Avverbi

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

avverbi

Francesca Ramaglia

Gli avverbi come classe di parole

Insieme a nomi, verbi e aggettivi, gli avverbi costituiscono una delle classi aperte di parole nel lessico dell’italiano.

Uno degli aspetti più difficili nell’analisi degli avverbi riguarda la loro definizione come classe di parole, in quanto non sempre è facile distinguerli dai membri delle altre classi. In particolare, gli avverbi mostrano una certa affinità con le preposizioni. Anzitutto, dal punto di vista morfologico, sia gli avverbi sia le ➔ preposizioni sono parti invariabili del discorso, e come tali non hanno flessione e non si accordano con altri elementi della frase (in ciò essi si distinguono, ad es., dagli ➔ aggettivi, che invece in italiano si accordano sempre in genere e numero con il nome al quale si riferiscono). Inoltre, avverbi e preposizioni presentano somiglianze anche a livello semantico, al punto che diversi studiosi hanno proposto che in realtà non vi sia una linea di demarcazione netta fra queste due classi, ma che si debba piuttosto ipotizzare l’esistenza di un cosiddetto «continuum avverbio-preposizione», entro il quale i vari elementi presentano caratteristiche più o meno tipiche di una delle due parti del discorso (e, dunque, con la possibilità che alcuni di questi elementi mostrino delle proprietà ibride fra l’una e l’altra classe). In moltissime lingue, infatti, una stessa parola può essere usata come avverbio oppure come preposizione, vale a dire come elemento che, insieme con il nome (o gruppo nominale) che lo accompagna, svolge per lo più una funzione avverbiale (si vedano gli esempi 1, 3 e 5; ➔ avverbiali, locuzioni).

Un comportamento di questo tipo è spesso riscontrabile anche in italiano, come mostrano gli esempi seguenti:

(1) Antonello ha dormito sopra il divano

(2) vado sopra a prendere l’ombrello

(3) tieni le mani dietro la schiena

(4) in macchina, Gianfranco era seduto dietro

(5) mi sentirò molto meglio dopo un buon caffè

(6) ci sentiamo dopo

Ognuna delle coppie di esempi illustrate in (1-6) contiene uno stesso elemento lessicale, che tuttavia viene utilizzato come preposizione nelle frasi dispari e come avverbio nelle frasi pari, ad es., sopra in (1) forma un sintagma preposizionale con il divano (ed è infatti l’intero gruppo preposizionale a specificare il luogo in cui si colloca la predicazione), mentre in (2) appare da solo come avverbio locativo. Un uguale comportamento è presente anche negli altri esempi, in cui l’elemento considerato ha un’interpretazione molto simile nelle sue due occorrenze (ad es., sopra e dietro hanno un significato locativo in entrambe le frasi in cui compaiono, così come dopo ha valore temporale sia in 5 sia in 6), pur avendo, come osservato, due funzioni diverse (rispettivamente, di preposizione e di avverbio).

Più precisamente, quando una parola è utilizzata come preposizione (1, 3 e 5), ha la funzione di unire il sintagma nominale che la segue a un altro elemento della frase, indicando il tipo di relazione (per es., spaziale, temporale) che si instaura fra questi due elementi. Ad es., in (3) la preposizione dietro esprime una relazione di tipo locativo fra il predicato tenere le mani e il nominale che la accompagna (la schiena), ed è quest’ultimo che indica lo specifico luogo rispetto al quale la preposizione stessa deve essere interpretata (vale a dire, «dietro rispetto alla schiena»).

Quando invece un elemento svolge la funzione di avverbio, esso esprime un significato dello stesso tipo di quando è usato come preposizione (ad es., locativo in 2 e 4, temporale in 6); tuttavia, non essendo accompagnato da alcun nome, la sua interpretazione può essere relativa al luogo o al momento dell’enunciazione (cfr. rispettivamente 2, «sopra rispetto a qui», e 6, «dopo rispetto ad ora»), oppure a un luogo o a un momento rilevante nel contesto dato (ad es., «dietro relativamente allo spazio definito dalla macchina» in 4).

