BARBARI

Enciclopedia dell' Arte Antica (1958)

BARBARI


La parola barbaro, di origine onomatopeica (Strabo, xiv, 2, 28), indica originariamente l'individuo che pronuncia suoni inarticolati, che balbetta (Aristoph., Aves, 521, per gli Sciti, 1681, per i Triballi), senza alludere ad alcuna differenza di razza, di costumi, di religione; barbare erano pure le parole inarticolate, senza senso, che simboleggiavano qualcosa di arcano e di sacro come gli Ephesia Grammata (Plut., De superst., 3, p. 166 b).

I Troiani non sono mai chiamati b. da Omero, che usa solo per i Carî (Il., ii, 867) questa parola, da cui perciò bisogna togliere ogni significato spregiativo, riferendola al solo fatto linguistico (βαρβαρόϕωνοι) a chi, cioè, non parlava greco. Solo nel periodo delle guerre persiane, con il formarsi di una coscienza nazionale e di un orgoglioso senso di superiorità, per cui il popolo ellenico poté vantare il predominio su tutti gli altri dell'antichità, b. diventano i nemici della Grecia e della civiltà e la parola prende perciò un significato spregiativo: Eschilo e Sofocle sono gli energici assertori del concetto della superiorità degli Elleni sui b., considerati come razza inferiore, concetto a cui la sofistica cercherà di opporsi; e questa idea di popolo di civiltà inferiore, non colto né educato, è giunta in tale accezione fino a noi. In latino barbarus ebbe dapprima lo stesso significato greco primitivo, tanto che si disse Plautus vortit barbare; più tardi, con il crescere della potenza e della cultura di Roma, la parola subì la stessa trasformazione di significato di quella greca, assumendo però anche una sfumatura di ferocia e di terribilità, per cui b., oltre ad incolte, significò anche genti di costumi feroci e terribili, e fu riferito per lo più, specie in questa seconda accezione, ai popoli nordici, che premevano alle frontiere dell'Impero, oltre Reno ed oltre Danubio, il cui aspetto selvaggio terrorizzava i legionarî.

Possiamo dire che nelle arti figurative le figurazioni dei b. riflettano sostanzialmente gli stessi concetti sopra esposti: si parte da rappresentazioni in un certo senso convenzionali per avvicinarsi man mano a rappresentazioni realistiche; in un primo tempo, specialmente nella ceramica, ci si limita all'indicazione del particolare di costume esotico che maggiormente ha colpito la fantasia dell'artista, astraendo completamente da peculiarità e caratteristiche etnografiche e somatiche, con una convenzionale tipologia; con l'ellenismo, nello stile realistico della scuola pergamena, gli artisti colgono non solo le particolarità del costume, ma i veri e proprî caratteri etnici e somatici che distinguono i b. dagli Elleni pur restando sempre in un clima di idealismo, che fa dei Galati quasi personaggi del mito; solo nelle vaste composizioni romane del rilievo storico i b. appaiono in tutta la loro realtà, sullo sfondo delle loro regioni selvagge, presso le povere dimore, nei loro abbigliamenti riprodotti con fedeltà minuziosa.

Non possiamo dire con certezza quali siano le più antiche raffigurazioni di barbari. Nella ceramica più antica con scene mitologiche i personaggi non greci sono raffigurati secondo canoni perfettamente ellenici; così in tutte le rappresentazioni dell'epos i Troiani non indossano indumenti barbarici, ma greci, in armonia con Omero che non considerava barbaro quel popolo; esempio tipico può essere la scena dipinta su un piatto rodiota da Camiro, al British Museum, datato alla fine del VII sec. a. C., con la lotta di Menelao ed Ettore sul cadavere di Euforbo, allusione all'episodio omerico (Il., xvii), da cui però il ceramografo si stacca nettamente, poiché in Omero Menelao non accetta il combattimento con Ettore. Gli indumenti dei due guerrieri sono identici, e nel colore o nelle fattezze non è accenno a differenza di razza.

