Autismo

Universo del Corpo (1999)

Autismo

Salomon Resnik
Paola Bernabei

Il termine tedesco Autismus, dal greco αὐτός, "stesso", coniato dallo psichiatra svizzero E. Bleuler, designa, in senso generale, la patologia caratterizzata dalla perdita di contatto con la realtà esterna e dalla chiusura in un mondo interno tutto proprio: una condizione di isolamento e incomunicabilità in cui sembra non esistano scopi né significati intellegibili. Con la denominazione specifica di 'autismo infantile precoce' si intende il disturbo del comportamento che insorge nella prima infanzia e si connota per l'alterazione di alcune capacità di base di tipo fisico, psicosociale e linguistico, con le tipiche manifestazioni di indifferenza per le stimolazioni sensoriali, di paralisi ludica e affettiva. Alcune ipotesi attribuiscono l'origine della malattia a disturbi della sfera affettiva; recenti indagini la riconducono piuttosto a disfunzioni neurobiologiche non disgiunte da componenti genetiche.

La dimensione psicopatologica

di Salomon Resnik


I.

Il pensiero autistico

L'autismo è definito da E. Bleuler (1911) come disturbo del pensiero o 'pensiero circolare' che 'si chiude su sé stesso'. Entro lo spazio autistico vi è una 'realtà de-reale', che egli chiama 'pensiero dereistico'. Si tratta di un modo di pensare apparentemente illogico o alogico, eppure dotato di una sua logica intrinseca. Il pensiero dereistico dell'autismo si configura spazialmente e temporalmente come una trincea: il territorio circoscritto appare come un sistema intimo che contiene i pezzi e i frammenti di una catastrofe prenatale o postnatale. Freud (1911) menziona il concetto di autismo di Bleuler, utilizzando questa metafora: la chiusura autistica è come un uovo di uccello con le sue scorte alimentari all'interno del guscio. La persona autistica, adulto o bambino, è soggetto di bisogno, ma è al tempo stesso anche la sua propria fonte di nutrimento. D'altra parte essere 'il proprio seno', succhiare sé stesso, non basta, in quanto la substantia nutritiva presente nel guscio è limitata e, inoltre, solo una vera madre può essere fonte di calore. Così, nella metafora dell'uovo, la sorgente alimentare, ridotta, dovrebbe a un certo punto spingere alla rottura del guscio per cercare la vera fonte materna.

Successivamente Freud (1927) si mostrò critico nei confronti del termine autismo a motivo della sua ambiguità semantica rispetto a concetti affini. A questo proposito R. Kuhn (1982) ha avanzato l'ipotesi che la coniazione della parola autismo da parte di Bleuler fosse dettata proprio dall'esigenza di distinguerlo dall'egotismo e autoerotismo, che sono solo elementi connotativi della ben più complessa condizione autistica. L'autoerotismo fu definito da H. Ellis (1910) come quell'insieme di fenomeni, di sensazioni ed emozioni sessuali spontanee prodotte in assenza di ogni stimolo esterno. Questa definizione esclude la sessualità perversa e il feticismo erotico ed esclude anche - come nel concetto di narcisismo primario in Freud - la presenza-funzione dell'oggetto differenziato in quanto esterno. Quindi l'autoerotismo si distingue dall'eccitazione sessuale normale, che nasce dalla presenza della persona amata. L'autoerotismo, in assenza di ogni stimolo esterno, implica, per Ellis, una chiusura autistica: il soggetto si isola nel suo piacere solitario, nel suo mondo corazzato.

Di autoerotismo legato al narcisismo parla M. Klein (1952), la quale osserva che l'autoerotismo si sviluppa nel bambino contemporaneamente alle prime relazioni oggettuali (esterne o interiorizzate) e riguarda l'amore con un 'oggetto buono' introiettato, che diventa appunto l'oggetto d'amore. In questa situazione, una gratificazione autoerotica e narcisistica può accompagnarsi a un 'ripiegamento autistico' dell'Io verso l'interno: tale idea è quindi implicita nel concetto di autoerotismo.

