ARTI

Enciclopedia Italiana (1929)

ARTI

Arrigo Solmi

Sotto il nome di arti, si comprendono, così nel Medioevo come nell'età moderna, le unioni degli artigiani, dei mercanti e dei lavoratori in genere, che esercitano la stessa professione o mestiere, e che sono soggette a determinate regole. In particolare, si dissero arti le unioni di artefici e di commercianti che, costituiti in corporazioni, promossero il grandioso sviluppo industriale e mercantile dell'evo medio, e che durarono poi fino ai tempi della rivoluzione francese, allorché, sotto l'impulso di nuove idee, fu proclamato il principio della libertà del lavoro e del commercio.

L'origine di queste forme è indubbiamente antichissima. Esse erano già costituite nelle città greche, dove avevano il nome di ἑταιρεῖαι, e comprendevano gli esercenti di una stessa industria o professione, riuniti per fini religiosi, oltreché di reciproco aiuto e di difesa; ed ebbero un largo sviluppo in Roma, dove si dissero collegia, corpora, più tardi anche artes, e dove, ai tempi dell'Impero, dettero vita a un vasto sistema corporativo, che vincolò tutta l'attività economica dello stato e lasciò un'importante eredità ai tempi posteriori.

Queste forme, per quanto in embrione, s'incontrano già presso le società primitive, dove non è raro trovare gruppi gentilizî o consorzî territoriali dedicati all'esercizio di un determinato mestiere e congiunti in una unione, per quanto la società sorga qui in base a una comunione già esistente. Ma è certo che lo sviluppo delle attività civili aiutò a promuoverle, poiché le grandi opere pubbliche, presso le antiche civiltà egizie o indiane, favorirono rapporti di questa specie, anche se creati dallo stato. Né manca un accenno a queste forme nella Bibbia (I [111] Re, V, 13 segg.).

Ma un'ordinata organizzazione delle arti nacque propriamente nelle città greche e italiche, dove le istituzioni libere dovettero favorirle. Gaio (Dig., XLVII, 22, de collegiis et corporibus, 4), commentando il testo delle XII tavole su questo argomento, lo riconduce all'imitazione di una legge di Solone, che già ne aveva ammesso il sorgere e ne aveva riconosciuto gli statuti, purché non fossero contrarî alle leggi; mentre Plutarco (Numa, 9), per Roma, attribuisce forse favolosamente a Numa una distribuzione della plebe in collegi, secondo la varietà delle arti professate; e la costituzione serviana conservava ancora qualche traccia di una simile organizzazione.

Tuttavia l'origine di queste forme in Roma appare libera: sono unioni di liberi artigiani, promosse da identità di condizioni sociali, dal bisogno di mutuo aiuto, dal culto dello stesso nume tutelare, e formate sul tipo delle altre libere associazioni: sodales, si dicono i membri, e hanno proprî statuti, proprî capi, una cassa comune, un culto distinto. Queste associazioni d'arti, dette collegia, sodalitates, ebbero un grande sviluppo ai tempi della Repubblica, tanto che tutte le arti e tutte le professioni, fino ai tibicines, vi trovarono organizzazione; ma, sulla fine, si mescolarono troppo attivamente alle lotte politiche e furono giudicate pericolose. Un senatoconsulto del 64 a. C. le abolì tutte, salvo quelle dei fullones e dei fabri, giudicate necessarie alla Repubblica; ma un plebiscito clodiano, sei anni più tardi, ne consentì la ripresa, interrotta da una legge abolitiva di Giulio Cesare. Risorte, dopo la morte di questo ultimo, furono definitivamente regolate da una legge di Augusto dell'anno 7 a. C., per cui, sciolti tutti i collegi esistenti, si stabilì l'obbligo dell'autorizzazione governativa, caso per caso. Tale autorizzazione, data dal senato per le provincie senatorie, dall'imperatore per le provincie imperiali, più tardi soltanto dall'imperatore o dai suoi delegati, fissò il principio della dipendenza diretta delle corporazioni artigiane e professionali dallo stato.

