AUSTRALIA

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Australia

Claudio Cerreti
Giuseppe Smargiassi
Luisa Azzolini
ENCICLOPEDIA ITALIANA VI APPENDICE Tab australia 01.jpg

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(V, p. 387; App. I, p. 191; II, i, p. 308; III, i, p. 174; IV, i, p. 192;V, i, p. 265)

Geografia umana ed economica

di Claudio Cerreti

Popolazione

Il tradizionale sottopopolamento dell'A. sta attenuandosi, grazie a una tendenza demografica positiva protrattasi per tutta la seconda metà del sec. 20°: al censimento del 1996 risultavano 17.889.100 ab., che nel 1998, secondo una stima ONU, erano saliti a 18.520.000. La densità media rimane bassissima (poco più di 2 ab./km²), ma si è ormai raggiunta la massa critica sufficiente a garantire un mercato interno vitale per una buona parte delle produzioni. L'A. mantiene un tasso di incremento demografico positivo (13‰ medio annuo nel periodo 1990-97), anche se negli ultimi anni in lieve riduzione. L'incremento è dovuto in parte maggiore all'eccedenza delle nascite (14,1‰ nel 1996) sui decessi (6,9‰); si è invece ridotta la quota spettante all'immigrazione, quasi nulla dai paesi europei, mentre quella dall'Asia meridionale e orientale è, per tradizionale scelta politica, contenuta entro limiti modesti: nel complesso, l'immigrazione negli anni Novanta ha riguardato 75.000÷85.000 persone circa per anno.

Permane la profonda difformità che caratterizza l'occupazione umana del territorio australiano, né è immaginabile che possa, in avvenire, modificarsi a fondo: circa i tre quarti della popolazione complessiva vivono nei tre Stati orientali del Queensland, di Victoria e soprattutto del Nuovo Galles del Sud e, in specie, nella fascia marittima che ospita anche i principali centri urbani. Sydney, Melbourne e Brisbane, in continuo accrescimento nelle rispettive aree metropolitane, accolgono insieme quasi 9 milioni di ab., e non stupisce che la popolazione urbana del paese raggiunga l'85% del totale (1997), tanto più che anche Adelaide e Perth hanno largamente superato il milione di abitanti.

Condizioni economiche

La costante crescita demografica va riducendo le difficoltà strutturali dell'economia dell'Australia. Da sempre legata alla produzione di materie prime minerarie e agricole, l'economia australiana continua a fondarsi principalmente sulla produzione, da un lato, di ferro, bauxite, carbone, idrocarburi (e vari altri minerali utili) e, dall'altro, di carne, lana e cereali. In virtù di una serie di perfezionamenti nei metodi estrattivi, nella prima lavorazione, nei trasporti terrestri e marittimi, i prodotti minerari australiani oggi competono in maniera concorrenziale sui mercati di tutto il mondo, compresi quelli europei, anche se la maggior parte delle esportazioni riguarda, com'è ovvio, l'Asia sud-orientale e il Giappone: i paesi asiatici assorbono circa il 60% in valore delle esportazioni australiane e forniscono circa il 40% delle importazioni. Anche altre produzioni (siderurgia, metalmeccanica, chimica) fin dagli anni Ottanta hanno cominciato a essere esportate, mentre si è sviluppata un'industria di beni di consumo (che rappresenta ormai circa un terzo delle esportazioni): quest'ultima risente della concorrenza dei paesi asiatici (principalmente il Giappone) e di quelli nordamericani, tuttavia ha potuto ugualmente progredire, almeno in alcuni settori (autoveicoli, carta, alimentari, gomma, materie plastiche), proprio grazie alla circostanza che l'aumento di popolazione e di capacità di spesa hanno reso convenienti produzioni di massa, consentendo così il raggiungimento di quelle economie di scala in passato precluse dalla modestia dei consumi locali. Per altro verso, l'A. ha rinunciato a sviluppare quei settori manifatturieri nei quali le condizioni non si presentassero favorevoli, dismettendo le attività meno redditizie ed eliminando in parte le barriere protezionistiche (non, per es., per il settore automobilistico) in passato elevate contro la concorrenza asiatica, e ha avviato una politica di deindustrializzazione e di intensa terziarizzazione dell'economia.

