ATTIVITÀ

Enciclopedia Italiana (1930)

ATTIVITÀ (fr. actif; sp. actividad; ted. Aktiva; ingl. assets)

Vincenzo Vianello

Costituiscono elementi attivi o attività del capitale d'un ente non solamente quei beni materiali che l'ente possiede, come case, terre, mobilia, oggetti, materie, ma anche altre unità o articoli che non possono considerarsi ricchezze nei riguardi dell'economia sociale; giacché la concezione di capitale con riferimento soggettivo agli enti cui il capitale appartiene, non può essere - in parte almeno - che diversa da quella che hanno, in generale, gli economisti. Sono infatti elementi attivi del capitale in tutte le aziende indistintamente, siano esse di erogazione o siano imprese, oltre ai beni materiali suindicati, i titoli alla ricchezza altrui, cioè i diritti. Questi diritti possono essere:

1. Crediti in generale con garanzia personale (crediti per vendite di merci a termine, per depositi di somme presso banche, per rate di fitto e interessi, scaduti e non riscossi, ecc.).

2. Crediti con garanzia reale, cioè con ipoteca su stabili urbani e rustici del debitore, o con pegno di cose mobili (titoli o merci depositate a garanzia presso il creditore).

3. Crediti verso lo stato o altri enti (comuni, provincie, società anonime) per prestiti fatti ai medesimi.

4. Titoli di comproprietà sul capitale di altri enti. Sono tali: le quote di denaro o valori conferiti in società in nome collettivo o in accomandita semplice e le azioni di accomandita per azioni e di società anonime, in una parola, i cosiddetti "apporti" in società commerciali.

5. Diritti parziali di proprietà, quando si tratti di ricchezze capitali possedute in comune con altri; di sfruttamento di capitali di cui altri hanno la nuda proprietà, o viceversa; e infine di diritti a una parte di ricchezza altrui, come nel caso di enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione.

Più lata ancora è la concezione di attività nelle imprese commerciali. Possono molto spesso, e per periodi più o meno lunghi, comprendersi fra le attività di un'impresa articoli o unità che, singolarmente riguardati, non sono che spese o costi. Queste spese o costi rappresentano complementi necessarî di altre attività, formano con esse un tutto inscindibile, e con esse concorrono alle formazioni dei costi complessivi della produzione indiretta, o diretta, o di servigi. Caratteristica è dunque la concezione di capitale nelle imprese: concezione che non soltanto è diversa da quella economica, ma si stacca da quella stessa delle aziende di erogazione.

Nelle aziende commerciali infatti gli svariati elementi che compongono le attività possono risultare, in un dato momento, non soltanto da beni materiali e da diritti, ma anche dall'avviamento, dall'uso della ditta, di brevetti, di uno o più marchi di fabbrica, e da spese anticipate per più esercizî, quali le spese d'impianto o di costituzione, e in generale tutte quelle spese, che devono trovare la loro reintegrazione economica gradatamente in più anni.

Chi cede un negozio avviato cede di più di quanto possano valere, regolarmente valutate, le merci, la mobilia, i crediti, ecc., e quello che il negozio contiene: perché, con queste attività, cede anche l'avviamento di esso: avviamento che non ha vita a sé, ma può sussistere soltanto in connessione con un'azienda commerciale di cui forma un complemento essenziale. Il commerciante quindi che acquista o, come si dice, rileva un'impresa, dovrà pagare anche l'avviamento di essa. Ciò posto, se questo avviamento costa al rilevatario come se fosse un bene materiale, se gli fa sperare il conseguimento di redditi superiori a quelli normali, è giusto che egli lo consideri fra le attività insieme con le merci, la mobilia, ecc., del negozio rilevato, e per quanto gli è effettivamente costato; che lo consideri, cioè, quale un elemento attivo complementare del suo capitale. L'avviamento però, così considerato, non può figurare come attività da parte del rilevatario che in due casi, cioè: quando sia stato effettivamente pagato ad altri nel rilevamento dell'impresa, oppure quando rappresenti la quota d'apporto d'un socio, in una società commerciale che rilevi l'azienda di questi.