Altro elemento connotativo dell'autismo è una sorta di 'sospensione' simile allo stato che caratterizza, anche se in modo passeggero, il sonno.

Secondo Kuhn (1982), infatti, il pensiero onirico ha una sostanziale corrispondenza con quello autistico e dereistico: come l'autismo, anche il sogno possiede e manifesta, dietro la sua corazza, una propria realtà (il de-reale), diversa da quella della veglia e dotata di una sua logica intrinseca.Nel termine autismo è adombrata l'idea di 'scissione dell'Io': forse una dissociazione tra l'apparire e il contenuto nascosto, forse anche tra quello che Freud (1923) chiama l'Io corporeo e l'Io psichico (v. io). L'entità Psiche, paurosa 'dell'aperto' o della sua entità 'pelle' o maschera corporea, che la pone in contatto con il temuto mondo esterno, si chiude autoeroticamente per non rischiare di esporsi all'incontro con l'oggetto 'reale' d'amore. Comunicare, aprirsi, costruire uno spazio per sé e con l'altro, significa confrontarsi con la frustrazione del desiderio (che dipende dal grado pulsionale dell'avidità), ma anche scoprire o ritrovare la fluidità, lo scambio con il mondo esterno: ciò di cui il soggetto autistico è incapace.

La differenziazione tra interiorità ed esteriorità è estrema per cui, secondo F. Tustin (1972), diventa necessario sviluppare una corazza più o meno socievole, una struttura difensiva dell'apparato psichico che risponda al bisogno di mostrarsi attraverso una maschera, delimitandosi al tempo stesso rispetto al mondo esterno.E. Minkowski (1927) sviluppa ulteriormente il concetto di autismo, già descritto da Bleuler in termini di pensiero (autistisches Denken). Egli interpreta l'autismo come modalità o gestualità corporea di un Io ripiegato che si oppone alla sintonia, ossia al bisogno naturale di relazionarsi empaticamente con l'altro. In quest'ottica, la perdita di contatto con la realtà non è soltanto una concezione metafisica, ma un distacco concreto dalla realtà esterna, accompagnato da una predominanza relativa o assoluta della vita interiore. Mentre Bleuler descrive l'autismo come segno secondario della sindrome schizofrenica, Minkowski attribuisce a esso piuttosto un significato primario: gli schizofrenici negli stadi più avanzati non hanno più alcun rapporto con l'ambiente e vivono in un mondo che è solo loro; essi si sono chiusi nei loro desideri, con la sofferenza che deriva dalle persecuzioni di cui si credono vittime. Secondo Minkowski, l'autismo è quindi connesso con un atteggiamento fenomenologicamente asintonico o schizoide nei confronti dell'ambiente. La mancanza di contatto affettivo che caratterizza questa condizione implica una profonda solitudine interiore ed esteriore. D'altra parte l'isolamento della solitudine è sempre 'di fronte al mondo', quindi paradossalmente relazionale. In questa prospettiva è legittimo pensare di poter stabilire un contatto affettivo: questo o un transfert terapeutico saranno, tuttavia, sempre costituiti da una comunicazione legata ai moduli oscuri e arcaici (gli 'enigmi della notte') del pensiero autistico.

2.

L'autismo infantile

L'applicazione del concetto di autismo alla psicopatologia infantile e la definizione di 'autismo precoce infantile' sono opera di L. Kanner (1973), il quale, già in un articolo di fondamentale importanza pubblicato nel 1943, descrive una serie di casi differenti per singolarità sintomatica da altri quadri clinici conosciuti: bambini, dai due ai dieci anni d'età, chiusi in sé stessi in uno stato di mutismo dalla nascita (autismo primario) o dopo la nascita (autismo secondario). Di alcuni di essi egli rileva il modo di parlare meccanico e 'solenne' (quindi asintonico, come sostiene Minkowski) e il comportamento simile a quello di persone adulte o 'iperadulte'. I soggetti sono capaci, in certe occasioni, di comunicare affettivamente attraverso la parola, e poi, all'improvviso, di chiudersi ermeticamente in modo continuativo; sembrano piccoli adulti troppo occupati mentalmente, distratti ma arrogantemente autosoddisfatti, sicuri di sé stessi e protetti dentro la loro armatura.