Gli addetti all'industria erano, nel 1975, il 33,7% del totale della forza lavoro, il 27,6% nel 1985 e appena il 22,5% nel 1996; mentre, parallelamente, gli addetti al terziario erano, alle stesse date, il 59,4%, il 66,2% e il 72,4% (gli addetti agricoli sono pure calati, ma in maniera molto più contenuta, attestandosi sul 5,1% nel 1996). La produttività dei settori sembra in netto aumento per l'industria, ma non altrettanto per i servizi; tuttavia, la crescita dell'economia nel suo insieme ha segnato tendenze positive per tutti gli anni Ottanta e la prima metà del decennio Novanta.

Il processo di terziarizzazione si è combinato con quello di privatizzazione e ulteriore liberalizzazione del sistema economico australiano, in linea con le tendenze delle altre economie di tipo occidentale: sono state privatizzate, tra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, una cospicua serie di aziende creditizie, molte imprese manifatturiere, la compagnia aerea di bandiera e così via.

Fra le conseguenze meno positive del processo in atto, occorre segnalare l'innalzamento del tasso di disoccupazione (8,7% nel 1997, dato peraltro non dissimile da quello che si registra in altri paesi industrializzati) e, soprattutto, il conseguente peggioramento delle condizioni di vita di una consistente parte della popolazione australiana (oltre 2 milioni di australiani nel 1994 vivevano al di sotto della soglia di povertà), aggravato da una politica economica restrittiva che ha colpito le fasce meno abbienti. Inoltre l'A. ha attraversato una non positiva fase finanziaria, con un forte aumento del deficit di bilancio (progressivamente, negli ultimi anni, in via di riassorbimento) e una certa tensione inflattiva, anch'essa tenuta sotto controllo tanto che il tasso d'inflazione è tornato su valori bassi (2,6% nel 1996).

Con tutto ciò, il PIL per abitante ha raggiunto (1997) i 20.540 dollari annui. Nel complesso l'economia australiana conserva, e anzi ha rafforzato, le sue potenzialità, e gli episodi negativi registrati nei primi anni Novanta vanno piuttosto addebitati a fasi congiunturali sfavorevoli. Da questo punto di vista, occorre anche sottolineare la relativa vulnerabilità della struttura economica di fronte a fenomeni particolari, talvolta legati alle dinamiche dei mercati internazionali delle materie prime, talvolta di origine interna. Si può ricordare la crisi che minaccia il settore minerario e quello zootecnico da quando (1993) sono stati riconosciuti i diritti di proprietà tradizionale rivendicati dalle comunità aborigene dell'A. (definitivamente confermati nel 1996): nelle aree di residuo insediamento degli aborigeni (prevalentemente nel Territorio del Nord) sono state messe in valore ingenti risorse minerarie, mentre è da tempo in atto lo sfruttamento sistematico dei pascoli naturali. Tali attività venivano svolte considerando come res nullius la terra e quindi senza costi aggiuntivi per l'imprenditore; rendendo le comunità aborigene intestatarie di precisi diritti di proprietà, che gli imprenditori interessati allo sfruttamento dei terreni devono risarcire, aumenteranno i costi al punto (secondo alcuni) da rendere non più conveniente l'attività economica.

Un altro fenomeno extra-economico, ma dalle pesanti ripercussioni, è la crisi idrica che periodicamente si aggrava in tutta l'area del grande bacino artesiano, dove la falda idrica è in continua riduzione e la salinizzazione dei terreni in aumento: quando l'apporto di acqua piovana è inferiore alla media, l'emungimento della falda aumenta e si rendono evidenti i limiti ambientali dell'agricoltura e dell'allevamento australiani. Ancora altri eventi sono stati in grado di provocare congiunture pericolose: come gli aumenti repentini, che ciclicamente investono la popolazione di conigli selvatici (oltre 200 milioni di animali, piaga plurisecolare per l'agricoltura australiana) e, parallelamente, quella di carnivori (a loro volta pericolosi per il bestiame); o come gli effetti del catastrofico incendio che investì, nell'estate australe del 1994, i dintorni di Sydney distruggendo circa 4000 km² di foreste, campi, abitazioni, insediamenti produttivi.

La prospettiva in cui sembra muoversi l'A. è quella di un potenziamento del terziario avanzato che le consenta di assumere una posizione di referente per i paesi dell'Asia sud-orientale.

Nella stessa direzione vanno ormai da tempo gli sforzi del paese in ambito politico-diplomatico, nel tentativo di valorizzare la posizione geopolitica e di fare dell'A. il polo di un'area di sviluppo integrato del Pacifico meridionale, distinta, se non contrapposta, rispetto a quella del Pacifico settentrionale su cui Giappone e Stati Uniti si contendono l'egemonia. L'aumentato impegno di cooperazione che l'A. sta dispiegando dagli anni Ottanta nei confronti dei paesi del Sud-Est asiatico è particolarmente significativo, sul piano sia degli effetti territoriali, sia di quelli demografici, giacché l'A. sembra aver scelto la strada della collaborazione anche per evitare che la pressione demografica originata da quei paesi divenga insostenibile, costringendola ad aprirsi più largamente all'immigrazione asiatica.

