Aspettativa del lavoratore

Diritto on line (2015)

Maria Luisa Vallauri

Abstract

La voce è dedicata all’aspettativa, istituto che l’ordinamento non definisce in via generale, ma che è disciplinato nelle sue manifestazioni particolari dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Tali manifestazioni particolari sono per lo più accomunate da due elementi: la sospensione della prestazione lavorativa con diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo di tempo lungo (solitamente superiore ad un anno) e la mancata corresponsione della retribuzione o di un’indennità equivalente. Nel contributo saranno esaminate le ipotesi di aspettativa previste dalla legge (ad esempio l’aspettativa per ricoprire funzioni pubbliche elettive o cariche sindacali ex art. 31 st. lav., l’aspettativa per gravi motivi famigliari, l’aspettativa per seguire programmi di recupero dalla tossicodipendenza) e quelle più significative previste dai contratti collettivi (come l’aspettativa per malattia o infortunio fruibile al termine del periodo di comporto).

Aspettativa per funzioni pubbliche elettive o cariche sindacali

Una delle principali previsioni che riconoscono in capo al lavoratore il diritto a fruire di un periodo di aspettativa dal lavoro è quella contenuta nell’art. 31 st. lav. (cfr. di recente Galardi, R., Sub art. 31 Statuto dei lavoratori, in De Luca Tamajo, R.-Mazzotta, O., diretto da, Commentario breve alle leggi sul lavoro, Padova, 2013, 874 e ss. e già Del Punta, R., Aspettativa e permessi, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, 10 e ss.).

La norma statutaria dispone che al lavoratore spetti un periodo di aspettativa (che può essere continuativo o frazionato, come hanno precisato Cass., 1.12.1986, n. 7097, in Riv. giur. lav., 1987, 290; Pret. Milano, 18.6.1990, in Orient. giur. lav., 990, 29)quando venga eletto membro del Parlamento nazionale o del Parlamento europeo (ipotesi quest’ultima aggiunta dalla l. 19.6.1979, n. 348) o di assemblee regionali (ma v. infra a proposito dell’art. 77 d.lgs. 18.8.2000, n. 267), quando sia chiamato ad altre funzioni pubbliche elettive (co. 1) o quando sia stato chiamato a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali (co. 2).

La disposizione non prevede un obbligo per il lavoratore di sospendere la prestazione lavorativa quando versi in una delle situazioni suddette, né pone un divieto per il datore di lavoro di adibire il proprio dipendente allo svolgimento dell’attività, piuttosto riconosce in capo al prestatore un diritto potestativo a sospendere l’obbligazione lavorativa per il tempo del mandato e a veder conservato il proprio posto di lavoro (Assanti, C., Sub art. 31, in Assanti, C.-Pera G., a cura di, Commento allo statuto dei diritti dei lavoratori, Padova, 1972, 375. In giurisprudenza cfr. Cass., 7.2.1985, n. 953, in www.iusexplorer.it; Cass., 2.8.2011, n. 16865, in www.iusexplorer.it), perciò creando una «situazione di inesigibilità della prestazione» lavorativa (Ghezzi, G., Sub art. 31, in Ghezzi, G.-Mancini, G.F.-Montuschi, L.-Romagnoli, U., a cura di, Commentario allo statuto dei diritti dei lavoratori, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, 1972, 459), fondata sul riconoscimento della prevalenza del diritto a svolgere il mandato elettorale sull’interesse del datore a ricevere la prestazione.

L’aspettativa dà luogo alla sospensione dell’obbligazione lavorativa, ma non sospende il rapporto di lavoro, come del resto avviene nelle ipotesi previste dall’art. 2110 c.c. Lo si ricava da quanto sancito al terzo e quarto comma dell’art. 31 st. lav., a mente dei quali i periodi di aspettativa sono ritenuti utili, se l’interessato lo richieda, ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della pensione a carico della assicurazione generale obbligatoria – o a carico di enti, fondi, casse e gestioni obbligatorie equivalenti – così come al lavoratore è riconosciuto in caso di malattia il diritto alla prestazione posta a carico dei competenti enti preposti alla erogazione delle prestazioni medesime (salvo l’ipotesi in cui, in relazione all’attività espletata, non sia prevista per il periodo di aspettativa una forma previdenziale equivalente per il trattamento di pensione e malattia). Con riferimento ad un incarico sindacale, tuttavia, Cass., 18.10.1991, n. 8857 (in Orient. giur. lav., 1993, 26) ha precisato che il periodo di aspettativa non può essere considerato utile al riconoscimento degli aumenti periodici dell’anzianità quando il contratto collettivo colleghi tale diritto non alla sola maturazione dell’anzianità di servizio, ma all’effettiva prestazione dell’attività lavorativa.

