Autonomie territoriali. L'attuazione del federalismo fiscale

Libro dell'anno del Diritto 2012

Autonomie territoriali. L'attuazione del federalismo fiscale

Giulio M. Salerno

Autonomie territoriali.
L'attuazione del federalismo fiscale

Nel 2011 è proseguita l’attuazione del federalismo fiscale, ossia del nuovo assetto di distribuzione delle competenze in materia finanziaria tra lo Stato e le autonomie territoriali. Tale assetto, definito nelle linee essenziali nell’art. 119 Cost. (come modificato nel 2001), è stato dettato con la legge delega n. 42/2009. L’attuazione della legge delega, mediante l’emanazione dei conseguenti decreti legislativi, è iniziata nel 2010 e si sta completando nel 2011. Occorreranno comunque ulteriori e numerosi atti e provvedimenti per la definitiva implementazione del federalismo fiscale ed occorrerà vigilare affinché il processo di attuazione risponda a criteri di sistematicità e di coerenza ordinamentale, anche nei confronti di altre importanti riforme di sistema.

La ricognizione. L’art. 119 Cost. e l’attuazione del federalismo fiscale

La l. n. 42/2009 ha dato l’avvio al procedimento di concretizzazione dei nuovi principi stabiliti dalla legge di revisione costituzionale n. 3/2001 in materia di autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle autonomie territoriali1, sulla scia dell’esempio fornito da altri ordinamenti che tendono ad orientarsi nel senso del decentramento istituzionale e funzionale2. In particolare, si è trattato – soprattutto, ma non solo – di dare attuazione alla nuova formulazione dell’art. 119 Cost., ove si è prefigurato un modello assai ambizioso che collega in modo senz’altro innovativo rispetto al previgente quadro costituzionale alcuni fondamentali aspetti del funzionamento delle nostre pubbliche istituzioni3. Più precisamente, nel 2001 sono stati tracciati i seguenti profili ordinamentali: l’autonomo reperimento delle risorse da parte delle Regioni e degli enti locali secondo principi di coordinamento stabiliti con legge; l’intervento dello Stato a fini di perequazione a favore dei territori «con minore capacità fiscale per abitante»; la previsione di risorse aggiuntive di provenienza statale e di interventi speciali – sempre dello Stato – per perseguire finalità di carattere essenzialmente solidaristico; l’attribuzione di un proprio patrimonio a tutti gli enti territoriali; infine, l’introduzione di vincoli e limiti all’indebitamento contratto da questi ultimi4. Tali innovazioni vanno collocate nell’ambito della più generale riforma dei rapporti tra centro e periferia determinatasi con la l. cost. n. 3/2001. Tra l’altro, è venuto meno il principio dell’interesse nazionale dal testo costituzionale, poi parzialmente riscoperto dalla giurisprudenza costituzionale sotto l’azione congiunta dei principi di legalità e di sussidiarietà verticale; si sono soppressi i controlli preventivi sugli atti amministrativi regionali e degli enti locali; si è attribuita in via istituzionale alle Regioni sia la potestà legislativa che quella regolamentare; si è costruito un complesso modello di distribuzione delle competenze amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali, fondato sui principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. È di piena evidenza che dalla legge costituzionale di riforma n. 3/2001 sino all’approvazione della l. n. 42/2009 è passato non poco tempo. Tale ritardo appare invero giustificato alla luce delle gravi difficoltà che si sono incontrate non soltanto perché occorreva affrontare i gravi problemi derivanti dai numerosi segni di discontinuità introdotti con la riforma del 2001 e di cui qui si è fatto appena cenno, ma anche perché era necessario trovare una qualche sintesi ragionevolmente sostenibile tra le diverse e talora contrapposte modalità attuative che venivano prospettate proprio in materia finanziaria dai molteplici soggetti in giuoco. Un’apposita Commissione