Assistenza giudiziaria ai non abbienti

Diritto on line (2012)

Andrea Giussani

Abstract

Si espongono le norme in materia di patrocinio a spese dello Stato previste dalla generale disciplina di cui al d.P.R. 20.5.2002, n. 115, nonché dal d.lgs. 27.5.2005, n. 116.

1. Introduzione

Il d.P.R. 30.5.2002, n. 115, è la fonte principale della disciplina dell’assistenza giudiziaria ai non abbienti, ma rileva anche, per le persone fisiche munite di cittadinanza in un paese dell’UE (diverso dalla Danimarca) e per quelle ivi legalmente soggiornanti, il d.lgs. 27.5.2005, n. 116, attuativo della dir. 2003/8/CE in materia di accesso alla giustizia nelle controversie in cui la parte bisognosa del patrocinio risieda o soggiorni regolarmente in uno Stato UE diverso da quello in cui penda il processo o debba eseguirsi la sentenza. La disciplina della materia esige altresì coerenza con l’art. 24, co. 3, Cost.

2. Destinatari del beneficio

Il patrocinio a spese dello Stato è assicurato al cittadino, all’apolide, ad enti o associazioni che non perseguano scopi di lucro e non esercitino attività economica, ed allo straniero regolarmente soggiornante, purché tale al momento del fatto o del rapporto oggetto del processo. Tutti questi soggetti possono accedere al beneficio all’ulteriore condizione della non abbienza richiesta al cittadino, ma questi non soffre a sua volta i limiti previsti per costoro: dunque il cittadino può fruirne anche se non regolarmente soggiornante ed anche con riferimento ad attività di natura imprenditoriale o comunque svolte a scopo di lucro (esclude invece dal beneficio tutti gli imprenditori, nonché tutti i titolari di partita IVA per le controversie attinenti l’esercizio della loro professione, Scarselli, G., Il nuovo patrocinio a spese dello Stato nei processi civili e amministrativi, Commento agli artt. 74-89 e 119-145 T.U. in materia di spese di giustizia, emanato con d.lgs. 30 maggio 2002, n. 115, Padova, 2003, 56 s., 149), così come lo straniero regolarmente soggiornante al momento del fatto può fruirne anche se imprenditore, e l’ente no profit non è tenuto a dimostrare di essere cittadino o regolarmente soggiornante al momento del fatto.

La condizione di non abbienza permette inoltre l’ammissione al beneficio del cittadino dello Stato UE e dello straniero ivi legalmente residente anche ove non sia tale al momento del fatto o del rapporto oggetto del processo. Dato che l’art. 24, co. 3, Cost. non si applica ai soli cittadini, risulta peraltro una lacuna di tutela rispetto agli stranieri non regolarmente soggiornanti in Italia al momento del fatto e non legalmente residenti in alcuno Stato UE, solo in parte colmata dalla possibilità di avvalersi del beneficio nei procedimenti avverso i provvedimenti di espulsione (v. in proposito già Scarselli, G., op. cit., 146 s.; v. ora anche l’art. 18, co. 4, d.lgs. 1.9.2011, n. 150).

Il requisito della non abbienza è soddisfatto da elementi strettamente reddituali oggettivamente e uniformemente determinati, nonché fortemente contenuti (v. però, nel senso che un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma imponga di assicurare il beneficio anche a chi sia provvisto di reddito superiore al limite ma non possa comunque affrontare le spese del processo, e per converso di negarlo a chi, alla luce di ogni circostanza, si possa ritenere abbia un reddito occultato superiore, Scarselli, G., op. cit., 79 ss.). Si tiene poi conto esclusivamente di tale reddito personale solo quando siano oggetto della causa diritti della personalità o nei processi in cui gli interessi del richiedente siano in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi, dovendosi altrimenti considerare anche i redditi di questi (sulla portata del criterio forfettario per la loro determinazione di cui al d.P.R. cfr. ancora Scarselli, G., op. cit., 71 s.). Ai fini del d.lgs. l’istante può dimostrare che, a causa della differenza del costo della vita fra lo Stato del suo domicilio e quello del foro, egli non è in grado di sostenere i costi del processo anche se il suo reddito supera il limite massimo, ma è escluso dal beneficio chi abbia a disposizione meccanismi alternativi di copertura delle spese.