Sembra che, fin dall'anno 7, l'autorizzazione sia stata data a quei collegia antiqua et legitima, necessarî alla vita economica della capitale, che già erano stati rispettati dal senato e da Cesare. Più tardi, furono via via riconosciuti gli altri collegi, con le opportune limitazioni. Nella pratica, tuttavia, si usò tollerare talune associazioni libere, che non avevano avuto la formale autorizzazione, salvo al potere esecutivo il diritto di scioglierle. Nell'età di Traiano, tutte le arti e tutte le professioni erano costituite in forma di associazioni autorizzate o lecite, con statuti, con capi elettivi, con cassa e con beni comuni. Le arti più antiche e più numerose, riguardate come necessarie alla vita economica della capitale, prendevano anche nome di corpora (v. corporazioni); mentre le altre si dicevano, in genere, collegia, e sodalicia si chiamavano invece le unioni di buoni camerati. Tra i diversi corpora dell'età romana, avevano maggiore importanza quelli che erano gravati da pubblici servizî, come quelli dei navicularii, che avevano l'obbligo del trasporto delle granaglie per l'approvvigionamento dell'Urbe; dei suarii, tenuti al provvedimento delle carni suine necessarie alla città; dei pistores, obbligati alla fabbricazione e alla distribuzione di determinate quantità di pane. I loro membri si dicevano corporati; mentre collegiati si dicevano coloro che appartenevano a corporazioni tenute verso lo stato soltanto a prestazioni periodiche e speciali (fabri, centonarii, dendrophori, ecc.). Queste corporazioni erano rette da proprî ufficiali (magistri, rectores, curator, quaestor, scriba); talune avevano un proprio defensor. Esse avevano funzioni religiose, di assistenza interna fra i soci, di regolamento nella distribuzione dei pubblici incarichi, e anche qualche avanzo di funzioni politiche, presto perdute. Corpi e collegi d'arte avevano tutte le città dell'Impero, con organizzazione abbastanza simile; sicché le professioni e tutte le arti, in ogni città, finirono col costituire un vasto assetto corporativo, legato, per certe prestazioni, alla curia cittadina.

Con la crisi economica profonda, la quale sconvolse nel sec. III il mondo romano, quelle prestazioni e quei vincoli che legavano le corporazioni artigiane allo stato e alla città, divennero obbligatorî, e di qui nacque il principio dell'asservimento delle corporazioni allo stato, che è caratteristico degli ultimi tempi imperiali. Da principio, i collegiati potevano sciogliersi da questi vincoli, uscendo dalla corporazione e abbandonando la parte dei beni spettante a ciascuno e vincolata all'arte. Ma più tardi, dalla fine del sec. III, il vincolo si fece più vasto, e si estese a tutto il patrimonio; furono compilati gli elenchi dei collegiati vincolati agli enti pubblici, e, per garantire la continuità d'esercizio delle arti e delle professioni, l'imperatore Costantino fissò, con leggi, l'obbligo dell'ereditarietà, per cui i professionisti e gli artigiani furono vincolati al mestiere del padre, almeno per le corporazioni considerate come necessarie. Le corporazioni, allora, furono costrette a vincolare i beni dei proprî collegiati, per l'esecuzione necessaria dei pubblici servizî, e poi a vincolare la discendenza maschile dei proprî membri. Gravi pene colpirono coloro che, con la fuga, tentavano di sottrarsi a questi oneri. Si nasceva originales di una determinata professione (functio), e non era più lecito sottrarsi al proprio destino, nemmeno rinunciando all'eredità. Norme generali prescrissero il trapasso forzato dei membri di corporazioni meno importanti a quelle più importanti, e il reclutamento di cittadini liberi da altri vincoli (vacui, inoperosi) nelle varie corporazioni, per assicurar l'esistenza e il funzionamento di queste. L'incorporazione poté essere anche conseguenza di una sentenza di condanna; onde avvenne che collegiati si dissero, nel sec. V e più tardi, coloro che, per ragioni di pena, erano affidati alla custodia delle corporazioni cittadine per vincoli di lavoro (Isidoro, Etymol., IX, 4).