L’art. 31, nella parte in cui prevede un diritto all’aspettativa per l’espletamento di cariche pubbliche elettive, dà attuazione al terzo comma dell’art. 51 Cost., il quale prevede che «Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il posto di lavoro».

L’art. 31 deve essere letto in combinazione con l’art. 81 del t.u. degli Enti locali (d’ora innanzi t.u.e.l.), d.lgs. n. 267/2000, il quale estende il diritto a beneficiare di un periodo di aspettativa a coloro che siano chiamati a ricoprire cariche pubbliche nelle «amministrazioni degli enti locali», ed esattamente a «i sindaci, i presidenti delle province, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti dei consigli circoscrizionali di cui all’art. 22, co. 1, i presidenti delle comunità montane e delle unioni dei comuni, nonché i membri delle giunte di comuni e province» (co. 2). L’aspettativa non è retribuita e ha la durata dell’intero mandato; è considerata come servizio effettivo prestato, nonché come legittimo impedimento per il compimento del periodo di prova.

L’amministrazione locale si fa carico degli oneri previdenziali, assistenziali e assicurativi – dandone comunicazione al datore di lavoro – nei confronti di sindaci, presidenti di provincia, presidenti di comunità montane, di unioni di comuni e di consorzi fra enti locali, di assessori provinciali e assessori dei comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, di presidenti dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti, di presidenti dei consigli provinciali che siano collocati in aspettativa non retribuita (art. 86, co. 1, t.u.e.l.), e provvede altresì a rimborsare al datore di lavoro la quota annuale di accantonamento dell’indennità di fine rapporto (co. 3).

Il diritto ad essere collocati in aspettativa non retribuita è concessa anche ai lavoratori che siano eletti consiglieri nei comuni anche metropolitani, nelle province e nelle comunità montane, ma in questo caso ad essi è imputato ogni onere (C. cost., 29.5.2013, n. 109, in Foro it., 2013, I, 2075 nt. di R., Romboli, ha escluso l’incostituzionalità della l.r. Sicilia 24.6.1986, n. 31 nella parte in cui non riconosce il diritto all’aspettativa non retribuita ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato eletti consiglieri circoscrizionali di un Comune, ritenendo che l’istituto dell’aspettativa sia incompatibile con la stipulazione di un contratto al quale sia apposto un termine al ricorrere di esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che giustificano la diversità di disciplina del rapporto).

Al fine del sorgere del diritto all’aspettativa e dell’applicazione della relativa disciplina sono equiparati ai lavoratori che ricoprono funzioni pubbliche elettive coloro che siano chiamati a ricoprire il ruolo di giudice popolare. L’art. 11, co. 1, l. 10.4.1951, n. 287 (Riordinamento dei giudizi di assise), come riscritto dall’art. 2 bis della l. 14.2.1978, n. 31, infatti, espressamente sancisce che «L’ufficio di giudice popolare è obbligatorio ed è parificato a tutti gli effetti all’esercizio delle funzioni pubbliche elettive» (lo ricorda per inciso anche Cass., 27.5.1987, n. 4748, in Not. giur. lav., 1987, 742).

Per quanto concerne i lavoratori in aspettativa per ricoprire cariche sindacali, l’art. 31 contribuisce a dare attuazione al principio di libertà sindacale sancito dall’art. 39, co. 1, Cost. in quanto consente al lavoratore che intenda ricoprire cariche sindacali, di poter espletare il proprio mandato senza pregiudizio della propria posizione lavorativa. La Cassazione ha, perciò, qualificato come antisindacale il rifiuto – illegittimo già di per sé, dal momento che anche in questa ipotesi il diritto a fruire di un periodo di aspettativa si configura come un diritto potestativo – di concedere il periodo di aspettativa al lavoratore che ne abbia fatto richiesta (Cass., 2.8.2011, n. 16865, cit.; Trib. Milano, 13.12.2006, in Orient. giur. lav., 2007, 239).

