ATTENZIONE

Enciclopedia Italiana (1930)

ATTENZIONE (dal lat. ad e tendo; fr. attention; sp. atención; ted. Aufmerksamkeit; ingl. attention)

Antonio RENDA
Mariano L. PATRIZI
Agostino GEMELLI

Psicologicamente è definita l'atto per cui delle molte rappresentazioni (campo della coscienza) una o poche acquistano chiarezza e distinzione entrando nel fuoco della coscienza. Il Galluppi la distingue dalla coscienza, perché l'attenzione è volontaria, non è sempre unita alle modificazioni dello spirito, può essere aumentata a piacere; segue al volere, mentre il sentire precede. Una prima accurata analisi dell'attenzione si deve al Wolff. Sin dal sec. XVIII si è distinta l'attenzione sensoriale dall'atienzione razionale (Platner). Le distinzioni si sono moltiplicate nella psicologia contemporanea: attenzione spontanea o involontaria, dovuta alla forza degli stimoli, e attenzione nflessa o volontaria, dovuta a un'iniziativa della coscienza; attenzione esterna, rivolta a un contenuto percettivo, e attenzione interna, rivolta a un contenuto rappresentativo; attenzione aspettante. Abbondano anche in Italia gli studî sperimentali, le trattazioni empiriche, le considerazioni pedagogiche sulla curva dell'attenzione, sul ritmo, sulla durata, sulle condizioni psico-fisiologiche, sulle forme anomale, sull'educazione, ecc. Vi sono tre fondamentali interpretazioni della natura dell'attenzione: volontaristica (Wundt, Stumpf, Iodl), affettiva (Ribot), motrice (Baldwin, Munsterberg).

Contro l'opinione del Herbart, che l'attenzione non ha influenza sulla dinamica delle rappresentazioni, oggi prevale l'opinione della sua attiva onnipresenza. L'interessamento per lo studio dell'attenzione può riportarsi al Leibnitz, il quale concepisce l'appercezione sempre attiva in quanto è l'essenza dell'anima. Oggi, mentre continua ad essere argomento di numerose ricerche empiriche, lo studio dell'attenzione è scomparso dalla filosofia idealistica. Tale abbandono d'ogni interesse speculativo per l'attenzione può trovare giustificazione nella critica che G. Gentile fa del concetto di essa come di un reale potere o atto, distinto e per sé stante. Per il Gentile è impensabile un potere che si eserciti sulla coscienza, quasi, altro da essa. L'attenzione è la presenza dell'autocoscienza nella coscienza; per ciò l'atto medesimo costitutivo della vita spirituale. Il concetto psicologico sarebbe l'entificazione di un aspetto dello spirito empiricamente considerato; e sorgerebbe dal presupporre petcezioni non presenti alla coscienza, un'attività automatica, una molteplicità di fatti e poteri psichici.

Risultati delle ricerche sperimentali. - A comprendere il valore degli studî sperimentali sull'attenzione conviene por mente che essi furono rivolti a mettere in luce: a) il carattere fondamentale dell'attenzione; b) il meccanismo dell'attenzione; c) gli effetti dell'attenzione; d) i fatti concomitanti.

a) Carattere essenziale dell'attenzione è l'atteggiamento più o meno spontaneo dell'individuo, che oggi dai migliori cultori di psicologia si tende a concepire come azione volitiva, cosicché le estrinsecazioni dell'attenzione si spiegano come estrinsecazioni della volontà.

b) Mezzi dell'attenzione sono disposizioni generali delle attività fisiche e inoltre adattamenti degli organi di senso (quando si tratta di attenzione percettiva). Di tali mezzi alcuni entrano volontariamente a far parte del fenomeno dell'attenzione, altri sono soltanto riflessi innati. Il fatto che, per rivolgere l'attenzione a un oggetto s'impieghino tali mezzi, non permette però di conchiudere che qualora essi manchino, si arresti di fatto l'attività attentiva, perché può darsi che taluno diriga spontaneamente la propria attenzione a un oggetto diverso da quello al quale sono diretti gli organi di senso. D'altra parte si presentano nel neonato e nel giovane animale movimenti riflessi che, pur per sé potendo servire all'attenzione, tuttavia non hanno per effetto di determinare uno stato di attenzione. Lo stesso si dica dei meccanismi del tutto innati di arresto: un bambino cessa immediatamente dallo strillare allorché viene improvvisamente stimolato da una forte luce, da un suono, o da una pressione; lo stimolo forte interrompe l'attività e impedisce ad altri stimoli di arrivare fino alla coscienza.

