ASCOLI PICENO

Enciclopedia Italiana (1929)

ASCOLI PICENO (A. T., 24-25-26)

Ettore RICCI
Luigi SERRA
Margherita GUARDUCCI
Tammaro DE MARINIS

PICENO Città capoluogo di una delle quattro provincie marchigiane, antichissimo centro piceno, poi municipio romano, ha nome greco-romano: "Ασκουλον, con le varietà "Ασκλον ("Ασκλον τὸ Πικηνόν in Strabone) e "Ασκϕλος, Asculum Picenum presso Cesare, Asclum nell'Itin. Anton., Asclo Piceno nella Tavola Peutingeriana e Asculus presso Paolo Diacono. L'appellativo di Piceno fu aggiunto al nome Ascoli già da Cesare, per distinguere il centro marchigiano dall'omonimo dell'Apulia. La città sorse in un punto per natura fortissimo, su un rilievo cuneiforme, alla confluenza del Tronto e del Castellano, affluente di destra del primo, nel luogo ove i due fiumi, vinta la resistenza dell'Appennino, defluiscono al mare vagando uniti nella fertile piana alluvionale truentina, che degrada dolcemente da questo punto all'Adriatico. La valle del Tronto apre l'accesso all'interno della Penisola, attraverso la gola di Arquata, ai piedi del poderoso e serrato rilievo dei Sibillini, e anzi Ascoli, che dista 160 km. da Roma e 25 dal mare, si trova proprio sulla più breve comunicazione peninsulare tra Roma e l'Adriatico. La città, che è a 42°52′ di lat. N. (altitudine m. 145 alla stazione, m. 153 al centro), affacciata sulla piana truentina, vede: a S. prossime le pareti travertinose (lapis asculanus) del S. Marco, cui si sale immediatamente dai singolari archi di Porta Cartaria; a N. la cinerea, bizzarra cresta argillosa del M. Ascensione o Polesio (m. 1103); a O. la lontana gigantesca linea dei Sibillini.

La media annua della temperatura di Ascoli è 14°4, quella del gennaio è 4°9, quella del luglio 24°8, con un'escursione di 19°9; gli estremi assoluti sono −7°1 e 40°. Le precipitazioni annue misurano 897 mm., e si contano 83 giorni piovosi e 4,3 nevosi in media all'anno; l'umidità relativa è del 64%; dominano in ogni stagione i venti del 3° quadrante (O. e SO.), poi quelli di E.

La città, nel suo più volte millenario sviluppo topografico, ha volto lo sguardo ad E., al mare, in quattro fasi che nette si rilevano dai ruderi, dalle reliquie, dai monumenti: quella romana; la città dei secc. X-XIII; la città del Rinascimento; la italica o moderna e attuale. La "strada breve" di Strabone, la Salaria, partita dalla Porta Collina dell'Urbe, entrava in Ascoli dalla tuttora intatta Porta Binata e, slargatasi nel Forum, ne usciva dal Ponte di Cecco sul Castellano; ai due estremi, due muraglie trasverse sbarravano e difendevano il varco e la città, tutta dominata, sulla destra, dal Capitolium (grotte dell'Annunziata); la città dei secc. X-XIII, con le sue duecento torri gentilizie (museo della casa italiana del Mille), si diffondeva fra quelle due muraglie e presso l'ardito ponte romano di Porta Cappuccina; la città del Rinascimento, entro la stessa cerchia della precedente, definiva le magnifiche piazze del Popolo (e la Croce del Trivio) e d'Arringo; infine, la città italica, erompendo a valle, si volgeva con il giardino pubblico, le ville e le industrie verso lo scalo ferroviario. La città, nel 1921, aveva 16.124 ab. Come la via Salaria raggiungeva l'Adriatico alla foce del Tronto (Castrum Truentinum), così oggi un tronco ferroviario unisce Ascoli con la grande litoranea a Porto d'Ascoli.