È inoltre ammesso al beneficio il fallimento se il giudice delegato attesta con decreto che non è disponibile il denaro per le spese, e si può arguire che nella generalità delle ipotesi di nomine giudiziali relative a procedimenti per i quali sia previsto il sistema della prenotazione a debito e dell’anticipazione delle spese per l’eventualità dell’incapienza del patrimonio su cui farle gravare (come i procedimenti per l’interdizione o inabilitazione e quelli per l’eredità giacente) debba osservarsi la disciplina del patrocinio a spese dello Stato e di conseguenza nominarsi solo chi sia iscritto nell’apposito elenco (v., in proposito, Scarselli, G., op. cit., 135 ss.).

3. Ambito di applicazione

Il d.P.R. si applica in ogni tipo di procedimento civile quando le ragioni non siano manifestamente infondate: il beneficio è assicurato per ogni grado del processo, comprese le impugnazioni straordinarie (purché si tratti di resistervi: la parte soccombente può giovarsi dell’ammissione ai fini dell’impugnazione solo per l’azione di risarcimento del danno nel processo penale; è tuttavia ritenuto ammissibile che la parte non abbiente possa chiedere una nuova ammissione al beneficio per la proposizione di impugnazioni non manifestamente infondate, v. Scarselli, G., op. cit., 150 s.), nonché per ogni sua fase, comprese quelle di esecuzione, e per tutte le procedure comunque connesse (comprese dunque quelle presso la Consulta: v. ampiamente Scarselli, G., op. cit., 48 s.). Il d.lgs., invece, prevede la continuità del beneficio per tutte le fasi del procedimento, comprese quelle esecutive, per tutte le procedure connesse, ed anche ai meri fini della esecuzione della sentenza straniera, senza escluderne l’applicazione all’impugnazione proposta dalla parte ad esso ammessa, e ricomprende esplicitamente anche l’esecuzione di atti autentici, i procedimenti stragiudiziali obbligatori per legge o a cui le parti siano state rinviate dal giudice, nonché la mera consulenza precontenziosa, cui si aggiungono le spese, derivanti dal carattere transfrontaliero della controversia, per l’interpretazione, per la traduzione dei documenti necessari per la risoluzione della controversia richiesti dal giudice o dall’autorità competente e presentati dal beneficiario, e per i viaggi del beneficiario quando la sua presenza fisica in aula è richiesta dalla legge o dal giudice e quest’ultimo non ritiene di sentirlo con altre modalità.

Il requisito della non manifesta infondatezza della pretesa è richiesto solo ai fini del patrocinio relativo all’azione giudiziaria. In dottrina è stato sostenuto che il requisito della non manifesta infondatezza riguardi in generale le sole domande giudiziali e non anche le difese, sicché il convenuto non abbiente potrebbe fruire del beneficio a prescindere dal fumus boni iuris delle ragioni di rigetto della domanda proposta contro di lui: la funzione del requisito sarebbe meramente deflattiva del contenzioso e quindi non avrebbe ragion d’essere rispetto a procedimenti già avviati (così Scarselli, G., op. cit., 174 ss.); tuttavia anche finanziare le mere difese aggrava il carico di lavoro dell’amministrazione della giustizia, e l’assenza di chiare indicazioni in favore della interpretazione in parola rende difficile condividerne le conclusioni; appare preferibile la lettura che ammette al beneficio solo ove non siano manifestamente infondate le ragioni dell’iniziativa, qualunque siano le modalità processuali della stessa.

Il d.P.R. ed il d.lgs. divergono poi nella individuazione delle ipotesi in cui la parte non abbiente non è ammessa al beneficio nonostante la pretesa non sia manifestamente infondata: il d.lgs. esclude, a seconda dell’importanza del caso per il richiedente e della natura della causa, la proposizione di domande direttamente fondate su attività autonome o commerciali e di domande di risarcimento dei danni alla reputazione in cui non si lamentino perdite materiali o finanziarie; il d.P.R., per converso, nega l’ammissione al beneficio per le cause per cessione di crediti e ragioni altrui, salvo che la cessione appaia indubbiamente fatta in pagamento di crediti preesistenti. L’ambito di applicazione di quest’ultima disposizione corrisponde peraltro a una ratio estensibile ai casi di cui al d.lgs.: si tratta di impedire che la parte abbiente possa valersi dell’istituto conferendo mandato all’esercizio dei suoi diritti alla parte non abbiente; dalla stessa ratio deriva d’altronde l’eccezione alla regola per i casi di cessione con funzione solutoria e da essa si desume che nulla impedisce l’ammissione al beneficio nelle ipotesi in cui la parte non abbiente assuma la veste del sostituto processuale (poiché in tal caso le ragioni altrui vengono fatte valere nel nome proprio e in funzione di un interesse proprio e autonomo del sostituto, e non per adempiere all’obbligazione di compiere atti in nome altrui: v. Scarselli, G., op. cit., 152 ss.).