L'apatia e la 'a-mozione' (per differenziare il termine da 'emozione', nel senso di affettività in movimento) caratterizzano questo stato di chiusura e di paralisi affettiva. Tale immobilità dei sentimenti diventa analgesia dell'Io corporeo e dell'Io psichico. Lasciati soli, questi bambini 'analgesici' non gridano, non vanno in ansia e reagiscono con apparente indifferenza a ogni richiesta; alcuni di essi sono capaci, se pur minimamente, di giocare, ma l'attività ludica è ripetitiva e non coerente. Oltre alla 'paralisi ludica', o incapacità di giocare del bambino, che è una manifestazione tipica del pensiero autistico, un altro sintomo paradossale evidenziato da Kanner è l'inversione pronominale, espressione di un egocentrismo e di un narcisismo estremi. Per es., se la madre chiama il bambino per prendere del latte, il bambino non risponde; se invece la madre dice "Io voglio prendere il latte", il bambino reagisce in modo positivo prendendo il latte.

L'esempio si può interpretare come un delegare proiettivamente alla madre l'Io infantile sussidiario che sente il bisogno di una fonte nutritiva. Tale bisogno è inaccettabile perché ferisce la fantasia egocentrica di 'autonutrimento', mentre, proiettandolo per inversione (identificazione proiettiva), il bambino si rassicura rispetto alla sua condizione: essere cioè la propria fonte di nutrimento.

Già prima della definizione di autismo precoce infantile data da Kanner, M. Klein (1930) aveva descritto un caso di autismo, pur non classificandolo tale. L'autrice metteva in evidenza come gli studi sul bambino autistico avessero importanti implicazioni per la ricerca dei 'fondamenti del pensare' e della capacità di giocare e di simbolizzare. Klein suggeriva inoltre l'idea dei fenomeni protosimbolici, o dei 'precursori del simbolismo', e intravvedeva già quello della 'equivalenza simbolica', ossia l'incapacità del bambino di differenziare l'oggetto primario o la cosa dalla sua rappresentazione simbolica: entrambe vengono trattate come semanticamente identiche, come se tra loro non vi fosse trasformazione alcuna, o mutazione, o sublimazione, come se il movimento nello spazio e nel tempo si fossero arrestati, pietrificati. Più recenti contributi psicoanalitici sono quelli di F. Tustin (1972, 1994), che parla di 'oggetti autistici': i bambini svilupperebbero un atteggiamento inconsciamente fobico nei confronti di ogni oggetto che richiami affettività e quindi contatto affettivo ed emozione o 'dolore mentale'. Così ogni oggetto di comunicazione, incluso un giocattolo, diventa 'entità devitalizzata'. Per tale ragione il bambino autistico non può giocare, ma arriva soltanto a un contatto sensitivo o sensuale con l'oggetto e talvolta pare manifestare un piacere erotizzato o feticistico per l'oggetto inanimato.

Si tratta quindi di oggetti chiusi in sé stessi, che il bambino autistico utilizza per non comunicare. Basandosi sulla teoria di E. Bick (1968) relativa alla funzione di contenimento della pelle, D. Meltzer (1975) sostiene che nell'autismo la pelle agirebbe come chiusura ermetica di uno spazio proprio, e sottolinea l'incapacità di bambini autistici di distinguere tra essere 'dentro' o 'fuori' rispetto a un oggetto, nonché la fragilità del loro Io che tende a disgregarsi.La corazza circolare e dura dell'autismo, difensivamente priva di fragilità, agisce come un'armatura medievale ove il cavaliere è assente, come nel Cavaliere inesistente di I. Calvino. Talvolta la corazza è meno rigida e tende a dispiegarsi o ad avvolgere il mondo circostante, senza però abbandonare la sua chiusura attorno al corpo. Tale fenomeno può definirsi come 'espansione autistica dell'Io', di un Io che non vuole uscire dal suo guscio, o che lo trasforma in una veste autistica, una chiusura estensibile e impermeabile. Questa condizione permette all'Io autistico di avventurarsi espansivamente nell'ambiente senza uscire dal suo territorio: lo spazio autistico si configura come un vero e proprio campo fenomenologico a 'modalità manieristica', con le sue leggi e un suo linguaggio enigmatico.