La vigilanza sulle corporazioni era esercitata da diversi funzionarî: il praefectus praetorio aveva la vigilanza sui trasporti, assistito dai vicarii e dai governatori nelle diocesi e nelle provincie; il praefectus urbi sorvegliava le professioni e i mestieri in generale, assistito, per certe funzioni, dal curator operum publicarum. Per talune corporazioni, dipendenti direttamente dallo stato (monetarii, metallarii, ecc.), il controllo spettava a ufficiali speciali, come il procurator monetae.

D'altra parte, i professionisti e gli artigiani, tenuti a pubblici servizî, godevano di speciali esenzioni e privilegi; come i navicularii, che erano esenti dalle cariche municipali e curiali e garantiti da provvedimenti speciali in casi d'infortunio marittimo; o i pistores, esenti dagli oneri delle tutele, e via via. In processo di tempo, asservite tutte le corporazioni allo stato, si ebbe per i collegiati un'esenzione generale dagli oneri della tutela, dai numera sordida et extraordinaria e dalla collatio equorum; mentre le grandi corporazioni d'interesse pubblico ebbero anche la dispensa dai munera civilia e dal portorium (dogana), e altre immunità. Tutti i membri delle arti partecipavano alle distribuzioni gratuite di derrate statali e potevano assistere agli spettacoli pubblici.

Nonostante la molteplicità dei vincoli, che caratterizza la decadenza dell'economia antica, bisogna riconoscere che il sistema corporativo ha dato grande incremento alla vita civile, garantendo le città nei propri e ordinati rifornimenti e nella tradizione delle professioni e dei mestieri, favorendo l'organizzazione del lavoro, assicurando ai corporati i mezzi di sostentamento. Se talune corporazioni troppo rigidamente vincolate a pubblici servizî erano spesso sfuggite, ve n'erano altre numerosissime, che offrivano utilità ai singoli e alle città, e che vivevano con una certa indipendenza: sotto i proprî magistri o rectores, col sussidio di proprî patroni o defensores, con propria sede e con propria cassa: queste organizzazioni ebbero una parte notevole nello sviluppo dell'economia antica, nella trasmissione dei mestieri, nell'organizzazione del lavoro. La decadenza economica prima, le invasioni barbariche dopo, con le relative conseguenze dello spopolamento delle città e dell'impoverimento generale, ridussero via via il numero e le forze di questi organismi; ma essi lasciarono anche più tardi imponenti segni della loro attività.

Sta di fatto che, in Italia, sotto il governo di Odoacre, poi sotto quello dei re ostrogoti, quindi sotto i Bizantini, continuandosi il sistema romano, per cui lo stato era il coefficiente massimo dell'economia nazionale, continuarono anche le corporazioni, come organi pubblici o quasi pubblici, con il vincolo professionale e con l'obbligatorietà delle prestazioni, con la giurisdizione speciale, con le forme esteriori già note. Abbiamo precise memorie della persistenza delle corporazioni a Roma, Ravenna e Napoli; e forse esse durarono anche altrove in Italia e nella Francia meridionale. A Ravenna si dicevano scholae, dal nome dell'aula destinata alle adunanze.