4. Prenotazione a debito, anticipazione e recupero

L’ammissione al beneficio comporta che le spese a carico della parte ammessa siano prenotate a debito, ovvero anticipate dall’erario. La prima soluzione vale per i tributi giudiziari e per le spese forfettizzate per le notifiche officiose nel giudizio civile. Sono altresì prenotati a debito diritti, indennità e spese di spedizione degli ufficiali giudiziari per le notifiche e gli atti di esecuzione a richiesta di parte, e possono esserlo, su domanda (degli interessati), gli onorari del consulente tecnico di parte e dell’ausiliario del giudice, nonché quelli del notaio per lo svolgimento di funzioni demandate dal magistrato nei casi previsti dalla legge, e le indennità di custodia del bene sequestrato, se non ne è possibile la ripetizione a carico della parte ammessa al beneficio o della parte condannata alle spese. Le somme prenotate a debito possono essere recuperate dalla parte soccombente nonché, in via di rivalsa (e quindi a condizione dell’esito negativo del recupero: l’onere della prova grava sullo Stato, v. Scarselli, G., op. cit., 237), nei confronti della parte vincitrice ammessa al beneficio, quando essa abbia conseguito per sentenza almeno il sestuplo delle spese (tuttavia, poichè presupposto della rivalsa è che lo Stato non riesca a recuperare dal soccombente neppure le spese, appare difficile che il vincitore abbia nello stesso caso potuto incamerare addirittura il sestuplo: v. ancora i rilievi di Scarselli, G., op. cit., 237 s.). Nei casi di definizione transattiva della lite tutte le parti sono solidalmente responsabili in via diretta delle spese prenotate a debito, ed è nullo ogni patto diretto ad accollarle alla parte ammessa al beneficio, ma tale parte ne risponde in via di rivalsa quando ha conseguito almeno il sestuplo del loro valore. Nei casi di rinuncia o estinzione si ha responsabilità diretta della parte non ammessa al beneficio quando il giudizio sia stato promosso da lei e successivamente rinunciato o estinto e responsabilità della parte ammessa, in via di rivalsa, in tutti i casi di estinzione del giudizio o rinuncia all’azione, indipendentemente dal suo conseguimento del sestuplo delle spese. È poi prevista la responsabilità solidale di tutte le parti per le spese prenotate a debito nei casi di cancellazione dal ruolo e pertanto grava sul difensore della parte ammessa al beneficio, a pena di sanzioni disciplinari, il dovere di chiedere la declaratoria di estinzione quando questa sia maturata a seguito della cancellazione (tale obbligo deve ritenersi vigente anche dopo la generalizzazione della rilevabilità d’ufficio dell’estinzione per inattività da parte della l. 18.6.2009, n. 69; cfr., in proposito, già Scarselli, G., op. cit., 203 s., 233 s.).

Sono invece anticipati dall’erario: gli onorari e spese dovuti al difensore; le indennità e spese di viaggio di magistrati, personale degli uffici e ufficiali giudiziari per le trasferte per il compimento di atti giudiziari civili fuori sede; le indennità e spese di viaggio comunque spettanti a testimoni, notai, consulenti tecnici di parte e ausiliari del giudice, nonché le spese sostenute da questi ultimi per espletare l’incarico; le spese per la pubblicità legale dei provvedimenti, quelle da anticipare per l’esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare e quelle per le notifiche officiose non soggette a prenotazione a debito. Ai fini del recupero, la condanna alle spese della parte soccombente nei confronti della parte ammessa è disposta direttamente in favore dello Stato, al quale spetta inoltre un’azione di rivalsa nei confronti della parte ammessa, indipendentemente dalla somma conseguita, quando la vittoria nella causa o la composizione della lite l’abbia messa in condizione di restituire le spese anticipate. È poi contemplato il recupero delle spese dei procedimenti di dichiarazione di assenza o morte presunta a carico di eredi e legatari.