Nel definire l’ambito soggettivo di applicazione della previsione, il legislatore ha espressamente attribuito il diritto all’aspettativa a coloro che ricoprano cariche sindacali a livello provinciale o nazionale; tuttavia si deve ritenere che esso trovi applicazione anche nei confronti di lavoratori che assumano incarichi a livelli territoriali diversi da quello nazionale e provinciale, ad esempio regionale o di comprensorio, pena una ingiustificabile differenza di trattamento di soggetti chiamati a ricoprire ruoli sostanzialmente equivalenti.

Il legislatore non ha prescritto che, per aver diritto all’aspettativa, l’incarico assunto debba essere elettivo, potendo perciò il lavoratore essere incaricato direttamente dal sindacato, purché tuttavia le funzioni svolte, così come individuate dalle norme statutarie delle rispettive organizzazioni sindacali, abbiano natura rappresentativa e non amministrativa o gestionale (cfr. Trib. Lucca, 9.6.2001, in Riv. it. dir. lav., 2001, II, 17, nt. di G., Zilio Grandi)

Il ricorrere del suddetto presupposto è sufficiente perché il lavoratore possa fruire del periodo di aspettativa corrispondente alla durata del mandato, trattandosi – come si è detto – di diritto potestativo (fra le altre v. ancora Cass., 2.8.2011, n. 16865, cit.).

La Corte di cassazione ha precisato che l’aspettativa di cui all’art. 31 st. lav. può essere fruita dai soli lavoratori subordinati (sia del settore privato, che del settore pubblico: v. Cass., 5.8.2004, n. 15135, in www.iusexplorer.it; Cass., 9.5.2005, n. 9567, in Riv. it. dir. lav., 2006, 304, nt. di L., De Marco), escludendo che essa spetti – ad esempio – ai medici convenzionati che svolgano la propria attività in regime di autonomia (Cass., 8.8.2008, n. 9142, in Riv. it. med. leg., 2008, 1474) o ai soci di cooperativa che siano soggetti al solo vincolo associativo (Cass., 27.3.2012, n. 4897, in Foro it., I, 1380). Inoltre ha precisato che ciò che conta perché sussista il diritto all’aspettativa è l’investitura di una carica sindacale, senza che rilevi ciò che il sindacalista fa durante tale periodo (Cass., 21.6.2011, n. 13570, in Guida dir., 2011, 45, 58).

L’art. 3 d.lgs. 16.9.1996, n. 564 disciplina il regime contributivo dei lavoratori che fruiscano dell’aspettativa non retribuita ai sensi della citata norma statutaria; ad essi è riconosciuto il diritto all’accantonamento dei contributi figurativi, a condizione che il provvedimento di collocamento in aspettativa abbia forma scritta. Nel caso di lavoratori che siano collocati in aspettativa per motivi sindacali, al fine dell’accantonamento figurativo dei contributi occorre inoltre che sia trascorso il periodo di prova previsto dai contratti collettivi o, comunque, un periodo non inferiore a sei mesi, e che le cariche sindacali assunte rientrino fra «quelle previste da norme statutarie e formalmente attribuite per lo svolgimento di funzioni rappresentative e dirigenziali a livello nazionale, regionale e provinciale o di comprensorio, anche in qualità di componenti di organi collegiali dell’organizzazione sindacale» (art. 3 co. 2).

Occorre, infine, definire il regime del recessodal contratto di lavoro, quando il lavoratore fruisca di un periodo di aspettativa. Sebbene una parte della dottrina abbia ritenuto che il licenziamento eventualmente intimato è legittimo solo al ricorre di una giusta causa, perciò riconducendo la fattispecie al regime della più severa irrecedibilità garantita al lavoratore malato durante il periodo di comporto (cfr. Mazziotti, F., Il licenziamento illegittimo, Napoli, 1982, 107), pare preferibile la soluzione interpretativa che, invece, estende tale legittimità anche alle ipotesi in cui il recesso sia dovuto a un’altra ragione, ad esempio un giustificato motivo oggettivo (così Cass., 4.3.2000, n. 2470, in Riv. it. dir. lav., 2000, II, 676, nt. di S., Nappi. In dottrina si v. in questo senso Lattanzi, G.,Sub art. 31, Commentario allo Statuto dei lavoratori, in Prosperetti, U., diretto da, Milano, 1975, 1060 e nello stesso senso, poi, Del Punta, R., Aspettativa e permessi, cit., 11).