I primi b. che appaiano veramente tali nella ceramica greca sono i negri; di essi il ceramista studia il carattere e le fattezze, di cui si serve per creare composizioni pittoresche nel contrasto fra i tipi diversi, con una certa tendenza alla caricatura. Essi erano in maggioranza schiavi o battellieri e perciò non sono visti come nemici; dalla irregolarità della loro fisionomia il pittore trae effetti grotteschi, molto originali. Nella nota tazza laconica al Cabinet des Médailles, trovata a Vulci, e detta di Arcesilao (v.), perché in essa è rappresentato uno dei quattro re di tal nome che regnarono su Cirene, forse Arcesilao II, che esercitò il potere a metà del VI sec. a. C., appaiono sulla tolda di una nave gli schiavi negri che imballano il silfio sotto lo sguardo del re, raffigurato in tutta la pompa regale. Sono verisimilmente egiziani, per lo più sono nudi, con solo una piccola pezza intorno alle reni, ma alcuni hanno anche una specie di giubbetto; la fronte è sfuggente e l'occhio a mandorla; La tazza è datata alla metà del VI sec. a. C. Figurazioni di negretti dai grandi occhi a mandorla e dalla fronte sfuggente appaiono anche su alcuni vasi di Fikellura, con una caratterizzazione ritmica e una figurazione generica più che con una reale riproduzione dal vero. Un maggior senso di osservazione possiamo trovare su alcuni frammenti di ceramica da Naucrati, datati al VI sec. a. C.: sul primo frammento è la testa di un faraone egiziano con l'ureo intorno ai capelli, avanzo forse di una figurazione della vicenda di Eracle e Busiride; nel secondo frammento è tracciata una vivacissima figura di negro in cui i caratteri della razza appaiono esagerati con piccante intenzione; su tutti i frammenti da Naucrati si trova quella festevole tendenza alla riproduzione della realtà che è comune all'arte ionica irraggiata dall'Asia Minore. Un'altra famosa figurazione di negri ed Egiziani troviamo in una delle più importanti idrie ceretane con l'avventura di Eracle e Busiride (v.). Sul basamento dell'ara destinata allo sgozzamento delle vittime giace Busiride, rappresentato come gli altri Egiziani vestito della candida kalasìris (Herod., ii, 181) ed insignito dell'uraeus sul capo; Eracle, gigante dal corpo massiccio ed ipertrofico, strazia i sudditi vestiti della bianca tunica; nel retro del vaso accorrono cinque soldati etiopi armati di lunghi bastoni. Per Busiride e per alcuni Egiziani è usato un colore di tono giallastro, per gli altri e per gli Etiopi è usato il nero; gli Egiziani hanno il tipo caratteristico della loro razza: corporatura flessibile, agile, naso grande e aquilino, occhi allungati, grande bocca. Tanta è la verità della figurazione che si pensa che il pittore abbia conosciuto l'Egitto o che potesse addirittura essere un artista dell'Asia Minore, le cui colonie greche intrattennero rapporti con l'Egitto.

Il naso camuso e il costume caratterizzano gli Egiziani nella serie di vasi attici a figure rosse che sviluppano il tema di Busiride con un tono generalmente più convenzionale.

Una nota vivace assume il costume con giubba frangiata e calzoni con varî motivi ornamentali in immagini di Etiopi che compaiono su alcuni alàbastra attici in mosse dinamiche, armati di pelta e di ascia, dai volti con nasi camusi, grosse labbra e capelli lanosi. Ma il tipo del negro trova la più notevole formulazione nel campo dei vasi plastici attici del VI e del V sec. a. C., che ne modellano la testa con viva caratterizzazione, sfruttando l'effetto della brillante vernice nera su cui spiccano il bianco degli occhi e il rosso delle grosse labbra sporgenti.