Il territorio del comune, le cui quote estreme sono m. 50 e m. 1100, copre una superficie di kmq. 159,32, dei quali ha. 14.203 di terreni produttivi, agrarî o forestali, distribuiti nella piana alluvionale, nella bassa e alta collina e nella montagna. La popolazione del comune ha avuto, nell'ultimo quarantennio, lo sviluppo demografico che risulta dal quadro seguente:

Dei 32.095 ab. censiti nel 1921, 10.175 vivevano sparsi in campagna e 21.920 distribuiti in una quarantina di piccoli centri, oltre il centro capoluogo. La popolazione del comune, calcolata al 31 dicembre 1925, risultò di 35.105 abitanti.

Nel campo economico, agricolo-industriale, Ascoli, memore della floridezza medievale, dalla metà del secolo scorso ad oggi, per virtù cittadina e con moto progressivo, è andata conquistando un posto di prim'ordine nel medio Adriatico e, sotto certi riguardi, un primato: quel moto si accelerò al principio del secolo, con la grandiosa messa in valore delle acque del Tronto come energia elettrica (impianto di Venamartello-Acquasanta). Sono stati intensificati col sussidio della scienza le colture e i prodotti agricoli tradizionali: cereali, vite, frutteti, orti, le già celebri ulive, miele, i tartufi; tra le industrie hanno avuto incremento le paste alimentari, i distillati di vinacce, il carbone vegetale; molto importante è pure l'allevamento del baco da seta, e la preparazione del seme ha raggiunto un primato mondiale attraverso il più accurato esame microscopico e la più scrupolosa selezione (Università pratica della seta). La grande industria moderna si è affermata poderosamente nei forni elettrici, nell'elettro-carbonium e nel carburo; l'arte, nelle ringiovanite ceramiche. La saldezza finanziaria della città è manifesta nei suoi istituti di credito, primo l'antica (1842) Cassa di risparmio.

Ascoli è antichissima sede vescovile, che dipende direttamente da Roma; è ricca di musei, di scuole d'ogni grado, disposte intorno al Liceo classico Stabili, di un orfanotrofio maschile (Cantalamessa), e di uno femminile, dell'antica (1868) Scuola professionale Sgariglia e di molte altre opere di beneficenza e previdenza sociale di remota fondazione.

Monumenti artistici. - Ascoli è ricca di fabbriche monumentali, in ogni via, in ogni piazza, dal romanico al barocco. Del periodo romanico, notevole soprattutto è l'imponente Battistero, uno dei maggiori monumenti di quell'architettura in Italia, databile agevolmente nel sec. XII. Al pari degli altri monumenti locali, esso è costruito in travertino ascolano. Le chiese sono informate ad uno schema assai semplice: la facciata ha coronamento orizzontale o la torre campanaria in luogo di un'ala, disposizioni non ignote ai costruttori lombardi, ma proprie essenzialmente delle chiese abruzzesi e umbre, ed è animata da un solo portale con lunetta scolpita e rosone intagliato; l'interno ha la zona presbiteriale sollevata appena di qualche gradino e l'abside poco sviluppata, come nelle chiese abruzzesi; tipico è l'impiego dell'arco col solo estradosso a sesto acuto. S. Vittore si può riportare alla fine del sec. XII o al principio del XIII; S. Angelo Magno ha il prospetto datato 1292; S. Tommaso si può ritenere della seconda metà del sec. XIII; di S. Maria inter Vineas è da ricordare l'imponente torre campanaria (fine sec. XIII); in S. Giacomo, anch'esso sorto fra il sec. XIII e il sec. XIV, la facciata primitiva è ora divenuta la parte postica; della chiesa dedicata ai Ss. Vincenzo ed Anastasio nel sec. XII fu costruita una parte della nave mediana con la torre, nel XIII-XIV fu fatto l'ampliamento a tre navi, in guisa da comprendere il campanile, e fu eretta la facciata a specchi quadrati, su esempî abruzzesi ed umbri. Da ricordare ancora la cripta del Duomo del sec. XII, S. Maria delle Donne del sec. XIV; S. Pietro in Castello con la facciata dei secoli XIII e XIV. L'edilizia civile ha due insigni esempî: l'Arengo di cui è conservato nel Palazzo Comunale il piano terreno, due sale, cioè, con vòlte a crociera impostate su filari di colonne, sul tipo delle sale capitolari, mentre del salone soprastante restano solo le tracce di sei finestre; il Palazzetto cosiddetto longobardo, ma, al pari della fabbrica precedente, non anteriore al sec. XII, con quattro biforette nella facciata che temperano la fierezza della fabbrica e della torre altissima cui si stringe. La scultura non ha nulla d'importante: né i rozzi rilievi con la lotta di due cavalieri, di un centauro con un leone, di Ercole armato di clava, intorno a una nicchia sulla parete della casa segnata col n. 16 sul Corso Umberto (fine del secolo XII), né le tre statuine nella lunetta del portale di S. Giacomo (2ª metà del sec. XIII), rigide e stentate, come quelle del portale maggiore della chiesa dei Ss. Vincenzo ed Anastasio (primi del sec. XIV), né le grossolane figure di Adamo ed Eva in S. Agostino. Modesto risalto ha anche la pittura. Gli affreschi di questo periodo in S. Vittore sono opera di varî pittori locali ispirati ad esempî abruzzesi e, attraverso essi, ad influssi bizantini. Invece delle arti minori si ha un mirabile esemplare nelle quattro lastre marmoree a finta tarsia (seconda metà del sec. XII) che sono incastrate nella mensa dell'altar maggiore in duomo: ritraggono tecnica e motivi ornamentali da esemplari bizantini, come le analoghe lastre del duomo d'Ancona.

