ATTIVITA SUBACQUEE

Enciclopedia dello Sport (2004)

Attività subacquee

Franco Capodarte

Tipologie

Le attività subacquee moderne sono nate negli anni Trenta, soprattutto in ambito militare e per la pesca dilettantistica e professionale. Nel dopoguerra hanno dato origine a discipline sportive riconosciute e regolamentate: pesca subacquea, record d'immersione e, in tempi più recenti, fotografia subacquea, caccia fotosub, videosub, hockey subacqueo, rugby subacqueo, tiro al bersaglio (con tre specialità: tiro di precisione, biathlon e staffetta), apnea agonistica (con le specialità: statica e dinamica orizzontale) e apnea jump blu.

I record d'immersione hanno goduto del maggior seguito da parte dell'opinione pubblica per la temerarietà delle imprese che hanno reso celebri atleti come Enzo Maiorca, Jacques Mayol e Umberto Pelizzari. La pesca in apnea ha avuto venticinque anni di notevole popolarità dal 1960 al 1985 e poi ha perso gradualmente interesse presso il pubblico, sempre più attento alle preoccupazioni ecologiche.

Le altre specialità come la fotografia subacquea e la caccia fotosub, nate tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, hanno coinvolto soprattutto la parte più colta degli appassionati subacquei; le restanti discipline sono in gran parte nuovissime e attirano un numero crescente di giovani.

Tutte le attività sportive subacquee ufficiali vengono disciplinate in Italia dalla Federazione italiana pesca sportiva e attività subacquee (FIPSAS), organo del CONI e, nel mondo, dalla Confederazione mondiale attività subacquee (CMAS).

La pesca subacquea

I Campionati italiani

Le competizioni di pesca in apnea ebbero inizio in Italia nel 1949, nell'isola di Gorgona, avendo come regolamento di gara quello della pesca di superficie con qualche modifica: le norme consideravano valide tutte le specie ittiche, assegnando per l'intero pescato 1 punto a grammo. Successivamente si è stabilito un coefficiente di cattura da aggiungersi per ogni preda valida (in genere, non inferiore ai 300 g), in modo da consentire a chi prende diverse prede di totalizzare molti punti in più rispetto a chi cattura una sola preda di pari peso. Sono state escluse specie facilmente catturabili, come polpi e batoidei, e in seguito anche gronghi e murene. Recentemente è stata tolta dall'elenco anche la cernia, in quanto specie protetta. Si è introdotto anche un limite al peso massimo delle prede per evitare che un atleta possa vincere una gara con un solo pesce di grandi dimensioni: tutte le prede di oltre 10 kg vengono considerate di questo peso ai fini del punteggio.

La gara del 7 agosto 1949 a Gorgona, denominata 'precampionato italiano', fu vinta dal genovese Luigi Stuart Tovini. L'anno successivo, a Capraia, il napoletano Egidio Lombardi Boccia si aggiudicò il campionato ufficiale e un altro napoletano, Raimondo Bucher, che deteneva anche il record mondiale d'immersione, si affermò nel 1951 in un campionato molto avvincente a Ponza e a Palmarola.

Annullato per il maltempo il Campionato italiano del 1952 all'Argentario, il successivo si svolse a Procida e Ischia e fu dominato da una figura leggendaria dell'immersione, il napoletano Ennio Falco che sarebbe morto vent'anni più tardi pescando corallo a Santa Teresa di Gallura (Sassari). I successivi campioni d'Italia furono il toscano trapiantato in Calabria Ruggero Jannuzzi, che vinse all'Argentario, ancora un napoletano, Roberto Acconito, al Giglio e all'Argentario, quindi l'editore fiorentino Alessandro Olschki all'Isola d'Elba e nuovamente Ennio Falco per due volte.

Il 16 e 17 luglio 1960, all'Elba, Claudio Ripa vinse il suo primo titolo dopo essersi classificato tra i primissimi nelle edizioni precedenti e avere sfiorato la vittoria individuale ai Campionati del Mondo di Malta. Alle spalle di Ripa si classificarono Jannuzzi e Olschki. Ancora Ripa, nel 1961 (29 e 30 luglio alle Isole Tremiti), si confermò campione pescando il triplo del pesce del secondo classificato Paolo Costagli e quasi quattro volte di più di Carlo Boetti e di Alberto Laviano; fra le prede catturate da Ripa vi era anche una cernia di 25 kg.

Nel campionato disputatosi a Ischia nel 1962 spuntò un nome nuovo, il livornese Paolo Bencini, 20 anni, formato alla scuola di altri due toscani: il commissario tecnico della nazionale italiana Cesare Giachini e il forte atleta elbano Carlo Gasparri.

Nel frattempo la pesca in apnea, sport considerato elitario e stravagante, cominciava a essere accettata dall'opinione pubblica alla stregua di qualsiasi altra disciplina. Lo dimostrano i servizi dedicati dai quotidiani sportivi al Campionato italiano che ebbe luogo alle Isole Tremiti il 14 e 15 settembre 1963. Tornò in gara Ripa, reduce da un'embolia, mentre Bencini al termine della prima giornata fu escluso dalla competizione per decisione del medico, a causa delle imperfette condizioni fisiche. Trionfò il triestino Guido Treleani, con 44.450 punti, su Bruno Chiarolini (32.850 p.) e Jannuzzi (29.350 p.). Treleani dovette il successo al ritmo costante che impresse alla gara, con apnee tutte profonde e fruttuose.

Nel 1964 (1° e 2 agosto), nelle isole di Pianosa e d'Elba, su fondali che gli erano familiari, vinse per la prima volta Gasparri, prevalendo con 51.575 punti su altri due toscani: Gianfranco Bernardi, (43.250 p.) e Basilio Norcini (36.900 p.), che precedette ancora un toscano, Bruno Bartoli (36.810 p.). Al di là del valore assoluto degli atleti ai primi posti, risulta evidente che il fattore campo giocava un ruolo importante in questo sport. Si segnalò, anche, un giovanissimo napoletano, che con 35.700 punti conquistò il quinto posto: Massimo Scarpati.

Gasparri e Scarpati permisero un ricambio generazionale ai vertici dell'attività, dopo la prova opaca dei tre nazionali Jannuzzi, Treleani e Ripa che nel 1963 avevano riportato una cocente sconfitta nei Campionati Mondiali a Rio de Janeiro. Dopo una carriera brillantissima Ripa annunciò il suo ritiro dall'agonismo: aveva primeggiato nel mondo e in Italia a cavallo fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta; l'embolia subita durante un'immersione con l'autorespiratore, quando era al massimo del suo splendore atletico, non gli consentì di tornare ai livelli cui era abituato.

Il 10 e 11 luglio 1965 ai Campionati assoluti delle Isole Tremiti, Gasparri, allora ventinovenne, partì con l'intenzione di replicare il successo casalingo dell'anno precedente. Ci sarebbe riuscito se un giovane lucchese, Luciano Galli, non avesse portato a termine un'impresa unica nella storia dei campionati italiani: arpionò tre grossi esemplari di dentice, la specie più sospettosa e inavvicinabile, e vinse il titolo con 45.270 punti contro i 29.815 di Gasparri e i 27.290 di Treleani. Jannuzzi fu soltanto ottavo, davanti a Massimo Scarpati, in ascesa, e al promettente Antonio Toschi, giovane savonese.

Gasparri ebbe modo di rifarsi nel 1966, il 28 e 29 agosto, a Ponza, dove vinse il suo secondo titolo con 27.360 punti, eguagliando così la quota di due successi tricolori di Ripa e insidiando il primato delle tre vittorie di Falco. Secondo fu Gianfranco Bernardi, rappresentante della vecchia guardia, con 20.385 punti e terzo Ernesto Tarditi con 19.270 punti; tra i giovani si misero in evidenza Toschi e il genovese Guido Matteucci, un macchinista di navi da crociera. I primi quindici atleti classificati, secondo il regolamento, restarono in prima categoria, gli altri quindici furono retrocessi passando per l'anno successivo al campionato di seconda categoria.

Nel 1967 il campionato si disputò per la prima volta in tre giornate anziché due, diventando così ancora più selettivo: alle Isole Eolie, tra il 4 e il 6 agosto, s'impose ancora Gasparri, che eguagliò il record di Falco; primo con 84.200 punti, precedette Toschi (51.350 p.), che confermò la sua classe, e Treleani (47.500 p.). Conferma anche per Scarpati, quinto, mentre si affacciò all'agonismo di prima categoria Arturo Santoro, un forte subacqueo delle Isole Tremiti apprezzato nell'ambiente sportivo, ma che a fatica si era lasciato convincere a fare le gare. Altri due giovani si comportarono da campioni: il livornese Raffaello Bellani, 21 anni, settimo, e il genovese Gianni Beltrani, ottavo.

Furono ancora le Isole Eolie a ospitare la quindicesima edizione del Campionato italiano, dal 26 al 28 luglio 1968. Fu applicato un nuovo regolamento per il quale valevano le posizioni in classifica di ogni giornata, determinate dal 'pescato' di ciascun atleta: scopo della gara perciò era ottenere bassi punteggi, corrispondenti a migliori posizioni in graduatoria. Scarpati aveva 26 anni e la giusta esperienza per puntare alla vittoria, la prima della sua carriera. La svolta della gara si ebbe nella seconda giornata, che si disputò nelle acque di Salina. Scarpati, secondo in classifica dopo la prima giornata, a Salina realizzò un carniere eccezionale e con la prima posizione di giornata passò a 3 punti. La giornata conclusiva lo vide ancora vincitore e, con 4 punti, assicurarsi il titolo. Secondo fu Bellani con 8 punti, terzo, con 15 punti, Donato Gerbino, un subacqueo genovese di sicuro e brillante avvenire. Il 1968 si era aperto bene per Scarpati, che prima di diventare campione d'Italia aveva vinto il prestigioso Trofeo Mondo Sommerso, riservato ai campioni dei vari paesi.

Nel 1969, dal 18 al 20 luglio, Scarpati fece onore al suo titolo vincendolo ad Alghero (Sassari) per la seconda volta consecutiva, come era riuscito soltanto a Ripa e a Gasparri. Eppure le cose non si erano messe bene per lui, visto che al termine della prima giornata era primo Gasparri. Ma nelle due giornate successive Scarpati fu perentorio: due primi posti e una cernia di 26 kg, la preda più grossa del campionato. La vittoria finale fu sua con 8 punti, secondo Gasparri (24 p.), terzo Gerbino (26 p.). Jannuzzi, l'unico atleta ad aver partecipato a tutti i campionati italiani dalla loro istituzione, ad Alghero appena ventiduesimo, annunciò il suo ritiro dall'agonismo.

Nel 1970, il 18 e il 19 luglio (una delle tre giornate di gara fu annullata per il maltempo), per il terzo anno consecutivo Scarpati, ancora ad Alghero, si laureò campione, eguagliando così il primato delle tre vittorie di Falco e Gasparri e stabilendo un record di continuità. Nella classifica finale Scarpati e Gasparri ebbero 5 punti a testa, ma vinse il primo per la migliore posizione riportata nelle singole giornate. Terzo fu Gerbino (15 p.), quarto Bellani, quinto Beltrani. Gasparri dunque arrivò secondo per la quarta volta, preceduto da Scarpati sul terzo grande traguardo nel giro di due anni: un Campionato del Mondo e due Campionati italiani.

Il 1971 vide la quarta vittoria consecutiva di Scarpati, un record difficilmente eguagliabile; il Campionato si disputò dal 23 al 25 luglio alle Isole Egadi e Scarpati fu primo con 5 punti, Toschi, in forte ascesa, secondo con 10 punti e Gasparri terzo con 14 punti. Santoro si avvicinò ai vertici con un quinto posto e una vittoria di giornata; Scarpati fu primo nelle altre due. Si segnalò anche un giovane sardo di 23 anni, Luciano Orrù, settimo. Bellani resistette in prima categoria classificandosi tredicesimo, mentre Beltrani (ventiseiesimo) retrocedette.

Nel 1972 a Santa Teresa di Gallura (21-23 luglio) Gasparri riuscì a interrompere la serie di vittorie di Scarpati con un netto successo che gli fece eguagliare il primato dei quattro titoli italiani. Tra i due fuoriclasse si inserì al secondo posto un giovane triestino, Milos Jurincic, con 17 punti contro gli 8 del vincitore. Scarpati arrivò terzo con 18 punti. Jurincic entrò con merito fra i cinque migliori atleti del momento: Gasparri, Scarpati, Toschi, Gerbino e Santoro. Bellani si mantenne in prima categoria con l'undicesimo posto.

Dal 1973, intanto, si attuarono modifiche sostanziali alle normative federali, che evitavano l'attesa di due anni per la partecipazione al campionato assoluto di prima categoria, definivano il tempo per la preparazione e autorizzavano l'uso degli strumenti tecnici per la ricerca preventiva del pesce. In seguito a ciò, le gare si trasformarono in attività dove la programmazione, l'uso di imbarcazioni veloci e di tecnologie avanzate di ricerca e l'impiego di notevoli risorse economiche per soggiornare più a lungo sui campi di gara prescelti venivano a rivestire un ruolo sempre più importante. Ciò portò a un numero più selezionato di atleti, accentuando la distanza tra la media dei praticanti e quelli capaci di esprimersi ai livelli agonistici più alti.

Il Campionato italiano del 1973, disputatosi a Villasimius (Cagliari) il 27-29 luglio, fece registrare una clamorosa protesta contro l'organizzazione deficitaria dell'evento: 26 dei 29 atleti rimasti in gara dopo la prima giornata (che vide Massimo Scarpati in testa) disertarono la prosecuzione del campionato. Scesero in acqua soltanto Scarpati, Gasparri e Giorgio Leonardi, che lasciarono trascorrere il tempo necessario perché il campionato non fosse annullato e poi tornarono a terra. Il titolo, il quinto, fu di Scarpati.