c) Come effetti dell'attenzione si hanno ordinariamente la maggiore intensità e la maggior chiarezza della percezione di quel contenuto di coscienza al quale l'attenzione è diretta. Ambedue gli effetti possono però essere ottenuti in altro modo; p. es. con una maggiore intensità dello stimolo.

d) Fenomeni concomitanti sono, p. es., i movimenti muscolari, i movimenti espressivi, le modificazioni del polso e del respiro, ecc.; essi però non si possono in modo univoco attribuire all'attenzione, talora siffatti fenomeni concomitanti ostacolano l'attenzione.

Passiamo ora a considerare i singoli fatti messi in luce dalle ricerche sperimentali:

Proprietà dell'attenzione. Queste si possono considerare dal punto di vista dell'estensione, dell'intensità, dei rapporti di tempo.

La nostra coscienza racchiude sempre una quantità di singoli contenuti, ma non tutti sono contemporaneamente oggetto dell'attenzione (limitazione o ambito della coscienza). Tale ambito dell'attenzione non è uguale per tutti gli uomini; e anche nel medesimo individuo non rimane sempre della stessa ampiezza in momenti diversi. Per es., alcuni isterici sono incapaci di rivolgere l'attenzione ad altro oggetto all'infuori di quello nel quale si concentra la loro coscienza attentiva. Per misurare l'ambito dell'attenzione si fecero molte ricerche sperimentali, senza tuttavia giungere a stabilire una misura assoluta; tuttavia possiamo avere una misura relativa allorquando al soggetto venga assegnato come compito di rivolgere la propria attenzione sopra uno stimolo che agisca, grazie ad alcuni espedienti sperimentali, in un tempo talmente breve da non acconsentire che l'attenzione si rivolga altrove. Ora, se si fa in modo che il compito considerato in sé sia egualmente facile per diversi soggetti, una diversa estensione del compito realizzato ci dà a conoscere un diverso ambito di attenzione. Così l'adulto, in una rappresentazione tachistoscopica (ossia di pochi centesimi di secondo) di lettere separate o di segni senza senso, arriva a riconoscerne da quattro a sei, mentre un fanciullo di dodici anni ne riconosce solo da tre a quattro. Lo stesso vale per stimoli successivi, come ad es. per i battiti del metronomo. Al contrario, se si uniscono parecchi segni, ossia contenuti parziali, a dare un tutto (una parte, un disegno avente un senso), può un soggetto percepirli in numero molto maggiore. Si pensi, ad esempio, alla quantità di stimolazioni sensoriali che possono essere contemporaneamente oggetto dell'attenzione nostra allorché ascoltiamo un pezzo di orchestra.

