NICOLODI, Aurelio

Dizionario Biografico degli Italiani (2013)

NICOLODI, Aurelio

Martina Salvante

– Nacque a Trento il 1° aprile 1894, figlio di Salvatore e di Pia Brugnara, da cui nacquero anche Mario, Giuseppina, Elisa e Pia.

Nell’agosto 1914 chiese la cittadinanza italiana per poter frequentare un corso di allievi ufficiali nell’8° Reggimento fanteria. Il 24 maggio partì per la zona di guerra come sottotenente nel 112° Fanteria e partecipò ai combattimenti di Fogliano e Polazzo (Rizzi, 1932, p. 339). Il 25 luglio 1915, durante un’azione bellica sul Monte Sei Busi (Gorizia) – sulle cui pendici fu realizzato negli anni Trenta il Sacrario militare italiano di Redipuglia, in memoria dei caduti della Grande guerra – rimase gravemente ferito agli occhi e perse la vista. Per la condotta tenuta nell’occasione ottenne la medaglia d’argento al valore militare nel 1917.

L’anno precedente Ada Negri, conosciuta durante la degenza all’Ospedale militare di Milano, gli aveva dedicato un carme dal titolo Lagrima cieca (Secolo XX, 1° ottobre 1916, cit. in Rizzi, 1932, pp. 341 s.).

Dimesso dall’Ospedale militare il 10 febbraio 1916, fu definitivamente collocato a riposo col grado di tenente il 1° agosto; in novembre fece domanda per essere ammesso alla Casa di rieducazione per ciechi di Firenze, diretta da Gino Bartolommei Gioli e coordinata dal Comitato fiorentino per l’assistenza ai ciechi di guerra. Nel dicembre 1916 fu il primo a entrare nella sezione riservata agli ufficiali ciechi, dopo essere stato più volte sollecitato a stabilirvisi sia dal padre francescano Giovacchino Geroni sia da Gioli, come egli stesso ricorda (Discorsi sulla cecità, Firenze 1944, pp. 42 ss.) e come si desume dagli scambi epistolari tra i vari protagonisti. Nel gennaio 1917 creò l’Associazione nazionale per i ciechi di guerra che, qualche mese più tardi, si fuse con la neonata Associazione nazionale fra i mutilati e gli invalidi di guerra (ANMIG). Nello stesso anno, a causa del deteriorarsi della salute di Gioli, e proprio su sua diretta designazione, fu incaricato di sostituirlo nella direzione della Casa di reducazione per i ciechi di guerra, seppur con qualche vincolo iniziale a causa delle perplessità degli altri consiglieri (ibid., pp. 46 ss.).

Da allora in poi si dedicò interamente alla causa dei non- e ipovedenti, impegnandosi per la loro educazione e riabilitazione professionale. La Casa, infatti, offriva ai ricoverati sia corsi di alfabetizzazione Braille, sia laboratori per l’apprendimento di arti e mestieri (impagliature delle sedie, calzoleria, maglieria, scrittura a macchina ecc.). In quegli anni scrisse articoli e relazioni sulla questione sociale della cecità e sul suo trattamento, fra cui Per una definitiva sistemazione dei ciechi di guerra, in Bollettino della Federazione nazionale dei Comitati di assistenza ai militari ciechi, storpi e mutilati, VI (1919), 5, pp. 127-129, e Il problema della cecità e le sue soluzioni, Firenze 1920.

Nonostante gli impegni, proseguì gli studi presso l’Istituto di studi superiori di commercio dell’Università di Roma, dove si laureò il 15 luglio 1920 discutendo la tesi Il porto di Ostia e la navigazione del Tevere (110/110). Dai registri universitari risulta peraltro che, nel maggio dello stesso anno, si era iscritto al IV anno della sezione di economia e diritto presso la R. Scuola superiore di commercio dell’Università di Venezia per ottenere l’abilitazione all’insegnamento delle due materie, che alla fine non conseguì a dispetto degli esami sostenuti. Nel 1920 sposò Maria Priolo, dalla quale ebbe quattro figli: Elvira, Fulvio, Lucio e Marcello.

Al Congresso di Genova del 26 ottobre 1920 diede vita all’Unione italiana ciechi (UIC), divenendone presidente, mentre nel 1921 fu creata la Federazione nazionale delle istituzioni pro ciechi.

Già dal 1919 aveva promosso a Firenze la pubblicazione del Corriere dei ciechi, periodico a caratteri in rilievo Braille «campana a raccolta e foro aperto alle discussioni. Battagliero al massimo, accolse le diatribe di quanti ciechi vollero cimentarvisi né furono molti quelli che rinunziarono a dir la loro» (Discorsi sulla cecità, p. 65). Nel 1924, fondò una Stamperia nazionale Braille con lo scopo di provvedere alle necessità educative dei ciechi, a cominciare dagli istituti e dalle scuole loro destinate. Nel frattempo il governo aveva approvato due importanti leggi sull’educazione obbligatoria di ciechi e sordomuti (r.d. 31 dicembre 1923 n. 3126) e sul passaggio di alcuni istituti per ciechi dalle dipendenze del ministero dell’Interno a quello della Pubblica Istruzione (r.d. 30 dicembre 1923 n. 2841).

