Attenzione

Dizionario di filosofia (2009)

attenzione


Il termine latino attentio figura nel Medioevo relativamente allo svolgimento efficace della preghiera, della liturgia, della lettura o dell’ascolto della Sacra Pagina. Tommaso d’Aquino (Summa theologiae, II, 2, q. 83, a. 13) distingue tre tipi di a. in ordine alle parole, al loro significato, alla loro finalità. L’a. si configura come sforzo intellettuale orientato verso un fine, che, in ambito propriamente filosofico, andrà identificandosi con il conoscere. Descartes parla dell’a. come condizione essenziale della vera conoscenza: l’«intuito» è infatti «la concezione di una mente pura e attenta» (Regulae ad directionem ingenii, III). L’insistenza sull’a. è costante in Descartes, che nelle risposte alle obiezioni contro le Meditationes de prima philosophia (1641) contrappone alla richiesta di dimostrazioni «geometriche» che possano soddisfare «qualsiasi» lettore, la richiesta di un «lettore attento» (attentus lector). Nelle Passions de l’âme (1649; trad. it. Le passioni dell’anima) l’a. è individuata come movimento volontario della ghiandola pineale: «quando si vuole fermare la propria a. a considerare per qualche tempo uno stesso oggetto, tale volizione trattiene durante quel tempo la ghiandola inclinata dalla stessa parte» (art. 53). Malebranche negli Entretiens sur la métaphysique et sur la religion (1688; trad. it. Colloqui sulla metafisica) insiste sul ruolo dell’a. nel conseguire la verità e nel fondare la libertà (XII, X). Locke distingue fra semplice a. e «riflessione», in cui «l’intelletto rivolge a se stesso la propria attenzione, riflette sulle proprie operazioni e le rende l’oggetto del suo attento esame» (Essay concerning human understanding, 1690; trad. it. Saggio sull’intelletto umano, II, 8), affermando inoltre che, riguardo alle idee, la mente impegna sé stessa «con differenti gradi di attenzione» (II, 19). Leibniz, rispondendo a Locke con i Nouveaux essais (1704, ma pubblicati post. nel 1765; trad. it. Nuovi saggi sull’intelletto umano), differenzia l’a. in diversi gradi, che includono il passaggio dalle «piccole percezioni» (inconsapevoli) alla percezione cosciente: considerazione, contemplazione, studio, meditazione (II, 19). Successivamente, Kant, nell’Anthropologie in pragmatischer Hinsicht (1798; trad. it. Antropologia pragmatica) distingue l’a., ancora intesa come «sforzo cosciente», dall’astrazione: «Lo sforzo per divenire coscienti delle proprie rappresentazioni prende la forma dell’attenzione (attentio) o dell’astrazione da una rappresentazione di cui si è coscienti (abstractio)». Successivamente la nozione di a. è andata collocandosi prevalentemente negli studi specialistici di psicologia.