Le relazioni di buon vicinato intrattenute con l'Indonesia, per es., hanno fruttato la rapida delimitazione delle rispettive fasce di competenza esclusiva sulle acque marine e sulla piattaforma continentale, anche a costo di trascurare talune implicazioni diplomatiche derivanti dalla condizione delle regioni indonesiane dell'Irian Jaya e di Timor Est (per le quali la comunità internazionale accusa l'Indonesia di gravi violazioni dei diritti umani). Tuttavia, la richiesta australiana di ingresso nell'Association of Southeast Asian Nations (ASEAN) non è stata (1997) accolta. Negli Stati della Penisola Indocinese l'impegno economico australiano è fortemente cresciuto nel corso degli anni Novanta, portando il paese ai primi posti fra gli investitori esteri; mentre nei confronti dell'area pacifica meridionale (in accordo con la Nuova Zelanda), l'A. sta svolgendo una politica sia di sostegno e penetrazione in campo economico, sia di tutela in campo politico-internazionale, come si è reso evidente in occasione della ripresa degli esperimenti nucleari francesi nel Pacifico (1995-96), alla quale l'A. si è opposta al pari degli altri Stati della regione.

Benché le relazioni con Stati Uniti ed Europa non siano, nell'insieme, in discussione, l'evoluzione della geopolitica australiana sembra mirare non solo ad aumentare e differenziare i suoi rapporti politico-economici, ma anche a estromettere progressivamente le potenze esterne dall'area del Pacifico, assumendone la guida dello sviluppo.

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Politica economica e finanziaria

di Giuseppe Smargiassi

Nel corso degli anni Novanta l'A. ha conosciuto una fase di intensa crescita economica legata a una straordinaria espansione della produzione sia sul mercato interno, sia, soprattutto, sui mercati internazionali. L'aumento del PIL, che colloca l'A. tra i paesi dell'OCSE con la crescita economica più sostenuta, ha avuto origine in larga misura proprio dalla rapida evoluzione delle esportazioni, a sua volta derivata dall'attiva politica commerciale australiana che ha accentuato i processi di integrazione del paese con l'area economica del Sud-Est asiatico, del Giappone e degli Stati Uniti.

Il quadro economico dell'A. negli anni Novanta appare tuttavia in aperto contrasto con le linee economiche dei due decenni precedenti, caratterizzati da un minore dinamismo economico, da una forte erosione della competitività e da una politica commerciale protezionistica.

Un ulteriore problema era costituito dai ridotti tassi di formazione del risparmio interno e dal corrispondente deficit strutturale di parte corrente della bilancia dei pagamenti. Anche la crescita dei prezzi al consumo, che negli anni 1973-80 aveva superato il tasso medio dell'11%, era uno dei principali fattori di debolezza dell'economia australiana, e proprio la riduzione dell'inflazione era diventata l'obiettivo centrale del governo tra il 1976 e il 1983 tramite l'utilizzo, poco incisivo, di strumenti fiscali. L'aumento dell'inflazione, infatti, non nasceva da un eccesso di domanda, dipendeva invece dalla dinamica dei salari che crescevano più rapidamente della produttività del lavoro.

Un mutamento sostanziale degli indirizzi di politica economica si è avuto con l'ingresso nel governo dei laburisti (1983). Sostenitori di un orientamento apertamente liberista, benché temperato da un ruolo attivo dello Stato nella gestione degli squilibri e dei conflitti sociali, i laburisti guidati dal primo ministro R. Hawke hanno impostato l'azione di governo lungo due direttrici essenziali: la ricerca di un accordo con sindacati e imprenditori per definire una politica dei redditi finalizzata alla stabilizzazione dell'inflazione e l'avvio di un processo di liberalizzazione dell'economia per promuovere la crescita della produttività tramite una maggiore apertura alla concorrenza estera.

Per combattere l'inflazione, il governo convocava nell'aprile del 1983 il primo summit dell'economia nazionale, coinvolgendo la principale confederazione sindacale australiana, l'ACTU (Australian Council of Trade Unions), e le rappresentanze degli imprenditori in un disegno di politica industriale teso a raccogliere il grado di consenso più elevato tra le parti sociali. Il risultato del summit fu la stipula di un accordo (in vigore fino al 1996), che varava la centralizzazione della determinazione dei contratti retributivi.