di studio (COPAFF) ha lavorato alacremente nel corso della XIV legislatura (2001-2006)5 ed ha fornito un articolato materiale di base che, unitamente alle proposte formulate dai soggetti esponenziali delle autonomie locali e regionali, è poi servito all’avvio della presente legislatura (la XVI) per delineare una proposta legislativa sufficientemente condivisa. Ne è scaturita la l. n. 42/2009, una legge delega che, quasi per sommatoria, ha inteso tenere insieme le numerose istanze, sia politiche che territoriali, che si sono confrontate su tematiche così delicate e sensibili per l’intera collettività nazionale. Al di là delle critiche relative ad alcune omissioni ed ambiguità del legislatore, non può negarsi che la l. n. 42/2009 abbia rappresentato un punto di svolta per l’ordinamento. Essa ha consentito di porre finalmente la comunità tutta (dal mondo politico ed istituzionale a quello accademico, dalle realtà economiche al privato sociale) davanti ai problemi reali derivanti dalla limitatezza e dallo squilibrio delle risorse attualmente disponibili per rimediare agli errori del passato e per soddisfare le effettive esigenze di sviluppo del Paese. Inoltre, poiché la legge delega ha delineato un suo proprio percorso attuativo, che consiste nell’adozione di un consistente apparato di decreti legislativi entro il 21.11.20116, con il coinvolgimento sia della Conferenza unificata, ove sono rappresentati le Regioni e gli enti locali, che del Parlamento (soprattutto per il tramite di un’apposita Commissione bicamerale), è evidente che l’attuazione del cd. federalismo fiscale – termine utilizzato dalla legge, ma non presente nella Costituzione7 – non possa considerarsi come imposto dall’alto, ma come l’esito di processi decisionali ad elevato grado di partecipazione. Ciò ha comportato la non facile esigenza di ricondurre ad unità le molteplici istanze che in vario modo si sono manifestate al momento di tradurre in specifiche disposizioni i – forse sin troppo – numerosi principi e criteri direttivi indicati, talora anche con qualche sommarietà, nella legge delega. Anzi, se con l’approvazione della l. n. 42/2009 non sono certo finiti i problemi scaturiti dal nuovo impianto costituzionale dei rapporti finanziari tra centro e periferia, è altrettanto evidente che il federalismo fiscale si svilupperà concretamente soltanto quando sarà data piena e completa attuazione ai decreti legislativi a seguito dell’approvazione dei successivi provvedimenti applicativi previsti dagli stessi (decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, decreti ministeriali, intese, convenzioni e così via). La stessa legge delega, per di più, stabilisce, da un lato, che i medesimi decreti potranno essere corretti entro i successivi due anni e, dall’altro, prevede appositi periodi di applicazione transitoria delle nuove disposizioni, posponendo così l’entrata in vigore a regime del definitivo assetto del federalismo fiscale. Alla data in cui si scrive sono stati definitivamente approvati otto decreti legislativi; di questi tre decreti sono stati emanati nel 2010 e altri cinque, come vedremo successivamente, nel 2011. Il primo decreto del 2010, noto come attinente al «federalismo demaniale » (d.lgs. 28.5.2010, n. 85), ha interessato l’attribuzione di beni demaniali e patrimoniali – già spettanti allo Stato – a favore delle Regioni, delle Province e degli enti locali. Si è previsto, innanzitutto, il trasferimento, a titolo non oneroso, di un determinato complesso di beni immobili e mobili statali a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. In particolare, fatte salve alcune eccezioni ed esclusioni, trattasi dei beni appartenenti al demanio marittimo, dei beni appartenenti al demanio idrico (comprese le opere idrauliche e di bonifica) di competenza statale, degli aeroporti di interesse regionale o locale, delle miniere e delle relative pertinenze ubicate sulla terraferma e