È inoltre interessante notare come l’affinità fra avverbi e preposizioni si riscontri in molte lingue anche a livello diacronico (Hopper & Traugott 1993). In particolare, per quanto riguarda l’italiano, molti avverbi sono derivati da forme cristallizzate di originari sintagmi preposizionali (oppure di gruppi nominali flessi per lo più all’ablativo) del latino o dell’italiano antico, come avviene, ad es., nel caso di abbastanza (da a bastanza), adagio (da ad agio), addietro (da a dietro), appena (da a pena), appunto (da a punto), attorno (da a torno), purtroppo (da pur troppo), ecc. ( ➔ univerbazione).

Forma

In italiano esistono diversi tipi di avverbi, che possono essere classificati in base alla loro forma. Un primo tipo è costituito dagli avverbi semplici, che in quanto tali sono formati da un’unica parola non suddivisibile in unità minori: in questo gruppo rientrano, ad es., bene, male, sempre, ecc. Come suggerito da Serianni (1988), fra gli avverbi semplici dell’italiano contemporaneo vanno annoverati anche alcuni elementi che, seppur nati – in latino o in italiano antico – come composti, ora non sono più avvertiti come tali ma costituiscono piuttosto delle unità indivisibili: è questo il caso di avverbi come davanti (dal latino de ab ante), allora (da ad illam horam), qui (da eccum hic), oggi (da hodie, a sua volta derivato da hoc die), oltre agli avverbi citati alla fine della sezione precedente.

Esistono poi alcuni avverbi composti, vale a dire costituiti da più elementi lessicali saldati in un’unica parola, come, ad es., soprattutto, talvolta, talora, ecc. A differenza di casi come quelli mostrati in precedenza, le varie parti che costituiscono tali avverbi sono facilmente riconoscibili sia dal punto di vista formale sia da quello semantico: considerando, ad es., l’avverbio soprattutto, un parlante italiano riconoscerà al suo interno gli elementi sopra e tutto non solo per la loro forma ma anche per i loro rispettivi significati, anch’essi uniti insieme nell’avverbio composto.

In italiano esistono inoltre alcune espressioni avverbiali la cui struttura interna è talmente riconoscibile che esse possono essere scritte sia come un’unica parola sia come una successione di più parole separate: si consideri l’incertezza nella grafia di elementi come perlopiù / per lo più, oltremodo / oltre modo, suppergiù / su per giù, ecc. In altri casi, invece, alcuni elementi che svolgono una funzione avverbiale corrispondono sistematicamente a espressioni formate da più parole distinte (ad es., in quattro e quattr’otto, di male in peggio, ecc.): si parla in questo caso di locuzioni avverbiali.

Un altro gruppo è costituito dagli avverbi derivati, cioè formati da una base ed un suffisso (➔ derivazione). Un processo molto produttivo – sia in italiano sia, più in generale, nelle lingue romanze – di formazione di avverbi a partire da basi aggettivali è costituito dall’irrigidimento di una forma nominale latina all’ablativo che è stata rianalizzata come suffisso: si tratta dei numerosi avverbi formati con il suffisso -mente (che è originariamente l’ablativo del sostantivo latino mens «mente»), come facilmente (da facile mente «con mente facile»), fortemente (da forte mente «con mente forte»), liberamente (da libera mente «con mente libera»), ecc. (➔ maniera, avverbi di). Gli avverbi di questo tipo, nati in latino come locuzioni formate da nome e aggettivo, sono stati rianalizzati nel tempo come un’unica parola; nel corso di tale processo, l’elemento -mente è stato svuotato del suo significato originario, al punto che non è più avvertito come riconducibile al sostantivo da cui deriva ma è piuttosto sentito come suffisso che, unito a un aggettivo flesso al femminile singolare, serve a formare avverbi. Va tuttavia osservato che nell’italiano antico, così come nello spagnolo di oggi, sono attestati sintagmi coordinati in cui il suffisso -mente è presente solo sul secondo elemento (Ambrosini 1978b): si consideri, ad es., il dantesco dolce e cortesemente (Convivio IV, 25).