Nel 1921 fu nominato consigliere della sezione fiorentina dell’ANMIG, per diventarne commissario nel 1922 e presidente nell’aprile 1923. L’anno dopo fu eletto delegato regionale per la Toscana presso la sede centrale dell’ANMIG a Roma e nel 1926 divenne membro della giunta esecutiva dell’Associazione, ruolo che rivestì con qualche interruzione fino al 1943. Nel 1925 divenne anche vicepresidente dell’Opera nazionale per l’assistenza agli invalidi di guerra (ONIG), ricoprendo tale carica fino al 1937, quando insieme al presidente, senatore Alessandro Lustig, chiese di essere dispensato dall’incarico.

Ebbe una certa fama negli anni Venti, sia come modello di eroismo sia come dinamico educatore e operatore sociale. Così lo descrisse Ugo Ojetti in seguito a un loro incontro: «Nicolodi, giovane, ilare e roseo, d’un biondo d’oro, la sigaretta tra le labbra, la parola sicura lanciata a testa alta, mi parla del suo istituto, allinea date e cifre, porge leggi e documenti. […] Le sue mani sono affinate, caute, sensibili come le ali d’un uccello, e irrequiete come gli occhi nostri. Pur batte, se parla, le palpebre, quasi il pensiero da dentro fosse luce prima di diventare suono e parole» (Ciechi, in Cose viste: terzo tomo, Milano 1926, pp. 265 s.).

Nel corso degli anni avviò una serie di attività destinate alla promozione sociale e culturale dei non vedenti: nel 1928 fondò la Biblioteca circolante in Braille Regina Margherita e l’anno successivo la Scuola per l’addestramento dei cani guida; nel 1931 inaugurò a Firenze il nuovo complesso dell’Istituto per ciechi Vittorio Emanuele II (nato dalla fusione dell’Istituto per ciechi adulti e da quello per fanciulli ciechi) e partecipò, come delegato dell’UIC, al Congresso mondiale dei ciechi a New York, dove caldeggiò l’idea di creare una Federazione internazionale dei ciechi. Infine, attorno alla metà degli anni Trenta ideò e istituì l'Ente nazionale di lavoro per ciechi, organismo industriale nel quale il non vedente poteva lavorare e produrre assieme alla mano d’opera vedente e al quale le amministrazioni statali erano tenute a riservare «una quota delle forniture pubbliche da appaltare» (art. 4 r.d.l. 11 ottobre 1934 n. 1844).

Pare che Nicolodi fosse stato «molto contrastato nella sua originale idea di creare fabbriche per operai ciechi e vedenti. Lo contrastò moltissimo Carlo Delcroix ma infine Nicolodi la spuntò» (Fucà, 1980, p. 118). Con Delcroix, che era presidente dell'ANMIG, peraltro, promosse la costruzione di una Casa del mutilato nel capoluogo toscano, ufficialmente inaugurata, dopo alterne vicende, nel 1937.

Nel 1935 acquistò una tenuta in stato di abbandono, denominata «I Busini», nel comune di Rufina (Firenze): il fondo fu ampiamente risanato e le case coloniche ricostruite, dando poi avvio alla cultura intensiva delle terre e all’allevamento.

Si fece altresì promotore della possibilità per i ciechi di essere impiegati «nei reparti delle Milizie controaerei ed artiglieria marittima per la ricezione aerofonica» (l. 20 novembre 1939 n. 1827), iniziativa in seguito criticata, poiché ritenuta una forma d’incitamento dei non vedenti a prendere parte alla guerra fascista.

Caduto il regime, a causa delle numerose cariche ricoperte e delle attività svolte durante il ventennio, anche all’interno dell’ANMIG, fu sottoposto a processo di epurazione. In particolar modo fu accusato di aver fornito ai tedeschi prodotti confezionati nei laboratori dell’Ente nazionale di lavoro per ciechi, accusa da cui fu però prosciolto.

Sul periodico Non mollare, organo toscano del Partito d’Azione, un articolo non firmato intitolato Il ‘Ras’ dei ciechi  (9 novembre 1945, p. 2) accusò Nicolodi di essere stato un fervente fascista e di aver accumulato un patrimonio sostanzioso durante il regime. A queste accuse replicò prontamente (Una lettera di Nicolodi, in Non mollare, 30 novembre 1945, p. 2), suscitando a sua volta la decisa risposta del giornale azionista. A sua difesa, durante il processo davanti alla Commissione per l’epurazione, produsse una serie di memoriali, arricchiti da testimonianze di conoscenti e dipendenti, comprovanti la sua buona fede, la sua avversione per i nazisti e il suo appoggio ai partigiani toscani. A sua discolpa menzionò pure il fatto che nel novembre 1943 era stato costretto, dopo essere stato fermato da Mario Carità e la sua banda, a dare le dimissioni da tutti gli incarichi ricoperti nelle istituzioni dei ciechi, poiché sospettato di antifascismo. Pare infatti che tre ciechi fiorentini lo avessero denunciato alle camicie nere in quanto antifascista (Fucà, 1980, pp. 159 s.). Inoltre, già nell’ottobre 1943 il figlio Fulvio, nato nel 1923, e il nipote Bruno Romualdi si erano arruolati nel R. Esercito impegnato nella Liberazione.