Per l'architettura gotica è da considerare la chiesa di S. Francesco. Cominciata nel 1242, fu consacrata soltanto nel 1371, quando la costruzione non era terminata. Nel 1461-65 fu eretta una delle due torri esagone, quella verso la piazza. L'interno venne terminato nel 1464, salvo la cupola che fu innalzata nella prima metà del sec. XVI e le vòlte del 1567. La facciata s'inspira alla tradizione abruzzese nel taglio orizzontale, mentre nello schema dei portali richiama quella veneziana, che è evocata altresì dalla veduta di fianco e da quella postica, animata dal movimento di sette corpi poligonali e dallo slancio delle due torri. L'interno è a tre navate divise da pilastri ottagoni, col presbiterio sormontato da una cupolina poligonale e col coro, ottagonale, fiancheggiato da sei cappelline con matronei a vòlte stellate. Altre chiese notevoli in questo periodo sono: S. Agostino, per l'interno eretto tra il 1317 e il 1381, e S. Pietro Martire del 1332. Invece per la pittura è memorabile la Madonna dell'Umiltà del fabrianese Francescuccio di Cecco Ghissi, in S. Agostino, di vivace ornamentazione, accesa d'oro e vibrante di colore, oltre a taluni affreschi in S. Vittore e ad altri staccati dalla chiesa di S. Onofrio ed esposti nella Pinacoteca. Nelle arti minori si ha una serie di opere cospicue: lo stupendo piviale regalato da Nicolò IV alla cattedrale, ora nella Pinacoteca, squisitamente ricamato e colorito fra il 1265-68, di lavoro inglese; in Duomo, il paliotto argenteo, opera d'un artista locale sotto l'influsso abruzzese (2ª metà del sec. XIV), la cassetta eburnea della scuola degli Embriachi (fine del sec. XIV), gli stalli del coro intagliati dai fratelli Paolino e Francesco di Giovanni; il reliquario della Sacra Spina, nella chiesa di S. Pietro Martire, firmato da Nicola da Campli, in cui l'immagine dell'angelo portareliquia è opera francese della seconda metà del sec. XIII.