Nella ceramica dipinta i Frigi sono figurati a cavallo con tipico copricapo a punta in avanti, lunghe brache, spesso ornate di strisce nere, ed una specie di chitone manicato anch'esso molto ornato, armati di arco e faretra; generalmente appaiono in scene mitologiche con Tamiri, Orfeo, Creso, Pelope. In una tazza ad occhioni da Chiusi, ora al Museo Naz. di Palermo, opera del Pittore di Andokides e rappresentante, nella doppia tecnica, scene di battaglia, abbiamo una delle prime figurazioni di guerrieri frigi, affrontati e divisi da un albero, e di un trombettiere: indossano un attillatissimo costume e hanno berretto frigio. I Traci (Herod., vii, 5; Xen., Anab., vii, 4, 4) portano un chitone lungo sino al ginocchio, mantelli variopinti, stivali alti sino alle ginocchia ed un berretto di volpe a punta: compaiono spesso in vasi con figurazioni del mito di Orfeo, che incominciano nella prima metà del V sec. a. C. Una splendida kelèbe da Gela, datata alla metà del V sec. a. C., all'Antiquarium di Berlino, mostra Orfeo tra i Traci: l'eroe, seduto su una roccia, suona la lyra e canta; presso di lui sono quattro guerrieri traci nel costume nazionale con un lungo mantello a decorazioni nere, orizzontali, di motivi geometrici, e in testa il copricapo di pelle di volpe. In tutti i vasi di questo periodo i Traci hanno lo stesso berretto, le grandi scarpe trace, il lungo chitone ed il mantello tracio. Gli artisti italioti attribuiscono ad Orfeo un aspetto orientale: berretto frigio, mantello leggero svolazzante dietro le spalle, chitone lungo fino ai piedi e maniche.

Nelle figurazioni vascolari di b. orientali questi sono visti semplicemente come elemento pittoresco; il pittore indugia nella descrizione dei loro abiti, quasi accentuando l'opulenza e la ricchezza dei vestiti e delle armature orientali per un contrasto con il panneggio o la eroica nudità dei greci.

Su vasi ed oggetti provenienti dalla Crimea e datati al IV e II sec. a. C. sono numerose le figurazioni di b., specie Arimaspi e Sciti. Stoffe trovate nei tumuli dell'Asia Centrale mostrano che i costumi loro attribuiti dai pittori vascolari avevano un fondamento nella realtà (v. Arimaspi).

Un diadema aureo da Taman ci presenta sei Arimaspi, popolazione remota che si diceva formata da individui monoculi sempre in lotta con i grifoni, gelosi custodi dell'oro che giaceva in gran quantità nelle montagne dell'Asia; questi b., raffigurati appunto in tale lotta, non presentano quell'aspetto difettoso che la leggenda attribuiva loro, ma appaiono giovani robusti, indossanti l'abito che è comune agli Sciti del Settentrione ed ai Persiani dell'Oriente.

Gli Sciti hanno il capo ricoperto da un elmo di foggia strana, formato forse di pelle di animale, con paragnatidi molto lunghe che scendono fin sulle guance ed un accenno di visiera; indossano una tunica manicata e hanno le gambe coperte da brache talvolta ornate; loro armi principali sono l'ascia, l'arco, la piccola spada. La vita dei cavalieri sciti con i loro cavalli nelle grandi praterie dell'Asia Centrale è il soggetto di una vivace figurazione sulle spalle di una anfora da Nicopol.