Per quanto riguarda gli avverbi in -mente, è inoltre importante ricordare l’esistenza di alcuni avverbi derivati da aggettivi in -ento, che mantengono la vocale e (invece di a) prima del suffisso -mente (cfr. violentemente e non * violentamente). Questi avverbi no n costituiscono tuttavia delle vere eccezioni alla generalizzazione secondo cui tale suffisso segue la forma femminile singolare dell’aggettivo, dal momento che in italiano antico questi aggettivi ammettevano anche la forma in -ente (cfr. violente, frodolente, turbolente, ecc.) per influsso dei participi di -ente come ridente, pungente, ecc. (Ambrosini 1978a: 170-171; Serianni 1988: 166): si tratta pertanto di avverbi formati dalla base aggettivale in -ente dell’italiano antico, che hanno poi mantenuto tale forma, sebbene l’aggettivo sia sopravvissuto solo nella forma in -ento.

Oltre a -mente, un altro suffisso frequentemente usato per la formazione di avverbi derivati è -oni, che si aggiunge a basi nominali (come in a tentoni) o verbali (come in a penzoloni).

Un altro tipo di avverbi è rappresentato da elementi che sono identici ad aggettivi ma vengono utilizzati in funzione avverbiale, come, ad es., forte (in andare forte), veloce (in guidare veloce), ecc. (Pecoraro & Pisacane 1984).

Infine, un ultimo gruppo di avverbi dell’italiano è costituito da espressioni latine del tipo ad interim, ad libitum, de iure, ex abrupto, ex aequo, ex novo, in extremis, in itinere, in pectore, in primis, sub iudice, ecc.

Gradi dell’avverbio

Come gli aggettivi, anche alcuni avverbi che esprimono significati graduabili (che, in termini specialistici, sono detti scalari), ammettono di essere realizzati ai gradi comparativo (7) o ➔ superlativo (8-9):

(7) oggi mi sento meglio di ieri [comparativo]

(8) questa mattina Daniele si è alzato prestissimo [superlativo assoluto]

(9) verremo da voi il più velocemente possibile [superlativo relativo]

Inoltre, nella lingua parlata alcuni avverbi ammettono anche suffissi alterativi quali quelli illustrati in (10-13):

(10) accrescitivo: bene → benone

(11) diminutivo: bene → benino; poco → pochino

(12) peggiorativo: male → malaccio

(13) vezzeggiativo: male → maluccio.

Funzione

Dal punto di vista funzionale, l’avverbio è una parte del discorso che viene usata principalmente come modificatore di un verbo (14), ma anche di un aggettivo (15), di un altro avverbio (16) o di un’intera frase (17; per maggiori dettagli, cfr. infra):

(14) Chiara dorme profondamente

(15) ho visto un film molto avvincente

(16) Carlo è arrivato troppo tardi all’appuntamento

(17) probabilmente non sarà necessario partire oggi stesso

Come mostrano questi esempi, l’interpretazione di un avverbio dipende in parte dal tipo di costituente al quale si riferisce: in generale, infatti, gli avverbi che modificano verbi codificano per lo più informazioni relative al tempo, al luogo e alla modalità nella quale è svolta l’azione espressa dal verbo (14); quelli che modificano aggettivi o altri avverbi hanno la funzione tipicamente semantica di intensificatori (15-16); infine, gli avverbi che modificano intere proposizioni indicano l’attitudine del parlante nei confronti del contenuto della proposizione stessa (17).

Gli avverbi sono spesso classificati in base alla loro funzione semantica all’interno della frase. In questo senso, è possibile distinguere, ad es., gli avverbi qualificativi, tradizionalmente chiamati anche avverbi di maniera o di modo (18), gli avverbi di grado o quantità (19), gli avverbi di luogo (20), gli avverbi di tempo (21), gli avverbi di dominio (22), gli avverbi di giudizio (la cui funzione è quella di presentare un evento come più o meno probabile: es. 23), gli avverbi limitativi (24), gli avverbi interrogativi (25), gli avverbi esclamativi (26), gli avverbi presentativi (limitati al solo ecco: es. 27), ecc.:

(18) Davide ha risolto il problema facilmente

(19) Simone è abbastanza preparato per l’esame

(20) Gabriele abita lontano

(21) ieri ho incontrato tua sorella

(22) questo è un comportamento moralmente riprovevole

(23) ci vedremo sicuramente alla festa di Giovanni

(24) ho soltanto detto che bisogna partire presto

(25) dove sei stato ieri?