Per quanto riguarda le politiche di liberalizzazione, il governo decideva unilateralmente nel 1983 di abbattere in maniera progressiva le barriere tariffarie interne e di portarle a un livello medio del 5%. A tale iniziativa si sono aggiunte altre misure che hanno interessato il mercato valutario e quello dei cambi. Il governo ha infatti abbandonato il sistema di parità mobili, attuato nel 1973 dopo la crisi di Bretton Woods e consistente nel graduale aggiustamento del tasso di cambio in funzione degli obiettivi di politica economica del governo, e adottato un sistema di cambi flessibili. Contestualmente è stato avviato un programma di liberalizzazione dei movimenti di capitale e di rimozione dei controlli sulle transazioni in valuta, accompagnato sul piano interno dalla deregolamentazione del mercato finanziario e dall'apertura del sistema bancario all'attività di operatori esteri.

Nel complesso, il modello di concertazione avviato da Hawke ha prodotto risultati positivi sul piano del controllo degli aggregati macroeconomici. Il contenimento della dinamica salariale ha permesso infatti di porre sotto controllo l'inflazione, scesa, nella media degli anni Ottanta, a circa l'8%, contro il 12% degli anni Settanta. La disoccupazione, superiore al 10% all'inizio degli anni Ottanta, ha mostrato un certo regresso con l'avvio delle nuove relazioni industriali e con la ripresa economica, scendendo, a partire dal 1984, sotto l'8%.

Più problematica è stata invece la strategia adottata dal governo per riportare in equilibrio il deficit pubblico, che in conseguenza della recessione economica dei primi anni Ottanta si era assestato su valori negativi che superavano il 3% del PIL negli anni 1983-86. Malgrado l'opposizione di imprenditori e sindacati alle iniziative di riforma governative, l'obiettivo di rientro del deficit pubblico è stato tuttavia conseguito in misura più ampia di quanto previsto grazie agli elevati introiti fiscali derivanti dalla ripresa economica e al successo inaspettato della campagna contro l'evasione. Il verificarsi di tali condizioni ha così permesso di invertire il saldo negativo del settore pubblico, riportato in attivo tra il 1988 e il 1990.

Le politiche di liberalizzazione economica e il processo di apertura dell'economia nazionale hanno avuto effetti di grande rilievo su dinamica, struttura e direzione dei flussi commerciali con il resto del mondo. Dalla seconda metà degli anni Ottanta, infatti, il settore delle esportazioni è cresciuto in termini reali a un tasso costantemente superiore a quello del reddito. Di conseguenza è aumentata anche l'incidenza delle esportazioni sul prodotto nazionale lordo, che dal 15% circa della prima metà degli anni Ottanta è salita a oltre il 21% del 1998. Pur presentando un grado di apertura nel complesso ancora relativamente basso rispetto a quello di altre economie industrializzate, in ambito OCSE l'A. ha fatto registrare in poco più di un decennio uno dei processi più rapidi di apertura agli scambi con l'estero, con conseguenze significative sulla composizione merceologica delle esportazioni.

Una parte considerevole del rapido sviluppo delle esportazioni è derivata dall'intensificazione degli scambi con l'Asia, soprattutto con i paesi del Sud-Est, caratterizzati, fino alla vigilia della crisi finanziaria dell'ottobre 1997, da tassi di crescita del reddito elevatissimi. In particolare, le vendite di prodotti industriali a elevato valore aggiunto sono aumentate in dieci anni dell'800% nell'Asia del Nord e del 300% nell'Asia del Sud-Est, e quest'ultima si è affermata come principale area di sbocco della produzione australiana destinata all'estero, assorbendo nella seconda metà degli anni Ottanta circa il 60% delle esportazioni del paese. Contestualmente, i flussi commerciali verso l'Unione Europea si sono progressivamente ridotti scendendo, in percentuale delle esportazioni totali, dal 16% del 1987 all'11% del 1996.

L'accresciuta integrazione commerciale dell'A. nell'area del Pacifico si è accompagnata a una proliferazione degli accordi di carattere economico-istituzionale con gli altri paesi dell'area del Sud-Est asiatico. L'iniziativa di cooperazione economica, lanciata nel 1989 dall'A., è sfociata (1990) nella creazione dell'APEC (Asia Pacific Economic Cooperation), comprendente 18 paesi del Pacifico, tra cui Stati Uniti e Giappone. Grazie alla sua nuova posizione nell'area, l'A. ha esportato nel 1997 quasi 4/5 del valore della produzione nei paesi dell'APEC.