L'invasione longobarda (568) travolse l'Italia verso l'estrema decadenza, sicché le arti dovettero languire, e le corporazioni, già indebolite, disciogliersi. Tuttavia resta la tradizione del mestiere, resta l'officina, col maestro, con gli apprendisti e i lavoranti; onde si hanno numerose attestazioni di magistri, di discipuli, di laborantes. Famosi fra tutti i magistri Commacini, che continuarono le tradizioni delle arti costruttive antiche, come architetti e come maestri murarî, e che provenivano, in gran parte, dai paesi dei laghi milanesi e comaschi, dove già dall'epoca romana era famosa l'arte delle costruzioni. Si ricordano pure i saponai di Piacenza; i navicellai, i pescatori, i ricercatori di sabbie aurifere di Pavia, le scholae artigiane di Verona, i monetieri di Pavia e di Milano, i negotiatores o mercatores di molte città italiane. È incerto se questi artigiani e questi mercanti avessero propria organizzazione, con capi e con cassa comune, e con personalità distinta da quella dei soci. Forse ai barbari convenne mantenere in vita, nelle nostre città, le organizzazioni esistenti, che rispondevano con prestazioni e con tributi allo stato, e che erano già attrezzate in modo da dare prodotti utili. Ma sarebbe eccessivo sostenere, come si è tentato, una continuità delle antiche corporazioni attraverso l'alto Medioevo, per spiegare così la ricca fioritura delle corporazioni dell'età comunale. Questa continuità si scorge sicura nelle scholae di Ravenna (pescatori, mercanti, ortolani, macellai, fornai) o di Roma (ortolani, calzolai); s'intravede forse nelle maestranze delle città siciliane anche sotto il dominio arabo; nei mestieri di talune città dell'alta e media Italia e della Francia meridionale; ma sarebbe difficile provare la persistenza dell'antica corporazione nei lunghi secoli della grave depressione economica che colpì l'Europa occidentale tra il sec. VI e il XI. I nautae parisiaci dell'età di Tiberio sembrano continuati nei marchands de l'eau, che ebbero tanta importanza a Parigi dal sec. XIII in poi; ma sembra ardito asserire tuttavia che l'antica corporazione romana sia rimasta in vita per tutto l'alto Medioevo.

Allorché, nel periodo feudale, attraverso nuovi rapporti quasi contrattuali, si ebbe una maggiore certezza del diritto, rinacque più intensa anche la vita economica, e con essa si fecero più frequenti e più sicuri i traffici e le industrie. L'economia curtense che aveva dominato durante l'età barbarica, è superata da una nuova economia, che si sviluppa nelle città e che si dice economia del mestiere o dell'artigianato. In essa prevalgono gli artigiani e i mercanti, ossia i lavoratori liberi, che operano in forme tradizionali, e che tendono al guadagno con lo scambio dei prodotti del proprio lavoro. Hanno una propria officina o un proprio negozio, e provvedono agli acquisti della materia prima o ai mezzi di trasporto, e poi vendono o rivendono le cose prodotte o acquistate, realizzando il profitto. Mentre i mercanti si recano di città in città, di fiera in fiera, gli artigiani lavorano nelle oscure officine delle nostre città. Si forma così un nuovo sistema economico, fondato sul lavoro libero o artigianato, il quale avvia le forme del sistema capitalistico moderno. Famosi si resero i mercanti di Milano, di Piacenza, di Venezia, di Firenze, di Siena, di Genova, di Pisa, di Amalfi; famosi gli artigiani delle città italiane, che produssero i panni di lana e di seta, le armi, le vesti, gli ornamenti, che si diffusero per tutta l'Europa.

È evidente che questi mercanti e questi artigiani dovettero sentire presto l'esigenza dell'associazione. A questa erano sospinti da impulso religioso, da ragioni di difesa, dal bisogno di reciproco aiuto. Si formarono così frequenti, nelle città, le organizzazioni industriali e mercantili, che favorirono lo sviluppo della nuova economia. Si dissero fraternitates, fratalea, fraglia, confréries, per indicare il movente religioso e mutualistico; più generalmente artes, per indicare l'attività industriale o mercantile, derivata dalla tradizione e dai bisogni economici del tempo, e variamente ministeria, donde il francese métier; ma anche paratica, dall'uso di mostrarsi nelle cerimonie cittadine in parata, sotto il proprio vessillo; o maestranze, dalla tradizione del magistero dell'arte.

A Venezia, a Ravenna, a Verona, a Padova, conservarono l'antico nome di scholae. In Inghilterra e nell'Europa settentrionale, si dissero gilde, guildes, dalla tassa (geld) che era imposta sugli affigliati, per le spese comuni; e così nei Paesi Bassi. In Germania si dissero Innungen, Gilden, Zünfte; in Spagna, gremios. Avevano proprî capi (gastaldiones, ministri, decani, massarii, consules); una sede propria per le riunioni dell'arte, talvolta una chiesa; una cassa e un patrimonio comuni. Si dettero proprî statuti (brevia, statuta, matricula). Ebbero un'influenza diretta nell'amministrazione cittadina, e guadagnarono un'importanza sempre maggiore. Nel sec. XIII, tutte le professioni e tutte le arti, almeno quelle principali, erano organizzate in corporazioni, e queste corporazioni avevano dappertutto sempre maggiore peso nella vita cittadina, fino a costituire monopolî.