(26) come è bella questa casa!

(27) Giuseppe svolta l’angolo, ed ecco che incontra Marco

Inoltre, gli avverbi possono essere classificati in base al loro ruolo sintattico. Abbiamo già osservato che la funzione degli avverbi è quella di modificare verbi, aggettivi, altri avverbi o intere proposizioni. In altre parole, essi possono riferirsi a costituenti molto diversificati per tipo e complessità, e ciò indica che tali elementi lessicali possono occupare diverse posizioni all’interno della struttura della frase.

In particolare, per quanto riguarda la modificazione avverbiale del verbo, vale a dire dell’elemento intorno al quale viene costruita l’intera frase, è necessario considerare lo specifico livello della struttura di frase a cui l’avverbio si riferisce (o, secondo la terminologia usata in letteratura, quello su cui esso ha ‘portata’). Negli studi specialistici, infatti, la frase non viene analizzata come un unico blocco in cui tutti i tipi di informazione sono codificati insieme; al contrario, le informazioni grammaticali e lessicali sono espresse in un ordine preciso, e ciò è determinato dal fatto che la frase viene costruita secondo una struttura stratificata, in cui ogni strato o livello è dedicato alla codifica di determinati significati (cfr. in particolare Dik et al. 1990; Dik 1997; si veda anche Cinque 1999). Secondo una simile prospettiva, è evidente che gli avverbi possono riferirsi a diversi livelli della struttura della frase; infatti, a seconda del tipo di informazione che veicolano, essi possono modificare porzioni differenti di tale struttura (Pompei, Montorselli & Vallauri 2008), come mostrano gli esempi seguenti:

(28) Giorgio ha giocato bene a tennis

(29) Giorgio ieri ha giocato bene a tennis

(30) probabilmente Giorgio ha giocato bene a tennis

(31) sinceramente Giorgio ha giocato bene a tennis

Come si può osservare, gli avverbi utilizzati in (28-31), sebbene tutti si riferiscano in qualche modo all’evento descritto dal predicato giocare a tennis, svolgono funzioni diverse: ognuno di essi modifica un elemento differente connesso con tale evento. In particolare, bene in (28) (e ripetuto anche negli altri esempi) contribuisce insieme al verbo a definire lo ‘stato di cose’ designato dalla predicazione centrale: in questo caso, dunque, esso modifica il predicato. Invece, ieri in (29) ha la funzione di collocare nel tempo lo stato di cose descritto dal predicato e può quindi essere considerato come un modificatore non del livello del predicato in senso stretto quanto piuttosto di quella che viene chiamata predicazione estesa (vale a dire, di quel livello della struttura della frase in cui lo stato di cose espresso dal predicato viene collocato nello spazio e nel tempo).

Se da un lato i due avverbi appena illustrati si riferiscono al predicato (seppur con le differenze osservate fra i due casi), quelli in (30-31) possono invece essere considerati come modificatori dell’intera frase, vale a dire di una porzione più ampia della struttura sintattica. Infatti, probabilmente in (30) specifica l’atteggiamento del parlante nei confronti dello stato di cose descritto dal predicato: in questo caso, si dice che l’avverbio si riferisce al livello della proposizione. Infine, in (31) l’avverbio sinceramente indica l’atteggiamento comunicativo del parlante in quanto contribuisce a specificare la forza illocutiva (➔ illocutivi, tipi) della frase (cioè la sua natura di frase dichiarativa, interrogativa o imperativa); la frase in questione è infatti parafrasabile come «io sono sincero quando dico che Giorgio ha giocato bene a tennis», in cui è evidente che l’avverbio sinceramente non si riferisce all’evento descritto dal predicato giocare a tennis, quanto piuttosto all’affermazione del parlante (nella nostra parafrasi, infatti, esso modifica il verbum dicendi che introduce la frase) (➔ modalità).