Al socio, la società dovrà computare il valore attribuito all'avviamento dell'impresa rilevata, come quota in più dell'attivo netto conferito, che risulta nella differenza fra il valore attribuito alle attività che trapassano alla società, stimate d'accordo fra il cedente e la società rilevataria, e le passività che la società si fosse addossate.

L'avviamento non è eterno e va quindi considerato, riguardo al rilevatario, sia esso una persona o una società, come una spesa, o meglio come un costo dell'impresa per un dato numero d'anni; un costo pluriennale, o sospeso, come lo chiama qualche autore; costo che, nel caso di società, non dovrebbe figurare per le attività per un periodo di tempo maggiore di quello stabilito nell'atto costitutivo per la durata della società. Entro un dato numero d'anni e destinando ogni anno una quota degli utili rilevati, l'avviamento deve estinguersi nell'importo del suo costo, o, come si suol dire, deve ammortizzarsi. La quota annuale si dice di ammortamento (v. ammortamento).

Il costo dell'avviamento scompare con la liquidazione volontaria o forzata dell'impresa. Nel caso però che, dopo alcuni anni, l'impresa venisse ceduta, l'avviamento - già ammortizzato - potrebbe ricomparire una seconda volta, ed essere oggetto di contrattazione fra il cedente e il cessionario rilevatario.

Analoghi all'avviamento sono i brevetti nelle industrie. Un brevetto può esser costato a un industriale che lo ha comperato una somma anche ingente, ma questa somma gli verrà, in non molti anni, restituita sotto forma di utili o profitti maggiori che con questo brevetto potrà conseguire, di fronte a industrie consimili che non lo possiedono. Mentre però il costo dell'avviamento dev'essere ammortizzato entro un dato numero d'anni, mediante destinazione di parte degli utili, il costo dei brevetti dev'essere ammortizzato considerando annualmente la quota relativa in aumento degli altri costi della produzione diretta o dei servizî.

Fra le attività delle imprese possono anche figurare le spese d'impianto, cioè quelle spese che un negoziante che inizia il suo commercio, una società che si costituisce, un'industria che s'impianta, devono sostenere per l'adattamento dei locali, impianti di riscaldamento e d'illuminazione, tasse per la costituzione della società, se l'azienda è sociale, provvigioni ai banchieri che s'incaricano di collocare le azioni, se la società è anonima, spese di pubblicità, ecc. Alcune di queste spese, soggettivamente considerate, sono consumi improduttivi, come ad esempio le tasse di costituzione di società, le spese di notaio e quelle di pubblicazione degli atti; altre, come quelle di pubblicità, possono considerarsi come coefficienti di utili futuri, in altre parole, come spese di avviamento della società; altre infine, come le spese di adattamento dei locali, introduzione della luce elettrica, riscaldamento, telefono, ecc., possono, in parte almeno, ricuperarsi nel caso di liquidazione di azienda, o di cessione ad altri, anche del semplice locale. Ora tutte queste spese, anziché ritenersi consumi del primo anno della società, si possono ripartire in più anni e considerare come spesa di ciascun anno per una quota soltanto.

Queste spese, pur essendo diverse dai costi dell'avviamento e dei brevetti, rappresentano, al pari di questi, dei costi pluriennali dell'impresa, cioè delle spese anticipate in un anno per gli anni successivi. Per pura convenienza amministrativa si considerano fra le attività sino a quando non siano ammortizzate: convenienza che non sarebbe possibile, se norme di legge prescrivessero - come si verifica in alcuni paesi - che le dette spese dovessero considerarsi come tali nel solo anno in cui si sostengono.