degli altri beni immobili dello Stato, ad eccezione di quelli espressamente esclusi dal trasferimento (o perché così previsto dal decreto o perché così voluto dalle amministrazioni statali con apposite determinazioni). Inoltre, altri beni statali, individuati con uno o più decreti attuativi del Presidente del Consiglio dei ministri, potranno essere attribuiti, sempre a titolo non oneroso, a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni che ne faranno richiesta e che, dice il decreto, dovranno garantirne la «massima valorizzazione funzionale». Va aggiunto che, qualora si tratti di enti locali in stato di dissesto finanziario, essi non potranno alienare i beni loro attribuiti, ma potranno utilizzarli solo per finalità di carattere istituzionale. In breve, lo Stato individuerà i beni secondo alcuni criteri specificati dal decreto e successivamente gli enti territoriali provvederanno a farne richiesta, facendosi applicazione, circa le modalità di attribuzione, del principio di sussidiarietà verticale. Circa la valorizzazione funzionale del bene attribuito, questo, secondo il decreto, dovrà andare a vantaggio diretto o indiretto della medesima collettività territoriale rappresentata dall’ente cui sarà attribuito il bene. La valorizzazione dei beni trasferiti si collegherà sia all’uso di specifici strumenti finanziari che alla possibilità di modificare la destinazione dei beni prevista dagli atti di pianificazione urbanistica. Il secondo decreto del 2010 (d.lgs. 17.9.2010, n. 156) riguarda l’istituzione di Roma Capitale, in attuazione anche dell’innovativa disposizione posta dall’art. 114, co. 3, Cost., come modificata con la riforma del 2001. In realtà, tale decreto ha disciplinato soltanto alcuni aspetti ordinamentali – e dunque meramente organizzativi – dell’assetto istituzionale di Roma Capitale e non ha toccato né il versante delle finanze, né quello delle competenze. Sembra dunque che tali profili andranno disciplinati con un altro provvedimento (probabilmente un decreto integrativo e correttivo). Il terzo decreto legislativo del 2010 (d.lgs. 26.11.2010, n. 216) ha avuto per oggetto la determinazione dei fabbisogni standard di Province, Comuni e Città metropolitane. Va ricordato che la legge delega prevede che, similmente a quanto avverrà per le Regioni, con particolare riferimento alla garanzia, anche mediante il ricorso ai fondi perequativi, del finanziamento delle funzioni considerate fondamentali, l’ammontare delle spese pubbliche degli enti locali non sarà più collegato alla spesa storica – quella cioè effettuata in passato – ma ai fabbisogni standard, ovvero, in pratica, a quelli determinati sulla base dell’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni secondo canoni di efficienza e adeguatezza. Per l’individuazione dei fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali, il decreto prevede l’affidamento di complesse attività di calcolo, anche mediante apposite rilevazioni basate su questionari inviati agli enti locali, alla Società per gli studi di settore (SOSE), con la quale collaboreranno altri organismi e istituzioni, come l’IFEL, l’ISTAT e la Ragioneria dello Stato. I fabbisogni standard, prescrive il decreto, saranno determinati in relazione a ciascuna funzione fondamentale, ad un singolo servizio o ad aggregati di servizi, in relazione alla natura delle singole funzioni fondamentali. Inoltre, fino a nuova determinazione legislativa, saranno considerati livelli essenziali quelli già fissati come tali dalla legislazione statale vigente. Il decreto legislativo prevede, inoltre, che l’avvio della fase transitoria per il superamento della spesa storica avrà luogo a partire dal 2012 e si concluderà nel 2017. Ciò avverrà gradualmente e per gruppi di funzioni le quali sono individuate in via provvisoria dallo stesso decreto in attesa dell’approvazione del cosiddetto Codice o Carta delle Autonomie, ancora all’esame delle Camere.