Dell'edilizia civile nel sec. XV e nel XVI s'hanno numerosi esempî che dànno un alto decoro alla città. Prima l'agile Loggia dei mercanti, addossata al fianco destro della chiesa di S. Francesco; il Palazzo Bonaparte, col portale e le spaziate finestre a croce guelfa; l'austero Palazzo Malaspina; la Piazza del Popolo, coi porticati e le grandi moli del tempio francescano e del Palazzo del Popolo, che ebbe nel Cinquecento, per opera di Cola dell'Amatrice, il portale sormontato dalla statua di Paolo III, ma le cui origini rimontano al sec. XIII. Belle corti, nei palazzi privati. Nell'edilizia religiosa convien ricordare il portale sul fianco destro del Duomo e la facciata stessa di esso, classicheggiante, che si ascrive a Cola; infine il prospetto della chiesa di S. Agostino.

Nicola Filotesio, detto Cola dell'Amatrice (v.) qui si può ben conoscere come pittore dai suoi inizî crivelleschi alla sua fine retorica e michelangiolesca. Le chiese di S. Francesco, di S. Agostino, di S. Angelo Magno, dell'Annunziata hanno dipinti suoi; molti altri occupano quasi da soli l'aula massima della Pinacoteca civica. Di Carlo Crivelli, che per la chiesa dell'Annunziata dipinse la stupenda Annunciazione ora nella Galleria Nazionale di Londra, rimane il grande polittico della cattedrale, firmato e datato 1473, con la bella cornice originale. Egli ebbe in Ascoli un fedele seguace, Pietro Alemanno, nelle cui opere (trasferite dalle chiese nella Pinacoteca, salvo la Madonna in S. Giuliano) troppo si affievoliscono le qualità del maestro. Bisogna citare anche gli affreschi nel sotterraneo della chiesa dei Ss. Vincenzo ed Anastasio e quelli della cappella sotterranea di S. Vittore. Di sculture ben poco: il già ricordato simulacro del pontefice Paolo III, e quello di Giulio II eretto sul fianco destro di S. Francesco. Le arti minori vantano il più insigne orafo della regione, fantasioso decoratore sulla direttiva gotica, mentre nel modellare le figure con vigore e carattere sente i nuovi ideali dell'arte. A lui si ascrive il reliquario del braccio di S. Emidio e il simulacro del santo nel tesoro della cattedrale. Antonio Moys di Anversa intagliò nel 1565 l'armadio collocato nella sacrestia del duomo e un soffitto nella Cassa di Risparmio ora rinnovata su disegno dell'architetto Cesare Bazzani.

Tra il '600 e il '700 Giuseppe Giosafatti (1642-1731) trasformò il vecchio Palazzo comunale e gli diede una nuova facciata con cariatidi sulle finestre, costruì la chiesa di S. Emidio alle Grotte ispirandosi alla romana S. Maria della Pace, disegnò con brio il balcone del giardino Odoardi. Al figliolo di lui, Lazzaro, si devono il palazzo Lenti Gallo e, per la scultura, il S. Emidio della cripta del duomo, ma furono entrambi artisti modesti. Anche i pittori non si elevarono allora a grandi altezze: Ludovico Trasi (1636-1689), Tommaso Nardini (morto nel 1718), Biagio Miniera (1697-1755), Nicola Monti (morto nel 1793). Si rilevano accanto ad essi Andrea Pozzo col Martirio di S. Venanzo nella chiesa dedicata al santo, Giacinto Brandi e il Maratta con le tele nella chiesa di S. Angelo Magno.