Un problema interpretativo si pone tuttavia a proposito delle ipotesi di revoca dell’ammissione al beneficio: l’art. 136, co. 3, d.P.R. prevede esplicitamente che la revoca, salvi i casi in cui sia disposta a causa del sopravvenuto mutamento delle condizioni reddituali, abbia efficacia retroattiva; tuttavia l’art. 86 prevede in via generale che possano recuperarsi in danno dell’interessato le somme pagate successivamente alla revoca del beneficio, e sia l’art. 135, nel contemplare il recupero delle spese dalla parte ammessa in caso di revoca del beneficio nei procedimenti per la dichiarazione di assenza e di morte presunta, sia l’art. 125, nel prevedere il recupero con efficacia retroattiva delle somme corrisposte dallo Stato nel quadro delle sanzioni nei confronti di chi attesti falsamente le sue condizioni di reddito, sono disposizioni speciali. Dato però che appare aberrante negare il recupero retroattivo nei confronti della parte ammessa in tutti i casi di retroattività della revoca, sembra preferibile attribuire generale prevalenza al disposto dell’art. 136, co. 3, e dunque permettere sempre (e non solo nel contesto dei procedimenti per la dichiarazione di assenza o morte presunta e nei casi di falsa attestazione del reddito) il recupero di tutte le somme pagate in caso di revoca del beneficio, salvo prevedere il recupero delle sole somme pagate successivamente alla revoca ex art. 86 quando questa non abbia efficacia retroattiva (ossia nelle ipotesi di sopravvenuto mutamento delle condizioni reddituali), e ciò, preferibilmente, per ragioni di coerenza sistematica (e quindi nonostante la specialità della disposizione di cui all’art. 135, ove il recupero dall’interessato in caso di revoca non sembra conoscere alcun limite), anche nei procedimenti per la dichiarazione di assenza o morte presunta.

Speciali disposizioni regolano la prenotazione a debito, l’anticipazione dall’erario ed il recupero delle spese per procedimenti in cui vi è rischio di incapienza del patrimonio su cui farle gravare, ma valgono le regole generali per il recupero delle spese sostenute dalla parte non ammessa in caso di soccombenza della parte ammessa al beneficio: la rilevanza pratica della questione non è nulla, dato che ai fini dell’ammissione al beneficio la legge non fa coincidere la non abbienza con l’incapienza, e che la non abbienza non costringe il giudice a dichiarare la compensazione. D’altronde la legge esonera esplicitamente la parte soccombente non abbiente dalla responsabilità per le spese in speciali occasioni: l’art. 152 disp. att. c.p.c. lo contempla per le controversie previdenziali o assistenziali quando la parte abbia fruito nell’anno precedente di un reddito imponibile IRPEF non superiore al doppio di quello dei soggetti ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

Come si evince dallo stesso art. 152 disp. att. c.p.c., e più in generale dal d.P.R. (che da tale fattispecie fa dipendere la revoca con effetti retroattivi dell’ammissione al beneficio), la parte non abbiente può altresì essere condannata, persino in quei procedimenti in cui non risponderebbe delle spese in caso di mera soccombenza, al risarcimento del danno, laddove si configuri una temerarietà della lite ai sensi dell’art. 96, co. 1, c.p.c. (nonché ai sensi del co. 3, come introdotto dalla l. n. 69/2009). Si è inoltre ritenuto in dottrina che non sia esclusa in astratto neppure la responsabilità aggravata di cui all’art. 96, co. 2, c.p.c. (v. Scarselli, G., op. cit., 248).