Passiamo a considerare la concentrazione dell'attenzione. Grazie allo studio sperimentale di essa si arriva a una misura indiretta dell'intensità dell'attenzione. Da un punto di vista generale possiamo dire che l'ambito dell'attenzione sta in proporzione inversa all'intensità. Ciò è generalmente comprovato da varie esperienze, purché per attenzione altro non si intenda che il rivolgersi al contenuto di coscienza. Dal momento però che, oltre al semplice dirigersi al contenuto di coscienza, si aggiungono all'attenzione altri speciali processi della percezione, probabilmente tale reciproco rapporto non ha più valore. L'intensità come la concentrazione dell'attenzione, può avere gradi diversi; ma non è facile trovarne una misura utilizzabile. Quali siano i gradi di concentrazione dell'attenzione si può ricavare in modo meno sicuro dallo studio delle concomitanti sensazioni di tensione e di altri movimenti di espressione (ad es. la mimica). Il metodo però non serve, perché tali fatti concomitanti, molto sovente, introducono nella coscienza contenuti che sono causa di distrazione. A parità di condizioni ci renderanno conto con maggior sicurezza i gradi di chiarezza che per mezzo di essa vengono raggiunti. Dobbiamo tuttavia accontentarci in ciò di valutazioni soggettive. Nella mancanza oggettiva di risultati, si cercò di arrivare a un'espressione indiretta, ma numericamente superiore, ossia furono fatte delle determinazioni di soglia di sensazione (grado minimo di stimolo percepito o minima differenza percepita tra due sensazioni), mentre il soggetto era attentamente occupato in altro lavoro. Quanto maggiore è la concentrazione dell'attenzione, tanto più grande risulta il valore della soglia. Si cercò finalmente di misurare l'intensità dell'attenzione con tentativi di distrazione; quanto più forte è la concentrazione, tanto maggiore ha da essere lo stimolo distraente con il quale si ottiene la deviazione dell'attenzione. È però da osservarsi che non sempre la presenza di uno stimolo che distrae apporta una maggiore difficoltà nella realizzazione del compito; anzi sovente noi ci abituiamo allo stimolo distraente oppure esso diventa spesso incitamento a maggior concentrazione, di modo che la realizzazione del compito ne viene migliorata. Solo contro distrazioni irregolari, e che per sé attirano l'attenzione del soggetto, è difficile il difendersi. Del resto occorre ancora vedere se la deviabilità dell'attenzione sia veramente sempre in proporzione inversa alla sua intensità; potrebbe benissimo avversarsi che qualcuno fosse capace tanto di una grande intensità di attenzione come di una grande deviabilità della medesima.

Un'altra serie di caratteri dell'attenzione appartengono all'ordine temporale. Si propone per compito al soggetto di pensare al contenuto di coscienza in un dato momento; si possono allora notare le fluttuazioni dell'attenzione. Esse si mostrano riguardo all'estensione, riguardo all'oggetto che costituisce il punto centrale dell'attenzione, e riguardo alla chiarezza dell'oggetto fissato. Se si dà al soggetto il compito di osservare eccitanti molto deboli, questi scompaiono dalla coscienza in periodi regolari di tempo; così il battito dell'orologio da tasca tenuto a una certa distanza dell'orecchio (vicino alla soglia) periodicamente non si ode più. Si discute ancora se queste fluttuazioni siano in prevalenza di natura centrale (fatti fisiologici riferentisi al sistema nervoso centrale) o periferica (fatti riferentisi agli organi di senso), ossia se dipendono dall'influsso periodicamente fluttuante del sangue al cervello o da stanchezza degli organi di senso. La questione non è risolta; certo queste fluttuazioni sono cagionate in parte dalla stanchezza, in parte dalla mancanza d'interesse. Individui giovani, individui ammalati o esauriti possono solo difficilmente fermare a lungo la loro attenzione sullo stesso oggetto, e ciò indubbiamente per la debolezza dell'apparato psicofisico. Ai sani invece riesce difficile il prestare per lungo tempo un'attenzione indivisa allo stesso semplice contenuto sensoriale, per es. a un colore. Che essi non vengano nel vero senso della parola affaticati da una tale semplice concentrazione dell'attenzione, risulta dalla capacità di realizzare, immediatamente dopo, altro lavoro. Certo è che noi riusciamo ad osservare tanto più a lungo lo stesso oggetto, quanto è maggiore il numero dei contenuti parziali che esso presenta, o quanto maggiore il numero delle rappresentazioni ad esso riferentisi che vengono richiamate alla coscienza. Principalmente per quest'ultima causa e non tanto per la stanchezza nervosa, i bambini possono occuparsi meno a lungo degli adulti nella contemplazione di un quadro.