L'autista, come lo psicotico, ha uno spazio personale, il suo territorio, 'sonoro' o 'silenzioso'. L'educatore specializzato, lo psicologo, lo psichiatra, lo psicoanalista, devono prendere coscienza dell'esistenza di questo territorio autistico, della sua realtà e dei suoi confini. Esso può oltrepassare i limiti del corpo ed espandersi (autismo espansivo), oppure restringersi, ripiegarsi in un organo, o in un punto preciso dello spazio corporeo, e divenire una specie di 'isolotto autistico'. Talvolta può rompersi in pezzi, senza perdere il dogmatismo ideologico, diventando così un 'arcipelago autistico'. Il soggetto autistico evita, nella sua espansività avvolgente e negativista, la sua condizione di essere nel mondo, manifestando però implicitamente, tramite inevitabili esperienze catastrofiche di rottura, il desiderio di farsi spazio, gradualmente e con l'aiuto necessario, nel mondo della sintonia.

Aspetti neuropsicologici

di Paola Bernabei


I.

Autismo e ritardo mentale

L'autismo è una patologia che compromette lo sviluppo di diverse aree mentali: cognitiva, comunicativa, affettiva e interattiva. Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta era stato affermato che esso fosse causato da un rapporto disturbato nei primi mesi di vita tra madre e bambino. Questa affermazione si è rivelata priva di fondamento scientifico e gli stessi psicoanalisti si sono chiaramente pronunciati su tale errore teorico (Tustin 1994). Si ritiene oggi che il disturbo autistico nasca da alterazioni neurobiologiche: molte ricerche hanno rilevato la presenza nei soggetti con autismo di una disfunzione di alcuni sistemi di rete, quali il circuito limbico, il cervelletto, i lobi frontali (Bauman-Kemper 1985; Courchesne-Townsend-Saitoh 1994); parallelamente è stata dimostrata una componente genetica (Rutter et al. 1997).Il soggetto manifesta una serie di sintomi riferibili a deficit dell'interazione sociale, della comunicazione preverbale (gesti, mimica) e verbale (linguaggio), e inoltre comportamenti ripetitivi e stereotipati.

La natura e gravità dei sintomi sono determinate dall'età e dall'associazione con il ritardo mentale, che è presente nei due terzi degli individui affetti da autismo. La compromissione del linguaggio, per es., può presentarsi come assenza totale, quando il funzionamento cognitivo corrisponde a un grave ritardo mentale, fino a un linguaggio formalmente discreto, sul piano grammaticale e sintattico, ma bizzarro dal punto di vista del contenuto e della modalità comunicativa negli autismi ad alto funzionamento, cioè negli individui con un buon livello di funzionamento cognitivo generale. All'interno della categoria diagnostica dell'autismo sono compresi quindi individui con caratteristiche cliniche, prognosi e tipo di intervento terapeutico molto diversi.

L'espressività del disturbo è varia: il protagonista del film Rain man, che ha sicuramente contribuito a una maggiore conoscenza del disturbo, esemplifica soltanto una delle possibili forme di autismo, che può presentarsi in soggetti sia con buone capacità cognitive sia, all'opposto, con un grave ritardo mentale. Inoltre, l'individuazione di tale patologia in persone adulte è piuttosto rara: per lo più queste ricevono diagnosi (in relazione al grado di funzionamento cognitivo) di ritardo mentale o di disturbo della personalità. Solo la conoscenza della storia clinica del soggetto fin dalla prima infanzia può orientare verso una corretta diagnosi.