A tale sistema rinvia il d.lgs., chiarendo altresì che il beneficio non copre le somme dovute per la condanna alla rifusione delle spese sostenute dall’avversario in caso di soccombenza. I costi del patrocinio sono ripartiti fra lo Stato di residenza e quello del foro, gravando sul primo la consulenza precontenziosa e la traduzione della domanda e dei necessari documenti giustificativi nella fase precedente alla presentazione della domanda di ammissione al patrocinio (coerentemente alla regola secondo cui la consulenza precontenziosa non soggiace al requisito della non manifesta infondatezza delle ragioni del richiedente; in caso di rigetto della domanda di ammissione il Ministero della giustizia recupera da questi le spese di traduzione sostenute quale autorità a tal fine preposta dallo Stato di residenza e non anche, appunto, quelle per la consulenza).

5. L’ammissione

È attribuito ai consigli degli ordini degli avvocati il vaglio “in via anticipata” dell’istanza di ammissione al beneficio: la competenza spetta al consiglio del luogo in cui abbia sede il giudice adito ovvero, ante causam, quello che sarebbe competente a conoscere del merito (senza che questo vincoli, in caso di concorrenza di fori, a rivolgersi poi a quello stesso), ovvero, in caso di ricorso presso le giurisdizioni superiori (Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei conti), quello che abbia emanato la sentenza impugnata; ai fini dell’assistenza per l’esecuzione forzata di una parte non già ammessa, l’istanza può proporsi, prima di avviare il procedimento, al consiglio dell’ordine presso qualsiasi giudice ove si possa compiere l’esecuzione, affinché valuti la non manifesta inesistenza del titolo vantato dal richiedente (v. Scarselli, G., op. cit., 159, 186 s.). Le domande di ammissione al beneficio presso altri Stati da parte dei soggetti regolarmente soggiornanti in Italia, ai sensi del d.lgs., possono essere respinte anche dal Ministero, quale autorità preposta alla loro trasmissione, nei casi di manifesta infondatezza delle ragioni o manifesta inapplicabilità dello stesso d.lgs., con decreto motivato soggetto a riesame in camera di consiglio da parte della Corte d’appello del luogo di residenza del richiedente.

L’istanza è proponibile in ogni stato e grado del processo, munita di sottoscrizione dell’interessato autenticata (eventualmente dal difensore), e deve contenere a pena di inammissibilità la richiesta di ammissione al beneficio con l’indicazione del processo cui si riferisce, se già pendente, le generalità dell’interessato e dei familiari conviventi, comprensive di codici fiscali, un’autocertificazione del reddito (corredata, per i redditi prodotti fuori dall’UE, di una certificazione consolare che ne attesti la veridicità), e l’impegno a comunicare, finché pende il processo, ogni sua variazione rilevante nell’anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno dalla data di presentazione dell’istanza o della eventuale precedente dichiarazione di variazione, nonché le enunciazioni in fatto e in diritto utili a valutare il fumus boni iuris delle sue ragioni, e l’indicazione delle prove di cui si chiederà l’ammissione. La disciplina della liquidazione dei compensi, da cui si può desumere la retroattività degli effetti dell’ammissione, suggerisce che l’accoglimento dell’istanza consenta di porre la spesa relativa alla sua preparazione a carico dell’erario, almeno quando il richiedente si sia avvalso di un difensore iscritto negli appositi elenchi (ai fini del d.lgs., peraltro, si prevede che il Ministero della giustizia assista gratuitamente il richiedente).

Il consiglio dell’ordine, nell’ambito di un procedimento unilaterale (non è previsto il contraddittorio dell’avversario della parte richiedente), da decidersi con decreto (motivato come ogni provvedimento amministrativo, anche se la motivazione è esplicitamente prevista solo per i provvedimenti di cui al d.lgs.), può esercitare poteri istruttori per la valutazione delle condizioni reddituali e della non manifesta infondatezza della domanda, e richiedere a pena di inammissibilità la produzione dei documenti necessari per accertare la veridicità delle dichiarazioni. Inoltre, copia degli atti viene trasmessa, in caso di accoglimento dell’istanza, all’ufficio finanziario competente, affinché verifichi il reddito attestato e la sua compatibilità con le risultanze dell’anagrafe tributaria, eventualmente verificando la posizione fiscale del richiedente e dei suoi conviventi: siffatti controlli possono essere altresì ripetuti in ogni tempo (e sono inclusi nei programmi annuali di controllo fiscale).