Ben diversa l'atmosfera nel successivo Campionato del 1974 a Pantelleria. La pace era tornata fra gli atleti e la Federazione, e la manifestazione si svolse regolarmente, anche se con una giornata in meno a causa del maltempo. Il 6 e l'8 settembre gli atleti ammessi onorarono l'isola, che per la prima volta ospitava i Campionati, con una prova di rilievo; dominò la gara Santoro, con 3 punti, al suo primo titolo, secondo fu Beltrani con 2 punti, mentre Gasparri e Scarpati finirono con 14 punti ciascuno, ma il terzo posto fu dell'elbano per il miglior piazzamento di giornata. Scarpati si consolò andando a vincere gli Europei in Irlanda, battendo lo spagnolo José Amengual.

Gasparri concluse degnamente la sua luminosa carriera sportiva vincendo nel 1975 il suo quinto titolo di campione d'Italia e pareggiando così il conto con il suo eterno rivale Scarpati. Il campionato si svolse dal 10 al 14 settembre a Santa Teresa di Gallura. Il toscano realizzò 13 punti con un primo posto nella seconda giornata, davanti a Claudio Poggi (20 p.), e allo stesso Scarpati (23 p.); Toschi vinse la prima giornata, poi finì al settimo posto, Claudio Martinuzzi vinse la terza giornata e arrivò ottavo. Scarpati gareggiò con una maschera speciale, con la parte sinistra coperta, in quanto aveva perso quasi completamente il visus dell'occhio in seguito a un incidente durante una battuta di caccia terrestre.

Il successivo Campionato, disputato alle Isole Egadi dal 13 al 18 settembre 1976, fu vinto da Claudio Martinuzzi (16 p.) dopo una gara durissima: per la prima volta, infatti, si decise di disputare il Campionato nell'arco di cinque giornate. Le prime due erano considerate semifinali e al termine restavano in gara 30 dei 50 partecipanti; le altre tre costituivano la finale. Restarono in prima categoria soltanto i primi dieci, gli altri dovettero ricominciare dalle prove di qualificazione. In tal modo si pensò di avere un maggior ricambio di atleti e un più acceso agonismo.

Malgrado gli sforzi innovativi della Federazione, il 1977 rischiò di non avere i campionati; diverse località furono costrette a rifiutarli a causa dell'opposizione dei pescatori che si vedevano sottrarre i pesci dagli atleti in gara. In Sardegna era stata abolita dalla Regione la caccia subacquea con l'autorespiratore e si contestavano le gare. All'ultimo momento si riuscì a organizzare la competizione alle Isole Tremiti dove era vicesindaco Santoro. Alcuni atleti ritennero il campo di gara povero di pesce e non parteciparono. Si affermò il padrone di casa, Santoro, con 5 punti (due primi posti e un terzo posto), secondo fu un giovane elbano di 21 anni, Renzo Mazzarri, Toschi terzo con 24 punti. Scarpati, a sorpresa, prese parte al Campionato, ma si piazzò undicesimo e diede l'addio definitivo alle gare, perché soltanto i primi dieci classificati restavano fra i 'nazionali'.

Santoro ebbe a portata di mano il terzo titolo italiano nel 1978 (29 e 30 settembre) a Capo Rizzuto sulla costa ionica della Calabria; secondo dopo la prima giornata, fu tuttavia appena quindicesimo nella classifica finale, perché il carniere portato al peso al termine della seconda giornata, straripante di pesce, fu squalificato dalla giuria. Toschi fu primo in entrambe le giornate e vinse con 2 punti davanti al romano Giancarlo Candela (12 p.) e al giovane livornese Giuseppe Bacci (14 p.). A questo campionato gli atleti parteciparono per la prima volta con le proprie imbarcazioni (quasi tutti gommoni), portate al traino delle loro auto fino a Capo Rizzuto. Era un'altra novità positiva introdotta dalla Federazione che mirava ad affrancare i concorrenti dalle barche-appoggio dei pescatori locali e a evitare che le inevitabili differenze tecniche fra l'una e l'altra avvantaggiassero i più fortunati, abbinati alle barche migliori e più veloci.

Nel 1979 a Villasimius si ripeté con successo l'uso dei mezzi nautici personali. Si gareggiò su quattro giornate e Toschi riaffermò il suo valore conquistando il titolo italiano con 19 punti, secondo Sergio Di Fraia (22 p.), terzo Molteni (42 p.), davanti a Claudio Martinuzzi, Daniele Bacci (fratello gemello di Giuseppe), Gianfranco Donati e Giuseppe Bacci. Toschi fu primo nella terza e nella quarta giornata. Fra i giudici di gara c'era Scarpati che si manteneva in contatto con l'ambiente delle gare. Alla vigilia degli anni Ottanta, Toschi era il solo atleta ancora in auge di quel quintetto azzurro di fuoriclasse che comprendeva anche Gasparri, Scarpati, Santoro e Gerbino.

Nel 1980 ai Campionati di Orosei (Nuoro) disputati dal 25 al 27 settembre non cambiarono i valori in campo e Toschi trionfò ancora con tre secondi posti nelle tre giornate di gara (e quindi a 6 p.), davanti a Molteni (p. 19); terzo fu Massimo Testai, un giovane palermitano dai notevoli mezzi tecnici e quarto Martinuzzi con 20 punti nonostante l'ottimo secondo posto conseguito nella seconda giornata. Da quando erano stati adottati i gommoni personali come mezzi di appoggio Toschi aveva sempre vinto, portando a tre i successi tricolori e avvicinandosi al record di cinque vittorie di Scarpati e Gasparri. Venne alla ribalta Andrea Berardinone, un giovane napoletano di 21 anni, rispettivamente terzo e quarto nelle ultime due giornate, appartenente allo stesso circolo (La Pietra) di Scarpati. Molto bene si comportò anche Lo Baido, ventisettenne, che con il suo quinto posto portò a tre, insieme a Molteni e Testai, il numero degli atleti palermitani piazzatisi fra i primi cinque, un fatto inedito per i campionati italiani.

Nel 1981, a Manduria (Taranto), alla vigilia dell'ultima giornata avvenne un altro fatto inusuale: erano in lizza per il titolo italiano i gemelli Giuseppe e Daniele Bacci, ventiseienni, primo e terzo nella classifica parziale; la spuntò il primo con 7 punti, mentre il promettente Berardinone fu secondo con 15 punti, terzo Salvatore Vitale, un altro giovane, con 21 punti. Non salì sul podio Martinuzzi nonostante avesse ottenuto un buon successo nella terza giornata (le prime due erano state invece vinte da Giuseppe Bacci).

Pantelleria ospitò per la seconda volta i Campionati italiani assoluti nel 1982, dal 29 settembre al 2 ottobre. Da quattordici anni Claudio Poggi, un triestino trapiantato a Cosenza inseguiva il sogno del titolo nazionale. Lo realizzò in questa occasione, conseguendo due volte il quarto posto di giornata e una volta il secondo, per un totale di 10 punti in classifica finale. Berardinone fu ancora secondo (p. 12) e terzo Molteni (p. 12); seguirono il romano Giancarlo Fagiolari e l'elbano Renzo Mazzarri, mentre Giuseppe Bacci fu sesto e il gemello Daniele nono. Direttore di gara era Gianfranco Giannini, futuro capitano della nazionale italiana.

Il Campionato del 1983 a Siracusa (22-24 settembre) sembrò una partita a due fra Berardinone e un atleta di 20 anni quasi sconosciuto, lo studente palermitano Nicolò Riolo. Dopo la prima giornata Berardinone era primo e Riolo terzo; nella seconda, primo Riolo e secondo Berardinone; in quella conclusiva si intromise Lo Baido con il primo posto, Riolo terzo, Berardinone finì dietro perdendo il podio, dove salirono Riolo (7 p.), Enzo Liistro, un profondista della scuola di Enzo Maiorca (15 p.), e Toschi (19 p.), che precedette Berardinone. Non brillarono, invece, i fratelli Bacci. Berardinone qualche tempo dopo rimase vittima di un tragico incidente subacqueo.

Toschi si prese una netta rivincita l'anno successivo a Villasimius (20-22 settembre) e conquistò il suo quarto titolo con 3 punti, precedendo Jurincic (18 p.) e Lo Baido (23 p.). Non era mai avvenuto che un atleta vincesse tutte e tre le giornate di gara; nel corso della terza, nel risalire in barca, Toschi si ferì all'avambraccio con una fiocina e fu costretto a ritirarsi due ore e mezza prima del termine, ma ormai il suo carniere era tale da assicurargli ugualmente la prima posizione.

Nel Campionato del 1985 a Palau e alla Maddalena (18-21 settembre), alla vigilia dell'ultima giornata erano in lizza per il titolo Toschi e Molteni con 5 punti, Mazzarri con 7, Lo Baido con 9 punti. La lotta era dunque incertissima. Al termine della giornata sembrò prevalere Molteni e tutti lo stavano già festeggiando, ma quando venne pesato il carniere di Lo Baido la situazione fu capovolta e i due, concittadini e amici fraterni, si ritrovarono con lo stesso numero di punti: 10. Vinse Lo Baido grazie al secondo miglior punteggio giornaliero: essendo giunto rispettivamente settimo, secondo e primo prevalse su Molteni che aveva collezionato un quarto, un primo e un quinto posto.

Nel 1986 fu la volta di Luciano Cottu che si affermò nel difficile campo di Milazzo (Messina), con un quarto e un primo posto: 5 punti furono sufficienti per superare Antonio Vella, un forte atleta di Follonica, e Pietro Milano. Il Campionato si svolse dal 25 al 27 settembre, ma una delle tre giornate previste fu annullata. Con questo meritato titolo in tasca Cottu si recò l'anno successivo a Marina di Noto (Siracusa), ossia nel territorio di un valido avversario: Riolo era infatti uno specialista delle acque siciliane, che conosceva come pochi; aveva inoltre una straordinaria abilità nel trovare i punti di riferimento delle migliori zone di pesca e una grande memoria fotografica dei fondali, dote che gli permetteva di ritrovare in gara anche le tane più insignificanti, dove aveva localizzato il pesce nei giorni di esplorazione del campo di gara alla vigilia del campionato. Non era un grande 'profondista', ma riusciva a mantenere un ritmo di gara assai elevato. Sfruttando queste caratteristiche Riolo vinse il Campionato 1987 battendo due subacquei del calibro di Cottu e di Mazzarri, classificatisi nell'ordine. Il giovane palermitano sarebbe stato ancora campione d'Italia nelle stesse acque di Marina di Noto nel 1990 (14-15 settembre) e a Santa Margherita di Pula (Cagliari), nel 1993, stavolta fuori casa ma con la solita, attenta ricognizione della zona di gara prima dell'inizio. Nel 2001 Riolo, nelle acque palermitane nelle quali è praticamente imbattibile, centrerà un altro traguardo estremamente prestigioso, il quinto titolo italiano, raggiungendo il primato di vittorie di Gasparri e Scarpati.

Dal punto di vista tecnico si può osservare come in quegli anni si affermasse l'atleta di alto livello, capace di pescare con tattiche differenti da adattare di volta in volta alle condizioni ambientali e a profondità sempre crescenti, grazie a una preparazione molto più attenta. Intanto si studiavano misure di sicurezza di non facile realizzazione, mentre la politica ambientale guardava con occhio critico l'agonismo della pesca subacquea, e alcune associazioni naturalistiche la criticavano apertamente. Non per questo la storia dei campionati italiani si interruppe, anche se andava calando l'attenzione da parte dei mezzi di comunicazione e l'opinione pubblica mostrava un crescente disinteresse.

Nel 1988, a San Teodoro (Nuoro), arrivò al successo Molteni, dopo che per un nonnulla il titolo gli era sfuggito tre anni prima, a vantaggio di Lo Baido. La sua vittoria premiava una lunga carriera ai vertici di questa attività in campo sia italiano sia internazionale.

Il titolo italiano, che non aveva potuto vincere ai suoi tempi Raffaello Bellani, lo portò a casa nel 1991 (27 e 28 settembre), nelle acque di Marsala e Trapani, il figlio Stefano, come il padre poco amante delle grandi profondità, ma assai preciso nel tiro e capace di sostenere un alto ritmo di catture. In Sicilia Bellani jr. riuscì a piegare la resistenza di un atleta forte come Marco Bardi (campione d'Italia nel 1989 e secondo nel 1990). Al terzo posto si piazzò un altro subacqueo molto considerato nellagonistico, Maurizio Ramacciotti, livornese, che non avendo in genere per impegni di lavoro la possibilità di ispezionare i campi di gara prima delle competizioni si basava sulla capacità di individuare le prede al momento.