Nelle figurazioni vascolari di celebri personaggi barbari della storia o del mito bisogna tener conto dell'influenza che avevano, sui ceramografi, i costumi teatrali indossati dagli interpreti di tali personaggi sulla scena. Così una figurazione di Fineo su un'anfora da Ruvo lo mostra mentre siede in costume regio, quale veniva indossato dagli attori; un ricco costume orientale di tipo teatrale indossa Medea, la barbara della Colchide, nell'anfora da Ruvo della Collezione latta, con copricapo di foggia frigia molto elaborato e chitone ornatissimo; ricchissimi indumenti serici indossa Creso, re della Lidia, sulla pira, in un'anfora al Louvre. I Persiani appaiono in una grande anfora, detta appunto dei Persiani, scoperta a Canosa, ora al Museo Naz. di Napoli, datata alla metà del IV sec. a. C.; nelle due zone inferiori ha scene alla corte di Dario. Il re è al centro, seduto su un trono ricchissimo nella veste regale di tipo teatrale del IV sec., ma distinto come re dei Persiani dall'alta κίδαρις: egli ascolta quanto sta dicendo un uomo anziano, stante su un piccolo βήμα rotondo e indossante uno strano vestito che è un insieme di greco e di orientale: sopra un èndyma bianco a lunghe maniche porta un chitone senza maniche più pesante, e sopra questo un himàtion; in testa ha il pileo di feltro; ai piedi alte endromìdes di pelle a risvolti. Le scarpe, la tiara floscia, braccialetti, brache e tuniche manicate, mantelline svolazzanti caratterizzano le altre figure di Persiani che compaiono sul vaso.

In simile abbigliamento appaiono i cavalieri persiani nel sarcofago policromo di Sidone a Istanbul, con scene di caccia e guerra tra Alessandro Magno ed i Persiani e nel celebre mosaico di Alessandro, a Pompei.

Anche nella statuaria abbiamo menzione di statue raffiguranti b. dovute a scultori del V sec.: Pausania (x, 10, 6; 13, 10) ci descrive gli ex voto di Delfi, opera di Hageladas, offerti dai Tarantini per la loro vittoria sui Messapi, confinanti con il territorio di Taranto. Un altro ex voto tarantino, per la vittoria sui Peucezî, opera di Onatas e Kalynthos, rappresentava fanti e cavalieri tra cui Opis, re dei Iapigi, venuto in soccorso dei Peucezî. Un arciere in costume asiatico con copricapo frigio appare nel frontone occidentale di Egina, dei primi del V sec. a. C.

Nel periodo classico, nel fregio del tempio di Atena Nike, i Persiani portano il costume asiatico, che è attribuito agli Orientali in genere; Plinio (Nat. hist., xxxv, 34) ricorda i ritratti di Dati ed Artaferne, opera di Panainos, fratello o, secondo alcuni, nipote di Fidia.

Uno studio dei caratteri etnici e fisionomici è già nella figura del principe cario Mausolo, nel contorno del viso massiccio, dalla fronte bassa con la bocca carnosa e i lunghi capelli, se l'identificazione tradizionale è esatta.

Durante l'ellenismo le figurazioni di b. interessano la grande statuaria, specialmente a Pergamo. Gli Attalidi dovettero sostenere molte campagne contro i Galati, b. devastatori di grande ferocia, che nel 279 a. C. avevano invaso la regione balcanica e l'Asia Minore. Dalla descrizione di Diodoro Siculo (v, 28) essi appaiono di alta statura, di pelle bianca, con chiome rosse, irsute, che intridevano con un certo impasto di calce, e combattevano nudi. Dopo duri scontri con Attalo I ed Eumene II, furono ricacciati nel centro dell'Asia Minore, dove fondarono la Galazia. Per celebrare quelle vittorie, simbolo della lotta della civiltà sulla barbarie, furono offerti due donari, uno dedicato da Attalo I a Pergamo, nella terrazza del tempio di Atena Poliade, che celebrava realisticamente le imprese contro i Galati, l'altro dedicato da Eumene II, sempre a Pergamo, raffigurante Greci in lotta contro Amazzoni, Persiani e Galati, e copie di questo furono dedicate sull'acropoli di Atene.