Per l'età moderna si debbono ricordare il palazzo Saladini Pilastri di Luigi Poletti, le sculture di Emidio (1808-1876) e di Giorgio Paci (1820-1914), la decorazione pittorica del salone della Provincia, eseguita da Adolfo de Carolis, quella della chiesa dei Cappuccini affrescata da Paolo Mussini. Una considerevole dovizia di pittura ha la Pinacoteca civica. Iniziata nel 1861, venne riordinata nel 1919 e nel 1924. La suppellettile artistica vi è disposta come in un appartamento di rappresentanza, con ampio corredo di mobili e tappezzerie. Per numero di opere supera tutte le altre raccolte civiche delle Marche. Oltre il già notato piviale di Nicolò IV, vi si ammirano, del periodo gotico un polittico della maniera di Andrea da Bologna; due trittici già attribuiti a Carlo Crivelli, ma probabilmente dell'Alemanni; una malandata tela di Tiziano, firmata, con S. Francesco che riceve le stimmate, e per il '600 e '700, tele del Maratta (bello il ritratto della miniatrice Garzoni), un paese del Brandi, quadri di Pietro da Cortona, di Mario de' Fiori, di Annibale Carracci, del Pannini, del Sassoferrato, dello Strozzi, del Magnasco, del Conca, del Ghezzi, del Belletto, dello Zuccarelli, un'Annunciazione del Reni, un Transito di S. Giuseppe (1677) di Luca Giordano. Molte opere anche dell'800; sculture del Tenerani, del Tabacchi, del Rosa, del Barbella, del Canonica; dipinti dell'Appiani, dell'Agricola, di Luigi Sabatelli, del d'Azeglio, del Podestà, di D. Induno, del Barabino, del Fracassini, del Faruffini, del Morelli, del Palizzi, del Celentano, del de Carolis, del Grosso, del Pellizza, del Patini, del Cantalamessa.

Nel Museo archeologico v'è anche una sezione medievale: suppellettili di necropoli barbariche, frammenti di architetture e sculture, oreficerie, tra cui una placchetta attribuita al Caradosso, due corali quattrocenteschi miniati, alcune ceramiche di Castelli.

Storia. - L'età antica. - Sappiamo dagli scrittori latini che nel 286 a. C., dunque poco tempo dopo la vittoria definitiva sui Sanniti, Ascoli, e con essa tutto il Piceno, cadde in potere dei Romani. Fra il 91 e l'89 a. C. essa ebbe parte notevole nella guerra sociale; anzi si narra che proprio Ascoli desse la scintilla dell'incendio con l'assalire nel suo teatro i magistrati romani. Ma il sangue sparso le fruttò due anni dopo una dura punizione, quando Pompeo Strabone, avendola conquistata, la desolò di rovine. Testimoni del memorando assedio, furono rinvenuti presso la città numerosi proiettili iscritti col nome del duce romano. E il 25 dicembre dell'89, a quanto ci affermano i Fasti trionfali, venne celebrato il trionfo de Asculaneis Picentibus (Corp. Inscr. Lat., I, 11, p. 49). Nuovo fiore acquistò Ascoli durante la guerra civile, e ancora ne venne apprezzata la felice posizione (Cesare, De bello civ., I, 15). Verso il 50 a. C. fu semplice municipio (Cicerone, Pro Sulla, 8); più tardi vi fu dedotta una colonia. Ascoli appartenne alla tribù Fabia. Della vita di Ascoli romana sono testimoni le iscrizioni ivi rinvenute (Corp. Inscr. Lat., IX, 5177-5274; 6414 a, 6415 a, ecc.). Per secoli ancora, fino all'epoca longobarda, essa rimase una delle più forti città del Piceno (Paolo Diacono, Hist. Langob., II, 19).