La falsa attestazione della sussistenza o permanenza delle condizioni di reddito costituisce di per sé un reato, anche se il beneficio non viene concesso: l’ammissione conseguente alla falsa attestazione rappresenta infatti un’aggravante speciale. Commette altresì reato chiunque ometta di provvedere alle comunicazioni delle variazioni reddituali: tuttavia la sanzione non si applica alla omissione dell’impegno a provvedere a tali comunicazioni (a cui segue solo l’inammissibilità dell’istanza); inoltre, si nega che il reato si perfezioni ove si ometta di comunicare variazioni reddituali inidonee a determinare la revoca del beneficio (v. Scarselli, G., op. cit., 95 ss.).

6. L’incarico

La parte ammessa al beneficio può scegliere il suo difensore nell’ambito di appositi elenchi, predisposti presso il consiglio dell’ordine del distretto di Corte d’appello ove abbia sede il giudice adito, ovvero quello che sarebbe competente a conoscere del merito in caso di ammissione ante causam, ovvero quello che abbia pronunciato la sentenza in caso di ammissione ai fini del ricorso alle magistrature superiori (ovvero quello presso il quale possa svolgersi o si stia svolgendo l’esecuzione forzata in caso di ammissione ai fini della tutela esecutiva). Si può nominare anche un difensore iscritto nell’elenco di altro distretto, ma in tal caso (così come in quello in cui l’ammissione al patrocinio sia concessa ante causam in un distretto diverso da quello del giudice poi adito per il merito) non sono dovute le spese e le indennità di trasferta. L’iscrizione all’elenco avviene su richiesta del professionista interessato che vanti attitudini ed esperienza professionale specifica nonché iscrizione all’albo degli avvocati da almeno due anni, e che non abbia subito sanzioni disciplinari superiori all’avvertimento (derivando d’altronde da esse la cancellazione di diritto dall’elenco). La parte ammessa al beneficio può inoltre nominare un consulente tecnico di parte nei casi previsti dalla legge (e quindi ogni qual volta si nomini un consulente tecnico d’ufficio) ma non occorre che questi sia inserito in alcun elenco.

Il difensore, il consulente tecnico di parte e l’ausiliario del giudice non possono chiedere all’assistito né da lui percepire compensi o rimborsi, ogni patto contrario è nullo, e la violazione di tale divieto costituisce grave illecito disciplinare (devono però ammettersi le spontanee erogazioni a titolo di liberalità: v. Scarselli, G., op. cit., 114 ss.). Tuttavia il mandato professionale è rinunciabile e revocabile secondo le regole ordinarie (v. ancora Scarselli, G., op. cit., 101 ss.).

La disciplina della liquidazione dei compensi è però penalizzante e quindi discutibile sotto il profilo della legittimità costituzionale: essi sono ridotti della metà e si prevede anche che onorari e spese non superino in ogni caso i valori medi delle tariffe professionali. Queste regole incidono negativamente sulla qualità dell’assistenza legale, nonché sulla propensione a conciliare la lite della controparte (dato che anche la sua responsabilità in caso di soccombenza risulta attenuata): si è quindi prospettato in dottrina che i predetti criteri non si applichino alla liquidazione delle spese di soccombenza a carico della parte abbiente (v. Scarselli, G., op. cit., 211 ss.).

In ogni caso, i compensi vengono liquidati con decreto al termine di ogni fase o grado del processo, e comunque all’atto della cessazione dell’incarico, anche con riferimento alle fasi ed ai gradi anteriori se l’ammissione al beneficio è posteriore alla loro definizione. La competenza a provvedere spetta all’autorità giudiziaria che abbia proceduto, a meno che si tratti della Corte di Cassazione: in questa ipotesi provvede il giudice del rinvio, ovvero, nel caso in cui non sia disposto rinvio alcuno, quello che abbia pronunciato il provvedimento impugnato; per analogia, è congruo ritenere che anche per i giudizi presso la Consulta la liquidazione sia compiuta dal giudice del merito (vale a dire quello dinanzi al quale sia sorta la questione di legittimità costituzionale: v. Scarselli, G., op. cit., 218). Ai fini della liquidazione dei compensi per le attività che non si svolgano dinanzi all’autorità giudiziaria si è affermata la competenza del giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito (v. Scarselli, G., op. cit., 217), ma la riserva di legge in materia di competenza di cui all’art. 25 Cost. suggerisce che sia piuttosto l’art. 25 c.p.c. a rilevare.