La voce capitale è usata nelle imprese; per lo stato e per gli enti pubblici, in generale, si adopera la voce patrimonio, mentre la voce sostanza suole, nell'uso, designare il complesso dei beni posseduti da un singolo o da una famiglia.

Dalle attività si devono sottrarre le passività (debiti), e si ottiene così il capitale netto o attivo netto se le attività sono maggiori delle passività, il deficit o passività netta, se le attività sono minori. La concezione però di capitale netto richiede che i varî elementi che lo compongono siano tutti misurati monetariamente, cioè che si attribuisca a essi un valore in denaro. Il capitale netto non è quindi che un "fondo di valutazioni", la cui misura può essere diversa secondo i criterî che si seguono nel valutare i singoli elementi patrimoniali, secondo i fini che si propone la valutazione, il momento in cui essa si fa, e secondo altre ragioni di cui si dirà in seguito.

Nelle aziende di erogazione si possono distinguere le attività in beni di reddito, beni di consumo e beni liquidi o facilmente liquidabili. I beni di reddito costituiscono la situazione permanente, cioè quella parte del patrimonio che, in generale, non è destinata a scambî e consumi. Tali beni possono essere immobili (urbani e rustici), fondi pubblici e privati o titoli, mutui ipotecarî attivi, capitali corrispondenti a censi e canoni attivi, ecc. Alcuni di questi beni possono essere disponibili e altri, temporaneamente almeno, indisponibili, in quanto rendono direttamente servigi all'ente, o soddisfano a bisogni. Gli edifizî, ad esempio, che lo stato possiede e adibisce a uffici dell'amministrazione, o per servizî statali; i fabbricati che il comune possiede e destina a uso di scuole, la casa che è di mia proprietà e che abito, sono beni non disponibili rispettivamente per lo stato, per il comune e per la mia famiglia. Il giorno in cui questi beni non serviranno più per gli scopi di questi enti, da non disponibili diverranno disponibili, e, come tali, potranno dunque essere ceduti, permutati, o convertiti, mediante la vendita, in entrate per movimento di capitali.

I beni di consumo (mobilia, oggetti, scorte) hanno per caratteristica di essere oggetto di consumi e di scambî; di costituire, in una parola, la parte mutevole del patrimonio dell'ente. Anche la mobilia e gli oggetti possono essere non disponibili, se servono per scopi dell'ente, come, ad es., la mobilia per uso di uffici negli enti pubblici, i materiali militari di terra e di mare nello stato, la mobilia e gli oggetti della mia casa. I beni di consumo costituiscono la situazione mobiliare del patrimonio, in quanto è destinata a trasformiazioni e a consumi. È bene liquido il denaro, e sono beni facilmente liquidabili, o riducibili in denaro, i crediti per redditi scaduti e non ancora riscossi, cioè i residui attivi. Queste attività formano la parte attiva della situazione amministrativa o finanziaria del patrimonio.

Riguardo alle passività, vi possono essere debiti onerosi, la cui scadenza è lontana, come i mutui ipotecarî passivi, e debiti il cui pagamento dipende dalla volontà del debitore, come i capitali corrispondenti a censi e canoni passivi. Questi debiti si possono considerare come passività permanenti o durature; accanto a essi, però, ve ne possono essere altri che si dovranno liquidare in breve tempo, in quanto dipendono da conti da saldare ai fornitori, da interessi passivi scaduti e non pagati, da fitti passivi maturati e non saldati. Queste passività costituiscono i residui passivi e formano la parte passiva della situazione finanziaria o amministrativa del patrimonio. Per lo stato le attività sono classificate, nel conto consuntivo patrimoniale, tenendo conto della loro liquidità e disponibilità, nel modo seguente.

Questi ultimi beni (materiale scientifico) - come fu più volte proposto - si dovrebbero assolutamente escludere dai beni patrimoniali e considerare insieme con i beni del demanio pubblico.