Il Medioevo e l'età moderna. - Il cristianesimo fu introdotto in Ascoli nel sec. IV da Sant'Emidio, primo vescovo e poi patrono della città. Dopo la caduta del dominio romano, la città fu, naturalmente, sottoposta ai varî dominî che si susseguirono nelle Marche: i Goti di Totila la presero nel 544 (Procopio, Bell. Goth., III, 11); i Longobardi vi dominarono, incorporandola nel ducato di Spoleto, e vi lasciarono una necropoli presso Castel Tropino (Mon. ant. Lincei, XII, 1902, pp. 146-344). Poi si afferma il potere temporale dei vescovi, sinché sorge il libero comune (1185), la cui vita è contrassegnata, qui come altrove, dai contrasti interni delle fazioni (guelfi e ghibellini), dall'intervento nella contesa fra papato e impero (nel 1242, la città fu posta a sacco dalle truppe di Federico II: quasi metà delle sue duecento torri gentilizie vennero abbattute), dalle incessanti lotte contro le città vicine: in particolare, con Fermo. Ad Ascoli venne infatti concesso un navale, alla foce del Tronto; e ciò fu causa prima di guerre secolari (1256-1504) con Fermo, gelosa del suo antico navale. Ed era tuttavia un periodo di floridezza, in cui Ascoli aveva propria zecca, estendeva la giurisdizione anche su luoghi alla destra del Tronto, o d'Abruzzo, ed era in relazione con Venezia e Firenze. Le Costituzioni Egidiane (1357) annoverano Esculum tra le cinque città maiores et magis nobiles delle Marche. Al libero comune si sovrapposero poi, nei secc. XIV e XV, dominî signorili, di breve durata: così quello di Galeotto Malatesta, il quale nel 1349, per dominare la città da ovest, faceva erigere la fortezza Malatesta, distrutta poi dal popolo e restaurata dal Sangallo nel 1540. Così si seguirono le signorie de' Tibaldeschi, di Blasco Gomez, del duca d'Atri, del re di Napoli, di Francesco Sforza. Seguì, col 1502, il dominio pontificio, durato fino al 1860, salvo la breve parentesi della dominazione napoleonica, quando il territorio di Ascoli, con quelli di Fermo e Camerino, costituì uno dei tre dipartimenti piceni (quello del Tronto), del regno italico.

Dopo il 1815, la città divenne capoluogo d'una delle sei delegazioni delle Marche (1824). Subito dopo la battaglia di Castelfidardo, il 4 novembre 1860, ebbe luogo in Ascoli il plebiscito dell'annessione; e il 17 dicembre 1860 un decreto reale dichiara, infine, la regione picena annessa al nuovo Regno d'Italia e Ascoli capoluogo d'una delle quattro provincie di quella.

Tra i molti figli di Ascoli assunti a fama, ricordiamo solo papa Nicolò IV (che apparteneva alla famiglia Massi o Mascio), Cecco d'Ascoli (Francesco Stabili), l'umanista Enoc d'Ascoli, il pittore Pietro Alamanni, e il pittore architetto Nicola Filotesio o Cola dell'Amatrice (vissuto e formatosi ad Ascoli); i diligenti storici comunali, del '600 e del '700, S. Andreantonelli e F. A. Marcucci.

Le stampe di Ascoli. - Ascoli-Piceno si trova nel gruppo dei piccoli paesi che fra i primi in Italia ospitarono l'arte tipografica. Già nel 1477 un magistro Golielmo de Linis de Alamania aveva stampato una Cronica de Sancto Isidoro Menore "in casa del rev. Plebano de Sancto Venantio Miser Pascale"; più tardi, nel 1496, vi furono stampati gli Statuti della città da frate Giovanni da Teramo, prezioso libro di cui esiste un esemplare nella raccolta del marchese senatore Malvezzi in Bologna (1928).

La provincia di Ascoli Piceno. - È la provincia più meridionale delle Marche: da un confine nord-occidentale che corre per breve tratto alla destra del Chienti, ma poi si volge molto più all'interno a SO., essa si estende attraverso i bacini del Tenna, dell'Aso (che scendono dai Sibillini) e del Tesino (che scende dal M. Ascensione) fino alla sinistra del Tronto, che divideva il Piceno dal Regno di Napoli: solo a monte di Ascoli comprende anche gli affluenti di destra del Tronto, ma non le sorgive, che appartengono all'Abruzzo. La piega secondaria appenninica, calcareo-dolomitica, dei Sibillini (v.) raggiunge un'altezza media di 2100 m. (M. Vettore, 2478 m.) e presenta aspetto alpino; il Terziario recente fu portato a più di 1000 m. nel M. Ascensione (m. 1103). Per la breve distanza di questi rilievi dal mare il terreno è ripido e profondamente solcato dalle acque, fratturato, e non facili sono le comunicazioni interne, poiché vi è una sola via per Roma, l'antica Salaria, lungo il Tronto e attraverso la gigantesca gola di Arquata: ma essa è la più breve via tra l'Urbe e l'Adriatico.