Se si tratta però di dirigere l'attenzione a un nuovo oggetto, sorgono anzitutto due questioni. Con quale rapidità può generalmente trasportarsi l'attenzione da un oggetto all'altro? Riescono tutti gli uomini con uguale rapidità a rivolgere la loro attenzione ad un nuovo oggetto? Si ritenne da principio che la rapidità di trasportare l'attenzione su un nuovo oggetto fosse assai grande; ma esperimenti più precisi hanno mostrato che non è più breve di un terzo di minuto secondo. La capacità di adattamento dell'attenzione può essere determinata proponendo a soggetti, che presentino approssimativamente le stesse condizioni intellettuali, un materiale difficile da memorizzare, e osservando quanto ciascuno ne sa riprodurre dopo una ripetizione. Individui dotati di buon adattamento di attenzione ne riterranno di più di quelli di poca capacità di attenzione. E però da osservarsi che entrano in giuoco altri fattori, ossia che si ha a che fare, per es., con fattori associativi: quanto più rapidamente si formano i complessi rappresentativi che sono necessarî a un'esatta conoscenza e a uno sguardo complessivo del materiale da impararsi, tanto più presto il soggetto sarà pronto per il nuovo materiale.

Le teorie dell'attenzione. - Gli studiosi di psicologia sperimentale non si sono accontentati di studiare i fatti e le leggi dell'attenzione, ma hanno costruito teorie atte a spiegare tali fatti. Si tratta di determinare come l'attenzione dà a un contenuto di coscienza una maggiore chiarezza; bisogna però anche inquadrare tali fenomeni nel complesso di tutta la vita psichica. Il Dürr distingue molto chiaramente le teorie di inibizione, di appoggio, di avviamento.

Secondo le teorie dell'inibizione, tutti i contenuti fuori di quello osservato vengono inibiti. Il Wundt attribuisce questo compito di inibizione al centro di appercezione localizzato nella regione frontale del cervello; è però da osservarsi che, se una inibizione reciproca di contenuti di coscienza esiste certamente, non si comprende però perché proprio queste e non tutte le altre o tutte le rappresentazioni non vengano inibite nello stesso modo; neppure l'introduzione del centro ipotetico della percezione appare dimostrato; tutta questa teoria non si presenta che come una parafrasi in verità poco felice dei fatti.

Fra le teorie di appoggio è da ricordare quella del Mach, secondo la quale l'attenzione non fa altro che render pronti gli organi di senso; evidentemente questa teoria tralascia di spiegare ciò che più importa. Il Ribot sviluppò una teoria motrice: i fenomeni organici concomitanti dell'attenzione sono qualche cosa di più che pure aggiunte; essi sono l'essenziale dell'attenzione, poiché essi mandano sensazioni motrici alla coscienza e accrescono in intensità gli stati d'animo di cui siamo coscienti. Sopprimendo tutti questi moti concomitanti viene tolta l'attenzione stessa; è però da osservare che non si capisce come un contenuto di coscienza possa venire rinforzato con l'aggiunta di contenuti affatto diversi; l'esperienza dimostra il contrario, se si prescinde da singoli casi dubbî nei quali sensazioni contemporanee sembrano causare un certo eccitamento. Più intelligibile è la teoria centro-sensoriale di G. E. Müller; rivolgendo l'attenzione a un contenuto di coscienza, si crea quello stato che la coscienza aveva anteriormente, nel momento in cui viveva quel contenuto. In questo caso l'eccitamento proveniente dallo stimolo presente si unisce a quello che deriva dalla rappresentazione, e si aumenta così l'intensità dell'impressione; con ciò viene indicato indubbiamente un fattore che favorisce l'attenzione volontaria, specialmente quando essa si rivolge a oggetti sensibili ed evidenti. In molti casi però l'attenzione spontanea manca, e non ci riesce più comprensibile il comportamento caratteristico dell'attenzione.

La teoria dell'avviamento (Ebbinghaus, Dürr) sostiene che con il ripetuto eccitamento delle medesime parti del cervello si rendono sempre più facili le vie allo stimolo, cosicché l'eccitamento si diffonde meno lateralmente e si fissa maggiormente sulla via principale, per cui l'impressione psichica diventa sempre più chiara. Con ciò però l'attenzione viene lasciata alla dipendenza dell'esercizio, il che non è giustificato dai fatti. Noi infatti possiamo rivolgere la nostra attenzione anche a impressioni insolite e alle più deboli, per elevarle a maggior chiarezza.

Tutte queste teorie non soddisfanno, soprattutto perché non permettono d'inquadrare i fatti dell'attenzione nella cornice generale dei fatti psichici. A questo scopo rispondono meglio le dottrine genetiche.