Il processo di internazionalizzazione dell'economia, di apertura del mercato interno e di crescita delle esportazioni non ha tuttavia risolto il problema del deficit strutturale delle partite correnti, che si è manifestato costantemente nel corso degli anni Ottanta e Novanta.

I disavanzi di parte corrente della bilancia dei pagamenti australiana dipendono in larga misura dai consistenti deflussi di pagamenti verso l'estero per interessi e dividendi, che costituiscono il corrispettivo delle forti importazioni di capitali nel paese. Una quota consistente di tali disavanzi ha avuto origine anche dalla concorrenza dei prodotti provenienti dai paesi dal Sud-Est asiatico, intensificatasi in conseguenza del disarmo tariffario, nonché dalle forti oscillazioni sui mercati internazionali dei prezzi delle materie prime, che rappresentano la principale voce delle esportazioni.

Dopo avere evidenziato una crescita soddisfacente nel corso degli anni Ottanta, l'economia australiana ha subìto un forte rallentamento all'inizio degli anni Novanta, seguito poi nel 1991 dalla recessione che ha caratterizzato la situazione congiunturale delle altre economie industrializzate. A partire dal 1992, l'A. è entrata in un nuova fase di espansione, tra le più solide e durature dei paesi dell'OCSE.

La ripresa è stata sostenuta anche dalla strategia adottata dalla banca centrale, la Reserve Bank of Australia, che ha pilotato una progressiva diminuzione del tasso di interesse ufficiale. Questo, mantenuto su valori elevati fino al 1991, è stato ritoccato verso il basso per otto volte nel 1992, fino a raggiungere nel 1993 il livello più basso degli ultimi venticinque anni. La banca centrale ha potuto attuare un allentamento della politica monetaria senza temere la crescita dei prezzi al consumo soprattutto perché il raffreddamento della domanda interna, per la recessione, ha favorito una rapida diminuzione dell'inflazione (−6% tra il 1990 e il 1992). Per effetto della recessione, anche i conti con l'estero hanno fatto registrare un deciso miglioramento, dato che la flessione delle importazioni ha permesso la formazione di un attivo commerciale, cui ha fatto riscontro comunque un passivo delle partite correnti, anche se in diminuzione rispetto al passato.

La recessione ha però provocato un netto peggioramento delle condizioni sul mercato del lavoro, portando il tasso di disoccupazione al di sopra del 10%, un valore elevato non solo in termini assoluti (circa un milione di senza lavoro) ma anche in rapporto alla media dei paesi OCSE. L'emergenza occupazionale è la questione centrale del governo laburista che, sotto la guida di P. Keating, ha avviato un nuovo ciclo di riforme, insistendo sulle politiche liberiste, pur nel quadro di una concertazione che ha visto l'ACTU attivamente coinvolto nella definizione delle nuove linee di politica industriale.

Tra i provvedimenti del governo vi è stata la revisione del sistema di fissazione centralizzata dei salari. Nel marzo del 1993 è stato approvato l'Industrial relation reform act (rimasto in vigore dal 1994 al 1996), con cui veniva data maggiore enfasi alla contrattazione stabilita a livello aziendale per tenere conto delle esigenze specifiche di ogni impresa. È stata poi introdotta una clausola di salvaguardia che fissava alcuni livelli minimi di crescita per i redditi più bassi e stabiliva un accordo secondo cui la politica salariale avrebbe dovuto essere decisa tenuto conto degli obiettivi di inflazione fissati dalla banca centrale. A partire dal 1993, infatti, la Reserve Bank ha iniziato ad amministrare la politica monetaria con l'obiettivo di mantenere il tasso di inflazione tra il 2 e il 3% nella media del ciclo economico. Pur agendo in modo da contrastare gli effetti derivanti da incrementi attesi di domanda, la Reserve Bank si è orientata verso un atteggiamento tollerante nei confronti di deviazioni di breve periodo del tasso di inflazione dai margini fissati come obiettivo, in modo da stabilizzare le fluttuazioni del reddito reale. Sempre nel quadro di una riforma strutturale dell'economia, il governo ha accelerato le privatizzazioni di alcune imprese pubbliche (è stata infatti privatizzata la compagnia di bandiera Qantas e venduto ai privati circa il 50% della principale banca del paese, la Commonwealth Bank) e varato nel 1995 il Competititon policy reform act, con cui venivano aperti alla concorrenza settori tradizionalmente protetti.