Il Campionato del 1992 si tenne a Follonica (Grosseto), dal 26 al 27 settembre, e ai primi due posti figurarono due atleti siciliani, Giovanni Zito e ancora Riolo, mentre giunse terzo il sassarese Silvio Ferruzzi. Dopo la vittoria di Riolo nel 1993, un atleta di Civitavecchia, Fabio Antonini, vinse due titoli italiani consecutivi: nel 1994 (16 e 17 settembre) a Portisco (Sassari), davanti a Bardi e a Bellani, e nel 1995 (16 e 17 settembre) a Trapani, prevalendo su Beniamino Cascone e Renzo Mazzarri. Cascone, salernitano, si rifece nel 1996 (11 e 12 ottobre) a Quartu S. Elena (Cagliari) su Riolo e sullo stesso Antonini. Mazzarri, che come Ramacciotti per i suoi impegni di lavoro non poteva dedicare troppo tempo alla preparazione delle gare e ai sopralluoghi prima della competizione, tendeva a primeggiare nelle gare internazionali, dove gli atleti partono quasi tutti alla pari vista l'impossibilità di conoscere in anticipo le caratteristiche di zone lontane e mai frequentate e dove emerge l'istinto innato del pescatore. A fronte delle crescenti difficoltà di ordine ambientalista, la Sardegna e la Sicilia sembravano le sole regioni italiane disposte ad accogliere le gare. Fece eccezione la Puglia, che le ospitò a Santa Maria di Leuca (Lecce, 19-20 settembre 1997), dove si affermò Aldo Calcagno, siracusano, davanti a Marco Bardi e a Fabio Antonini, e poi a Ugento (Lecce, 21-24 giugno 2000), dove vinse Bardi su Riolo e Milano. Al titolo del 1997, Calcagno, pescatore subacqueo di professione, ne aggiunse altri due consecutivi: nel 1998 a Portopalo (Siracusa, 12-14 giugno), davanti a Bellani e a Ramacciotti, e nel 1999 a Trapani (23-26 giugno) su Bardi e ancora su Stefano Bellani.

Dal 2001 al 2003 i Campionati hanno visto sempre sul podio Bruno De Silvestri del Gruppo Sportivo Albatros: a Palermo, nel 2001, giunse terzo, dietro a Riolo e a Fabio Antonini; nel 2002 a Calasetta (Cagliari) vinse prevalendo su Giuseppe Tortorella e Bellani; a Siracusa nel 2003 (17-21 giugno) fu secondo alle spalle dell'atleta di casa Francesco Accolla e davanti a Ramacciotti.

Nel 2003 la FIPSAS ha adottato una serie di innovazioni. Innanzitutto si è deciso di procedere all'estrazione a sorte dei campi di gara. Contemporaneamente è stato eliminato l'uso del gommone per spostarsi da un punto all'altro, pratica che dava luogo a pericolose gare di velocità fra gli atleti. Il mezzo deve servire solo come elemento di sicurezza e l'atleta può raggiungere le diverse zone del campo soltanto a nuoto, sfruttando la spinta delle proprie pinne. Sono state anche ridotte le dimensioni delle zone di pesca con conseguente limitazione dei fondali profondi e si sono prese importanti decisioni per salvaguardare l'aspetto ecologico delle competizioni, come la già citata esclusione della cernia fra le prede, l'introduzione di un coefficiente che premia la differenza di specie e la proibizione di catturare prede di una stessa specie. Da tutti questi provvedimenti la pesca in apnea è uscita totalmente trasformata.

I Campionati Mondiali

La storia dei Campionati del Mondo di pesca in apnea ebbe inizio nel 1957 a Lussino, in Iugoslavia. Inizialmente era previsto un Campionato d'Europa, ma la partecipazione di una squadra statunitense lo rese di livello mondiale. L'Italia vinse sia il titolo individuale, con il genovese Mario Catalani, sia il titolo a squadre con lo stesso Catalani, Alessandro Olschki e Ruggero Jannuzzi. Nel 1958 a Sesimbra, in Portogallo, fu primo il francese Jules Corman. Claudio Ripa, astro nascente dell'agonismo mondiale, arrivò terzo e Jannuzzi quarto. L'Italia perse il titolo a squadre a favore della Francia, al terzo posto si classificò il Brasile che cominciava ad affermarsi in campo internazionale.

Nel gennaio 1959 nei saloni del Museo oceanografico del Principato di Monaco fu istituita allo scopo di regolare le attività subacquee la CMAS (Confédération mondiale des activités subaquatiques), cui aderirono 14 paesi compresa l'Italia. Ne fu eletto presidente Jacques-Yves Cousteau, mentre il rappresentante italiano Luigi Ferraro presiedeva il Comitato sportivo. Nell'agosto successivo si svolse a Malta, fra le isole di Gozo e Comino, la terza edizione del Campionato del Mondo. Ripa perse il titolo a causa di un'ombrina sganciatasi dall'asta del suo fucile e finì terzo. Si laureò campione l'americano ventiduenne Terry Lentz e un altro forte statunitense, Don Del Monico, si piazzò alle spalle di Ripa. Al quinto posto il brasiliano Bruno Hermanny destinato a una carriera straordinaria. Fra gli italiani Ennio Falco fu settimo e Jannuzzi nono, mentre nella classifica a squadre l'Italia fu seconda dietro alla Spagna di José Noguera, che sarebbe restato ai vertici mondiali fino al 1975, ben dopo il ritiro di tutti gli altri. A fine mese il mondo della pesca sportiva fu funestato dalle morti per sincope da apnea prolungata di Jules Corman e del campione portoghese José Ramalhate, avvenute a Caprera durante la disputa della Coppa del Mediterraneo patrocinata dalla CMAS.

Nel 1960 i Mondiali si tennero per la prima volta in Italia, il 21 e 22 agosto, a Lipari e a Ustica. Ripa era il grande favorito e avrebbe colto in effetti il successo se non avesse perduto un labride già catturato ma sfilatosi dalla sagola. Prevalse così per pochi etti di pesce Hermanny, che conquistò il titolo ormai insperato con 47.320 punti contro i 46.565 di Ripa. L'Italia, con Ripa, Jannuzzi e Olschki, si rifece nella classifica per nazioni dove fu in testa con 118.430 punti davanti alla Spagna (101.860 p.) e agli Stati Uniti (100.075 p.). Seguivano 16 paesi, ultima la Finlandia con 2.910 punti. Stati Uniti e Brasile fornirono un'ulteriore prova di avere ormai raggiunto il livello dei maggiori paesi europei. Nella classifica individuale Del Monico fu terzo (41.760 p.), mentre il campione del mondo in carica Lentz arrivò soltanto ottavo. I sistemi di pesca adottati erano vari: i brasiliani, per es., adoperavano zavorre mobili che abbandonavano sul fondo dopo l'immersione; gli italiani si servivano invece di fucili sagolati in modo da trattenere la preda dopo averla colpita, altri preferivano fucili a elastici muniti di aste molto fini e veloci e senza sagola di trattenuta.

Nel 1961 ad Almeria, in Spagna, furono le solite cinque nazioni a dominare: la Spagna, che vinse con 533.000 punti, poi la Francia (372.000 p.), gli Stati Uniti (308.000 p.), il Brasile (293.500 p.) e l'Italia (263.000 p.). Gli organizzatori spagnoli scelsero un campo di gara troppo vasto perché potesse essere ispezionato dalle squadre ospiti e questo favorì gli atleti di casa che conoscevano bene le zone di gara. Lo spagnolo José Gomiz fu campione del mondo con 288.500 punti e Noguera fu secondo (188.500 p.). Ripa, terzo con 140.000 punti, fu indicato come il vero campione del mondo per quello che riuscì a fare in fondali del tutto sconosciuti.

A partire dal 1963 il Mondiale si disputò ogni due anni. Il 6 e l'8 dicembre per la prima volta si effettuò fuori dai confini europei: lo organizzò il Brasile, che puntava decisamente alla vittoria. In effetti, il grande Hermanny non trovò rivali nella classifica individuale, realizzando da solo un pescato superiore a quello di tutti e tre gli atleti italiani messi insieme. I punti di Hermanny furono 141.000; Jannuzzi (quattordicesimo) ebbe 40.880 punti, Treleani (quindicesimo) 40.790, Ripa (diciottesimo) 37.980. Non fu comunque il Brasile a vincere il titolo per nazioni, ma la sorprendente Francia, prima con 193.910 punti sul Brasile (191.810 p.) e sugli Stati Uniti (187.130 p.). L'Italia fu appena sesta con 81.670 punti e precedette altre sette nazioni. Si trattò della prima vera sconfitta degli atleti italiani nella storia delle gare internazionali, forse dipesa da condizioni ambientali non adatte al nostro tipo di pesca, con pesci fuori tana, correnti, acque torbide e poco profonde.

La scarsa predisposizione degli italiani a gareggiare in acque tropicali, già emersa in Brasile, fu confermata nel 1965, quando i Campionati del Mondo ebbero luogo a Rangiroa e Moorea, nella Polinesia francese. Guido Treleani non andò al di là del sedicesimo posto, Carlo Gasparri fece un po' meglio ma fu quattordicesimo, Salvatore Grosso quindicesimo. L'Italia finì appena ottava. Vinse facilmente la Francia perché si avvaleva di atleti tahitiani, seguirono l'Australia, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Giappone, il Brasile e la Spagna. Nella classifica individuale, però, i tahitiani si dovettero inchinare all'abilità di un celebre cacciatore di squali australiano, Ron Taylor, che era anche ottimo fotografo subacqueo e cineasta. Abituato a inquadrare i pesci, Taylor catturò un grosso pesce napoleone e lo portò al peso con le altre prede, aggiudicandosi la vittoria assoluta. Secondo fu il tahitiano Nicolas Haeta, terzo l'altro tahitiano Jean Tapù, quarto l'americano John Ernst, quinto un altro tahitiano, Arai Maeta.

Nel 1967 si svolse a Cuba il Mondiale più grandioso della storia: per la prima volta furono invitati 30 paesi e 88 atleti. Il 6 e 7 settembre a Cayo Avalos furono pescate oltre 15 tonnellate di pesce e il polinesiano Jean Tapù, ormai un mito dell'agonismo, si laureò campione del mondo, mentre Cuba, con Juan Gomez, José Reyes e Ebert Gonzales (secondo, terzo e quarto in classifica individuale), fu prima fra le nazioni davanti a Francia e Spagna. Quinta l'Italia che piazzò Massimo Scarpati all'ottavo posto, Treleani al decimo e Gasparri al trentesimo. Antonio Toschi, riserva, durante gli allenamenti prima del campionato catturò una cernia di 170 kg, la preda più grossa dell'intera manifestazione. Tapù pescò da solo 250 pesci per un peso di 700 kg.

Dopo la grande impressione suscitata nel mondo subacqueo dal Campionato di Cuba per la grandiosità dell'evento e l'organizzazione impeccabile, la Federazione italiana desiderò fare altrettanto nel 1969 alle Isole Eolie, il 9 e il 10 agosto. Furono presenti, come a Cuba, 30 paesi e 90 sub. Si pensava anche che fosse un'occasione propizia per restituire fiducia alla nazionale azzurra, reduce dalla serie nera nelle acque tropicali. Purtroppo il maltempo investì in pieno il campo di gara nella prima giornata, che fu annullata, e si decise di far disputare soltanto la seconda giornata per un tempo allungato di 6 ore e mezzo. Si gareggiò nelle acque dell'Isola di Salina e il risultato fu clamoroso per i nostri colori: tre italiani ai primi tre posti e successo pieno anche nella classifica a squadre. Scarpati fu campione del mondo con 51.200 punti, Gasparri secondo con 47.520 punti, Arturo Santoro terzo con 30.600 punti. Capitano della squadra azzurra era Cesare Giachini. Nella classifica a squadre l'Italia totalizzò 138.320 punti, davanti alla Francia (75.200 p.) e al Brasile (51.500 p.). Il quarto classificato, il tahitiano Anthony Paheeroo, catturò una ricciola di 26 kg (che però ai fini della classifica valse solo 10 kg a causa della limitazione posta dal regolamento al massimo peso delle prede). Nella squadra brasiliana gareggiò Amerigo Santarelli (ex recordman d'immersione in apnea), che finì trentunesimo.

Nel 1971 si gareggiò nelle acque tempestose del Pacifico, a Iquique, in Cile, il 3 e 4 settembre. L'Italia fu terza nella classifica a squadre, mentre Scarpati conquistò un onorevole quarto posto in quella individuale. Vinse il cileno Raoul Choque, con 405.550 punti, secondo John Ernst (Stati Uniti) con 324.600 punti, terzo Luciano Barchi (Perù) con 288.000 punti. Il miglior piazzamento azzurro di giornata fu di Gerbino, secondo nel giorno conclusivo. Gli atleti si trovarono di fronte alla difficoltà di fondali particolari, spazzati dalle acque oceaniche, fra alte laminarie e gruppi di otarie che venivano a mangiare il pesce dagli arpioni dei concorrenti. L'Italia avrebbe forse potuto far meglio se avesse avuto un capitano non gareggiante, che avrebbe potuto portare i nostri nelle stesse zone dove pescavano Choque, Ernst e Barchi; il capitano azzurro era invece Gasparri che si trovava in acqua con gli altri senza poter controllare l'andamento generale della gara.

Si ritornò in acque mediterranee nel 1973, a Cadaqués, in Spagna, il 27 e il 28 giugno. Vinse lo spagnolo di Maiorca José Amengual (107.150 p.), 28 anni, claudicante per un'infermità a una gamba, ma in acqua dotato dell'armonia di movimenti di un pesce; quarto in Cile, si confermò al livello più alto in patria. L'azzurro Scarpati, secondo con 57.780 punti, fu considerato il vincitore morale per la prova fornita in un campo di gara che gli spagnoli conoscevano alla perfezione. Al terzo posto si classificò l'anziano José Noguera (65.380 p.), che era anche selezionatore e allenatore della Spagna. Gasparri fu sesto con 50.260 punti e Gerbino ottavo con 42.580. Il capitano dell'Italia, Treleani, fu contestato a fine gara da Gasparri che lo accusò di aver seguito soltanto Scarpati nella giornata conclusiva; Treleani replicò dicendo di aver puntato, dovendone scegliere uno in particolare, sull'atleta che, al momento, gli dava maggior affidamento. Nella classifica a squadre fu prima la Spagna con 220.370 punti, davanti all'Italia con 160.620 punti, e alla Francia terza con 140.340 punti, grazie alla prova di Mauri Ateo, un tahitiano di 120 kg, piazzatosi al quarto posto assoluto. Il Cile fu penultimo, il Perù ultimo. Evidentemente se gli atleti mediterranei non erano a loro agio in acque tropicali oceaniche, anche gli extraeuropei, o almeno gran parte di essi, stentavano molto sui nostri fondali, dove il pesce è in tana e va scovato e le profondità sono ragguardevoli. Choque e il compagno di squadra Rodríguez, non abituati a quelle profondità, andarono in sincope da apnea prolungata; fortunatamente furono prontamente soccorsi e salvati.