Le origini di queste corporazioni si legano senza dubbio alla tradizione romana; ma, come si è detto, è incerto se le antiche corporazioni sieno durate tanto da offrire un preciso modello. Nelle corporazioni medievali, vi sono impulsi religiosi ed economici nuovi, e forse la costituzione di questi corpi di mercanti e di artigiani è il prodotto di uno spirito nuovo e di nuovi bisogni.

Intanto la base della corporazione artigiana sembra posta nella confraternita, dove l'unione ha fini di devozione e di reciproco aiuto (schola, fraglia). Nel suo sviluppo giuridico essa tende a provvedere all'equilibrio della produzione economica, limitando e regolando i rifornimenti della materia prima, l'esportazione e l'importazione, eliminando la concorrenza, ostacolando l'intervento di stranieri e regolando i prodotti industriali con minute prescrizioni, ignote alle corporazioni romane. Invece, nell'interno dell'arte, noi troviamo un' organizzazione che richiama l'antica: a capo vi sono funzionarî liberamente eletti (consoli, gastaldi, priori rettori, massari), tra i componenti dell'organizzazione si distinguono i maestri, capi dell'officina, dai lavoranti e dai garzoni, destinati anch'essi a diventare maestri (maîtres, apprendistes, garçons, meister, geselle, schelinger). Nella corporazione, vale il principio della giurisdizione speciale, per cui i capi giudicano le controversie tra i soci e quelle tecniche relative all'arte.

Generalmente si distingue tra i corpi dei mercanti e quelli degli artigiani. La corporazione dei mercanti, detta universitas o ars mercatorum, paraticum mercatorum, mercadantia, mercanzia (v. mercanzia), raccoglie in una sola organizzazione o in poche grandi organizzazioni, grossi industriali e mercanti, che producono merci destinate all'esportazione, lana, seta, armi, o che provvedono allo scambio dei prodotti, in gran copia, nelle fiere e nelle città lontane. Alla metà del sec. XII, sono già organizzate a Piacenza (1154), a Milano (1158), a Roma (1165), e in altre città. Hanno a capo consoli o rettori, che sono chiamati a partecipare ai negozî politici e a sorvegliare certi servizî pubblici relativi al commercio: strade, giurisdizione mercantile, dazî, mercati, annona. Mentre in alcune città, come a Genova e a Venezia, dove la classe dominante corrisponde quasi esattamente alla classe mercamile, la corporazione dei mercanti o mercanzia mantiene il carattere unitario, presso altre invece, dove il contrasto delle classi è più vivo e violento, come a Firenze, si staccano dal nucleo primitivo nuovi nuclei mercantili e formano le arti maggiori.

Arti, in senso proprio, sono le unioni degli artigiani, legati dal vincolo del mestiere e costituiti in società, con fini di culto, di vicendevole difesa e d'aiuto. Come corpo differenziato, con personalità giuridica, compaiono soltanto a incominciare dal sec. XII, e si moltiplicano rapidamente nelle città, via via che ogni arte, ogni mestiere si scioglie dai vincoli del sistema curtense, oppure si distacca da un maggiore organismo artigiano, cui era originariamente congiunto. In origine, l'appartenenza all'arte è libera; poi si proibisce l'esercizio del mestiere al non iscritto alla corporazione.