Tale morfologia dà alla provincia un singolare carattere floristico e agrario: dalla flora alpina dei Sibillini, con rapida vicenda si passa ad una vegetazione litoranea quasi sub-tropicale su di una riviera adriatica ove prosperano gli agrumi e vegetano le palme.

La superficie della provincia è di kmq. 2085,16. Lo sviluppo demografico dell'ultimo quarantennio è dato dal quadro che segue:

La densità di 127, la seconda tra le densità delle provincie della regione, è prossima a quella del regno (126) e alquanto superiore alla media regionale (119): essa è data da un valore più alto nella Fermana collinosa e da uno notevolmente inferiore nell'alpestre Ascolano. Al 31 marzo 1927 la popolazione era distribuita in 72 comuni: di essi, S. Benedetto del Tronto, col territorio da m. 0 a m. 280, ha la densità massima (824), Montefortino, con territorio da m. 500 a m. 2260, la minima (34). Sulle medie degli ultimi anni, su 1000 ab., si ha un coefficiente di nuzialità di 8,5 matrimonî; un coefficiente di natalità di 31 nati (superiore alla media del regno); di mortalità di 16,5 morti (quasi uguale alla media del regno). La media dei reati denunciati è di 1525 su 100.000 ab., cioè quasi metà di quella del regno (2811).

La superficie agraria forestale è di ha. 192.306; l'annua produzione agraria media per i 4 principali prodotti è la seguente:

Il valore complessivo della produzione agraria nell'immediato anteguerra era di L. 69.800.000, con una media di L. 363 ogni ettaro (media della regione L. 316, del Regno 290); nel dopo guerra, di L. 372.200.000, con una media per ettaro di L. 1935 (media della regione L. 1661, del regno 1467).

Centri notevoli, dopo il capoluogo, sono: Fermo (ab. 23.304), in pittoresca posizione su un colle (320 m.), fra il Tenna e l'Ete, a 6 km. dal mare (dove ha il suo scalo in Porto S. Giorgio), e importante per monumenti e ricordi romani e medievali; S. Elpidio a Mare (ab. 13.032) pure in collina fra Tenna e Chienti; S. Benedetto del Tronto (ab. 11.291), la più notevole località marittima della provincia, importante centro di pesca; Acquasanta (ab. 8033), con le terme famose; Ripatransone (ab. 7345), e Offida (ab. 6692) nella valle del Tronto centro notevole di industria serica. (V. Tavv. CLI-CLVI).

Bibl.: Per la parte geografica (città e prov.) la bibliografia di Ascoli è molto ricca, ma qui non si indicano necessariamente che le opere più utili: G. Gabrielli, Ascoli Piceno nel 1882: guida della città e dintorni, Ascoli Piceno 1882; G. Castelli, La via consolare Salaria (con carta itineraria del Piceno), Ascoli Piceno 1886; id., La ferrovia Ascoli-San Benedetto: appunti tecnici e topografici con pianta in lit. del bacino inferiore del Tronto, Ascoli Piceno; V. Amici, alcune memorie sulla ferrovia elettrica Ascoli-Roma; A. Mascarini, Memorie geologiche sul "lapis tiburtinus", il travertino ascolano e le sue filliti, in Boll. del R. Com. Geol., 1888; L. Paolucci, Flora marchigiana, Pesaro 1890-91; Orsini, memorie varie geologiche; Guida della provincia di Ascoli Piceno, compilato per cura della sezione picena del C. A. I., Ascoli 1889 (a p. 496: tavola della viabilità per mandamenti; carta corografica 1 : 200.000 - la trattazione della città di Ascoli da p. 70 a p. 140); G. Castelli, L'istruzione nella provincia di Ascoli Piceno dai tempi più remoti ai giorni nostri, Ascoli Piceno 1899; Censimento del regno d'Italia del 1921; Elenco dei comuni del regno al 31 dicembre 1924, Roma 1925, p. 17 segg.; E. Ricci, Le Marche, Torino 1929, cap. xv.