Nel 1975 il Mondiale fu in Perù (27 e 28 novembre) e ci furono di nuovo difficoltà per gli azzurri. Gianni Beltrani, il primo degli italiani, fu solo decimo, con 293.900 punti, Scarpati quindicesimo con 252.700 e Gasparri sedicesimo con 250.400. Il vincitore fu il francese Jean-Baptiste Esclapez (367.050 p.), molto preciso e veloce, capace di eccellere anche in acque tropicali. Precedette il brasiliano Ricardo Dias (352.000 p.) e José Amengual (351.250 p.). Il Brasile, capitanato da Amerigo Santarelli, vinse la classifica a squadre davanti a Spagna, Stati Uniti, Francia e Italia. Il Perù, padrone di casa, fu appena nono e il suo migliore atleta, Luciano Barchi, undicesimo. I brasiliani conoscevano bene i fondali della gara, dove in altre occasioni si erano svolti i campionati sudamericani.

La rinnovata squadra azzurra, con Riccardo Molteni, Antonio Toschi e Claudio Martinuzzi, seppe finalmente sfatare il tabù delle acque tropicali in Brasile nel 1981, il 27 e 28 marzo. Stavolta l'Italia fu prima nella classifica a squadre con 190.040 punti, davanti a due avversarie europee, la Francia (166.930 p.) e la Spagna (110.560 p.); seguita da Stati Uniti, Cile, Perù e Brasile, soltanto settimo nelle proprie acque. José Amengual confermò il proprio valore con la vittoria individuale (81.180 p.) su Esclapez (76.280 p.), che per l'occasione indossò una muta mimetica, e sugli italiani Molteni (65.850 p.) e Toschi (65.370 p.).

Nel 1983 il Campionato del Mondo si disputò nelle acque cilene di Antofagasta, il 3 e il 4 settembre, con solo 12 paesi in gara. Fra la risacca incessante che metteva a dura prova gli atleti e le otarie che staccavano il pesce dagli arpioni dei concorrenti, dominarono gli atleti del posto. Alejandro Flores (266.750 p.) diventò campione del mondo davanti all'americano John Ernst (264.350 p.) e ai connazionali Horacio Andrade (245.150 p.) e Ramón Cortes (p. 186.250). Il miglior piazzamento degli azzurri fu il sesto posto di Toschi, Molteni fu decimo. Nella classifica a squadre prevalse il Cile sugli Stati Uniti, ma l'Italia ebbe un ottimo terzo posto precedendo Francia e Spagna, le sue rivali di sempre.

Si tornò nel Mediterraneo nel 1985, quando i Mondiali si svolsero a Muro, Isola di Maiorca. La formazione azzurra, capitanata da Gianfranco Giannini, si comportò molto bene giungendo seconda nella classifica a squadre, capeggiata dai padroni di casa grazie ai risultati individuali di Amengual. Al terzo posto la Francia. Amengual, quarantunenne, dopo aver vinto undici tornei nazionali e tre europei conquistò il suo terzo titolo mondiale: amava pescare invariabilmente su fondali profondi e medi, al volo o in tana, quasi sempre con un fucile a elastici, e in questa occasione catturò una cernia di 29,182 kg, una delle maggiori mai prese in gara nelle acque mediterranee. Con i suoi 93.110 punti lo spagnolo precedette in classifica Milos Jurincic (80.070 p. e 69 pesci, il numero più alto di prede del campionato), rimasto fino all'ultimo in lizza per il titolo. Toschi fu terzo con 74.545 punti, Molteni tredicesimo.

Fu invece l'Italia a trionfare nei successivi Mondiali del 1987 a Istanbul, dove la squadra (composta da Mazzarri, Lo Baido e Toschi) fu prima e Mazzarri conquistò il titolo individuale.

Ancora uno schiacciante successo degli atleti azzurri nel 1989: a San Teodoro, in Sardegna, si confermarono campioni sia nella graduatoria per nazioni (la squadra era formata da Mazzarri, Riolo, Molteni e Cottu), sia in quella individuale, dove Mazzarri vinse per la seconda volta consecutiva e si confermò il più forte pescatore subacqueo nel mondo. Quello fu l'ultimo anno in cui i Mondiali ebbero una risonanza paragonabile a quella avuta in passato. Con l'affermarsi dei movimenti ecologisti la pesca subacquea perse considerazione nell'opinione pubblica mondiale, l'entusiasmo per la sua massima manifestazione agonistica si ridimensionò e la stessa CMAS non si attivò più per diffondere una passione che si andava spegnendo anche fra gli stessi amanti delle attività subacquee.

Tuttavia la storia dei Mondiali proseguì e nel 1992, in Spagna, Mazzarri eguagliò il record di Amengual con tre vittorie individuali affermandosi sul francese Bernard Salvatori e sullo stesso Amengual, che precedette gli azzurri Riolo e Bellani. Sesta posizione per un altro spagnolo, Pedro Carbonell, destinato a un brillante futuro. Nella classifica a squadre l'Italia fu ancora prima.

Nel successivo Mondiale del 1994 in Perù, lo spagnolo José Viña Menendez vinse sul cileno Gutiérrez Caro e inaugurò una serie ininterrotta di successi spagnoli che sarebbe durata fino al 2002. Carbonell fu quarto e Mazzarri sesto davanti agli altri due azzurri Bardi e Bellani; i tre atleti italiani furono terzi nella classifica a squadre dietro Spagna e Cile.

Trascorsero due anni, secondo la cadenza temporale della gara iridata, e Carbonell conquistò in Spagna il suo primo titolo mondiale. Fabio Antonini fu quinto nell'individuale e terzo a squadre con Bellani e Bardi dopo Spagna e Portogallo. Di nuovo uno spagnolo arrivò primo nel 1998, in Croazia: Alberto March, che precedette tre italiani, Ramacciotti, Antonini e Calcagno, i quali ottennero un netto primo posto a squadre davanti a Spagna e Croazia.

L'edizione dei Mondiali 2000 nella Polinesia francese riportò al successo Carbonell sul tahitiano Teama Punuaitua, che precedette il campione uscente March e l'italiano Ramacciotti. Nella graduatoria a squadre fu prima la Spagna, davanti a Tahiti e Francia. Nel 2002 sui fondali brasiliani vinse ancora Carbonell sul brasiliano Paulo Pacheco e su Ramacciotti, che confermò un'elevata continuità di rendimento in campo mondiale. Bellani fu quarto e March ottavo. Carbonell eguagliò così il record di tre titoli mondiali individuali di Amengual e Mazzarri. Ottimo il secondo posto dell'Italia nella classifica a squadre, dove la Spagna fu prima e la Francia terza: le tre rivali di sempre ancora ai vertici della classifica.

I record di immersione

Record assoluti

I record d'immersione in apnea hanno un'origine bizzarra: la scommessa che Raimondo Bucher, pilota dell'aeronautica militare e pioniere dell'attività subacquea, fece nel settembre del 1949 con il decano dei palombari napoletani, Vincenzo Doria. Bucher si impegnò a scendere a 30 m di profondità trattenendo semplicemente il respiro e a consegnare al palombaro una pergamena a ricordo dell'evento. Pochi pensavano che Bucher ce la facesse. Ma il subacqueo, munito di maschera, pinne e di un fucile come zavorra, raggiunse il palombaro, sbalordito da tanta audacia. Nel 1952, due campioni napoletani di pesca subacquea di appena 20 anni, Ennio Falco e Alberto Novelli, si immersero a 35 m di profondità con la stessa attrezzatura usata da Bucher. Un anno più tardi, a Capri, Bucher si riprese il record scendendo a 39 m. Falco e Novelli raggiunsero nel 1956 i 41 m, sicuri di aver acquisito definitivamente il prestigioso primato, inconsapevoli di aver invece innescato un meccanismo destinato a non avere fine.

Nel 1960 l'italo-brasiliano Amerigo Santarelli, campione di pesca subacquea, scese a 43 m sui fondali di Rio de Janeiro, poi venne in Italia per partecipare al primo Trofeo Mondo Sommerso di pesca subacquea, con sede al Circeo, ed effettuò un'immersione a 44 m. Rispetto ai suoi tre predecessori, Santarelli faceva uso di una muta subacquea capace di comprimersi durante la discesa e di espandersi in fase di risalita, assicurando una spinta verso l'alto che negli ultimi 15-20 m permetteva al subacqueo di guadagnare la superficie quasi senza pinneggiare.

L'exploit di Santarelli spinse a cimentarsi un giovane subacqueo siracusano, dotato di una circonferenza toracica di 1,10 m: Enzo Maiorca. Il 22 settembre 1960, a pochi giorni dal record di Santarelli, Maiorca era pronto a scendere con la stessa attrezzatura usata a suo tempo da Falco e Novelli, senza muta ma con una zavorra di 9 kg. Raggiunse i 45 m. Santarelli, che si trovava ancora in Italia, s'immerse a Santa Margherita Ligure e toccò i 46 m, sempre con la muta e con una zavorra di 11,5 kg. Maiorca rispose il 2 novembre con 49 m, ma era sua intenzione ritentare in semplice tenuta di caccia, senza muta e con un fucile di 2 kg: il 15 agosto 1961 toccò i 50 m, al largo di Siracusa.

Intanto si accendevano polemiche fra i medici, preoccupati dell'eccessiva profondità raggiunta da Maiorca e da questa continua gara a scendere sempre più in basso. Il medico francese Pierre Cabarrou fissò in 50 m di profondità la massima quota subacquea a cui l'essere umano sarebbe potuto scendere senza incorrere nello schiacciamento toracico. Altri esperti sostenevano che il limite poteva variare non solo da individuo a individuo, ma anche nello stesso soggetto in immersioni diverse, essendo in rapporto a tre fattori: la capacità vitale, il volume degli spazi morti (cosicché a una minore entità di tale volume corrisponde una maggiore profondità raggiungibile) e la portata dell'atto respiratorio prima dell'immersione.

L'11 agosto 1962 Maiorca superò il 'limite Cabarrou', scendendo a 51 m nelle acque dell'isola di Ustica e tornando in superficie in perfette condizioni fisiche: era senza muta e adoperò un fucile zavorrato di 12 kg. Tempo totale d'immersione: 1′20″. Prima del record effettuò quattro discese a 40 m per ragioni televisive.

Nessun altro campione subacqueo sembrava volersi cimentare con questo record e allora Maiorca l'8 agosto 1964, nelle acque di casa presso Siracusa, portò il primato a 53 m. La discesa avvenne lungo una catena munita, dalla quota di 52 m in poi, di dischi gialli di plastica collocati a un metro l'uno dall'altro. Maiorca si lasciò trascinare verso il fondo da una zavorra di 15 kg. Giunto a 40 m non riuscì a compensare: fu un momento drammatico e un sommozzatore di soccorso gli si avvicinò, ma fu allontanato; l'atleta siracusano mollò il peso, risalì di qualche metro finché non ottenne il perfetto equilibrio fra la pressione esterna e quella all'interno delle orecchie, poi si lanciò di nuovo verso la quota del record.

L'emozione suscitata dall'impresa trovò nel presidente della Repubblica Giuseppe Saragat un sensibile interprete e per la prima volta, il 26 aprile 1965, tra gli atleti premiati con la Medaglia d'oro al valore atletico al Quirinale figurarono rappresentanti dello sport subacqueo italiano: Raimondo Bucher, Ennio Falco, Alberto Novelli ed Enzo Maiorca. In meno di sedici anni di attività questa disciplina aveva già dato all'Italia significativi successi. Enzo Maiorca onorò subito la medaglia d'oro appena ricevuta e il 25 luglio ad Acireale, in Sicilia, raggiunse i 54 m, ancora senza muta e con una marra di un'antica ancora romana di 12 kg a fargli da zavorra, il tutto in 1′07″. A questo punto il siracusano pensava a infrangere il muro dei 60 m.

Ma dall'altra sponda dell'oceano, dopo sei anni di assoluto dominio di Maiorca, rispose un 'profondista' francese, nato a Shangai: il giornalista e cineasta Jacques Mayol, che diede inizio a un duello entusiasmante con l'atleta italiano. Il 20 giugno 1966 Mayol raggiunse i 60,35 m nelle calde acque di Freeport, nelle Bahamas. Forte dei suoi 4′ di apnea in movimento, Mayol non forzò i tempi della sua prestazione e compì l'impresa in 2′01″ contro l'1′07″ di Maiorca nei 53 m. Anche il francese ebbe un problema di compensazione, ma alla quota di 56 m di profondità: allora si liberò del peso di 9 kg che lo spingeva in basso e ricorse a un vecchio espediente usato dai pescatori subacquei delle Tuamotu (Polinesia francese): serrò le narici con una mano e gridò sott'acqua per spingere l'aria nelle trombe d'Eustachio. La manovra riuscì e il record fu suo. Mayol aveva osservato le tecniche dei pescatori polinesiani durante uno dei suoi tanti viaggi in giro per il mondo. Non aveva il fisico possente del campione italiano, ma un'eccezionale capacità di concentrazione che gli derivava dalle pratiche yoga assimilate in Oriente.