La focalizzazione. Le novità del 2011

Come detto, nel 2011 sono stati sinora emanati cinque decreti legislativi. Più precisamente, si è trattato, in primo luogo, del decreto sul cd. federalismo municipale (d.lgs. 14.5.2011, n. 23), ove si è definito il nuovo assetto dei tributi dei Comuni, stabilendo una semplificazione delle imposte di livello locale (ridotte nel numero ed accorpate), lo sblocco dell’addizionale comunale all’IRPEF (ferma da alcuni anni), la compartecipazione dei Comuni al gettito dell’IRPEF, la creazione di un’imposta municipale (IMU) sul possesso degli immobili diversi dalla prima casa e di un’altra sul trasferimento degli immobili. Tale decreto legislativo, va aggiunto, è l’unico che finora non ha ricevuto il parere favorevole dell’apposita Commissione parlamentare bicamerale e, peraltro, sembra destinato ad essere modificato con un imminente decreto correttivo. Vi è stato poi il decreto sull’autonomia tributaria delle Regioni e delle Province (d.lgs. 6.5.2011, n. 68), ove si sono fissate le fonti di finanziamento di tali enti e i criteri di perequazione a favore dei Comuni e delle Province. Tra l’altro, si è affrontata la questione dei livelli essenziali delle prestazioni cui si collegherà il passaggio, anche per le Regioni, dalla spesa storica ai fabbisogni standard. In particolare, si disciplina il percorso di calcolo dei fabbisogni standard in relazione alla spesa relativa a quattro settori: la sanità, l’istruzione – al cui interno rientra anche l’istruzione e formazione professionale iniziale, ovvero quella destinata all’assolvimento dell’obbligo di istruzione nell’ambito del diritto-dovere di istruzione –, l’assistenza sociale e, in parte (cioè solo limitatamente alle spese in conto capitale), il trasporto pubblico locale. Si tratta di un percorso definitorio assai delicato che tocca un aspetto cruciale del federalismo fiscale: l’idoneità, cioè, di non ledere il principio di eguaglianza nel godimento dei fondamentali diritti civili e sociali che spettano in pari misura a tutti i cittadini sull’intero territorio nazionale8. In questo decreto, va ricordato, è stata inserita – dopo una diversa scelta iniziale – la specifica disciplina relativa alla Conferenza permanente di coordinamento della finanza pubblica. Il terzo decreto (d.lgs. 31.5.2011, n. 88) ha riguardato le risorse aggiuntive, gli interventi speciali e la rimozione degli squilibri economico-sociali (ivi compresa la perequazione infrastrutturale), mediante la predisposizione di un apposito «Fondo per lo sviluppo e la coesione», che dovrà coordinare dal punto di vista programmatico e finanziario gli interventi nazionali volti a promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale e a rimuovere gli squilibri economici e sociali del Paese. A questo Fondo spetterà il finanziamento di interventi e progetti strategici sia di carattere infrastrutturale che di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale. Tali progetti avranno natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi tra loro funzionalmente connessi; e secondo il decreto, dovrà trattarsi di progetti relativi ad obiettivi e a risultati quantificabili e misurabili anche per quanto attiene al profilo temporale. Il quarto decreto è quello rivolto all’armonizzazione dei sistemi contabili e dei bilanci delle Regioni, delle Province e degli enti locali (d.lgs. 23.6.2011, n. 118), in modo da conseguire l’obiettivo del consolidamento e del monitoraggio dei conti pubblici, nonché il raccordo con il Sistema europeo dei conti nazionali. Si prevede una realizzazione graduale e in forma sperimentale per due esercizi finanziari. In particolare, si affrontano delicati profili della contabilità sanitaria, soprattutto al fine di assicurare una maggiore trasparenza dei dati in questo settore ove la spesa pubblica è assai consistente e dunque un’effettiva responsabilizzazione dei titolari degli enti. Tutti gli enti territoriali (Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni, comunità montane, comunità isolane e unioni di Comuni) dovranno adottare un «Piano dei conti integrato». Tale Piano, costituito dall’elenco delle articolazioni delle unità elementari del bilancio finanziario gestionale e dei conti economico-patrimoniali, dovrebbe essere definito in modo da consentire la rilevazione unitaria dei fatti gestionali. Inoltre, a fini di trasparenza e di confrontabilità dei dati relativi all’allocazione e all’impiego delle risorse pubbliche, gli enti dovranno adottare uno schema di bilancio articolato per missioni e programmi, che evidenzi le finalità della spesa. Il decreto prevede poi appositi criteri per la specificazione e la classificazione delle spese e delle entrate, alcuni strumenti per garantire un’adeguata flessibilità agli stanziamenti di bilancio ed una specifica tassonomia per gli enti in contabilità civilistica. Una parte del decreto riguarda poi gli enti del settore sanitario (Regioni, ASL, aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie integrate nel SSN e IRCCS), dettando i principi contabili e disciplinando le modalità di redazione, consolidamento e trasparenza dei bilanci. Infine, il quinto decreto sinora emanato nel 2011 è stato quello relativo ai «meccanismi sanzionatori e premiali relativi a Regioni, Province e Comuni» (d.lgs. 6.9.2011, n. 149). Tale atto ha la finalità di introdurre nel nostro ordinamento una maggiore trasparenza – ed una conseguente effettiva responsabilizzazione – nella gestione delle risorse finanziarie da parte delle autonomie territoriali. In particolare, a determinate condizioni, il Presidente della Regione, il Presidente della Provincia e il Sindaco, in prossimità delle elezioni, dovranno redigere un sorta di inventario di fine legislatura (ovvero di fine mandato), consistente in una rendicontazione certificata che possa consentire ai cittadini di essere informati sulla situazione finanziaria dell’ente. In caso di esiti divergenti rispetto agli obiettivi assegnati nel Patto di stabilità interno, si prevede il cosiddetto fallimento politico dei titolari dei predetti organi, con sanzioni assai pesanti e piuttosto originali per il nostro ordinamento. Altre sanzioni sono poi previste per gli assessori, i direttori generali e gli amministrativi responsabili. Si prevede, inoltre, che si proceda alla verifica ministeriale della regolarità della gestione amministrativo-contabile degli enti, allorché si verifichino ipotesi sintomatiche dello svolgimento di attività non regolari. D’altro canto, si prevedono anche meccanismi premiali a favore degli enti che abbiano rispettato il Patto di stabilità interno, ovvero che forniscano buoni risultati nella lotta all’evasione fiscale.