Ecco come ragionano quelli che sostengono questo modo di concepire l'attenzione (Lindworsky): se esiste un comportamento particolare dell'attenzione, la spiegazione dell'attenzione volontaria non offre speciali difficoltà, essendo prodotta dal comportamento stesso voluto dall'attenzione. Tutto il problema viene perciò rimandato all'attenzione spontanea. Consideriamo per un momento l'attenzione in quanto è un caratteristico processo psichico, identificandola con l'atto volitivo spontaneo: lo spirito percepisce un valore e lo vuole raggiungere; il valore aumenta l'intensità di un contenuto di coscienza; lo hanno constatato i migliori osservatori comprovanti l'esistenza di un tale aumento volontario, sia che esso debba ascriversi all'attività della volontà, oppure all'attenzione da essa dipendente. Solo concependo l'attenzione come un aspetto del valore, viene concesso alla ricerca sperimentale dell'atto volitivo un posto conveniente, attribuendo in tal modo al senso e al valore una parte corrispondente della nostra vita. Tale opinione non incontra nessuna difficoltà metafisica, come avverrebbe per la teoria dell'aumento dell'energia, poiché basta che, con questo interporsi della volontà, l'energia psicofisica esistente venga diretta soltanto verso un determinato punto. L'anime dunque vuole un valore che le si presenta; con ciò questa rappresentazione viene provocata e aumenta quindi in chiarezza. In tal modo si esprime ciò che figuratamente si chiama il rivolgersi dell'anima a un contenuto. Ma basta del resto il suo volere? Se l'essere attenti non è altro che un semplice volere, allora un'attenzione volontaria, che non sia nello stesso tempo un volere l'oggetto osservato, è impossibile. Invece noi possiamo prestare volon tariamente la nostra attenzione a cose che non vogliamo affatto. Quindi il prestare attenzione non può essere senz'altro identico al volere. Il fanciullo che desidera un oggetto dà involontariamente a tutto il suo corpo, e specialmente agli organi di senso, l'atteggiamento proporzionato all'oggetto voluto. Raggiunge con ciò quella disposizione propria a una migliore conoscenza dell'oggetto stesso. Nel decorso degli anni egli arriverà a scoprire ulteriori espedienti per raggiungere una conoscenza sempre migliore; percezione sicura di una rappresentazione, dimostrazione di quelle date risonanze interne. Arriva finalmente alla soppressione dei movimenti distraenti e all'interno allontanamento degli oggetti che si fanno concorrenza.

Perciò appunto tali atteggiamenti si possono imparare e sono realizzabili come tutte le altre azioni volitive interne ed esterne. Che se questi atteggiamenti sono influenzati dalla volontà, essi arrivano a costituire le disposizioni migliori al conoscere. Senza essere per questo condotti a stabilire accanto al volere un particolare atteggiamento dello spirito, veniamo alla definizione: l'attenzione è la disposizione relativamente più favorevole e volontariamente presa per la conoscenza di un determinato oggetto. Diciamo relativamente più favorevole, perché non sempre le circostanze si prestano a una completa orientazione interna ed esterna che favorisca il conoscere.