Ordine

Gli avverbi illustrati finora non occupano sempre la stessa posizione nella frase. Al contrario, siccome, come si è visto nella sezione precedente, gli avverbi possono riferirsi a elementi diversi della struttura frasale, possono occupare posizioni che variano secondo la loro funzione (e, quindi, secondo la loro interpretazione).

Ad es., le frasi in (28-31) mostrano che in generale i modificatori avverbiali appaiono tanto più adiacenti al verbo (vale a dire, all’elemento intorno al quale viene costruita la frase) quanto più essi fungono da modificatori del predicato o della predicazione estesa (cfr. rispettivamente 28 e 29), mentre i cosiddetti modificatori di frase (più precisamente, di proposizione in 30 e di atto linguistico in 31) sono generalmente realizzati in posizioni più periferiche (tipicamente all’inizio, oppure alla fine dell’enunciato). Inoltre, la correlazione fra la posizione sintattica e l’interpretazione degli avverbi è evidente anche dall’esistenza di alcuni contrasti come quelli illustrati qui di seguito:

(32) ho risposto semplicemente

(33) ho semplicemente risposto

(34) bisogna comportarsi onestamente

(35) onestamente non sono d’accordo

In questi esempi lo stesso avverbio riceve due interpretazioni differenti a seconda che si trovi alla destra oppure alla sinistra del verbo: ad es., se da un lato, nella sua posizione postverbale in (32), semplicemente modifica il predicato con valore modale (la frase è infatti da interpretarsi come «ho risposto, e l’ho fatto semplicemente»; Prandi 2004), dall’altro lo stesso avverbio in posizione preverbale (33) è invece usato come avverbio di tipo limitativo ed è parafrasabile con «soltanto». Ancora una volta, dunque, è possibile osservare che gli avverbi ricevono una particolare interpretazione – legata cioè a una specifica classe semantica – a seconda della posizione che occupano rispetto agli altri elementi della frase.

A questo proposito, è peraltro interessante notare che il comportamento illustrato in (32-33) non costituisce una caratteristica tipica degli avverbi ma riguarda in modo più generale l’ambito dei modificatori in senso lato. Il contrasto in (32-33) è infatti perfettamente analogo a quello degli aggettivi nei confronti del nome (per maggiori dettagli ➔ aggettivi):

(36) una risposta semplice (cfr. 32)

(37) una semplice risposta (cfr. 33)

Da quanto illustrato finora, risulta evidente che la posizione in cui gli avverbi vengono realizzati all’interno della frase è legata alla loro interpretazione. Ciò implica che, qualora una frase contenga più di un avverbio, l’ordine lineare fra questi elementi non è libero ma è piuttosto soggetto a determinate restrizioni sintattiche correlate alla loro funzione e alla loro interpretazione. Come mostriamo in (38-44), tale predizione è confermata dai dati (i seguenti esempi sono tratti da Cinque 1999):

(38) all’epoca non possedeva già più nulla ~ * all’epoca non possedeva più già nulla

(39) Gianni ha sempre completamente perso la testa per lei ~ * Gianni ha completamente sempre perso la testa per lei

(40) ha solitamente sempre ragione lui ~ * ha sempre solitamente ragione lui

(41) quando si presenta un problema, lui sa già sempre come fare ~ * quando si presenta un problema, lui sa sempre già come fare

(42) lui non ha mai più vinto, da allora ~ * lui non ha più mai vinto, da allora

(43) Gianni accetterà forse saggiamente il vostro aiuto ~ * Gianni accetterà saggiamente forse il vostro aiuto

(44) francamente ho purtroppo una pessima opinione di voi ~ * purtroppo ho francamente una pessima opinione di voi