La risposta di Maiorca non si fece attendere: dopo appena cinque mesi, il 17 novembre 1966, al largo di Siracusa, nonostante le non perfette condizioni meteorologiche, Maiorca superò Mayol con 62 m, utilizzando per la prima volta una muta e una maschera con un riduttore di volume che facilitava la compensazione all'interno della maschera stessa. Contrariamente a quanto fatto fino a quel momento in vista di un record, non era mai sceso in allenamento oltre la quota prefissata. Maiorca effettuò 5 minuti di iperventilazione e dopo un'immersione di prova a 40 m scese con una zavorra di 20 kg che scorreva lungo un cavo dove erano applicati alcuni bastoncini con indicate le quote. Staccato il bastoncino del record, dopo 2 m di risalita l'atleta avvertì un dolore lancinante all'orecchio sinistro per una piccola bolla d'aria o un grumo che gli procurò un senso di vertigine e disorientamento, ma si riprese presto e poté iniziare la risalita.

Il 5 settembre 1967, a Cayo Avalos (Cuba) durante la disputa del Campionato del Mondo di pesca subacquea, Maiorca portò il record a 64 m, in un tempo totale d'immersione di 1′34″, ben 17″ in più rispetto alla discesa a 62 m. Nell'impresa utilizzò una nuova zavorra di 23 kg, collegata a una maniglia e a due anelli che scorrevano lungo la catena di discesa, analogamente a quanto aveva fatto Mayol, che invece aveva utilizzato un solo anello. Con questo sistema si evitavano sbandamenti sulla verticale, era possibile rallentare la discesa a piacimento e addirittura bloccarla per agevolare la manovra di compensazione, che a Cuba fu effettuata a 15, a 30 e a 45 m di profondità. Maiorca usava ancora il riduttore del volume interno della maschera e risparmiò oltre 1 litro e mezzo di aria, ovvero il 20% in più rispetto alle immersioni effettuate con maschere normali.

Il record durò poco più di tre mesi; il 21 dicembre 1967 l'americano Robert Croft, 34 anni, scese a 66,29 m nelle acque di Fort Lauderdale, in Florida, adoperando una zavorra simile a quella di Maiorca, dotata di freno a mano. Croft si immerse anche per fini e rilevazioni di carattere scientifico: dagli apparecchi utilizzati in questa circostanza risultò che a 66 m il volume dei polmoni, compressi soprattutto dal basso dalla massa viscerale che schiaccia la cassa toracica, si riduce a un sesto del suo valore normale. Mayol fu presente alla prova dell'americano, in quanto facevano parte entrambi di un gruppo di subacquei e ricercatori che operava in Florida.

Mayol fu anche il primo a superare la quota dei 70 m di profondità: sapeva bene che l'opinione pubblica si appassiona di più quando c'è da oltrepassare un limite ben definito. Il 14 gennaio 1968, a Fort Lauderdale, raggiunse i 70,40 m, ma la sua prova, come quella di Croft, non fu convalidata dalla CMAS perché non furono rispettate tutte le norme federali e non erano presenti gli osservatori indicati dalla Confederazione. Prima di scendere, Mayol alternò minuti di respirazione yoga a brevi tuffi di prova a 10 m di profondità per verificare la compensazione. Ottenuta la giusta concentrazione iniziò la prova senza maschera per non sprecare aria, con uno stringinaso (come aveva fatto Bucher a suo tempo) e con una zavorra di 25 kg munita di freno come era ormai d'uso. I primi 20 m furono compiuti alla velocità giudicata eccessiva di 2 m al minuto, quindi Mayol rallentò e mantenne costante la velocità in modo che la compensazione avvenisse in modo uniforme. Al termine della prova Mayol, raggiante, gridò all'attore John Weissmüller, presente su una barca, di fare il famoso urlo di Tarzan.

Quando Maiorca preparava la sua ennesima risposta a Mayol, ancora non sapeva che la CMAS non aveva omologato il record del francese; per superarlo si sottopose a sei mesi di allenamenti severi secondo un protocollo messo a punto con i suoi collaboratori tecnici e con un medico, che lo tenne costantemente sotto controllo: soltanto pochi giorni prima della prova, fissata per il 15 settembre 1968 a Ognina di Siracusa, Maiorca conobbe la decisione della CMAS. Non dovendo più per stabilire un nuovo record superare i 70 m, si accontentò dei 69 m con un tempo totale d'immersione di 1′44″. In piena forma, quasi saltò la prima compensazione profonda a 35 m, effettuò quelle a 35 e a 50 m con due soste, quindi arrivò ai 69 m. Nella risalita, verso i 10 m, si arrestò per evitare il rischio di incorrere nella 'sincope dei 7 metri', che insorge per un brusco deflusso del sangue dal cervello a causa della repentina diminuzione della pressione esterna.

Il 14 agosto 1969, a Ognina, al tentativo di Maiorca di stabilire un nuovo record a 72 m era presente anche Jacques Mayol, estimatore del campione siracusano, che desiderava far parte della squadra dei sommozzatori di soccorso. Durante gli allenamenti Maiorca aveva superato per ben quattro volte i 74 m. Il tempo totale della prova fu di 1′55″. Mayol si dichiarò convinto che, vista la facilità con cui Maiorca aveva raggiunto i 72 m, si potesse scendere ancora di più. Maiorca confermò l'impressione del suo antagonista con un'altra discesa record a 74 m, avvenuta esattamente un anno più tardi, lo stesso giorno (14 agosto), ancora a Ognina. Impiegò 2′01″, ma stavolta accusò una breve perdita di sensi dopo il ritorno in superficie, forse perché debilitato da una lieve faringite da cui era stato affetto nei giorni precedenti.

Dopo meno di un mese, il 9 settembre, Mayol toccò i 76 m in 2′38″ in acque giapponesi, presso Tokyo. Maiorca declinò l'invito a recarsi negli Stati Uniti con Mayol e Croft, perché riteneva molto pericoloso impegnarsi in una gara senza limiti, dov'era in ballo la vita.

La CMAS aveva intanto deciso di non considerare più, a partire dal 1971, i tentativi di record come prove sportive, ma 'esperimenti scientifici' riguardanti la fisiologia dell'immersione in apnea. Maiorca e Mayol si incontrarono in Sicilia per commentare la decisione della Confederazione e perché il francese voleva illustrare al collega la sua discesa in Giappone. I due ritenevano possibile il traguardo dei 100 m, anche se la quota doveva essere raggiunta per gradi e senza inutili pericoli, tenendo anche in considerazione la salute dei sommozzatori in appoggio, costretti a sostare a quote sempre maggiori, con rischi di embolia.

L'11 agosto 1971, a Siracusa, Enzo Maiorca, che aveva cambiato metodi di allenamento, aggiungendo lunghi percorsi subacquei, in piscina, di nuoto pinnato per tratti anche superiori ai 100 m, scese, senza maschera, a 77 m per eguagliare la profondità raggiunta da Georghios Haggi Statti, il mitico pescatore di spugne greco che senza maschera né pinne nel 1913 si era immerso presso l'Isola di Scarpanto nell'Egeo fino a quella quota per permettere il recupero dell'ancora della corazzata italiana Regina Margherita.

A lungo si è ritenuto che il maggior limite alla possibilità di scendere a profondità sempre maggiori fosse rappresentato dalla necessità di compensare la riduzione dei volumi gassosi all'interno della gabbia toracica, al di là delle sue capacità di elasticità. Si è poi compreso che questo scopo è in gran parte raggiunto con lo spostamento di una certa quantità di sangue all'interno del torace, soprattutto nei grossi vasi e nel cuore. Resta come limite la capacità di rimanere senza respirare, anche in rapporto al crescente bisogno di ossigeno durante il nuoto; a cui va naturalmente aggiunta la difficoltà di compensare l'orecchio medio in immersioni tanto profonde e rapide. Come ha dimostrato Maiorca, occorrono lunghe preparazioni (anche di mesi) per affrontare le prove di maggior impegno.

Maiorca continuò il suo lento avvicinamento ai 100 m: il 18 agosto 1972, a Ognina, nonostante una forte corrente marina, portò il record mondiale a 78 m, in 2′25″, compensando a quota 30, 40 e 50 m. Al ritorno in superficie accusò un breve svenimento per la repentina caduta della pressione parziale dell'ossigeno. Il 18 agosto 1973, superò gli 80 m lontano dalla sua Siracusa, a La Spezia, dove l'attendeva una folla enorme di appassionati. Si affidò alla sua zavorra di 23 kg (il peso massimo consentito è di 30 kg) e scese fino a 30 m, dove compì una sosta di 3″ per compensare; poi, altri 10 m e un'altra sosta, stavolta di 4″, infine l'ultima brevissima tappa di 6″ a 50 m per l'ultima manovra di compensazione, che riuscì alla perfezione e gli permise di raggiungere la quota desiderata; si verificò allora un inconveniente imprevedibile: la lampada che doveva illuminare il contrassegno degli 80 m esplose e Maiorca, senza maschera, annaspò alla ricerca del fazzoletto bianco con la scritta '80'; da grande subacqueo qual era, mantenne un incredibile sangue freddo finché non trovò il fazzoletto e risalì in superficie.

Il 9 novembre 1973 tornò a misurarsi Jacques Mayol, nelle acque dell'Isola d'Elba. Mayol aveva 46 anni e come Maiorca puntava sempre verso il traguardo dei 100 m. Scese senza maschera, ma con speciali lenti a contatto che gli permettevano la vista sott'acqua; aveva lo stringinaso e si affidava a una zavorra di 29 kg munita di freno; le pinne erano del tipo lungo e la muta era stata studiata espressamente per lui. A differenza di Maiorca, riuscì a scendere senza bisogno di soste per compensare. Tre giorni prima, in una prova non ufficiale, aveva raggiunto gli 85 m con un'apnea di 2′48″. In questa occasione toccò quota 86 m.

Il 22 settembre 1974 è restato memorabile a causa di un incidente che non si era mai verificato prima nei tentativi di record: Maiorca tentò di raggiungere gli 87 m nelle acque di Sorrento e ormai il suo nome e le sue imprese erano talmente popolari che la RAI decise di organizzare una diretta televisiva dedicata all'avvenimento e affidata a un famoso telecronista, Paolo Valenti. Il dispiegamento dei mezzi era imponente e proprio per questo si presentarono inconvenienti tecnici legati all'eccessiva vicinanza, sott'acqua, delle attrezzature per la prova e degli apparati di ripresa; occorsero lunghi preparativi nel corso dei quali si incrociarono sommozzatori dell'équipe di Maiorca e tecnici della RAI. Fra questi c'era Enzo Bottesini, un subacqueo molto preparato proveniente dalla scuola federale sommozzatori di Duilio Marcante. Proprio nel momento in cui scese Maiorca, Bottesini si trovò sul cavo di discesa e oppose un inevitabile ostacolo all'atleta lanciato in velocità dal peso della zavorra. Fu una vera fortuna che Maiorca non riportasse fratture urtando contro le bombole di Bottesini, che non si accorse di niente. Quando Maiorca ritornò in superficie dai 18 m, quota in cui era avvenuto l'incidente, scaricò tutta la sua rabbia in diretta televisiva. L'episodio del 22 settembre entrò così anche nella storia della RAI come uno tra i più clamorosi che siano mai andati in onda. Dopo l'incidente, Maiorca non volle gettare al vento mesi di faticosa preparazione e rimandò il record al 28 settembre, naturalmente senza TV. Gli 87 m furono raggiunti, l'apnea complessiva fu di 2′36″; tornato in superficie Maiorca ebbe uno svenimento e dalle labbra uscì un rivolo di sangue, ma si riprese presto e senza conseguenze.

Il 25 ottobre 1975, durante una serie di immersioni scientifiche con prelievi sanguigni e misurazioni mediante catetere della pressione venosa centrale a 60 m di profondità, Mayol portò a 92 m il limite mondiale, con un'apnea di ben 3′06″. Da quando aveva saputo che Maiorca, all'indomani del suo nuovo record in assetto costante a 60 m, aveva espresso l'intenzione di infrangere la barriera dei 100 m, Mayol puntava decisamente alla stessa meta. Ci riuscì il 27 novembre 1976 all'Elba, con una muta speciale fornita di una zona gonfiabile per facilitare il ritorno in superficie. Una volta sul fondo, a 100 metri, il francese non trovò i cartellini delle quote, strappati via dal cavo durante la sua collocazione in acqua, ma c'erano i testimoni che svolgevano assistenza a quella profondità. Fu l'apnea più lunga per Mayol, che riemerse dopo 3′39″. Secondo i medici, con la pratica dello yoga il francese si era messo in condizione di sopportare ritmi di pulsazione cardiaca fino a un minimo di 28 battiti al minuto, quando in condizioni normali si rischia il collasso sotto i 40; aveva dimostrato inoltre un'eccezionale tolleranza alla diminuzione dell'ossigeno nel sangue, che dopo 4 minuti di apnea è del 50%, mentre di norma il limite di tollerabilità non può scendere sotto il 65%.

Nel 1983, il 19 ottobre, all'età di 56 anni, Mayol si immerse a 105 metri sui fondali dell'Elba e la prova durò 3′14″. Scese lungo un cavo di nylon utilizzando una zavorra di 50 kg dotata di sistema frenante. Per risalire gonfiò un palloncino fissato alla zavorra, che abbandonò a circa 50 metri dalla superficie, compiendo il resto del percorso a forza di braccia, senza maschera e con le speciali lenti a contatto. A -105 m il cuore di Mayol batteva 27 volte al minuto e in superficie 70-78 volte. Fu questa l'ultima impresa del francese, che continuò in seguito a frequentare l'ambiente subacqueo tenendo conferenze, scrivendo libri e realizzando documentari di grande interesse fino a quando non fu colpito da una grave forma di depressione che lo condusse al suicidio nella sua casa dell'Elba, nel dicembre del 2001.

