ASCOLI Satriano

Enciclopedia Italiana (1929)

ASCOLI Satriano (A. T., 27-28-29)

A. Jahn RUSCONI
Pietro ROMANELLI
Romolo CAGGESE Plinio FRACCARO

Comune della provincia di Foggia. L'appellativo di Satriano fu aggiunto al nome Ascoli dal 1860 (forse da una vicina località, Satricum, che sarebbe stata distrutta durante le guerre sannitiche), per distinguerlo da Ascoli Piceno. Il comune ha 8572 abitanti (9219 nel 1911, 9906 nel 1881); il solo centro di esso è il capoluogo, che ha 6876 abitanti e sorge, a 410 m. sul mare, su di un'altura, ai cui piedi scorre il Carapelle, e che si prolunga ancora più a sud a dividere la valle del Carapelle dalla valle dell'Ofanto. È, perciò, in bella posizione. La stazione ferroviaria, sulla linea Potenza-Foggia, è distante 4 km. dal centro. Il terreno delle sue campagne è costituito prevalentemente da argille e da ciottoli e sabbie, e sono a notevolissima distanza i calcari così diffusi in tutta la Puglia: ciò spiega perché Ascoli sia costruita parzialmente in laterizî, e perché essa sia la sola città pugliese di qualche importanza che non sia interamente pavimentata a lastre calcaree, ma in parte pavimentata con selci. La superficie territoriale del comune è molto vasta (331,34 kmq.); per poco meno della metà essa è tuttora coltivata a pascolo, cosicché Ascoli è fra le prime città della Puglia per allevamento di bestiame e addirittura la prima per numero di ovini, sia in rapporto alla sua area comunale sia in rapporto al numero dei suoi abitanti. Il quinto della sua popolazione (1696 nel 1921) vive sparso nelle campagne, il che costituisce una vera eccezione nella Capitanata.

La chiesa cattedrale di S. Potito, del sec. XII, ma rimodernata quasi completamente nel Rinascimento, ha una facciata con tre portali sormontati da archi ogivali. L'interno a croce latina, a tre navate, ha varî quadri di scuola napoletana del sec. XVIl e un coro in legno intarsiato anch'esso del '600. Altri monumenti notevoli sono l'Arco del municipio, con due leoni in marmo, epigrafi latine e bassorilievo funerario romano con due personaggi togati; e il palazzo della pretura, con un'epigrafe romana nella facciata.

Di origine antichissima e incerta, ma sicuramente pelasgica, Ascoli è l'Ausculum dei Romani. Che la forma vera e corretta del nome dell'antica città fosse quella di Ausculum possiamo rilevarlo dalle monete coniate nella città fra il secolo IV e il III a. C. con il nome scritto in lettere greche (cfr. R. Garrucci, Monete dell'Italia antica, II, p. 110 segg.; V.B. Head, Hist. Num., p. 45, ecc.). Il fatto di aver posseduto tale diritto di conio ci fa credere che la città godesse d'una certa importanza e floridezza: ciò che male rileveremmo dalle fonti storiche, che poco ci parlano di essa, e dagli itinerarî che nemmeno la ricordano. L'avvenimento più notevole cui essa è ricollegata è la battaglia svoltasi nei suoi pressi fra i Romani e Pirro nel 279 a. C. (v. pag. seguente). Anche nel racconto della guerra sociale torna il suo nome, a proposito di saccheggi compiuti dai Romani nel suo territorio (Appiano, Bell. Civ., I, 52). Secondo quanto apprendiamo dal Liber Coloniarum (pp. 210, 260), il territorio di Ausculo fu distribuito a coloni una prima volta da C. Gracco, poi da Giulio Cesare: questo fatto non significa però che la città stessa avesse avuto la concessione del diritto di colonia. Che anzi la scarsezza del materiale epigrafico e l'ignoranza quindi quasi completa in cui siamo circa le magistrature della città, ci vietano di affermare con sicurezza se anche durante l'Impero essa fosse pervenuta al grado di colonia, o fosse ancora a quello di municipio. Era iscritta alla tribù Papiria. Qualcuno ha pensato, forse non a torto, che di essa intenda parlare Orazio quando, nella satira quinta del primo libro (v. 86), descrivendo il viaggio a Brindisi, dice di un oppidulum quod versu dicere non est. Nelle iscrizioni la città è detta Civitas Ausculina o Ausculinus ager; in Festo, Osculum. Nel Medioevo il suo nome si trova generalmente nella forma Esculum, talvolta Exculum.