Nell'organizzazione delle arti, si deve distinguere tra i paesi, dove il potere centrale riuscì a mantenere salde le proprie prerogative, come a Venezia, oltreché nei regni di Napoli e Sicilia, in Francia, in Aragona e in Catalogna e in alcuni paesi della Germania, e gli altri, dominati dallo sviluppo autonomo della città, dove il potere centrale fu costretto a dividere le proprie prerogative con gl'interessi delle classi. Nel primo caso, le arti non furono veramente se non organizzazioni di mestiere, con fini relativamente limitati e con scarsi poteri politici. Qui le arti furono più numerose; ma ebbero minore influenza politica e furono più rigorosamente sorvegliate dalle pubbliche autorità. A Venezia tutti i mestieri formarono la propria schola o mariegola, con statuti esaminati e approvati dalla pubblica autorità, sotto un pubblico ufficio di controllo, detto Giustizia; più tardi (sec. XVI) sotto i Cinque Savî, più tardi ancora (1707) sotto gl'inquisitori sulle arti; in Francia, il Livre des métiers di Stefano Boileau (1268) enumera per Parigi circa cento mestieri organizzati, divisi in sei gruppi (alimentazione, oreficerie e arti belle, metalli comuni, stoffe e abbigliamento, cuoio e pelliccerie, costruzioni), e questi mestieri sono concepiti sotto la proprietà del re, che delega proprî funzionarî alla sorveglianza e alla giustizia. Non diversa è la situazione delle maestranze siciliane e dei gremî spagnoli.

Invece, nelle città libere, e principalmente nelle grandi città industriali e commerciali, come Milano, Firenze, Piacenza, Bologna, Siena, Pisa, Perugia, oltreché nelle città delle Fiandre e presso alcune della Germania, le arti organizzate si costituirono in regime di privilegio e attivamente parteciparono alla vita politica; sicché furono meno numerose, ma più assorbenti, e finirono col soffocare le libertà comunali. Nella maggior parte di queste città, si distinsero le arti maggiori, costituite dai grandi collegi industriali e mercantili interessati all'esportazione, dalle arti minori, costituite dalle altre professioni e dagli altri mestieri, che avevano guadagnato il diritto di organizzazione. A Firenze si ebbero sette arti maggiori (giudici e notai, mercanti di Calimala, cambiatori, medici e speziali, arte della lana, arte della seta, pellicciai), e cinque minori, cresciute più tardi a quattordici (beccai, calzolai, fabbri, maestri di pietre e di legname, galigai, vinattieri, fornai, oliandoli, chiavaiuoli, linaiuoli, legnaiuoli, corazzai, correggiai, albergatori); a Pisa, tre mercanzie (arte del mare, mercatanti e lanaiuoli) in contrapposto alle sette arti minori; a Perugia, tre arti maggiori o grosse (cambiatori, mercanti e calzolai), in confronto con numerose arti minute; e così via. Le arti maggiori ebbero subito privilegi nel governo del comune, assicurando la prevalenza alla borghesia grassa; ma più tardi anche le arti minori pretesero una partecipazione al governo (v. milano; firenze; perugia: storia). A Genova i mercanti tennero lungo tempo, insieme coi nobili, il governo della città; a Rouen i syndics de drapier finirono con l'amministrare per secoli la città. A Firenze, dove lo sviluppo democratico fu più completo e caratteristico, si limitarono i diritti politici agli ascritti alle corporazioni (1282), si esclusero i nobili (magnati) da ogni attività politica (1292), e si consacrò il governo delle arti.

Simile movimento era stato generale nelle città italiane. Le arti avevano guadagnato una partecipazione al governo comunale, mediante i proprî capi o delegati (capitudini delle arti, consolato della mercanzia o delle arti), ma non si accontentarono; vollero più ampî poteri, contro i nobili, contro la borghesia grassa, e organizzarono i contrasti e le rivoluzioni. A Milano, nel 1198, si organizzò la credenza di S. Ambrogio, affermazione delle classi popolari riunite nelle arti contro il comune dei nobili e dei mercanti; e, nel corso del sec. XIII, in tutte le città italiane, sull'unione delle arti minori, si fonda un commune populi, che si contrappone al vecchio comune, sotto il comando del capitano del popolo e dei consigli delle arti; per ciò l'organismo politico del comune viene smembrato, e si prepara rapidamente l'avvento della signoria e dei tiranni (v. comune), avvento che trionfa in quasi tutte le città italiane tra la fine del sec. XIII e il principio del XIV. Soltanto a Firenze, a Siena e in poche altre città, il governo democratico delle arti riesce a reggere più a lungo (fine del sec. XIV); ma anche in queste città al comune democratico succede la signoria.