Il profili problematici. Gli elementi che mancano per completare il federalismo fiscale in Italia

Non pochi rischi e pericoli incombono nel non semplice percorso di attuazione del federalismo fiscale. Essi sono rappresentati, innanzitutto, dal timore di una qualche superficialità e di un’eccessiva rapidità in sede di adozione dei decreti legislativi e dei conseguenti atti di attuazione (decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, decreti ministeriali, intese e così via), seppure i procedimenti previsti dalla legge e dai decreti delegati appaiano piuttosto scadenzati nella tempistica. Anzi, proprio questo è stato uno degli argomenti più frequentemente utilizzato in senso critico nei confronti del processo di implementazione del federalismo fiscale. Inoltre, il percorso di adozione degli atti attuativi della delega è abbondantemente circondato da un numero ragguardevole di garanzie, condizioni, pareri, che rispondono, tra l’altro, a quell’impostazione di riforma per accumulazione – e non certo per sottrazione – che è stata la chiave decisiva per l’approvazione della legge. Un ulteriore pericolo è quello collegato alla capacità o meno di mantenere una direzione di marcia davvero univoca nell’ambito dell’intero percorso di attuazione del federalismo fiscale. Poiché trattasi di un cantiere in movimento, occorre assicurare coerenza e reciproca sostenibilità tra i molteplici atti di attuazione della riforma. Tale compito spetta, in primo luogo, alla «Commissione tecnica paritetica» appositamente prevista dalla legge (e ove sono presenti in eguale numero i rappresentanti dello Stato e quelli delle autonomie territoriali), in quanto questa è la sede ove sarà possibile mantenere lo sguardo sull’intero processo di attuazione. Inoltre, importanti responsabilità istituzionali spettano sia alla «Commissione parlamentare bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale » – che è stata creata in modo da assicurare alle forze politiche nazionali una sede appositamente dedicata al controllo del complessivo processo di attuazione dei nuovi principi costituzionali in materia di autonomia finanziaria degli enti territoriali – sia alla «Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica», che dovrà essere istituita all’interno della Conferenza unificata e al cui interno troveranno posto tutti i livelli di governo interessati. Occorre inoltre evitare la contraddittoria sovrapposizione tra i molteplici procedimenti in cui si sostanzierà il federalismo fiscale e gli altri interventi normativi, già decisi o in via di approntamento, che toccano i medesimi temi. È invero riscontrabile un fenomeno talora sottovalutato: in numerosi settori del nostro ordinamento, che nei cosiddetti rami alti appare per tanti aspetti bloccato da veti reciproci, sono stati approvati e già sono in corso di implementazione importanti provvedimenti di riforma, che hanno non pochi punti di contatto con il federalismo fiscale o, più in generale, con le finanze e le sottostanti competenze delle autonomie territoriali. A titolo di esempio, si possono ricordare la l. n. 196/2009 (legge di contabilità e di finanza pubblica)9, il d.l. n. 2/2010 (convertito nella l. n. 42/2010), il d.l. n. 78/2010 (convertito nella l. n. 122/2010) e la doppia manovra finanziaria del luglio-agosto 2011 (d.l. n. 98/2011, convertito nella l. n. 111/2011 e d.l. n. 138/2011, convertito nella l. n. 148/2011), provvedimenti tutti che in più punti hanno modificato, in modo non sempre omogeneo, la disciplina della finanza degli enti territoriali – ed in particolar modo il Patto di stabilità interno, che rappresenta il punto essenziale di riferimento della programmazione delle attività finanziarie10 – e che attendono, a loro volta, una rispettiva attuazione. Se a tutto ciò si aggiunge la Carta delle autonomie in corso di esame parlamentare, il quadro normativo posto alla base della finanza regionale e locale si presenta in rapida e costante evoluzione e per di più frammentato tra assetti talora reciprocamente transitori e derogatori. Infine, per quanto possa apparire contraddittorio con il concetto stesso di coordinamento della finanza pubblica – che, a nostro avviso, è alla base del quadro costituzionale dei rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo, ai sensi di quanto disposto dall’art. 119, co. 2, Cost.11 – sfuggono quasi integralmente al nuovo assetto del federalismo fiscale le autonomie speciali, che continueranno ad essere rette da normative specifiche e differenziate12.