Nell’ipotesi in cui lavoratore sia in aspettativa per ricoprire un incarico sindacale, il licenziamento eventualmente intimato può assumere i tratti dell’antisindacalità, perciò potendo essere esperito da parte degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse il ricorso ex art. 28 st. lav.

Aspettativa per terapie di disintossicazione

L’art. 99 l. 26.6.1990, n. 162 riconosce al lavoratore tossicodipendente che intenda partecipare ad un programma di disintossicazione, il diritto ad un periodo di aspettativa non retribuita, di durata non superiore a tre anni, salvo le migliori condizioni che possono essere previste dalla contrattazione collettiva.

Un periodo di aspettativa è previsto anche a favore dei familiari del tossicodipendente che intraprenda il percorso di riabilitazione, quando la necessità dell’assistenza sia certificata dal servizio pubblico.

La contrattazione collettiva integra, talora, le disposizioni di legge.

Il contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, ad esempio, conferma la durata massima di tre anni di questa ipotesi di aspettativa non retribuita, richiedendo che la domanda sia accompagnata dalla documentazione che attesti lo stato di tossicodipendenza ed il relativo programma di riabilitazione, e che periodicamente il dipendente presenti idonea documentazione rilasciata dalla struttura che certifichi l’effettiva prosecuzione del programma. L’aspettativa per il familiare del tossicodipendente, la cui assistenza sia dichiarata necessaria per lo svolgimento del programma terapeutico e socio-riabilitativo dal servizio pubblico per le tossicodipendenze, ha invece durata massima di quattro mesi. L’art. 12 contiene, infine, una clausola, in base alla quale il contratto s’intende risolto qualora il lavoratore non riprenda servizio entro sette giorni dal completamento della terapia di riabilitazione o dalla scadenza del periodo massimo di aspettativa, ovvero dalla data di eventuale volontaria interruzione del programma terapeutico. Si tratta, tuttavia, di una clausola che, stabilendo una causa di risoluzione del rapporto non prevista dalla legge, potrebbe essere giudicata nulla (in questo senso v. Cass., 2.7.2013, n. 16507, in Foro it., 2013, I, 2429 con riferimento all’art. 34 del CCNL dei dipendenti delle Poste Italiane, che stabilisce che il lavoratore, il quale al termine del periodo di aspettativa non riprenda servizio senza giustificato motivo, è considerato dimissionario; e già Cass., 22.11.1999, n. 12942, in www.iusexplorer.it, Cass., 12.3.1987, n. 2605, in Giur. it., 1988, 1221. Contra Cass., 10.6.1998, n. 5776, in www.iusexplorer.it, che, invece, ha affermato che la qualificazione, da parte del contratto collettivo, dell’assenza prolungata del lavoratore oltre un certo periodo quale atto di dimissioni, consente a tale assenza di assumere il valore giuridico di un atto di dimissioni per convenzionale ed esplicita disposizione delle parti in tal senso. Si tratta comunque di una questione divenuta irrilevante a seguito della riforma dell’istituto delle dimissioni, la cui validità è oggi subordinata alla convalida).

Anche in questa ipotesi, l’assenza del lavoratore non giustifica il licenziamento, che però può essere intimato al ricorrere di una giusta causa o di un giustificato motivo.

Aspettativa per motivi di salute

La contrattazione collettiva prevede sovente il diritto per il lavoratore di fruire di un periodo di aspettativa non retribuita, per poter prolungare l’assenza dovuta a malattia oltre la scadenza del periodo di comporto, al fine di evitare un licenziamento ex art. 2110 c.c. (secondo Cass., 16.3.2012, n. 4261, in www.iusexplorer.it, la domanda di aspettativa, ove il relativo diritto sia previsto, è atto recettizio che impedisce il compimento del periodo di comporto)

L’aspettativa può essere fruita dal lavoratore solo se questi lo richieda, non potendo il datore di lavoro, una volta scaduto il periodo di comporto, cessare unilateralmente di corrispondere la retribuzione al lavoratore considerandolo in aspettativa, poiché una siffatta decisione produrrebbe una modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, in quanto tale illegittima (Cass., 26.4.2011, n. 9346, in www.iusexplorer.it).