Le passività si classificano invece, sempre nel conto patrimoniale dello stato, in:

Per quanto concerne le imprese, riteniamo - a differenza di non pochi studiosi francesi - che non si possano formulare classificazioni tipo, adattabili a tutte le imprese: classificazioni che si possono invece fare per le aziende di erogazione. Le distinzioni, ad esempio, che si possono fare in un'impresa mercantile o bancaria non sono le più proprie per un'impresa industriale. In una impresa bancaria può essere utile distinguere le attività badando alla loro più o meno facile effettuazione. Sotto il titolo di attività finanziarie si dovrebbero comprendere il denaro, il portafoglio, i titoli e i crediti in conto corrente disponibile. Tale gruppo dovrebbe trovare, nei depositi in conto corrente e a risparmio della parte passiva, la sua equivalenza o copertura. Un gruppo dovrebbe essere costituito dalle attività che rappresentano immobilizzazioni per un certo tempo (anticipazioni su titoli), e questo gruppo dovrebbe essere distinto dalle immobilizzazioni più forti, rappresentate da stabili, da partecipazioni bancarie e da mutui ipotecarî. In un'industria le attività che riguardano beni industriali rappresentati dal capitale fermo o fisso (macchine, attrezzi, ecc.) e da costi pluriennali (brevetti, spese d'impianto) dovrebbero essere distinte da quelle che rappresentano il capitale circolante (materie prime principali e secondarie, materiale e materiale in lavorazione). Un gruppo dovrebbe raccogliere i crediti commerciali per vendite, e un altro gruppo le attività finanziarie rappresentate dal denaro, dalle cambiali e dai crediti in conto corrente per depositi presso banche. Nella parte passiva, i debiti verso fornitori, o per accettazioni cambiarie, devono essere distinti dai debiti di carattere finanziario, quali i debiti per obbligazioni emesse, i debiti verso banche per finanziamenti ottenuti, ecc. Dalle attività e passività dell'ente dovrebbero essere sempre poi nettamente distinti i beni dei terzi, che l'impresa ha presso di sé in deposito, o a custodia, o vincolati per dati scopi. Sono questi beni, in tutte le aziende, i depositi a garanzia di carica (cauzioni dei consegnatari e degli amministratori). In una banca questi beni sono notevoli: essi possono risultare, non solo dalle cauzioni suddette, ma da depositi, da parte di clienti, di merci e titoli a garanzia di prestiti, da depositi a custodia di valori e da effetti all'incasso. Anche il fondo di previdenza personale, quando sia stato coperto con titoli vincolati per tale scopo (titoli che figurano nella parte attiva), costituisce un bene altrui. I beni di terzi possono apparire in cifre uguali sia nella parte delle attività, sia in quella delle passività, oppure come semplice nota, dopo l'indicazione di tutte le attività e di tutte le passività.

Bibl.: V. Vianello, Elementi di computisteria e ragioneria, Messina 1898; id., Istituzioni di ragioneria generale, 5ª ed., Milano 1928; B. Lorusso, Nozioni di contabilità commerciale, 5ª ed., Torino 1922; P. D'Alvise, Nozioni di ragioneria razionale, Milano 1892; F. De Gobbis, Corso teorico-pratico di ragioneria privata, 8ª ed., Milano 1926; A. De Cupis, Legge e regolamento sulla amministrazione del patrimonio dello stato e sulla contabilità generale, 3ª ed., Torino 1910; A. De Gregorio, Della formazione dei bilanci delle società anonime, Firenze 1911; C. Rosati, L'amministrazione e la contabilit delle Opere pie secondo la legge 17 luglio 1890, Perugia 1890; id., L'ordinamento razionale amministrativo contabile delle Opere pie, Roma 1926; F. Rostagno, Contabilità di stato, Napoli 1888; C. Vivante, Trattato di diritto commerciale, 5ª ed., Torino 1927; U. Navarrini, Trattato elementare di diritto commerciale, Torino 1911; id., Trattato teorico-pratico di diritto commerciale, Torino 1913.

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