ASCO

Enciclopedia Italiana (1929)

ASCO (dal greco ἀσκός "otre")

Luciano Laurinsisch

Denominazione convenzionale tratta da una glossa di Esichio (s. v. ἀσκός), per indicare un recipiente atto a contenere acqua e vino, foggiato a otre, e, per estensione, per designare qualsiasi vaso arieggiante a figure animalesche o semplicemente costituito da un corpo ventricoso con un beccuccio applicato di fianco, come una protome d'animale, e fornito di un'ansa arcuata inserita nella parte superiore. Di altissima antichità, poiché lo ritroviamo in Asia Minore sin dall'età eneolitica (Troia II), in Grecia dalla prima età del bronzo (Dimini in Tessaglia), e in Italia nella prima età del ferro (Tolfa e Allumiere) si presenta sotto varie forme. Così troviamo l'asco a forma di pesce in età micenea in Argolide e a Cipro, di uccello acquatico a Creta, Cipro, nell'Apulia preistorica e in Etruria, di quadrupede specialmente nelle Cicladi, in Apulia e nella Cispadana. Così compaiono in un'epoca antichissima di passaggio fra l'età della pietra e quella dei metalli gli aschi a forma di sacco panciuto con un beccuccio di fianco (Troia IV e V, Civiltà cicladica anteriore). Gli aschi foggiati ad anello di età micenea, con un'apertura ad alto collo posta di lato, si sono ritrovati invece a Egina, sulla Acropoli di Atene, e, di età più tarda, a Naucratide e a Vetulonia. Nella ceramica attica del sec. V a. C. l'asco si presenta con un corpo formato da una pallotta sferica assai bassa, chiusa da una superficie piatta, talora decorata, sulla quale si innalza l'ansa ad arco.

Di fianco v'è il beccuccio svasato.

Le figure dànno alcuni tipi greci e italici di varie epoche.

Nell'Italia meridionale all'asco diffuso sino dalla più remota antichità subentra nell'età ellenistica un tipo nuovo di vaso assai somigliante, ma con un'ansetta ad anello, che gli archeologi identificano col guttus, più volte menzionato dagli antichi (v. gutto).

Secondo il Mayer, che maggiormente ha studiato il tipo dell'asco, esso serviva a rinfrescare il vino. Infatti, riempito e posto nell'acqua, restava in equilibrio indifferente, di modo che non c'era pericolo che si sommergesse. Questo spiegherebbe anche la predilezione degli antichi nel dare all'asco la forma di uccello acquatico o di pesce.

Bibl.: E. Saglio, in Ch. Daremberg-E. Saglio, Dict. des antiq. grecques et rom., I, Parigi 1877, p. 473 (dà tutta la bibliografia precedente); W. Smith, A Dict. of Greek a. Rom. antiq., Londra 1890, p. 210; H. B. Walters, Hist. of ancient pottery, I, Londra 1905, p. 199; M. Mayer, Askoi, in Jahrb. d. kaiserlichen deutschen archäologischen Institut, XVII (1907), p. 207; A. Grénier, Bologne villanovienne et étrusque, Parigi 1912, p. 246, fig. 53; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung d. Griechen, Monaco 1923, § 43, 192, 435.

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