Secondo la giurisprudenza prevalente il datore di lavoro non è tenuto ad avvertire il lavoratore dell’imminente scadenza del periodo di comporto per consentirgli di chiedere di fruire del periodo di aspettativa (laddove previsto dal contratto collettivo) e così evitare di essere licenziato (fra le tante cfr. Cass. 4.6.2014, n. 12563, in www.iusexplorer.it; Cass., 21.9.2011, n. 19234, in Dir. rel. ind., 2012, 172, nt. di E., Raimondi; Cass., 22.4.2008, n. 10352, in www.iusexplorer.it; Cass., 28.6.2006, n. 14891, in www.iusexplorer.it; secondo Pret. Sassari, 26.11.1996, in Nuovo dir., 1997, 431, nt. di M., Tatarelli perché la richiesta di fruizione dell’aspettativa sia tempestiva, e perciò idonea ad inibire il potere di recesso del datore di lavoro, è sufficiente – ma necessario – che sia a questi inviata prima della scadenza del periodo di comporto), mentre questi è tenuto, in ottemperanza agli obblighi di buona fede e correttezza, a fornire al lavoratore le informazioni richieste, utili per poter decidere di prolungare l’assenza ove ne sia contemplata la possibilità (in questo senso Trib. Milano, 27.1.2007, in Lav. giur. 2007, 1150; e già Trib. Milano, 3.9.1994, in Orient. giur. lav., 1994, 551).

Se al termine del periodo di aspettativa il lavoratore non riprende a svolgere la propria attività, il datore di lavoro potrà senz’altro recedere dal contratto per superamento del periodo di comporto (in questo senso v. da ultimo Cass., 20.5.2013, n. 12233, in www.iusexplorer.it; Cass., 18.3.2013, n. 6711, in Guida dir., 2013, 20, 62; Cass., 10.12.2012, n. 22392, in www.iusexplorer.it), mentre durante il periodo di assenza consentito si deve ritenere che viga un regime di irrecedibilità attenuato, che sanziona con la nullità il licenziamento intimato a causa dell’assenza da lavoro – pena la perdita di effettività del diritto riconosciuto dal contratto collettivo –, ma che ammette il licenziamento al ricorrere di una giusta causa o un giustificato motivo. In quest’ultimo caso, inoltre, il licenziamento è da ritenersi immediatamente efficace, in quanto – non essendo l’aspettativa retribuita – viene meno la ragione della posticipazione degli effetti del recesso, consistente nella volontà di garantire al lavoratore i mezzi di sostentamento durante la malattia.

Un esempio di aspettativa può essere tratto dal contratto collettivo di lavoro nazionale dei metalmeccanici, che prevede che il lavoratore possa fruire, in caso di malattia che si prolunghi oltre il periodo di comporto, di un periodo non retribuito di sospensione della prestazione lavorativa, della durata massima di quattro mesi. A questo periodo se ne aggiunge uno ulteriore di ventiquattro mesi, quando l’assenza sia dovuta ad una malattia grave e continuativa. Questa aspettativa prolungata può essere fruita anche in modo frazionato quando le assenze siano determinate da patologie che richiedono terapie salvavita e che comportino una discontinuità nella prestazione lavorativa, senza tuttavia far venir meno la capacità lavorativa.

Aspettativa per motivi personali o familiari

L’art. 4 l. 8.3.2000, n. 53 (cui ha dato attuazione il d.i. 21.7.2000, n. 278) attribuisce ai lavoratori il diritto a fruire di un congedo per gravi e documentati motivi familiari della durata massima di due anni nell’arco dell’intera vita lavorativa. Il dipendente durante tale periodo ha diritto alla conservazione del posto di lavoro (nei termini già visti per le altre ipotesi di aspettativa fin qui trattate), non ha diritto alla retribuzione, né il periodo è computabile nell’anzianità di servizio o ai fini previdenziali, e gli è interdetto lo svolgimento di una qualsiasi altra attività lavorativa (a quest’ultimo proposito, tuttavia, v. Cass., 25.3.2011, n. 7021, in Riv. crit. dir. lav., 211, 490, che ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato nei confronti di un lavoratore che durante il periodo di aspettativa aveva svolto solo sporadicamente un’altra attività lavorativa, senza che l’inadempimento potesse essere considerato sufficiente per giustificare la massima sanzione disciplinare).