L'arte pergamena non ha esagerato il contrasto tra i Galati e i guerrieri greci e non ha raffigurato questi b. sotto aspetti odiosi: ha creato tipi di una bellezza fiera e selvaggia e per una sorta di compromesso tra reale ed ideale, ha inserito questi b. contemporanei nel ciclo delle vecchie tradizioni elleniche: gli avversarî dei Greci sono uguagliati dall'arte ai nemici degli dèi di cui parla il mito; i Galati vinti da Eumene divengono come i figli ed i successori dei Titani folgorati da Zeus.

La nudità, il torques al collo, i capelli a ciocche brevi, scomposte e ispide, i baffi, caratterizzano le statue famose del Gallo Capitolino ed il gruppo Ludovisi del Galata suicida con la moglie morente al Museo Naz. Romano.

Una testa al Vaticano si riallaccia al Gallo Capitolino: qui però la barba ed i baffi rasi indicano un personaggio di ceto più elevato; una splendida testa di Gallo proviene da Gīzah: è di una pateticità dinamica, con un contrasto intensissimo di luci ed ombre.

Del secondo donario dedicato in Pergamo da Eumene II dopo il 165, restano tre statue di Galati, conservate nel Museo Arch. di Venezia; una di queste raffigura un b. con il tipico scudo ovale ed una corda attorno alla vita, disteso supino a terra. Al Vaticano è la statua di un Persiano caduto, nudo, rappresentazione dunque di tradizione greca, e in un certo senso idealizzata; il tipo barbarico resta caratterizzato solo dalla mitra. Un altro Persiano caduto su un fianco è al Museo Naz. di Napoli: ha in capo la mitra, veste il costume nazionale, accanto ha la spada ricurva. Ancora all'arte pergamena è da attribuirsi la figura del cosiddetto Arrotino che fa parte del gruppo di Marsia e di cui abbiamo una copia in marmo agli Uffizî: è un barbaro di "razza inferiore", con il cranio aguzzo, la fronte sfuggente, gli zigomi larghi, generalmente ritenuto uno Scita. Galati depredatori del tempio di Delfi sono raffigurati con plastica rapida e vivace nel fregio di un tempietto etrusco trovato a Sassoferrato e conservato al museo di Bologna.

Figurazioni di Galati appaiono su numerose stele dipinte a Sidone, Cipro, Pagasai. L'influenza dei mercenari galati si è fatta sentire anche in Egitto, nelle raffigurazioni su stele. Gran parte di esse provengono da Hadra, necropoli a S di Alessandria, e raffigurano i guerrieri a gambe nude, con la tunica che raggiunge il ginocchio, una grande clamide sventolante indietro: con la sinistra reggono grandi scudi ovali, con la destra si appoggiano ad una lancia.

Lo studio tipologico e la ricerca verista si avvertono anche nelle statuette di negri che l'ellenismo ci ha lasciato: sono specialmente bronzetti di arte alessandrina raffiguranti fanciulli dai corpi gracili e dinoccolati, dalle teste zazzerute, dai capelli lanosi, con grosse labbra e naso camuso, spesso ritratti con deformazioni fisiche di grande virtuosismo veristico, con senso grottesco e con fine penetrazione psicologica, che si esprime nelle pose e nei gesti.

Sono melanconici musici cantori, venditori ambulanti, colti dal vero con i più caratteristici tratti della razza egiziana, nubiana, negra.

Caratteri barbarici negroidi si ritrovano in figurazioni nilotiche, in scene con Pigmei.