Nel novembre 1945, al VI Congresso nazionale dell’UIC, presentò le sue dimissioni dalla presidenza, indicando in Paolo Bentivoglio il successore; l’assemblea gli tributò onori per l’opera più che ventennale svolta a favore dei ciechi e del loro riscatto morale, culturale, sociale, educativo e professionale, nominandolo presidente fondatore del sodalizio. Ciò nonostante, in quel dopoguerra l’UIC fu scossa da forti dissapori interni, sfociati nel trasferimento della sede centrale a Roma, quasi a voler sancire un netto distacco da Firenze e da Nicolodi.

Successivamente ricompattatasi e decisa ad affrontare nuovi compiti per la promozione sociale dei ciechi di guerra e civili, l’UIC diede pieno riconoscimento all’azione svolta da Nicolodi a favore della causa e, nel decennale della morte, gli dedicò un’opera illustrativa dei meriti e dei sacrifici (Ad Aurelio Nicolodi. In memoria, a cura dell’Unione italiana ciechi, Firenze 1961).

Varie furono le decorazioni militari e le onorificenze civili di cui fu insignito nel corso della sua vita: croce di guerra (1918), distintivo d’onore dei mutilati (1919), medaglia di benemerenza in quanto volontario di guerra 1915-18 (1925), Gran croce della Corona d’Italia (1925), commendatore dei Ss. Maurizio e Lazzaro (1937), Stella d’Argento al merito agricolo (1939), Cavaliere del lavoro (1941).

Morì a Firenze il 27 ottobre 1950 a causa di un «male inesorabile» (La Nazione, 28 ottobre 1950, p. 5).

Il giorno del funerale il feretro, «scortato dalle bandiere di tutti gli enti e associazioni ciechi, era seguito dai familiari, da un numeroso gruppo di amici ed estimatori dell’estinto e da una compatta, dolorosissima folla di ciechi» (Commosso tributo di affetto alla salma di A. N., ibid., 30 ottobre 1950, p. 5). Fu sepolto nel piccolo cimitero di S. Stefano a Castiglioni (Rufina).

Ricordando quanto fatto nel 1943 da Nicolodi per procurargli un lavoro, Giuseppe Fucà, presidente dell’UIC dal 1965 al 1980, ha scritto (1980, p. 144): «La sua umanità verso i figli del dolore e della miseria era ormai una costante consolidata. Le strutture che aveva ideato, lo slancio con il quale le guidava, i risultati eccezionali che si imponevano al rispetto di tutto un mondo di scettici che lo credevano apostolo di una grande utopia, me lo facevano amare veramente come il capo della mia seconda religione. Nicolodi per me era il Profeta che additava ai ciechi italiani la terra promessa».

Fra le opere non citate nel testo: Per i ciechi di guerra. Ciò che si è fatto. Ciò che è necessario fare, Firenze 1919; I ciechi di guerra. Loro rieducazione e sistemazione, ibid. 1919; La rieducazione agricola dei ciechi, relazione presentata alla III Conferenza interalleata per l’assistenza agli invalidi di guerra, Roma 1919; Sintesi della relazione presentata alla conferenza mondiale sulla cecità, sul problema del lavoro (New York 14-17 aprile 1931), in Argo, III (1931), 2-3, pp. 12-14; A proposito dell'auspicata soluzione del problema dei ciechi, ibid., XII (1940), 2, pp. 1-5; Ciechi che lavorano, ibid., XIV (1942), 1, pp. 3-5.

Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. della città, Comitato fiorentino per i ciechi di guerra, b. 247, N. A.; Arch. di Stato di Firenze, fondo N. A.; Roma, Arch. centrale dello Stato, Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo 1944-1947, titolo III, f. 7 (24-37), b. 144bis, f. 36, Ente nazionale di lavoro per i ciechi; Roma, Arch. storico Università La Sapienza, Registri carriera scolastica e Verbali di laurea, Studenti di Economia e Commercio; Venezia, Arch. storico Università Ca’ Foscari, Serie Studenti. Registri matricolari, reg. 8, matricola 3253; Associazione degli antichi studenti della R. Scuola superiore di commercio di Venezia, Bollettino, XXI (1920), 72, p. 26. G. Neri, Il maestro meraviglioso, Firenze 1926, pp. 170-173; Pagine di guerra e della vigilia di legionari trentini: con note biografiche, a cura di B. Rizzi, Trento 1932, pp. 339-342; G. Fucà, Un racconto per Chiara…: i ciechi che gente meravigliosa, Firenze 1980.

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