Il decreto di liquidazione è comunicato al beneficiario ed alle parti, compreso il p.m., e questi possono tutti proporre opposizione nelle forme previste dall’art. 170 d.P.R. per i decreti di pagamento resi in favore degli ausiliari del giudice, oggi regolate dall’art. 15 d.lgs. 1.9.2011, n. 150.

7. Il riesame

In caso di rigetto, l’istanza si ripropone al magistrato competente per il giudizio e questi provvede con decreto: tale forma è altresì prevista per il riesame dinanzi alla Corte d’appello del provvedimento di rigetto reso dal Ministero della giustizia nonché per il riesame del rigetto da parte del consiglio dell’ordine dell’istanza trasmessa dal Ministero stesso; la forma del decreto suggerisce che il giudice debba provvedere immediatamente e ancora senza attivare il contraddittorio dell’avversario. La tempestività del riesame, peraltro, è rimessa alla parte richiedente, dato che non è previsto alcun termine: d’altronde l’ammissione può richiedersi in via generale in ogni stato e grado del giudizio.

Anche in vista della forma contemplata per il provvedimento deve altresì ammettersi la riproposizione dell’istanza ad altro consiglio dell’ordine competente nei casi di concorrenza di fori, o anche allo stesso sia nei casi di mutamento delle circostanze, sia in base a nuove allegazioni anche se non sopravvenute, sia nei casi di rigetto dell’istanza sia in quelli in cui ne venga dichiarata l’inammissibilità (anche, a fortiori, se l’istanza rigettata o dichiarata inammissibile dal consiglio dell’ordine non è stata riproposta in sede giurisdizionale). Si è affermato che la copertura costituzionale del beneficio, tale da rendere preferibile l’errore in favore del richiedente a quello in suo pregiudizio, permetta anche il ricorso straordinario per cassazione avverso il decreto di conferma del rigetto (v. Scarselli, G., op. cit., 202), ma la giurisprudenza ritiene che le questioni relative all’ammissione al beneficio non possano porsi troppo facilmente in sede di legittimità (v., con riferimento alla riproposizione in sede giurisdizionale di un’istanza relativa proprio alla proposizione di un ricorso per cassazione, Cass., sez. I, 2.12.2004, n. 22616), e l’osservazione che esse richiedono valutazioni discrezionali intorno alla non manifesta infondatezza delle ragioni del richiedente corrobora tale impostazione (anche nel caso in cui il beneficio riguardi un procedimento presso la Consulta la riproposizione dell’istanza deve dunque compiersi presso il giudice di merito: v. lo stesso Scarselli, G., op. cit., 49).

In caso di accoglimento dell’istanza, l’unica forma di riesame espressamente prevista è la revoca, su iniziativa dell’ufficio finanziario ovvero d’ufficio, sempre con decreto. Si è però ritenuto che il giudice, nel provvedere sul merito, riesamini comunque, almeno implicitamente, il provvedimento di ammissione (cfr. Scarselli, G., op. cit., 242 s.), e che laddove il beneficio sia concesso in relazione ad attività che non si traducano nell’attivazione di un giudizio di merito, il potere di revoca sia esercitabile dal giudice adito per la liquidazione dei compensi.

Anche avverso il provvedimento di revoca o di implicita o esplicita conferma dell’ammissione al beneficio (così come avverso quello relativo alla riproposizione in sede giurisdizionale dell’istanza), non sembra proponibile impugnazione alcuna. Tuttavia non risulta preclusa una nuova proposizione al consiglio dell’ordine dell’istanza di ammissione alle condizioni poc’anzi viste.

Fonti normative

D.P.R. 30.5.2002, n. 115; d.lgs. 27.5.2005, n. 116.

Bibliografia essenziale

Sacchettini, E., Beneficio concesso per le cause civili negli altri paesi dell’Unione Europea, in Guida dir., 2005, n. 29, 25 ss.; Scarselli, G., Il nuovo patrocinio a spese dello Stato nei processi civili e amministrativi (Commento agli artt. 74-89 e 119-145 T.U. in materia di spese di giustizia, emanato con d.lgs. 30 maggio 2002, n. 115), Padova, 2003, passim.

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