La politica economica del governo ha prodotto risultati di un certo rilievo per la crescita economica e il controllo dell'inflazione. Quest'ultima, in particolare, tra il 1992 e il 1996 è scesa sotto il 3%, con l'eccezione del 1995, in cui la variazione del livello generale dei prezzi ha superato il 4%. Meno incisivi sono stati invece i risultati sul piano della disoccupazione che, a fronte di una crescita economica abbastanza pronunciata, è rimasta intrappolata su livelli elevati. Il governo ha cercato di rivitalizzare la ripresa sul mercato del lavoro finanziando l'avvio di programmi infrastrutturali (specie nelle ferrovie) e di progetti finalizzati alla creazione di nuovi posti di lavoro, ottenendo però risultati inferiori alle aspettative. Mentre il tasso di disoccupazione è rimasto su valori stabili tra il 9 e l'8% fino al 1997, la crescita delle spese sociali e previdenziali ha prodotto effetti negativi sull'equilibrio finanziario interno. Il deficit pubblico in rapporto al PIL è infatti cresciuto sensibilmente stabilizzandosi intorno al 4% nel triennio 1992-94, anche se un deciso miglioramento si è verificato dal 1995, in seguito a un incremento del prelievo fiscale (sull'imposta sulle società) e ai maggiori introiti derivanti dal perseguimento del programma di privatizzazioni. Per consolidare gli sforzi di risanamento finanziario, nel 1995 il governo ha varato un programma (Charter of public honesty), centrato su criteri di gestione fiscale ispirati alla trasparenza e alla responsabilità, per il recupero di condizioni di efficienza e produttività nell'amministrazione pubblica.

Tab. 3

Con la vittoria della coalizione liberal-nazionale alle elezioni politiche del 1996 si è verificato un allontanamento dagli indirizzi attuati dai laburisti in campo economico. Se da un lato, infatti, sono stati accentuati gli aspetti liberisti delle politiche economiche (avvio della privatizzazione della compagnia telefonica Telestra, deregolamentazione nel settore dei trasporti), dall'altro la principale preoccupazione del nuovo governo è stata quella di ridimensionare drasticamente il ruolo dei sindacati e di introdurre elementi di flessibilità sul mercato del lavoro. Con il Workplace relation bill del 1996 è stata introdotta la possibilità per le piccole imprese di licenziare senza giusta causa e si è accelerata la sostituzione del meccanismo centralizzato di determinazione dei salari, basato sulla mediazione sindacale, con un sistema di contratti individuali a livello aziendale. Sul piano della gestione delle variabili macroeconomiche il governo ha accentuato il rigore delle politiche fiscali, attuando una manovra fortemente restrittiva dal lato delle uscite: con il piano di riduzione delle spese pubbliche, varato nel 1997, il governo ha portato nuovamente in attivo il settore pubblico che nel 1997 ha raggiunto un avanzo dello 0,2% del PIL. La politica monetaria ha mantenuto un orientamento cautamente espansivo, grazie al quale è stato possibile attenuare nel 1997 e nel 1998 gli effetti provocati dal rallentamento economico dei principali partner asiatici sul prodotto interno del paese. Il quadro della disoccupazione non ha mostrato significativi miglioramenti: nonostante un leggero calo del tasso di disoccupazione, sceso nel 1998 all'8,2%, il mercato del lavoro ha continuato a manifestare condizioni di forte debolezza. A ciò si deve aggiungere anche il livello ancora inadeguato del risparmio interno che si traduce in un persistente deficit delle partite correnti (destinato a raggiungere alla fine del decennio uno dei valori più elevati degli ultimi venti anni) e in un conseguente indebitamento con l'estero, pari nel 1998 a circa il 40% del PIL. Infine, la riforma del sistema fiscale, centrata sull'introduzione della Goods and services tax (tassa sul consumo diretto), in grado di stimolare la formazione di livelli più elevati di risparmio interno e di favorire un consolidamento delle finanze pubbliche, rappresenta uno degli obiettivi centrali per la politica economica australiana e indica la direzione dell'impegno nei prossimi anni. (V. Tab. 3).

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Storia

di Luisa Azzolini

Gli anni Novanta si aprirono in A. con la peggiore recessione economica dalla fine della Seconda guerra mondiale. Gli effetti della sfavorevole congiuntura si intersecavano con le complesse dinamiche della società australiana che si era andata caratterizzando in senso marcatamente multiculturale: la tradizionale supremazia della White Australia era messa a dura prova da una presenza asiatica sempre più consistente in termini numerici e sempre più intraprendente economicamente, mentre gli aborigeni, la parte più debole della 'nazione' australiana, avevano cominciato a vedere accolte le loro richieste di riconoscimento nella legislazione promossa dal governo federale. Sempre più rivolta all'Asia, l'A. di fine secolo si trovava nella necessità di ricostituire con grande fatica, e non senza forti resistenze interne, un'identità collettiva meno legata alle radici e alle tradizioni culturali europee.