Per le vedute prospettiche vedi: F. Valegio, Veduta prospettica di Ascoli, inc. in rame (cm. 13 × 8,5), Venezia 1580?, I. Blaeu, Ascoli, ville de l'État ecclésiastique situé dans la Marche d'Ancone, inc. in rame (centimetri 62 × 48), con veduta generale della città, Amsterdam 1680 (con 91 richiami).

Per la parte artistica v.: T. Lazzari, Ascoli in prospettiva, Ascoli 1724; B. Orsini, Descrizione di pitture, sculture e architetture in Ascoli, Perugia 1790; G. B. Carducci, Su le memorie e i monumenti di Ascoli, Fermo 1853; A. Ricci, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, Macerata 1834; C. Mariotti, Guida di Ascoli Piceno, 2ª ed., Ascoli 1925; id., Ascoli Piceno, 2ª ed., Bergamo s. a.; L. Serra, L'arte nelle Marche, Pesaro 1929; id., Le gallerie comunali delle Marche, Roma 1926; M. Morrys, Opus anglicum. II, The Ascoli Cope, in The Burlington Mag., VI (1904-05), pp. 440-48 (cfr. W. R. Lethaby, ibidem, LIV, 1929, pp. 304-8); C. Bertaux, Trésors d'églises. Ascoli Piceno et l'orfèvre P. Vannini, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, pubblicati dalla École Française de Rome, XVII (1897), pp. 77-112; M. Paoletti, P. Vannini e la scuola d'oreficeria in Ascoli nel quattrocento, in Rassegna bibliografica dell'arte italiana, 1907. Vedi inoltre la Storia dell'arte italiana di A. Venturi e quella di P. Toesca (passim).

Per l'età antica v.: Hülsen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., s. v. Ausculum; Kornemann, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., IV, col. 536, s. v. Coloniae; Nissen, Italische Landeskunde, II, p. 426 segg.

Per la storia medievale e moderna v.: Statuti vulgaremente tracti de li statuti licterali del comuno de la ciptà de Ascoli, ecc., Ascoli 1496; J. Sensi, Clarorum asculanorum praeclara facinora exposita, Roma 1622; S. Andreantonelli, Historiae Ascolanae libri IV etc., Padova 1673; F. A. Marcucci, Saggio delle cose Ascolane e de' vescovi di Ascoli nel Piceno dalla fondazione della città fino all'anno 1766 corrente, Teramo 1766; G. Colucci, in Antichità picene, XIV, Antichità Ascolane, Fermo 1792; Lettere critiche di I. E. P. A. (G. L. Ferri) al sig. Ab. d. Gius. Colucci intorno alle sue antichità Ascolane, Ascoli 1793; P. A. Appiani, Vita di S. Emidio, I° Vescovo e protettore di Ascoli e martire, con un ragguaglio della stessa città, ecc., Ascoli 1832; G. Frascarelli, Monumenti lapidarii delle chiese esistenti nella città di Ascoli nel Piceno, Ascoli 1853; G. De Minicis, Numismatica ascolana, ecc., Fermo 1853; G. Carboni Cantalamessa, Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di Ascoli, Ascoli 1830; G. Frascarelli, Relazione di quanto si operò nella venuta di Pio IX nella città di Ascoli nel Piceno, Ascoli 1859; Tambroni-Armaroli, Memoria sulla zecca di Ascoli, 1868; G. Rosa, Disegno della storia di Ascoli Piceno, voll. 2, Brescia 1869-70; E. Luzi, La chiesa ascolana, S. Benedetto del Tronto 1882; id., Compendio di storia ascolana, Ascoli Piceno 1889.

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