La diagnosi differenziale più complessa si pone nel caso di bambini che presentano un ritardo mentale. Molti di questi ricevono una diagnosi di autismo; ciò dipende dai seguenti fattori: a) nei due terzi dei casi l'autismo si accompagna anche a un ritardo mentale; b) i bambini con ritardo mentale medio e grave possono mostrare nella prima infanzia sintomi simili a quelli dell'autismo (stereotipie, ecolalie, tendenza all'isolamento ecc.). Soltanto la metà dei soggetti cui viene attribuita una diagnosi di autismo ne sono in realtà affetti (Bernabei et al. 1996; Levi-Bernabei 1997).

Sotto il profilo epidemiologico, la prevalenza dell'autismo è di 4-6 casi su 10.000 bambini; cifre superiori si riferiscono a casi di autismo non primario (cioè a soggetti che presentano una sintomatologia di tipo autistico avendo come patologia di base altri disturbi, come un ritardo mentale o una disfasia sensoriale, cioè un disturbo del linguaggio con prevalente compromissione recettiva). È da notare che le stime epidemiologiche risentono fortemente dei sistemi diagnostici adottati (i paesi che utilizzano la classificazione internazionale hanno dati più omogenei rispetto a quelli in cui tale sistema non è ancora in vigore). Le confusioni diagnostiche degli ultimi trent'anni hanno fatto sì che molte ipotesi teoriche sull'autismo siano state elaborate su casi clinici considerati affetti dal disturbo ma che oggi, a posteriori, non verrebbero classificati come tali. Gli stessi esempi riportati da Kanner (1943), che attualmente sarebbero inclusi tra gli autismi ad alto funzionamento, rappresentano in realtà una frazione dei casi di autismo e non possono essere considerati di per sé come rappresentativi della patologia.

2.

Età della diagnosi e sottotipi clinici

Per età della diagnosi si intende quella in cui il quadro clinico si configura in modo tale da consentire la diagnosi stessa: nel caso dell'autismo essa oscilla tra i 24 e i 30 mesi. Tra i 10 e i 18 mesi si possono osservare regressioni, cioè perdita di comportamenti quali protoparole e gesti referenziali, in realtà non acquisiti stabilmente, seguiti poi da un grave arresto nello sviluppo delle capacità interattive e comunicative. Spesso, quando i genitori rilevano queste regressioni, i medici tendono a sottovalutarle o a non prenderle in considerazione; ricerche effettuate su videoregistrazioni amatoriali hanno invece evidenziato una corrispondenza temporale tra i dati forniti dai genitori e quelli osservabili nelle registrazioni, confermando quindi la veridicità del quadro fornito dai familiari (Bernabei-Camaioni-Levi 1998). Questi riconducono in genere l'inizio della regressione a un evento stressante, per es. il ritorno al lavoro della madre o un cambiamento di casa: è ipotizzabile che il bambino possa essere particolarmente fragile, per una predisposizione genetica, a questi tipi di stress che sembrano comunque specifici di un determinato periodo.

I dati riportati suggeriscono quindi che è possibile individuare in età molto precoce (10-18 mesi) bambini i quali, pur non presentando il quadro completo dell'autismo, manifestano sintomi che fanno fortemente sospettare questa patologia.Per quanto riguarda l'incidenza genetica, il rischio di avere un secondo figlio con autismo, in una famiglia nella quale ve ne sia già uno, è di circa il 5%. Questa percentuale, ben diversa dal 25 o dal 50% di rischio di una patologia causata dall'alterazione di un solo gene, fa ipotizzare che l'autismo sia causato da una combinazione di più geni, la cui co-occorrenza è molto più rara.Le manifestazioni patologiche dell'autismo vengono definite come un disturbo della 'teoria della mente'. Questa definizione si riferisce alla capacità che si sviluppa a partire da una certa età nei bambini di comprendere le intenzioni, le propensioni, i desideri degli altri. Il soggetto con autismo avrebbe una difficoltà specifica in questo ambito (Frith 1996); il deficit comincerebbe a evidenziarsi fin dalle età più precoci con il grave ritardo, se non l'assenza, di quei comportamenti gestuali che presuppongono il riconoscimento dell'altro quale interlocutore, come, per es., mostrare una certa cosa all'adulto per condividere insieme l'attenzione su di essa (Baron-Cohen 1995).