Trascorsero alcuni anni dopo i 105 metri di Mayol, prima che Enzo Maiorca decidesse di interessarsi ancora alla fatidica meta dei 100 m di profondità. Fu nel 1988: si allenò con il consueto scrupolo prima di presentarsi, il 30 luglio, all'appuntamento così a lungo sognato. La zona era quella di Fontane Bianche di Siracusa. Maiorca effettuò con calma la prima fase di iperventilazione ancora vestito, poi la seconda dopo aver indossato la muta e infine la terza di 8′30″ sul seggiolino di zavorra in assetto di partenza. Le soste di compensazione lungo il cavo di discesa erano fissate ogni 10 m dai 20 ai 60 m di profondità: era sufficiente non riuscire a compensare in una qualsiasi di queste tappe, perché il record fallisse. Due commissari della FIPSAS e uno della CMAS punzonarono il cavo ai 100 m; in realtà quando Maiorca raggiunse questa zona, impiegando 1′35″, si trovò per l'esattezza a 101 m di profondità, a causa della variazione di tensione subita dal cavo. A quel punto gonfiò la muta speciale disegnata per lui e risalì velocemente riemergendo dopo 2′35″ con un largo sorriso sulla faccia. All'operazione aveva preso parte una nave da lavoro che aveva calato in acqua una campana d'immersione con due sommozzatori con il doppio compito di portare soccorso in qualsiasi momento fosse stato necessario e di documentare con una telecamera l'arrivo alla quota del primato.

Il 29 luglio 1989, ancora a Fontane Bianche, Maiorca tentò di raggiungere i 106 m, ma dovette rinunciare perché ai 60 m di profondità non riuscì a completare l'ultima manovra di compensazione, oltre la quale il record sembrava sicuro. Lo stesso anno, il 2 novembre, effettuò un tentativo di record a Cuba, nelle acque di Cayo Largo, un atleta che aveva seguito le ultime imprese di Maiorca e che aveva deciso di seguirne le orme: si chiamava Francisco Ferreras, ma era più conosciuto con il nomignolo di 'Pipin'. Nato a Matanzas e sposato con un'italiana, proveniva dal nuoto agonistico e dalla pesca subacquea ed era dotato di una forza fisica fuori del comune; già dal precedente mese di marzo deteneva il record in assetto costante, con 69 m. Maiorca gli mise a disposizione la sua squadra di sommozzatori di assistenza guidati come sempre da Nuccio Di Dato, e Pipin completò la troupe con i suoi assistenti cubani. Raggiunse i 112 m con grande disinvoltura sotto il controllo dei commissari CMAS e FIPSAS. Pipin, che durante alcune prove fuori concorso era già sceso a 122 m tornando in superficie senza danni, ribadì che il limite per l'uomo in apnea non è quello della pressione, ma quello della compensazione: bisogna cioè stabilire fino a quale profondità si ha ancora aria per compensare.

Una volta scoperta la possibilità di ampi margini di miglioramento per questo record, si succedettero tentativi a quote ritenute illusorie fino a qualche tempo prima. L'italiano Umberto Pelizzari, noto con il nomignolo di 'Pelo', il 25 ottobre 1991 aggiunse ai suoi record mondiali in assetto costante e in assetto variabile regolamentato, anche quello senza limiti di 118 m, toccati nell'Isola d'Elba. Il suo allenatore era Massimo Giudicelli e la squadra di sommozzatori d'assistenza quella di Alfredo Guglielmi. Pelizzari, come Pipin, non ebbe alcun problema di compensazione e scese alla velocità di 2m/s con una zavorra di 32 kg. A 118 m era talmente tranquillo e sicuro di sé che dopo aver staccato il testimone dal cavo-guida strinse la mano a Guglielmi e indicò il numero 3 con le dita riferendosi al numero dei record in suo possesso. La sua tecnica pre-discesa era simile a quella di Mayol: eseguiva una respirazione del tipo pranayama, con una leggera ventilazione impostata sulla dinamica del respiro, basata su inspirazioni molto lente di 15-20 secondi ed espirazioni ancora più lente di 30-40 secondi; ricorreva alla iperventilazione soltanto negli ultimi 30 secondi prima dell'immersione.

Pipin rispose l'anno successivo, nelle acque di Ustica, con 120 m in 2′46″ e Pelizzari fu pronto nel 1993 a scendere a 123 m, l'11 ottobre, sempre all'Elba. Al pari di Pipin, il profondista di Busto Arsizio sfoggiava una sicurezza totale e alla quota record ripeté il rito della stretta di mano a Guglielmi, poi aprì il rubinetto del 'bombolino' posto all'interno dello speciale pallone di risalita e azionò lo sgancio rapido che, liberandolo dalla zavorra, lo riportò in superficie. Tempo totale: 2′28″. Tra i suoi assistenti c'era un subacqueo, Gianluca Genoni detto 'Nano', che di lì a qualche tempo diventerà un suo serio rivale.

Il 15 novembre 1993, assistito da una squadra di sommozzatori diretta da Nuccio Di Dato, Pipin si riprese il record scendendo a 125 m a Port Lucaya (Bahamas). Impiegò una zavorra di 40 kg, raggiunse i 125 m in 1′29″ e in appena 40″ risalì in superficie. Pipin ritoccò ancora il suo primato nel 1994 con 126 m durante le Olimpiadi Blu a Ustica e nel 1996 a Cabo San Lucas, in Messico, con 130 m. A Villasimius, il 16 settembre dello stesso anno, Pelizzari scese a 131 m e dopo due mesi Pipin, ancora a Cabo San Lucas, arrivò a 133 m.

Passarono due anni nei quali sia Pipin sia Pelizzari furono impegnati nella realizzazione di documentari naturalistici e aprirono scuole subacquee e centri d'immersione. Il 3 ottobre 1998, a Portu Ottiolu in Sardegna, entrò in scena Genoni, che intanto aveva lasciato l'équipe di Pelizzari e si era messo a gareggiare personalmente, sfruttando i suoi poderosi mezzi fisici, in particolare la capacità polmonare di 8,5 litri di aria che gli permetteva un'apnea da fermo di oltre 7 minuti. Genoni effettuò una discesa record a 135 m, che diventarono 138 il 2 ottobre 1999.

Pelizzari, il 24 ottobre 1999, a Portofino, tentò di mettere la parola fine a questa ricerca del record senza limiti, scendendo all'incredibile quota di 150 m in 2′57″ con il supporto tecnico della nave Anteo della Marina militare italiana.

Questi record erano stati finora seguiti da rappresentanti ufficiali della CMAS o della FIPSAS, e talvolta di tutte e due le organizzazioni, e quasi sempre erano stati documentati con riprese televisive che coprivano l'intera durata della prova. Poi questo non è più avvenuto. La ricerca del record in apnea 'no limits' è comunque continuata. Il 18 gennaio 2000 Pipin raggiunse i 162 m a Cozumel, in Messico; tuttavia riemerse colpito da sincope, dalla quale si riprese gradualmente.

I primati in assetto costante

I record d'immersione in apnea nacquero in assetto variabile, nel senso che ci si aiutava con una zavorra che poi si abbandonava sul fondo; nel 1961 però Enzo Maiorca provò a scendere soltanto con maschera e pinne senza l'ausilio dei piombi e raggiunse i 50 m di profondità: non senza fatica, perché confessò che a 50 m aveva sentito le gambe legnose e le idee confuse e aveva seriamente temuto di non farcela. Dopo undici anni, il 14 agosto 1972, ancora Maiorca affrontò questa prova stabilendo un nuovo record, 57 m; osservò poi quanto fosse più faticoso scendere a 57 metri senza zavorra che a 77 trascinato giù da 25 kg di piombi. Il 6 settembre 1976, ancora nelle acque di Siracusa, Maiorca portò il record in assetto costante a 60 m, dove l'attendeva un sommozzatore di assistenza per ragioni di sicurezza. Fra i suoi assistenti c'era anche la figlia maggiore Patrizia, che aveva appena 18 anni e voleva seguire il padre sulla strada dei record in apnea.

Nel 1978 il record fece un passo indietro, perché la Federazione italiana aveva fissato nuove norme: il divieto assoluto di afferrarsi al cavo porta-segnali per risalire, l'obbligo di consegnare il cartellino della profondità raggiunta al commissario delegato a bordo della barca di servizio e il divieto di ricevere qualsiasi tipo di aiuto o soccorso prima di aver proceduto alla consegna. Seguendo questa normativa, il romano Stefano Makula, 24 anni, il 3 settembre raggiunse i 50 m sui fondali dell'Isola del Giglio.

Vi fu l'immediata reazione del team di Maiorca, che riunì a Siracusa un gruppo di giovani apneisti, tutti suoi allievi. Il 9 settembre 1978 Mario Imbesi, 22 anni, perito industriale, raggiunse i 52 m in 1′48″; Nuccio Imbesi lo imitò e scese pure lui a 52 m ma nel tempo di 1′45″. Nel 1979, nel giro di pochi mesi Enzo Liistro, Nuccio Imbesi e lo stesso Maiorca raggiunsero i 55 m. Nel 1980, a Ustica, Liistro scese a 56 m e Nuccio Imbesi a 57 m in 1′45″.

Nell'autunno del 1981 Makula, a Ponza, portò il record a 58 m in 1′38″, con una cintura di zavorra di 2,5 kg con la quale risalì in superficie come imponeva la regola dell'assetto costante. Makula ritoccò il record con 63 m nel 1984, con 65 m nel 1986 e con 66 m nel 1987, anno in cui Francisco 'Pipin' Ferreras irruppe sulla scena mondiale, raggiungendo i 67 m in 2′28″; successivamente toccò i 69 m nel tempo di 1′58″.

Le regole dell'assetto costante cambiarono ancora e il 18 settembre 1990 a Milazzo Pipin ricominciò con 63,11 m. Questo tipo di record interessò anche Umberto Pelizzari che vi si cimentò e riuscì a batterlo il 10 novembre 1990, all'Elba, quando raggiunse i 65 m di profondità. Il 1991 fu un anno di grazia per Pelizzari, che divenne detentore di tutti e tre i record (assetto variabile regolamentato, assetto variabile assoluto o 'no-limits' e assetto costante) e portò quello in assetto costante a 67 m. Negli anni successivi Pelizzari scese ancor più in profondità, a 70 e a 72 m. Poi, nel 1997, il cubano Alejandro Ravelo venne in Italia e si prese il record con 73 m. Pelizzari il 13 settembre dello stesso anno, a Portovenere (La Spezia), raggiunse i 75 m, ma Ravelo lo superò scendendo a 76 m l'anno successivo.

Nel 1999 Pelizzari volle chiudere i conti: lo fece (dopo aver portato a 150 m il record assoluto 'senza limiti') con una discesa perentoria in assetto costante, a Portofino, a quota 80 m. Ravelo non replicò ma lo fecero altri atleti, seguiti, però, da associazioni internazionali per la diffusione dell'apnea, come l'europea AIDA (Association internationale pour le développement de l'apnée) e l'americana IAFD (International association free diving), e non più dalla CMAS o dalla FIPSAS con regole universali. Secondo queste nuove realtà organizzative, il francese Brett Le Master scese a 81 m nel 1999, l'austriaco Herbert Nitsch a 86 m nel 2001, mentre il francese Guillaume Néry e il belga Patrick Musimu raggiunsero gli 87 m nel 2002, l'italiano Alessandro Rignani Lolli (con monopinna anziché le tradizionali doppie pinne) gli 88 m nello stesso anno, il ceco Martin Stepanek i 93 m nel maggio 2003 e ancora Herbert Nitsch i 95 m nel settembre 2003.

L'assetto variabile regolamentato

Oltre all'assetto variabile senza limiti, o assoluto, e all'assetto costante c'è una terza via per il primato in apnea. Viene denominata 'assetto variabile regolamentato' in quanto la normativa applicata dalla Federazione italiana per questo tipo di record limita a 30 kg il peso della zavorra utilizzata e impone la risalita senza l'ausilio di palloni né mute gonfiabili, ma utilizzando la sola forza delle gambe e delle braccia.

Il primato da battere, in questo caso, era il record di Maiorca di 87 m, del 1974, che era stato realizzato senza aiuti tecnici per la risalita e valeva come assoluto. Pipin Ferreras nel settembre del 1990, a Milazzo, pochi giorni dopo aver migliorato il record in assetto costante, si misurò anche nell'assetto variabile regolamentato e riuscì a raggiungere quota 94 m. L'impresa ebbe però risvolti drammatici: nella risalita Pipin si trovò erroneamente sulla traiettoria della nave appoggio e dovette quindi compiere un lungo percorso in diagonale per sbucare in superficie evitando l'urto contro la chiglia dell'unità; questi metri in più lo fecero incorrere nella sincope da apnea prolungata e arrivò in superficie svenuto; fortunatamente si riprese quasi subito perché soccorso in tempo dall'efficiente squadra di sommozzatori messagli a disposizione da Maiorca. Il record fu dichiarato nullo, ma l'atleta ritentò dopo una settimana e il 30 settembre si accontentò di strappare il cartellino dei 92 m. Il profondista cubano scese senza maschera né lenti a contatto e con le gambe tenute piegate dietro la schiena con una cintura a sgancio rapido. La posizione era eretta (e non con la testa rivolta verso il basso), per facilitare la compensazione.

Nel 1991 Pelizzari sfruttò gli intensi allenamenti che gli avevano permesso di battere anche altri record per scendere a 95 m nelle acque dell'Isola d'Elba il 22 ottobre. Il 31 luglio 1993 Ferreras approfittò invece della favorevole atmosfera da cui si sentiva circondato nella città di Enzo Maiorca per raggiungere la nuova profondità record di 96 m in 2′03″. Durante la risalita si aiutò con le braccia afferrando il cavo, poi ai 40 m lasciò la presa e continuò con la sola forza delle pinne. Pelizzari voleva essere il primo uomo a superare la barriera dei 100 m in questo tipo di record e portò a compimento l'impresa il 22 luglio 1994 a Cala Gonone, in Sardegna, con 101 m, che diventarono 105 nel luglio dell'anno successivo ancora in Sardegna, ma più a sud, nelle acque di Villasimius.