S'inizia allora un nuovo periodo per la storia delle arti. Queste, di fronte al signore, perdono ogni potere politico, e restano come organizzazioni di mestiere, con fini religiosi ed economici, oltreché di controllo della produzione; e si trasformano in cerchi chiusi di protezione professionale e artigiana, soggette all'approvazione della pubblica autorità. Allora le corporazioni artigiane diventano anche più numerose, essendo concesso il diritto di organizzazione a taluni mestieri inferiori, dipendenti da arti più potenti, i quali ne erano rimasti privi. Ma ormai le arti hanno perduto ogni spirito d'iniziativa, assumendo quel carattere monopolistico, che serve a conservare la tradizione dell'arte, a regolare il prodotto, a determinare i prezzi, a livellare le mercedi, ma irrigidisce le forme del mestiere.

È il periodo della decadenza delle arti. Ma ormai, dall'economia dell'artigianato si passa all'economia capitalistica moderna. Questa tende a rompere i vecchi vincoli, per sostituirvi i principî della libertà del lavoro e della libera concorrenza. L'artigianato cede il posto all'impresa, dove il capitalista organizza operai, che sono meramente salariati.

Le nuove dottrine economiche del sec. XVIlI si propagarono rapidamente. Anche a Venezia, dove si reggeva ancora la vecchia aristocrazia e dove le arti vissero fino al 1796, si studiò fin dal 1714 il problema della libertà del lavoro, e si prepararono progetti per la trasformazione delle arti. In Francia Turgot condusse una serrata battaglia contro i vincoli delle vecchie arti, ma il suo tentativo di abolirle non riescì. L'abolizione invece si ebbe in Italia, per opera dei principi riformatori. Un editto di Pietro Leopoldo di Toscana aboliva, nel 1770, tutte le corporazioni e le magistrature delle arti; nella Lombardia austriaca, una legge del 1770 toglieva tutti i privilegi ai corpi d'arte, e un'altra del 1778 e del 1786 procedeva a una soppressione generale. Questa si ebbe in Francia ai tempi della rivoluzione: l'assemblea costituente abolì le corporazioni degli artigiani e dei mercanti, le maestranze e le leghe giurate, e proibì che se ne creassero di nuove. Essa proclamò la libertà del lavoro e del commercio, imponendo soltanto la patente, corrispondente a una pubblica autorizzazione. Con la rivoluzione francese, l'abolizione si estese rapidamente nei varî stati italiani, che non l'avevano ancora adottata, oltre che nel Belgio, nella Spagna, e in varie regioni della Germania. L'economia liberistica trionfava intanto in tutti i paesi d'Europa. Essa si era affermata ormai, col principio del sec. XVIII, in Inghilterra, dove le antiche gilde mercantili e artigiane erano state superate; e, fin dal chiudersi del sec. XVIII, in Inghilterra stessa, lo spirito d'associazione e il sentimento di libertà crearono le nuove forme d'organizzazione operaia, che si costituirono come società operaie per soccorso mutuo e come sindacati (v. societâ di mutuo soccorso e sindacalismo). Sotto queste forme sorsero anche le nuove organizzazioni nel continente europeo e negli stati liberi d'America (v. anche corporazioni).

Bibl.: I. P. Waltzing, Les corporations professionelles chez les Romains, Lovanio 1895 segg., voll. 4; P. Martin de Saint Léon, Histoire des corporations des métiers, 2ª ed., Parigi 1920; A. Solmi, Le associazioni in Italia avanti le origini del comune, Modena 1898; G. Arias, Sistema della costituzione econ. e soc. dei comuni italiani, Torino 1905; C. Rodocanachi, Les corporations ouvrière à Rome, Parigi 1894; A. Doren, Florentiner Zunftwesen, Stoccarda 1909; A. Alberti, Le corporazioni d'arti e mestieri e la libertà del commercio, Milano 1891.

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