Storia. - A mezzo il sec. IX, i Saraceni la diedero alle fiamme; nel 1040, essa si ribellò ai Bizantini, uccidendo il catapano Niceforo Ducliano; il 4 maggio 1041, si combatté, a pochi chilometri dalla città, sull'Ofanto, la battaglia che assicurò ai Normanni il dominio delle Puglie. Durante la dominazione angioina, fu feudo di parecchie case, tra le quali quella dei d'Aquino, e spesso teatro di rivolte sanguinose contro signori feudali e vescovi odiati. Nel 1530, divenne feudo di Antonio De Leyva, e finalmente dei duchi Marulli. Fu teatro, nel 1799, d'una vasta tragedia sanfedista, oggi ricordata da una lapide in piazza Cecco d'Ascoli. È sede di uno dei più antichi vescovati pugliesi. Ha, come si è detto, una notevole cattedrale, e un castello dell'età angioina, in gran parte abbandonato.

Bibl.: Smith, Dictionary of Greek and Roman Geography, Londra 1873, s. v.; Corp. Inscr. Lat., IX, i, p. 62; E. De Ruggiero, Diz. epigrafico, s. v. I, Roma 1895, p. 950 ecc.; Giustiniani, Dizionario geografico del Regno di Napoli, Napoli 1797-1805, I; P. Rosario, Dall'Ofanto al Carapelle, Ascoli Satriano 1898 segg.; R. Caggese, Roberto d'Angiò e i suoi tempi, Firenze 1922, I, passim.

La battaglia di Ausculo. - Nel 279 Pirro avanzò da Taranto nell'Apulia, e i Romani gli opposero ambedue gli eserciti consolari (4 legioni e gli alleati), al comando dei consoli P. Sulpicio e P. Decio Mure. Le forze dei due avversarî erano quindi di circa 40.000 uomini per ciascuno; Pirro aveva inoltre 19 elefanti (le cifre più elevate date da alcune fonti sono improbabili). Le fonti dànno la battaglia come avvenuta presso Ascoli d'Apulia, sulle sponde di un fiume rapido e dalle rive boscose, che è probabilmente l'Aufidus violens di Orazio, che, scorrendo a 15-20 km. dalla città, ne formava il confine verso Venosa (meno probabile è che si tratti del Carapelle, che scorre 2 km. a N. di Ascoli). Il primo giorno il re tentò invano di passare il fiume di fronte al nemico, ed ebbe perdite notevoli; il secondo giorno la manovra gli riuscì, forse eseguendo il passaggio col grosso più a monte o a valle del settore guardato dai Romani. La battaglia si combatté quindi sulla sinistra del fiume, e, come ad Eraclea, i Romani, nonostante il loro valore, dovettero ripiegare sotto la pressione della falange epirota e infine dinnanzi all'attacco degli elefanti e della cavalleria che avevano pure passato il fiume. Ma le legioni non si disordinarono, e Pirro non osò attaccare il campo fortificato nel quale s'erano ritirate. Perciò la battaglia, che la tradizione greca rappresenta come una vittoria del re, è data dalla tradizione romana come indecisa o addirittura come vittoriosa per i Romani. Non fu in ogni caso, neppure tatticameme, una vittoria decisiva di Pirro, che dovette ritirarsi, rinunciando al suo piano offensivo; quindi strategicamente un insuccesso per lui. In tale occasione Pirro avrebbe pronunciato le famose parole: "Se vinceremo ancora una volta in battaglia i Romani, saremo finiti". Pirro dichiarò di aver avuto 3505 caduti; i Romani avrebbero perduto 6000 uomini.

La fonte migliore è Plutarco, Pirro, c. 21, da Ieronimo di Cardia: le altre fonti dànno notizie spesso dubbie e discordanti.

Bibl.: G. De Sanctis, Storia dei Romani, II, Torino 1907, p. 399 segg.; G. Belock, Griechische Geschichte, 2ª ed., IV, I, Berlino 1925, p. 549 e IV, II, 1927, p. 465 segg.; E. Pais, Storia di Roma, 3ª ed., V, Roma 1928, p. 371.

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