Le elezioni generali del marzo 1990 attribuirono per la quarta volta consecutiva la vittoria al Partito laburista, al governo dal 1983. Il nuovo esecutivo, sotto la guida di R. Hawke, perseguì come nelle passate legislature una politica di austerità, con tagli alla spesa pubblica e severe misure fiscali, cui fece seguito l'avvio di un inedito programma di privatizzazioni relativo al settore bancario e dei trasporti aerei. La persistente stagnazione economica, tuttavia, unitamente a contrasti interni al Partito laburista, portò alle dimissioni di Hawke e alla nomina dell'ex ministro del Tesoro P. Keating come capo dell'esecutivo. L'implicazione in scandali di origine finanziaria di alcuni importanti esponenti del partito, e la sconfitta in diverse elezioni locali e suppletive, sembrarono accelerare, malgrado tale avvicendamento, il declino dei laburisti. Alle elezioni generali del marzo 1993 l'opposizione liberal-nazionale, guidata dal liberale J. Hewson, presentò un programma di riforma economica incentrato sulla riduzione delle imposte sui redditi e sull'introduzione di una nuova tassa sui beni e i servizi. Keating attaccò il programma dell'opposizione come economicamente inflazionistico e socialmente penalizzante per i ceti più deboli, per le minoranze etniche e per le donne. Per contro impostò una campagna elettorale all'insegna delle 'grandi questioni': i diritti sulla terra delle popolazioni aborigene, la trasformazione dell'A. in una repubblica entro il 2001, il miglioramento dell'assistenza sanitaria e la riduzione della disoccupazione (che nel luglio 1992 aveva raggiunto il tasso record dell'11,1%) attraverso finanziamenti pubblici volti alla creazione di nuovi posti di lavoro. Contrariamente alle aspettative, le elezioni videro la conferma della maggioranza laburista che aumentò addirittura i propri rappresentanti alla Camera (80 seggi, due in più rispetto al 1990, contro 49 del Partito liberale e 16 del Partito nazionale).

Riguardo alla questione degli aborigeni, il nuovo governo Keating, prendendo spunto da una sentenza dell'Alta corte del giugno 1992 che aveva abrogato il concetto di terra nullius in base al quale i coloni europei si erano impadroniti di terre considerate 'disabitate', presentò il Native title act che riconosceva l'esistenza di diritti sulla terra antecedenti alla colonizzazione. La legge, votata dal Parlamento nel dicembre 1993 dopo mesi di intensi negoziati, conferiva agli aborigeni il diritto di appellarsi a tribunali speciali per rivendicare il possesso di terre che potevano dimostrare di avere stabilmente occupato, contrattando quindi direttamente con le società minerarie e con gli allevatori lo sfruttamento del suolo e del sottosuolo. Benché tutte le concessioni antecedenti alla fine del 1993 fossero escluse e l'applicazione della nuova legge riguardasse pochi territori della Corona e alcune aree desertiche dell'entroterra, il suo impatto, anche culturale, fu assai significativo e sollevò le proteste e le preoccupazioni dell'industria mineraria, nonché il dissenso della parte più intransigente degli aborigeni. Il governo si impegnò anche a creare un fondo federale speciale destinato alla riacquisizione delle terre e, in generale, al miglioramento di condizioni di vita, istruzione e salute del popolo aborigeno che ancora negli anni Novanta viveva in condizioni sfavorite rispetto al resto della società australiana, con un reddito pro capite nettamente inferiore, una maggiore percentuale di disoccupati, una maggiore mortalità, un tasso di alcolismo significativamente più alto, una incomprensibilmente elevata percentuale di morti, in circostanze non sempre chiare, fra i detenuti.