In particolare, comparando lingue diverse è stato spesso osservato che una sequenza di avverbi all’interno di una singola frase appare per lo più in un ordine rigido, determinato dalla classe semantica a cui i vari avverbi appartengono (e, quindi, alla specifica porzione della struttura frasale a cui tali modificatori si riferiscono). Ad es., sia in italiano sia in altre lingue del mondo esiste una tendenza a realizzare gli avverbi che esprimono la strategia comunicativa del parlante (per es., gli avverbi di atto linguistico; cfr. supra l’esempio 31 e il testo corrispondente) alla sinistra di quelli modali che esprimono la sua opinione sul contenuto della proposizione (45); inoltre, questi ultimi occorrono tendenzialmente alla sinistra di quelli aspettuali (come ancora nei nostri esempi, che indica se l’azione è conclusa o meno; cfr. 46), che a loro volta precedono quelli di maniera (47) (➔ aspetto):

(45) onestamente, preferirei probabilmente andare via [atto linguistico → modale]

(46) probabilmente Marco sta ancora dormendo [modale → aspettuale]

(47) non ho ancora capito perfettamente cosa ne pensi [aspettuale → maniera]

Un’attenzione particolare merita la posizione dell’avverbio di negazione non rispetto ad altri elementi che servono a rafforzarlo (per es., affatto, mai, mica, più, ecc.). Come mostrano gli esempi in (48-49), nell’italiano di oggi non precede di norma gli avverbi come mai e più (sui quali ha ‘portata’: cfr. supra). Inoltre, qualora questi due elementi co-occorrano nella stessa frase, essi appaiono nell’ordine fisso mai > più (50). Va tuttavia osservato che, nella lingua letteraria dei secoli scorsi (specie in poesia), sono attestati anche ordini differenti, come in (51-52):

(48) non sono mai stato a Parigi

(49) Sara non è più riuscita a finire quel lavoro

(50) da quel giorno non l’ho mai più visto

(51) quel giorno più non vi leggemmo avante (Dante, Inf. V, 138)

(52) Né più mai toccherò le sacre sponde (Ugo Foscolo, “A Zacinto”, v. 1)

Fonti

Alighieri, Dante (1966a), La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, Milano, Mondadori, 1966-1967, 4 voll., vol. 2° (Inferno).

Alighieri, Dante (1966b), Il Convivio, a cura di M. Simonelli, Bologna, Pàtron.

Foscolo, Ugo (19662), Opere, a cura di G. Bezzola, Milano, Rizzoli, 2 voll., vol. 1° (Poesie e prose d’arte).

Studi

Ambrosini, Riccardo (1978a), Aggettivo qualificativo, in Enciclopedia dantesca 1978, pp. 169-182.

Ambrosini, Riccardo (1978b), Avverbio, in Enciclopedia dantesca, 1978, pp. 209-215.

Cinque, Guglielmo (1999), Adverbs and functional heads. A cross-linguistic perspective, Oxford - New York, Oxford University Press.

Dik, Simon C. (1997), The theory of functional grammar, edited by K. Hengeveld, Berlin - New York, Mouton de Gruyter, 2 voll. (1º, The structure of the clause, 2º, Complex and derived constructions).

Dik, Simon C. et al. (1990), The hierarchical structure of the clause and the typology of satellites, in Layers and levels of representation in language theory, edited by J. Nuyts, A. Machtelt Bolkestein & C. Vet, Amsterdam - Philadelphia, John Benjamins, pp. 25-70.

Enciclopedia dantesca (1970-1978), Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 6 voll., vol. 6° (Appendice. Biografia, lingua e stile, opere), 1978.

Hopper, Paul J. & Traugott, Elizabeth Closs (1993), Grammaticalization, Cambridge, Cambridge University Press.

Pecoraro, Walter & Pisacane, Chiara (1984), L’avverbio, Bologna, Zanichelli.

Pompei, Anna, Montorselli, Laura & Vallauri Lombardi, Edoardo (2008), Subordinate avverbiali e livelli di modificazione, in La comunicazione parlata. Atti del Congresso internazionale (Napoli 23-25 febbraio 2006), a cura di M. Pettorino et al., Napoli, Liguori, 3 voll., vol. 1º, pp. 645-666.

Prandi, Michele (2004), The building blocks of meaning. Ideas for a philosophical grammar, Amsterdam - Filadelfia, John Benjamins.

Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.

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