La più comune suddivisione clinica è fondata sul grado di funzionamento cognitivo, elemento in base al quale si possono distinguere tre gruppi: a) il funzionamento cognitivo corrisponde al ritardo mentale medio-grave e grave: in questi soggetti la diagnosi differenziale tra autismo e ritardo mentale ha scarso valore sia dal punto di vista prognostico, sia riabilitativo; b) il funzionamento cognitivo equivale al ritardo mentale medio e lieve: sono i soggetti in cui il quadro autistico appare con più evidenza; c) il funzionamento cognitivo è quello di un soggetto con intelligenza nella norma o nei limiti inferiori.

La sintomatologia, pur restando sempre caratterizzata dalla triade disturbo di comunicazione, disturbo di interazione e comportamenti ripetitivi e stereotipati, assume forme diverse a seconda del gruppo cui il soggetto appartiene.

a) Sintomatologia del primo gruppo. Il sintomo cardine è l'accentuato isolamento; tale forma di isolamento non costituisce una prerogativa dell'autismo, ma è determinata dal deficit cognitivo: tanto questo è maggiore e tanto minore è l'età, più forte è l'isolamento. Questi soggetti non sviluppano mai le funzioni comunicative preverbali (gesti referenziali) e tantomeno un linguaggio; il contatto di sguardo è assente, si manifestano interessi stereotipati per il movimento di oggetti rotondi, per l'acqua che scorre, o comportamenti ripetitivi, come l'annusare tutti gli oggetti. Sono frequenti le stereotipie motorie.

b) Sintomatologia del secondo gruppo. Alle caratteristiche del gruppo precedente si aggiunge l'acquisizione, molto tardiva e con atipie, di alcuni gesti comunicativi e forme di linguaggio. L'acquisizione del linguaggio avviene mediante il meccanismo dell'ecolalia, che all'inizio si connota come mera ripetizione automatica di parole e frasi, ma successivamente può consentire al bambino una discreta proprietà di linguaggio, che tuttavia conserva sempre caratteristiche di meccanicità e reiterazione. Il gioco è privo di immaginazione, prevalentemente manipolativo e sempre solitario; la povertà ludica è determinata da carenza di competenze imitative. Spesso questi bambini alternano un comportamento caratterizzato da attività eccessivamente monotone a uno invece iperattivo. Le capacità cognitive sono in genere disomogenee, con abilità nei compiti visuopercettivi e cadute in quelli verbali. Sono presenti interessi per oggetti rotondi che ruotano (l'oblò della lavatrice), per pubblicità televisive, per giochi meccanici, che fanno funzionare per tempi molto lunghi, e attività, come mettere in fila oggetti di diversa natura (per es. spaghi), in cui possono trascorrere più ore. Contrariamente a quanto si crede, i bambini con autismo mostrano comportamenti di attaccamento agli adulti, a volte con importanti manifestazioni di ansia da separazione.

c) Sintomatologia del terzo gruppo. I soggetti di questo gruppo hanno una sintomatologia che spesso non viene riconosciuta come autistica. Presentano un buon linguaggio dal punto di vista formale, ma disturbato nella prosodia e nell'uso pragmatico. Più che isolati, appaiono avere interazioni atipiche o bizzarre che caratterizzano la loro 'incompetenza sociale' (si rivolgono a sconosciuti con domande inappropriate, o con quesiti ripetitivi che non attendono risposta). Hanno interessi e attività stereotipati e scarsamente o affatto condivisibili con altri: per es., possono essere appassionati delle linee ferroviarie di cui conoscono tutti i particolari e di cui parlano senza interruzione; oppure mostrare particolare abilità nei calcoli matematici o nell'uso dei videogiochi.

Appare sempre sconcertante la scarsa, se non assente, partecipazione a interessi più socializzati. Da un punto di vista prognostico, alcuni di questi soggetti in età adulta si comportano come individui con lievi deficit cognitivi (nonostante un quoziente intellettivo alto); in altri casi la sintomatologia appare quella di un disturbo della personalità.