Il contratto collettivo dei metalmeccanici specifica i termini di fruizione dell’aspettativa per gravi motivi familiari all’art. 11, lett. b), con riguardo alle modalità di richiesta e agli obblighi di documentazione da assolvere, nonché agli obblighi per il datore di lavoro o l’amministrazione di motivare l’eventuale diniego o concessione parziale o differimento.

La medesima disposizione contrattuale, alla lett. a), attribuisce ai lavoratori che abbiano maturato un’anzianità di servizio superiore a dieci anni il diritto di chiedere, una sola volta in costanza del rapporto di lavoro, di fruire di un periodo di aspettativa della durata minima di un mese e massima di sei, non frazionabile. Ivi si prevede altresì il diritto a un periodo di aspettativa per svolgere attività di volontariato, nel qual caso è sufficiente un’anzianità di servizio di sette anni. In entrambi i casi l’azienda potrà rifiutare la richiesta o differire la fruizione dell’aspettativa al ricorrere di «necessità tecnico-organizzative».

Gli artt. 69 e 70 d.P.R. 10.1.1957, n. 3 prevedono un’aspettativa per motivi di famiglia riservata ai dipendenti pubblici. L’amministrazione alla quale è rivolta la domanda ha la facoltà di opporre un diniego alla sospensione del rapporto, di ritardarla e di revocarla in qualunque momento per ragioni di servizio. Tale periodo di aspettativa non può avere durata superiore a un anno e non è retribuita, né il tempo trascorso senza lavorare può essere computato ai fini della progressione di carriera o per l’attribuzione di aumenti periodici di stipendio o per altri trattamenti economici e previdenziali.

La disposizione, tuttavia, ha ormai una valenza residuale, essendo stata disapplicata in diversi comparti grazie all’intervento della contrattazione collettiva, che ha disciplinato in modo parzialmente diverso l’istituto. Ad esempio l’Accordo collettivo del 16.5.2001 relativo al personale del comparto dei Ministeri all’art. 34 stabilisce la disapplicazione – fra l’altro – di queste disposizioni, e disciplina all’art. 7 la materia dell’aspettativa, prevedendo il diritto per la lavoratrice di fruire di un periodo di assenza dal lavoro, non retribuito e non computabile ai fini dell’anzianità di servizio, della durata complessiva di dodici mesi in un triennio. Il quinto comma prevede che questa aspettativa possa essere utilizzata anche per «l’educazione e l’assistenza dei figli fino al sesto anno di età», mentre l’ottavo comma, lett. c), riconduce ad essa anche il periodo di congedo che può essere richiesto ai sensi dell’art. 4, co. 2 e 4, l. n. 53/2000 e che deve essere eventualmente cumulato a quello fruito ai sensi del primo comma, se utilizzato allo stesso titolo.

Aspettativa per motivi formativi

Il diritto ad un periodo di aspettativa per motivi formativi, da non confondere con i permessi per lo studio di cui all’art. 10 st. lav., è previsto dall’art. 5 l. 8.3.2000, n. 53. Ivi si riconosce ai dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati che abbiano almeno cinque anni di anzianità di servizio presso la stessa azienda o amministrazione, il diritto a chiedere la sospensione del rapporto di lavoro per un periodo non superiore a undici mesi, continuativo o frazionato, nell’arco dell’intera vita lavorativa.

Tale congedo può essere fruito per completare la scuola dell’obbligo, per conseguire un titolo di studio di secondo grado, un diploma universitario o comunque per partecipare ad attività formative diverse da quelle proposte o finanziate dal datore di lavoro.

Anche questo periodo di aspettativa dà diritto alla conservazione del posto di lavoro – secondo il regime già visto –, ma non alla corresponsione della retribuzione, né è computabile ai fini dell’anzianità di servizio.

Il diritto a questa aspettativa non si configura come un diritto potestativo, potendo il datore di lavoro o l’amministrazione rifiutare di concedere la sospensione del rapporto di lavoro o differirne la fruizione al ricorrere di comprovate esigenze organizzative (in questo senso v. Trib. Milano, 14.10.2009, in Riv. crit. dir. lav., 2009, 1004).