Nel 1996 nel duello Pelizzari-Ferreras si inserì Gianluca Genoni che, anche lui nelle acque di Siracusa, il 17 agosto scese a quota 106 m e conquistò il record. Pelizzari non lasciò passare neanche un mese per provare a riprendersi il titolo. Vi riuscì, immergendosi fino a 110 m il 9 settembre, a Villasimius.

Nonostante alcuni tentativi del cubano Alejandro Ravelo, il vero duello in questa specialità restò quello tra i due italiani: Pelizzari scese a 115 m, a Portovenere, il 20 settembre 1997; Genoni raggiunse i 120 m di profondità il 4 ottobre successivo, sui limpidi fondali di Arbatax in Sardegna. In seguito Genoni si limitò a piccoli ritocchi: toccò i 121 m il 2 ottobre 1998 a Portu Ottiolu, in Sardegna, e, nella stessa località, 122 m il 30 settembre 1999, i 123 m l'8 ottobre 2000 e 125 m il 12 ottobre 2000. Il 22 settembre 2001 Genoni cambiò campo di gara e si trasferì a Portofino, dove il ritocco di un metro del record (126 m) avvenne in 3′09″: fu il suo decimo primato mondiale. Ma il 3 novembre 2001 Pelizzari, nelle acque di Capri, si riappropriò del record, portandolo alla profondità di 131 m in 2′44″: un'impresa di grande valore considerando che cinque anni prima era risalito dalla stessa profondità con l'aiuto di un pallone, in un tentativo in assetto variabile assoluto: stavolta, invece, lo fece senza alcun mezzo di ausilio, come impone la regola.

Gianluca Genoni non permise che il suo primo record restasse a lungo nelle mani di un avversario e il 29 settembre 2002, a Moneglia (Genova), scese a 132 m. A quel tentativo non furono presenti rappresentanti CMAS o FIPSAS, sostituiti per l'occasione da un notaio.

I record femminili

L'assetto variabile. - Il record femminile d'immersione in apnea nacque, come quello maschile, in assetto variabile: il 23 luglio 1961 una romana di 26 anni, Francesca Borra, superò i 20 m raggiunti dall'americana Joan MacKelly, immergendosi a 25 m di profondità a Santa Margherita Ligure. Borra, alta 1,66 m per un peso di 54 kg e dotata di una circonferenza toracica di 89 cm, scese senza muta, con un fucile piombato di 3 kg. Il tempo di discesa fu di 30″, quello di risalita pari a 26″.

Il 7 ottobre 1962 un'allieva di Maiorca, la tedesca Hedy Rössler, 24 anni, dal fisico minuto ma capace di un'apnea di 3′30″, scese a 30 m con una zavorra di 5 kg. Lo stesso Maiorca era uno dei commissari federali e la prova avvenne nel campo di gara prediletto dal campione siracusano, al largo di Ognina. Lungo il cavo-guida erano attaccati i contrassegni indicanti la profondità a ogni metro a partire dai 26; Rössler faticò a staccare il cartellino dei 30 m che non cedeva agli strappi.

Il 26 luglio 1965, durante il Trofeo Mondo Sommerso di pesca subacquea, la sorella minore di uno dei campioni in gara, Giuliana Treleani, migliorò con evidente facilità il record mondiale scendendo a 31 m con una zavorra di 5,5 kg, senza muta, in 1′05″.

Nell'inverno del 1966 a Freeport, nelle Bahamas, l'inglese Evelyn Petterson conquistò i 33 m. Treleani compì un altro tuffo-record in estate, nelle Isole Eolie, dove si fermò al cartellino dei 35 m, ancora senza muta ma con una maschera dotata di riduttore di volume interno (lo stesso tipo creato per Maiorca), in modo da limitare al minimo lo sforzo per compensare la pressione nella maschera stessa.

Il 4 settembre 1967, durante i Campionati del Mondo di pesca subacquea a Cayo Avalos, a Cuba (la cui organizzazione era stata coordinata personalmente da Fidel Castro, appassionato subacqueo), Treleani, per tutta risposta a una discesa di Petterson a 38 m avvenuta l'anno precedente, ruppe ogni indugio e senza ascoltare gli inviti alla prudenza decise di tentare un miglioramento del primato di almeno 5 m; ma nel corso dell'immersione, anche a causa della sua miopia, non riuscì a vedere bene la quota e si spinse fino alla profondità di un commissario che si trovava a 45 m; staccò quindi il cartellino dei 45 m e tornò sicura verso la superficie. Stavolta indossava una muta in due pezzi, la maschera con riduttore di volume e aveva una zavorra di 8 kg. La corsa al record di Giuliana Treleani si interruppe con quella performance; poco dopo trovò la morte in un incidente stradale in Sardegna, mentre si recava nella scuola dove insegnava. Aveva appena 26 anni.

Le due figlie di Enzo Maiorca, Patrizia e Rossana, che già si erano messe in luce nella disciplina dell'assetto costante, aprirono una serie di record anche nel 'variabile', scendendo tutte e due a 50 m nel 1982. Ma nel 1985 una ragazza di Rimini allenata da Jacques Mayol, Angela Bandini, raggiunse i 52 m. Ricominciò l'impegno in casa Maiorca, con l'intenzione di portare il record su quote sicure: Rossana nel 1986 arrivò a 68 m, Patrizia nel 1987 replicò con 70 m, Rossana nello stesso anno scese a 75 m; nel 1988 la stessa Rossana fece cadere la barriera degli 80 m in una prova impegnativa, complicata dalla presenza di una forte corrente sottomarina che compromise la verticalità del cavo-guida e costrinse l'atleta a rallentare la corsa verso il record; Rossana indossava per la prima volta una muta speciale con la zona superiore gonfiabile, per cui poté risalire agevolmente. Il 26 e il 28 luglio 1989 Rossana provò a portare la misura a 85 m, nelle acque di Fontane Bianche di Siracusa, ma dovette desistere in entrambe le occasioni perché impossibilitata a compensare ai 50 m.

Nel 1990 Angela Bandini, 28 anni, allenatissima, dimostrò l'assoluta determinazione a raggiungere profondità intoccate. Alla presenza di due giudici federali e di un commissario della CMAS, il 2 ottobre, al largo di Capoliveri, Isola d'Elba, scese a 95 m, 15 m in più di Rossana Maiorca. L'atleta volle superare anche il record maschile, fissando la punzonatura dei giudici sul cavo-guida a 107 metri. Il 3 ottobre la squadra di sommozzatori guidata da Alfredo Guglielmi tornò a disporsi in acqua per assisterla: senza maschera e con una zavorra di 30 kg priva di sistema frenante, dopo un minimo di iperventilazione Bandini si lasciò andare verso la profondità di 107 m, dove Guglielmi le passò il palloncino di risalita, il tutto ripreso dalla telecamera fissata al fondo e caricata con un nastro sigillato dai giudici. A poco meno di 15 m dalla superficie, Bandini lasciò il pallone e a circa 10 m effettuò una sosta di 30″ per dimostrare a sé stessa di possedere ancora una sufficiente riserva d'aria e soprattutto per non incorrere nel rischio dello svenimento negli ultimi metri. L'elemento psicologico sembra aver avuto un peso determinante nella conquista di questo record, il cui merito Bandini fece risalire a un amico scomparso che le aveva insegnato a dominare le profondità marine soprattutto dominando sé stessa.

In questo periodo la CMAS riprese a omologare i soli record in assetto costante, limitandosi a 'registrare' gli altri, che vennero seguiti dalla neofondata AIDA.

Il 12 luglio 2000 la giovane cubana Deborah Andollo si misurò con il record in assetto variabile regolamentato e scese a 95 m, nelle acque di Parghelia, presso Vibo Valentia. Qualche giorno più tardi tentò di superare il record femminile assoluto di Angela Bandini utilizzando una zavorra a forma di siluro che si differenziava nettamente rispetto a quelle 'a cuneo' dei record precedenti, anche maschili. Compì una discesa impeccabile compensando con facilità fino ai 65 m, ma ai 90 m dovette rallentare la velocità di discesa e forzare leggermente per compensare. A 115 m, quota del record da lei prestabilito, urtò con la slitta contro il piattello di fine corsa e una delle due pinne restò incastrata, così perse ben 13 secondi per liberarla. La prova si concluse, tuttavia, felicemente.

Il 13 maggio 2000, Audrey Mestre Ferreras, moglie di Pipin, scese a quota 125 m alle Isole Canarie e l'americana Tanya Streeter raggiunse la profondità di 160 m il 17 agosto 2002 nelle isole caraibiche Turks e Caicos. Audrey Mestre Ferreras il 12 ottobre dello stesso anno, nelle acque della Repubblica Dominicana, toccò i 170 m ma, colpita da sincope, morì durante la risalita.

L'assetto costante. - Il record femminile in assetto costante fu in programma per la prima volta a Cayo Avalos (Cuba) durante i Mondiali di pesca subacquea del 1967. Fu chiamata alla prova Giuliana Treleani che il giorno prima aveva stabilito il nuovo primato dell'assetto variabile. Ma la mattina del 5 settembre, per un'improvvisa indisposizione di Giuliana, si presentò la sorella maggiore Maria, forte pescatrice subacquea ma senza alcuna voglia di cimentarsi in primati. Tuttavia con la sola maschera e le pinne Maria scese a 31 m davanti ai commissari della CMAS e si laureò campionessa mondiale.

Per undici anni non si parlò più di questo record, poi il 9 settembre 1978, dopo che la Federazione italiana ebbe fissato le nuove regole, Patrizia Maiorca, figlia primogenita di Enzo, scese a 35 m a Ognina. In allenamento aveva raggiunto senza difficoltà i 38 m nel tempo complessivo di 1′42″. Fu il primo record ufficiale delle figlie di Maiorca, che avrebbero dominato la scena mondiale per molti anni. Il record fu infatti portato a quote sempre più profonde da Rossana Maiorca: 40 m nel 1979, 45 m nel 1980. Negli anni seguenti l'atleta si concentrò esclusivamente sulla specialità dell'assetto costante, e il 28 luglio 1990, a 30 anni, dopo mesi di allenamenti e di tentativi non ufficiali, raggiunse nelle acque di Fontane Bianche di Siracusa i 55 m di profondità in 1′59″. Per questo tipo di record adoperava maschera e pinne e una muta in neoprene dello spessore di 3 mm la cui spinta di galleggiamento era controbilanciata da una cintura di zavorra di 2 kg di peso. Nel 1991 Rosanna Maiorca migliorò il record portandolo a 56 m.

Dopo di lei nessun'altra atleta si è misurata in questa specialità con le regole e i controlli ufficiali di CMAS e FIPSAS. Quello del 1991 fu dunque l'ultimo record di una grande campionessa. Le associazioni per la diffusione dell'apnea registrarono, nellcostante, altre performance: il 19 settembre 1998 Tanya Streeter raggiunse i 67 m in Sardegna, il 7 novembre 1999 l'atleta turca Jasmine Dalkilic toccò proprio in Turchia, presso Bodrum, i 68 m, nel maggio del 2001 ancora Streeter scese a 70 m nelle acque della Guadalupa.

Attività subacquee fotografiche

La fotografia subacquea

La fotografia subacquea è diventata uno sport ufficiale con la disputa dei primi Campionati del Mondo, che hanno preceduto quelli nazionali. Per partecipare ai Campionati italiani è necessario affrontare una serie di gare selettive che la Federazione organizza in tutta Italia. La competizione, alla quale vengono ammessi 45 concorrenti, si svolge in due giornate; vengono individuati quattro campi di gara sui quali i partecipanti si alternano; ogni concorrente può disporre di un assistente e di una modella o modello, e ha a disposizione ogni giorno due rullini da 36 pose ciascuno. I filoni sono quattro: pesci, macro, ambiente, creativa. Al termine delle due giornate di gara i concorrenti selezionano le foto davanti ai giudici e consegnano una sola foto per ognuno dei quattro temi. La giuria, composta da cinque persone compreso il presidente, compila la classifica dal primo al decimo posto; tutti gli altri concorrenti vengono classificati a pari merito all'undicesimo posto. Il voto più alto e quello più basso si eliminano. Vince chi riporta il miglior punteggio dalla somma dei piazzamenti in ciascuna delle quattro categorie.

La prima edizione dei Campionati italiani si svolse nel 1984 nell'Isola di Capraia e si impose il fotografo subacqueo palermitano Alberto Romeo, già affermato in campo internazionale avendo pubblicato stupende immagini in riviste di tutto il mondo. L'anno successivo si aggiudicò il titolo sui fondali di Palmi (Calabria) Paolo Vicentini. Nel 1986 si affermò Walter Righetti a Porto Ercole, mentre Gianfranco D'Amato, uno degli autori italiani più importanti, vinse nel 1987 all'Isola d'Elba.

Dal Campionato italiano di Palinuro del 1988 uscì un altro nome prestigioso, il romano Roberto Rinaldi, unico subacqueo italiano dell'équipe di Jacques-Yves Cousteau. Nel 1989 vinse a Milano Stefano Landini, mentre Mario Bartoli si aggiudicò le due edizioni successive. Nel 1992 Andrea Giulianini fu primo a Ustica, vittoria che replicherà nel 1996, ancora a Ustica. Claudio Bertasini, Massimo Sanfelice, Luigi Cianci e Gianni Pecchiar si aggiudicarono i Campionati 1993-95 e 1997.