Grafica psicometrica dell'attenzione. È la maniera di misurare l'intensità e la durata dell'attenzione, e soltanto di quella sua specie che si dice attenzione forzata o conativa. Il metodo è basato sulla rapidità che l'attenzione imprime alle attività psichiche, essendo ben acquisito alla scienza il dato dello stretto rapporto, p. es., tra la celerità d'una reazione volontaria semplice e il grado di tensione mentale nell'eseguirla (equazione personale = dinamometro dell'attenzione). L'autore del metodo cercò di registrare (su un cilindro affumicato rotante a grande velocità e fornito anche del moto di traslazione dall'alto in basso) un grande numero dei cosiddetti tempi di reazione conseguenti a stimoli (suono o luce, ecc.) ripetuti ad intervalli costanti - di solito ogni due minuti secondi - e della medesima intensità. Gli istanti degli stimoli, registrati dal segnale elettrico, si dispongono lungo un'ordinata o generatrice EE del cilindro. I momenti delle reazioni, pure fermati dallo stesso segnale elettrico, e corrispondenti ad altrettante chiusure di un tasto telegrafico quante sono le volte che il soggetto ha percepito il fenomeno sonoro, o luminoso, o tattile, vengono poscia rannodati dalla grossa linea bianca ondeggiante, tirata a mano, R R. Il numero delle vibrazioni di un diapason D, a cento o duecento al secondo, dà il valore cronologico assoluto delle singole distanze E R, le quali si stratificano l'una sull'altra, a un dipresso come le scosse muscolari semplici ad embricamento verticale, alla maniera di Marey e di Rollett. Simile disposizione offre modo di seguire le modificazioni dell'attenzione durante un esame relativamente prolungato. Nel diagramma autografico riprodotto, che va letto dal basso in alto, si nota che il tempo di reazione, o tempo fisiologico (la distanza ER), in principio va raccorciandosi gradatamente, poscia si allunga, perché l'attenzione, dopo aver toccato un massimo, comincia a rallentarsi e a stancarsi. Ma non in tutti gl'individui l'autografo psicometrico dell'attenzione, prosexigramma, ha il profilo concavo o avvallato come alla fig. 1, appartenente ad un individuo intelligente e colto. Profili meno comuni, ma non infrequenti, sono i quattro esemplificati e compresi nella fig. 2: A) il tipo a pilastro o a lesena d'un uomo attentissimo; B) il tipo dentato o a sega di un individuo ad attenzione mediocre; C) il tipo a cornicione, d'una signora intelligente ma sofferente di aprosexia (incapacità di attenzione continuata), dove tempi di reazione, sull'inizio rapidi ed eguali, diventano poi di colpo assai lunghi e diseguali; D) tipo a zig-zag o a baleno di un distratto. Da notare la particolarità che la fisionomia del prosexigramma si serba costante per mesi ed anni nella stessa persona e che perciò porge la maniera caratteristica dell'individuo di intendere al lavoro mentale. Cautele sperimentali si adottarono sin dalle prime prove per evitare che un intervallo troppo rigorosamente fisso desse luogo a risposte automatiche o anticipate. Il metodo (italiano) ha reso servigi alla patologia mentale (P. Janet); proposto sin dal 1909, è usato oggi per il collaudo psicometrico dei conduttori di veicoli celeri, per saggiare inclinazioni in talune categorie di operai e professionisti (tornitori-meccanici delle officine dello stato in Argentina [Alberti e Palacios]); e anche allo scopo di misurare il decorso della fatica nervosa lungo la giornata di lavoro.

Bibl.: Trattati di psicologia generale del Wolff, Wundt, Külpe, Höffding, James, Ebinghaus, Baldwin, Munsterberg, Lodl, Titchener. Bibliografia nella trad. di G. C. Ferrari dei Principii di psicologia di W. James, Milano 1906; F. H. Bradley, in Mind, XI (1886); XII (1887); XXII (1902); G. Buccola, Leggi del tempo, ecc., Milano 1883; S. De Sanctis, Studio sperim. dell'attenzione, Poggibonsi 1885; id., L'att. e i suoi disturbi, Roma 1896, id., Ricerche psicofis. sull'att., Roma 1897; P. Galluppi, Elementi di filos., Milano 1846; I; Lezioni di logica e metafis., Napoli 1854, III; G. Gentile, Sommario di pedagogia, Bari 1913-14, II, cap. I; M. L. Patrizi, in Archiv. d. psichiatria, 1895, XVI; R. Accad. di L. S. A. di Modena, s. 3ª, 12; Arch. ital. di biologia, 1895, XXII; P. Riccardi, Saggio di studi e di osserv. intorno all'att., Modena 1876; Th. Ribot, Psych. de l'att., Parigi 1903; G. Villa, Psicologia contempor., Torino 1911, cap. III.

Sulla psicometria dell'attenzione: M. L. Patrizi, Nuove ricerche sperim. di psicofisiol. del lavoro manuale e intellettuale, in Memorie Acc. Scienze, Lettere ed Arti di Modena, serie 4ª, I (1926), pp. 1-79.

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