La legge affida alla contrattazione collettiva la definizione delle modalità di fruizione di questo congedo formativo, la fissazione delle percentuali di lavoratori che hanno diritto a fruirne e dei termini del preavviso della richiesta, nonché la definizione delle appena ricordate «comprovate esigenze organizzative» quali condizioni per negare la concessione dell’aspettativa o rinviarne il godimento.

I contratti collettivi disciplinano in vario modo l’aspettativa per motivi formativi.

Il contratto collettivo nazionale del credito, ad esempio, attribuisce al lavoratore il diritto ad un periodo di aspettativa per motivi di studio della durata di dodici mesi, fruibile anche in modo frazionato nell’arco di tre anni.

Il contratto collettivo dei metalmeccanici, all’art. 9, stabilisce che il congedo di cui all’art. 5 l. n. 53/2000 abbia la durata di undici mesi, anche frazionabili, che debba essere richiesto con un preavviso di almeno trenta o sessanta giorni a seconda che l’aspettativa richiesta abbia durata inferiore o superiore a dieci giorni, e che debbano essere specificate le ragioni della richiesta. Ivi si stabilisce altresì che spetti all’azienda valutare l’ammissibilità della domanda proposta tenuto conto delle «esigenze tecnico organizzative», stabilendo un obbligo di motivazione dell’eventuale diniego o differimento e un limite dell’1 per cento della forza lavoro occupata per fissare quanti lavoratori possano assentarsi contemporaneamente dall’unità produttiva per ragioni formative.

Talora è la legge stessa a contenere un rinvio alla contrattazione collettiva affinché disciplini il periodo di aspettativa per motivi di studio. Ne è un esempio il Decreto del Ministero dell’Istruzione dell’8.2.2013, n. 45, che all’art. 12 prevede che «I dipendenti pubblici ammessi a corsi di dottorato godono per il periodo di durata normale del corso dell’aspettativa prevista dalla contrattazione collettiva o, per i dipendenti in regime di diritto pubblico, di congedo straordinario per motivi di studio, compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 13 agosto 1984, n. 476 (…) con o senza assegni e salvo esplicito atto di rinuncia, solo qualora risultino iscritti per la prima volta a un corso di dottorato, a prescindere dall’ambito disciplinare».

Nel comparto scuola la norma è attuata dal secondo comma dell’art. 18 del CCNL, il quale stabilisce che «il dipendente può essere collocato in aspettativa anche per motivi di studio, ricerca o dottorato di ricerca (…)» ai sensi degli artt. 69 e 70 d.P.R. 10.1.1957, n. 3 che disciplina, si è visto, l’aspettativa per motivi di famiglia dei lavoratori del settore pubblico.

Nelle poche occasioni offerte alla giurisprudenza per pronunciarsi in materia, i giudici si sono espressi nel senso del riconoscimento in capo ai lavoratori di un diritto alla formazione permanente; Trib. Gorizia, 15.11.2012 (in www.iusexplorer.it) ha riconosciuto il diritto all’aspettativa ad un architetto, dipendente comunale, che aveva ottenuto l’ammissione al dottorato di ricerca all’Università, mentre Cass., 1.2.2013, n. 2422 (in Lav. pub. amm., 2013, 183) ha svincolato il diritto all’aspettativa per lo svolgimento di un corso di dottorato dall’affinità dell’oggetto del corso alle mansioni svolte dal lavoratore.

Altre ipotesi di aspettativa

La l. 11.2.1980, n. 26 disciplina un’ipotesi di aspettativa concessa al dipendente pubblico il cui coniuge, dipendente civile o militare della pubblica amministrazione, presti servizio all’estero. Qualora l’amministrazione non possa destinarlo a prestare servizio nella stessa località in cui si trova il coniuge, potrà – infatti – sospenderne il rapporto. L’aspettativa così individuata può avere una durata corrispondente al periodo di tempo in cui permane la situazione che l’ha originata e può essere revocata in qualsiasi momento per ragioni di servizio o nel caso in cui il dipendente in aspettativa non risieda effettivamente all’estero. L’aspettativa non è retribuita e il tempo di assenza dal lavoro non è computato ai fini della progressione di carriera, né dell’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di fine rapporto. Trascorso un anno il posto del dipendente in aspettativa può essere riassegnato con una nuova assunzione e il lavoratore che rientri, ove non vi siano posti disponibili, sarà considerato in sovrannumero e riassorbito alla prima vacanza. Quest’ipotesi di aspettativa è stata estesa anche ai dipendenti dello Stato il cui coniuge presti servizio all’estero per conto di soggetti privati, ad opera della l. 25.6.1985, n. 333.