La politica estera dei governi laburisti, improntata a obiettivi essenzialmente economico-commerciali, privilegiò le relazioni con i vicini paesi asiatici. Nel 1989 Hawke promosse la nascita dell'APEC, con il proposito di integrare maggiormente l'economia regionale attraverso la libera circolazione di merci, capitali e tecnologie. Seguendo questo indirizzo, Keating aprì un'attiva stagione di visite di Stato nei paesi vicini e incrementò gli aiuti finanziari a Cambogia e Vietnam. Il governo australiano fu tra i primi a concedere il proprio appoggio militare agli Stati Uniti nella guerra del Golfo e i rapporti fra i due paesi continuarono a rimanere stretti, soprattutto sul piano militare. Più complessi i rapporti con alcuni paesi europei: l'affermazione che l'A. sarebbe diventata una repubblica nel 2001, reiterata da Keating in occasione della visita della regina Elisabetta nel settembre 1993, raffreddò momentaneamente le relazioni con la Gran Bretagna, mentre la decisione del governo francese di riprendere nel 1995 gli esperimenti nucleari nel Pacifico del Sud dopo tre anni di sospensione provocò momenti di notevole tensione con la Francia.

Il dinamismo del governo Keating non riuscì a evitare che al centro dell'attenzione politica, in vista della consultazione elettorale del 1996, rimanessero i gravi problemi economici del paese. Nonostante il contenimento del tasso d'inflazione (2,6% nel 1996), l'A. non usciva dalla recessione: la disoccupazione non accennava a diminuire, mentre gli incentivi e gli sgravi fiscali promessi da Keating si tramutarono in un aumento dei tagli alla spesa sociale. In queste condizioni, le elezioni del marzo 1996 segnarono la netta affermazione della coalizione liberal-nazionale (alla Camera i liberali ottennero 76 seggi e il Partito nazionale 18, contro i 49 dei laburisti) e portarono, dopo tredici anni di ininterrotto governo laburista, alla formazione di un esecutivo presieduto dal leader liberale J. Howard; nello stesso mese di marzo K. Beazley sostituì Keating alla guida del Partito laburista.

Il nuovo governo continuò il programma di privatizzazioni intrapreso dai laburisti estendendolo anche alle telecomunicazioni e attuò una drastica politica di tagli alla spesa pubblica, toccando tutti i settori fuorché le spese militari. Tali provvedimenti, che nell'agosto 1996 sollevarono manifestazioni senza precedenti a Canberra, finivano inevitabilmente per colpire i ceti più disagiati compresi gli aborigeni, i cui diritti acquisiti nel biennio 1992-93 venivano rimessi in discussione con la proposta, avanzata dal governo Howard, di limitare l'applicazione del Native title act.

La questione aborigena venne ripresa nell'ottobre 1996 dalla signora P. Hanson, deputato indipendente, che in un discorso alla Camera chiese l'eliminazione di ogni fondo a favore degli aborigeni (di cui parlava in termini apertamente denigratori), unitamente alla chiusura delle frontiere all'immigrazione asiatica che avrebbe, a suo dire, sommerso l'Australia. La posizione del governo nei confronti del 'caso Hanson' fu di ferma condanna, e tuttavia notevoli furono le ripercussioni dell'episodio nell'opinione pubblica interna ed estera: l'immagine dell'A. ne usciva danneggiata fra gli Stati asiatici che costituivano per il paese la maggiore fonte di investimenti, mentre gli esiti di alcuni sondaggi rivelarono che circa la metà degli Australiani interpellati condivideva le posizioni della Hanson. Nel maggio 1997 la pubblicazione dei risultati di un'inchiesta promossa dalla commissione sui diritti umani e le uguali opportunità riaprì la discussione, rivelando che tra il 1910 e il 1970 circa centomila bambini aborigeni erano stati allontanati dalle loro famiglie, spesso con la forza, e costretti a vivere in orfanotrofi o presso famiglie bianche secondo un disegno di integrazione forzata e nella convinzione che gli aborigeni fossero destinati rapidamente all'estinzione.

La scelta del governo di ridimensionare nel maggio 1997 l'afflusso di immigrati di un ulteriore 8% (con riduzione complessiva del 20% in due anni), pur motivata dall'elevato tasso di disoccupazione, sembrò avallare l'idea che la società multiculturale australiana stesse attraversando un periodo di incertezza e di ripensamento dei valori. Le elezioni del 3 ottobre 1998 confermarono al governo la coalizione di centro-destra e sancirono l'insuccesso dei laburisti e la netta sconfitta del partito razzista della Hanson, One Nation. Dopo anni di accese discussioni sui vincoli costituzionali con la Gran Bretagna e dopo che una convenzione costituzionale si era pronunciata a favore dell'istituzione di un sistema repubblicano, fu indetto per la fine del 1999 un referendum al cui esito era comunque subordinato il cambiamento costituzionale. Svoltasi nel mese di novembre la consultazione respingeva con un margine ridotto le tesi repubblicane.

bibliografia

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