3.

Capacità di apprendimento e interventi terapeutici

Le possibilità di apprendere a leggere e a scrivere sono condizionate dal livello di funzionamento cognitivo del soggetto; l'apprendimento della lettura, ove possibile, avviene con modalità particolari, descritte come iperlessia: esso procede con una buona capacità di decodifica fonologica, ma con un grave deficit di comprensione del testo scritto. A volte questa modalità induce gli insegnanti, colpiti favorevolmente da tale 'abilità', a sollecitare la lettura con la conseguenza che il soggetto arriva a 'intossicarsi' leggendo a oltranza testi di cui non capisce il significato. L'apprendimento è modulato, anche in questo caso, dal livello di funzionamento cognitivo: per i soggetti in cui questo è lasso si tratta, più che di lettura vera e propria, di particolare abilità di decodifica di lettere o anche di parole che vengono riconosciute come disegni isolati; per quelli con un funzionamento cognitivo discreto o buono, si rileva una lettura spesso rapida ma la cui comprensione verbale è limitata o comunque, negli individui più intelligenti, inficiata dalle difficoltà di capire i nuclei impliciti del discorso o le espressioni metaforiche.

I profili cognitivi e neuropsicologici dei soggetti con buon funzionamento cognitivo generale sono caratterizzati da buone capacità attentive e di ripetizione a memoria, e da adeguati aspetti formali del linguaggio, ma da deficit nella memoria complessa, nelle capacità di astrazione e nei livelli prosodici e pragmatici del linguaggio (Ramsey 1992). Proprio per queste caratteristiche essi offrono buone prestazioni nei compiti scolastici che richiedono processi di apprendimento a memoria, semplici codificazioni di informazioni, analisi e sintesi fonemica, nella lettura meccanica, nella conoscenza del vocabolario, nei calcoli matematici memorizzati, nella ripetizione di materiale orale; hanno invece difficoltà nei compiti che implicano processi di memoria complessa, analisi e sintesi di unità informative, nel racconto orale, nella comprensione della lettura e nella capacità di seguire serie articolate di istruzioni.

L'autismo può essere curato, ma tutti i ricercatori concordano nel sostenere che le caratteristiche del disturbo persistono nel tempo; gli interventi terapeutici ed educativi devono tener conto della sua estrema varietà e del fatto che esso si modifica nel tempo, dall'infanzia all'età adulta. Quindi, l'autismo è multiforme tra diversi soggetti e nello stesso soggetto (Levi et al. 1997); può inoltre variare a seconda del funzionamento cognitivo. Due esempi possono essere indicativi della complessità del problema. In un bambino di 24 mesi che presenti un disturbo autistico e un funzionamento cognitivo di 8 mesi, l'intervento riabilitativo deve prevedere attività di scomparsa e ricomparsa di oggetti e persone; la modulazione di espressioni emotive di sorpresa, tristezza, allegria; l'espansione degli schemi di utilizzo degli oggetti, che spesso si limita a uno solo (per es. oggetti unicamente rotondi e usati sempre con lo stesso schema di azione); la ricerca dell'attenzione mutua.

Tale terapia richiede solide conoscenze della psicologia dello sviluppo del primo anno di vita. In un adolescente di 14 anni con un buon funzionamento cognitivo i nuclei patologici da affrontare sono notevolmente differenti. L'intervento deve essere infatti incentrato sulla comprensione e sul riconoscimento dei nessi logico-causali sia cognitivi sia affettivi, sulle motivazioni e i sentimenti che guidano l'azione. È necessario sostenere questi soggetti nell'assumere ruoli sociali in cui le trasformazioni di sé e dell'altro non siano vissute come confusive, ma in cui possano riconoscere l'alternanza e la variazione senza perdere l'identità. Nel progettare l'intervento educativo è necessario valutare sempre quali apprendimenti siano consentiti o compatibili con l'organizzazione affettiva e cognitiva del soggetto (Mazzoncini-Musatti 1993).

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