La l. 26.2.1987, n. 49 ha previsto un’ipotesi di aspettativa non retribuita per i dipendenti pubblici per la durata del contratto di cooperazione che abbiano stipulato con una organizzazione non governativa al fine di essere impiegati nell’ambito di programmi di cooperazione e sviluppo (art 32). Un’analoga aspettativa spetta anche a coloro che siano dipendenti pubblici e che vengano registrati come volontari in servizio in un programma di cooperazione (art. 33).

Altre ipotesi di aspettativa sono rinvenibili nella normativa speciale che regola l’attribuzione di incarichi temporanei. Ad esempio in d.P.R. 11.7.1980, n. 382 all’art. 12 prevede il diritto a fruire di un periodo di aspettativa per i professori di ruolo che siano incaricati della direzione di istituti e laboratori extrauniversitari di ricerca nazionali e internazionali. Durante questo periodo ai professori incaricati spettano le indennità a carico degli enti o istituti di ricerca ed eventualmente la retribuzione ove l’aspettativa non preveda un assegno. Il periodo di aspettativa è utile ai fini della progressione di carriera e ai fini del trattamento di previdenza e di quiescenza.

La l. 12.7.2011, n. 112 disciplina, invece, un caso di aspettativa obbligatoria per il dipendente che sia nominato Autorità garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza.

L’art. 18 l. 4.11.2010, n. 183, infine, ha introdotto un’ulteriore ipotesi di aspettativa concessa ai dipendenti pubblici che intendano avviare un’attività professionale o imprenditoriale. Si tratta di un’aspettativa non retribuita della durata massima di dodici mesi che l’Amministrazione di appartenenza può concedere tenuto conto delle esigenze organizzative e previo esame della documentazione prodotta dall’interessato. Quest’ipotesi di aspettativa si aggiunge a quella prevista dall’art. 23 bis d.lgs. 30.3.2001, n. 165 che l’amministrazione di appartenenza può concedere al dirigente, agli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia, ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili, agli avvocati e procuratori dello Stato (ma anche ai segretari comunali e provinciali che sono equiparati ai dirigenti statali ai fini delle procedure di mobilità dall’art. 101, co. 4-bis, d.lgs. n. 267/2000), che ne facciano richiesta per svolgere attività presso soggetti e organismi pubblici o privati anche operanti in sede internazionale e che provvedano al relativo trattamento previdenziale. Durante il periodo di aspettativa il lavoratore mantiene la qualifica acquisita. L’Amministrazione può rifiutare di concedere l’aspettativa, ma il diniego deve esser motivato dal ricorrere di preminenti esigenze organizzative, perciò configurandosi un vero e proprio diritto alla sospensione della prestazione lavorativa per i soggetti elencati al co. 1 e appena ricordati. Nel caso in cui l’aspettativa sia fruita per svolgere attività presso soggetti privati, essa non potrà avere una durata superiore ai cinque anni e non sarà computabile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenziale.

Fonti normative

Artt. 2110-2111 c.c.; l. 20.5.1970, n. 300; l. 11.11.1983, n. 638; l. 26.6.1990, n. 162; l. 30.12.1991, n. 412; l. 8.3.2000, n. 53; d.lgs. 18.8.2000, n. 267; d.lgs. 30.3.2001, n. 165; l. 4.11.2010, n. 183.

Bibliografia essenziale

Assanti, C., Sub art. 31, in Assanti, C.-Pera, G., a cura di, Commento allo statuto dei diritti dei lavoratori, Padova, 1972; Del Punta, R., Aspettativa e permessi, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991; Del Punta, R., La sospensione del rapporto di lavoro, Milano, 1992; Galardi, R., sub art. 31, in Del Luca Tamajo, R.-Mazzotta, O., diretto da, Commentario breve alle leggi sul lavoro, Padova, 874; Ghezzi, G., Sub art. 31, in Ghezzi, G.-Mancini, G.F.-Montuschi, L.-Romagnoli, U., a cura di, Commentario allo statuto dei diritti dei lavoratori, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, 1972; Lattanzi, G., Sub art. 31, in Prosperetti, U., diretto da, Commentario allo Statuto dei lavoratori, Milano, 1975.

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