La Federazione stabilì che a partire dal 1998 i campioni fossero due: per la categoria con macchine fotografiche Reflex scafandrate e per la categoria delle macchine anfibie tipo Nikonos. Luigi Cianci e Roberto Faro vinsero nel 1998, Francesco Sesso e ancora Roberto Faro nel 1999, Fabio Pregagnoli e Riccardo Rossetti nel 2000, Giovanni Vio e Riccardo Rossetti sia nel 2001 sia nel 2002.

I fotografi subacquei italiani hanno ottenuto importanti risultati anche nel Campionato del Mondo della specialità, la cui prima edizione (1979) si disputò a Cala'mpisu in Sicilia e vide la vittoria del romano Mario Zucchi, davanti all'inglese Mike Portelly; a squadre vinse la Gran Bretagna, mentre la compagine italiana (rappresentata dallo stesso Zucchi e da Paolo Curto) si classificò al quarto posto. Bisognò attendere otto anni perché venisse organizzato il secondo Mondiale, nel 1987 a Cadaqués, in Spagna. Si affermò lo svizzero Kurt Amsler davanti all'italiano Pierfranco Dilenge, ma nella classifica per nazioni l'Italia fu prima con Dilenge ed Enrico Gargiulo. Nel 1990 il torneo tornò in Italia, a Milazzo, dove diventò campione iridato il francese Frédéric Di Meglio davanti al compagno di squadra Marc Debatty; terzo fu Alberto Muro Pelliconi, che in coppia con Francesco Tacchi conquistò per la nazionale azzurra il secondo posto nella graduatoria a squadre dopo la Francia. Nel 1992 i Mondiali si disputarono per la prima volta in acque equatoriali, a Cuba: arrivò primo lo svizzero Franco Banfi che precedette Andrea Giulianini. Nella classifica per nazioni fu prima l'Italia con Giulianini e Massimo Sanfelice. Nel 1994 in Corea Frédéric Di Meglio conquistò il suo secondo titolo davanti a Claudio Bertasini ma ancora una volta l'Italia primeggiò nella graduatoria a squadre con Bertasini e Giulianini.

Nel 1996 a Ciudadela, nell'isola di Minorca, trionfò l'Italia per la terza volta consecutiva con Settimio Cipriani e Andrea Giulianini. Cipriani sfiorò il successo anche nella classifica individuale, vinta dallo spagnolo Carlos Minguel, il quale si ripeté nel 1998 in Norvegia dove l'italiano Andrea Peratoner fu terzo. Da questa edizione la CMAS decise di togliere ufficialità alla classifica per nazioni. Nel 2000, in Egitto, Cipriani riconquistò per l'Italia il titolo individuale che mancava dal 1979. Sia Cipriani sia Zucchi appartengono alla Scuola romana di fotografia subacquea, che ha avuto nomi di grande prestigio come Maurizio Sarra, vittima di uno squalo al Circeo, Roberto Dei, per lunghi anni presidente della Commissione fotografica della CMAS, Piero Solaini, Raniero Maltini, Danilo Cedrone, Stefano Navarrini e Roberto Rinaldi.

I Mondiali del 2002 si svolsero a Marsiglia e ne fu vincitore lo spagnolo Luís Gonzalez sul francese Jean-Pierre Nicolini; la nazionale italiana, ancora una volta capitanata da Dilenge, fu danneggiata dalla mancata rotazione dei campi di gara a causa del maltempo. Vio fu nono e il campione uscente Cipriani undicesimo, perché costretti a gareggiare in entrambe le giornate nella zona di mare meno ricca di soggetti da fotografare.

La caccia fotosub

La caccia fotosub è un'attività sportiva regolamentata, che consiste nel catturare con l'obiettivo di una macchina fotografica il maggior numero di pesci appartenenti a specie diverse. Perché la foto sia valida il pesce deve essere riconoscibile e le dimensioni non devono essere inferiori a un quarto del lato maggiore del fotogramma. Vince chi riesce a fotografare meglio il maggior numero di pesci. In genere un concorrente di buon livello, al termine della giornata di gara, con un rullino da 36 pose a disposizione, presenta alla giuria 25 specie diverse; ma un campione arriva a 35, praticamente un pesce valido per ogni scatto.

La disciplina nacque in Italia, a Trieste, agli inizi degli anni Settanta, con un regolamento studiato da Gianni Mangiagli, esperto in biologia marina, e dallo iugoslavo Tine Valentich; i due si ispirarono alla pesca subacquea e attribuirono ai pesci fotografati un punteggio in base alla difficoltà di cattura o alla rarità.

La prima gara ebbe luogo vicino al Golfo di Trieste nel 1971, e ne seguirono altre organizzate dai circoli triestini. Ma l'interesse si spostò ben presto in Liguria, dove si effettuò nel 1975 una gara nazionale con la partecipazione di nomi illustri delle attività subacquee e una giuria presieduta da Enrico Tortonese, uno dei più noti ittiologi d'Europa.

La Federazione organizzò il primo Campionato italiano di caccia fotosub a Portofino nel 1981, dove si affermò Roberto Bastiani. Fino al 1993 per due volte furono campioni d'Italia Fabio Cosciani, Franco Montobbio (che vinse per due anni consecutivi, 1984 e 1985, a Milazzo e a Ustica), Massimo Nicosia (vincitore nel 1986 e nel 1987), e Filippo Massari. Dal 1994 i concorrenti vengono divisi in due categorie, quelli che gareggiano in apnea, dove restano i più affermati, e quelli che utilizzano l'autorespiratore.

Dopo questa divisione, Filippo Massari vinse ancora due volte nella categoria sportiva, due volte si affermò ancora Massimo Nicosia, in tre edizioni prevalse Davide Riccardi, in una Salvatore Freni. Nell'altra categoria, definita tecnica, si segnalano tre successi di Davide Lombroso, due di Mauro Ventin, due di Adriano Morettin, uno di Mario Caprari e di Alfio Scuderi.

La caccia fotosub si pratica in molti paesi, tanto che nel 1997 fu organizzato un Campionato del Mondo a Iquique, in Cile, che aveva già ospitato i Mondiali di pesca subacquea. Il regolamento adottato per l'evento non era fra i migliori e favorì la squadra di casa, che si affermò sia nella classifica individuale sia in quella a squadre, dove l'Italia fu seconda, con la coppia Nicosia-Riccardi, davanti a Uruguay, Argentina e Ucraina.

Una volta messo a punto un regolamento convincente, fu organizzata in Italia la seconda edizione del Mondiale, che si svolse nel luglio del 1999 nelle acque di Acitrezza, presso Catania, e costituì un vero trionfo per gli atleti azzurri, primi nella classifica a squadre (con Davide Riccardi e Alessandro Pagano) e individuale (con lo stesso Riccardi). Seguirono la Spagna, il Cile, campione uscente, e l'Argentina.

La videosub

La Federazione asseconda anche lo sviluppo della 'videosub' (la ripresa con telecamera subacquea) con iniziative didattiche e di promozione, e organizza dal 1998 i Campionati italiani ufficiali. I concorrenti hanno a disposizione una sola immersione e un solo nastro per la propria telecamera e al rientro in porto effettuano in due ore le eventuali riprese esterne da inserire nel film; dispongono infine di una stazione di editing su PC e tre ore per il montaggio completo e la sonorizzazione del film da presentare alla giuria. Dominatore dei Campionati italiani è Tiziano Floreancig, con tre titoli italiani, di cui uno a pari merito con Mauro Dalle Feste, e due secondi posti dietro a Riccardo Cioni ed Eugenio Fogli.

Altre attività subacquee

Hockey

L'hockey subacqueo è una disciplina nata nel 1954 e sviluppatasi soprattutto nei paesi del Nord Europa. Si pratica in piscina fra due squadre composte da sei giocatori attrezzati con maschera, pinne, snorkel, calottina, mazza e guanto, i quali si affrontano in apnea sul fondo tentando di spingere un disco arrotondato di piombo nella porta avversaria.

Nel 1995 ebbero svolgimento in Italia le prime dimostrazioni pratiche e nel dicembre 1997 la disciplina fu affiliata al CONI, affiancata al nuoto pinnato, nella FIPSAS. Nel febbraio 2000 ebbe luogo a Bologna il primo Campionato italiano vinto dalla UISP di Bologna. Nello stesso anno l'Italia si classificò undicesima ai Mondiali in Tasmania, mentre nel luglio 2001 conquistò il sesto posto ai Campionati Europei a Belgrado.

Rugby

Il rugby subacqueo è nato in Germania nel 1961. Le squadre si compongono di 11 giocatori, che vanno in acqua nel numero di sei alla volta; sono attrezzati con maschera, pinne e calottina con protezioni alle orecchie. Scopo del gioco è quello di introdurre una palla (riempita con acqua perché non galleggi), nel canestro difeso dalla formazione avversaria.

Diffuso nei paesi del Nord Europa, il rugby subacqueo si è affacciato in Italia soltanto nel 1998 e nel 2002 la FIPSAS lo ha inserito fra gli sport ufficialmente riconosciuti. Nel 2003 si è svolto il primo Campionato italiano a Firenze con vittoria della squadra di casa, Firenze Rugby Subacqueo.

Tiro al bersaglio

Il tiro al bersaglio nacque nel 1981 con una manifestazione dimostrativa presso la piscina del Foro Italico, a Roma e si sviluppò negli anni tra il 1993 e il 1997, con la disputa dei Campionati italiani. Visto il successo ottenuto da queste gare, la FIPSAS ha modificato il regolamento adeguandolo a quello internazionale. Oggi la disciplina è divisa in tre specialità: tiro di precisione, biathlon e staffetta, con un Campionato italiano per ogni specialità. In tutte il concorrente è munito di maschera, pinne, aeratore e fucile subacqueo

Il tiro di precisione si svolge in piscina o in acque libere: ogni concorrente effettua dieci tiri in dieci minuti, in due sezioni separate; il bersaglio è posto a 4 m dalla linea di tiro. I campioni italiani, dal 1996 al 2003, sono stati Fulvio Gennari, Annunziato De Luca, Davide Mighali, Aldo Merlo (due volte), Norberto Cinquegrana, Massimo Masoni e Francesco Accolla. In campo femminile si sono laureate campionesse d'Italia Stefania Nicotera (tre volte), Paola Violi (due volte), Alessandra Guadagnin, Linda Vacondio e Maya Fichera.

Il biathlon viene praticato in Italia dal 1996, ma è già sviluppato nei paesi dell'Est europeo e in Francia. Consiste nell'effettuare cinque tiri sui bersagli posti a 4 m dalla linea di tiro; l'atleta deve effettuare un percorso completo di 20 m fra la linea di partenza e quella di tiro (e ritorno), da ripetersi a ogni tiro effettuato, naturalmente in apnea e nel minor tempo possibile: la classifica, a parità di bersagli colpiti (senza computo del punteggio), viene stilata sulla base del tempo complessivo impiegato. Campioni italiani di biathlon dal 1998 al 2002 sono stati Davide Mighali (quattro volte) e Giovanni Scapellato; in campo femminile si sono affermate Stefania Nicotera, Carla Bettelli, Marilisa Montepaone e due volte Linda Vacondio. Davide Mighali è stato anche campione del mondo di questa specialità conquistando il titolo nel luglio del 1999 e ne detiene il record mondiale con il tempo di 1′11,54″.

La staffetta è una sorta di biathlon con tre atleti per ogni squadra. I concorrenti devono effettuare alternativamente due tiri ciascuno percorrendo 20 metri in apnea nel minor tempo possibile e realizzando i punteggi migliori possibili sui bersagli. I Campionati italiani di staffetta a squadre si svolgono dal 1998 e, fino al 2002, sono stati vinti quattro volte dal Sub club Brescia e una volta dal Sub club Udinese.

L'apnea agonistica

La FIPSAS ha regolamentato nel 2002 le gare di apnea e indetto il primo Campionato italiano delle varie specialità: apnea statica e apnea dinamica, che hanno luogo in piscina, e apnea profonda in assetto costante, che si svolge in acque libere. Nell'apnea statica il concorrente opera in superficie, naturalmente senza boccaglio, o a una profondità minima; molti atleti riescono a superare i sei minuti. Al Campionato italiano del 2003 svoltosi a Trento si sono laureati campioni Giuliano Marchi in 7′14″ e Consuelo Valoppi in 5′40″.

L'apnea dinamica si effettua seguendo un percorso orizzontale pinneggiando poco al di sotto della superficie. I campioni d'Italia 2003 sono Giuliano Marchi con 135,6 m e Monica Barbero con 143,6 m.

Nell'apnea profonda in assetto costante l'atleta si immerge alla quota dichiarata e ritorna in superficie con la sola forza delle gambe, senza toccare il cavo-guida e con la stessa zavorra di partenza. Sono campioni d'Italia Giuliano Marchi con 59 m di profondità e Ilaria Molinari con 47 m.

Jump blu

L'ultima disciplina ufficiale regolamentata è nata nel 2003 e si chiama jump blu. È basata su un percorso che si svolge in profondità e in lunghezza attorno a un cubo delimitato da cavi e immerso su un fondale di 15 m. Il 6 e 7 giugno 2003 si è svolta alle Isole Tremiti la prima competizione ufficiale, alla quale hanno preso parte gli atleti della nazionale italiana di apnea che, confrontandosi con altri atleti italiani iscrittisi alla gara, hanno fissato i primi record mondiali ufficiali, riconosciuti anche dalla CMAS: quello di 118 m nella sezione maschile, raggiunto da Giuliano Marchi, e quello di 92,97 m in ambito femminile ottenuto da Monica Barbero. Una prima edizione del Campionato del Mondo, prevista in Tunisia, è stata annullata per il maltempo.

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