Note

1 Per un commento dei singoli articoli della legge, si vedano Ferrara-Salerno (a cura di), Il federalismo fiscale: commento alla legge n. 42 del 2009, Napoli, 2010; Jorio-Gambino (a cura di), Il federalismo fiscale: commento articolo per articolo alla legge 5 maggio 2009 n. 42, Santarcangelo di Romagna, 2009.

2 Su tali percorsi ordinamentali, cfr. Ventura (a cura di), Da Stato unitario a Stato federale: territorializzazione della politica, devoluzione e adattamento istituzionale in Europa, Bologna, 2008.

3 Per un’analisi generale dell’impianto legislativo, si vedano i contributi raccolti nel dossier intitolato L’attuazione dell’art. 119 Cost. e la legge delega sul federalismo fiscale (l. 5 maggio 2009, n. 42), in Foro it., 2010, I, 1 ss.

4 Su altri specifici aspetti della legge, si rinvia ad Antonini, La nuova legge delega sul federalismo fiscale, in Dir. reg., 2009, 33 ss.

5 Su ciò, cfr. Antonini, L’urgenza del federalismo fiscale e la proposta dell’Alta Commissione, in Federalismo fiscale, 2007, I, 77 ss.

6 Il termine era originariamente fissato al 21.5.2011 ed è stato prorogato di sei mesi ad opera della l. n. 85/2011; sugli aspetti procedurali e temporali della legge, cfr. Traversa, Termini e modalità procedurali per la predisposizione dei decreti delegati di attuazione del federalismo fiscale, in Rass. parl., 2009, 799 ss.

7 Su tale questione, cfr. Bertolissi, Federalismo fiscale: una nozione giuridica, in Federalismo fiscale, 2007, I, 9 ss.

8 Su questi aspetti, si vedano le riflessioni di Gambino, Autonomia, asimmetria e principio di eguaglianza: limiti costituzionali al federalismo fiscale, in Pol. dir., 2009, 3 ss.

9 Per questo aspetto, cfr. Santoro, Contabilità pubblica, finanza pubblica e federalismo fiscale: riforme parallele, in Riv. C. Conti, 2010, 236 ss.

10 Sul punto, si vedano Bisio, Nicolai, Patto di stabilità e federalismo fiscale: regole per il 2010 e proposte per il futuro, Santarcangelo di Romagna, 2010.

11 Su ciò, si rinvia a Salerno, Alcune riflessioni sulla nuova Costituzione finanziaria della Repubblica, in Federalismo fiscale, 2007, 119 ss.; De Mita, Le basi costituzionali del federalismo fiscale, Milano, 2009.

12 Rivosecchi, Finanza delle autonomie speciali e federalismo fiscale, in Italianieuropei, 2010, 209 ss.

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