, Disegno industriale: un riesame. Definizione, storia, bibliografia, Milano, Feltrinelli, 1976.

G. Marangoni, Storia dell'arredamento (1500-1850), Milano, Società Editrice Libraria, 1952.

G. Massobrio,P. Portoghesi, Casa Thonet. Storia dei mobili in legno curvato, Roma-Bari, Laterza, 1980.

 M. Praz, La filosofia dell'arredamento. I mutamenti nel gusto della decorazione interna attraverso i secoli dall'antica Roma ai nostri tempi, Milano, Longanesi, 1964.

Storia del mobile, a cura di G. Vianello, Novara, De Agostini, 1976.

 W.D. Teague, Design this day. The technique of order in the Machine Age, New York, Harcourt, Brace and Company, 1940.

CATEGORIE
TAG

Disegno industriale

Materie plastiche

Antropomorfismo

Funzionalismo

Rinascimento