In Roma il tema dei Galati nella disfatta davanti a Delfi era rappresentato sulle porte d'avorio del tempio di Apollo Palatino (Proc., ii, 31, 3); Svetonio (Nero, xli) ci parla di un bassorilievo che raffigurava un cavaliere romano che trascinava un Gallo per i capelli. Le figurazioni dei b. nell'arte romana, rientrando nel concetto della glorificazione di Roma e dell'Impero, sono moltissime; esse appaiono su archi trionfali, colonne istoriate, rilievi, statue e su monete: l'idea che domina queste raffigurazioni è l'esaltazione delle gesta dell'imperatore e del popolo romano e l'umiliazione del vinto, specialmente a partire dalla fine del secondo secolo d. C. (colonna di Marco Aurelio), quando si attenua la tradizione del pensiero stoico che conservava il concetto del rispetto per il vinto. Le rappresentazioni, pur riallacciandosi alla tradizione figurativa pergamena, rivelano una maggiore accentuazione delle particolarità fisiche; inoltre i contatti dei Romani con le fiere popolazioni nordiche creano una nuova tipologia figurativa con una ambientazione paesistica.

Nella corazza dell'Augusto di Prima Porta troviamo raffigurato un Partho che restituisce ad un ufficiale romano, forse Tiberio, una delle insegne perdute a Carre (53 a. C.): ha lunghi capelli e lunga barba, brache ed una tunica stretta alla vita da una cintura. Nella stessa corazza sono pure raffigurate, sotto aspetto di donne mestamente sedute, le personificazioni di Hispania, per i Celtiberi soggiogati nel 21 a. C., e di Gallia, per la rivolta gallica del 19 a. C.

Altre figurazioni di b. troviamo sulla Gemma Augustea di Vienna, che ricorda il trionfo di Tiberio sui Germani del 7 a. C.: in essa i prigionieri vestono lunghe brache, hanno lunghe capigliature e barbe, il torso nudo e portano il torques al collo; nelle teste è colto il carattere selvaggio, con le chiome arruffate. Prigionieri germanici ed orientali appaiono nel registro inferiore del Gran Cammeo di Francia, ed in due tazze d'argento del tesoro di Boscoreale al Louvre.

Nelle figurazioni augustee appaiono anche Armeni indossanti un lungo mantello e brache, con la testa ricoperta della tiara.

Le grandi composizioni con b. appartengono però al periodo di Traiano ed alle grandi creazioni del suo tempo: Colonna Traiana e trofeo di Adamklissi.

Il trofeo di Adamklissi fu dedicato nel 109 d. C., due anni dopo la conclusione della seconda guerra dacica; nella località di Adamklissi erano i Bastarni, il primo popolo germanico apparso alla storia e la cui lotta contro i Romani è raffigurata sulle metope di questo monumento. Questi b. appaiono snelli, di spalle larghe, con brache molto strette, petto nudo, in parte coperto da un piccolo collare; talvolta hanno un corto mantello; la testa è particolarmente alta; la pettinatura presenta un particolare strano: i capelli sono tirati tutti verso destra e sopra la tempia presentano un ricciolo rigonfio, in alcuni casi coperto; hanno una lunga barba a punta. La pettinatura li identifica come di razza germanica; infatti Tacito (Germ., 38) dice che era caratteristica di gran parte dei Germani, specie di origine sveva, obliquare crinem, nodoque substringere.

Il secondo tipo di b. sul rilievo di Adamklissi è del tutto diverso dal tipo germanico: sono personaggi che portano un lungo ed aperto caftano, calzoni e stivali, capelli molto corti attaccati al viso, come una specie d'aureola, barba a punta molto corta; si nota una certa affinità con i Daci della Colonna Traiana, ma forse si tratta di Geti, popolazione vicina ai Daci. Il terzo tipo di b. porta una tunica corta con una spaccatura di fianco, lunghe brache e scarpe, i capelli corti, viso a volte raso a volte con barba; l'aspetto grasso e molle li fa identificare forse in Traci, che un'antica tradizione indicava come grassi (πιμελώδεις).

Al periodo traianeo appartengono le grandi figurazioni della guerra dacica (v. Colonna coclide) e le grandi statue dei Daci in porfido: due di queste statue sono al Louvre, due nel giardino di Boboli, ed una al Laboratorio delle pietre dure, a Firenze: il vestito consta di un mantello retto da un gancio sulla spalla destra, una specie di chitone, a maniche corte per le statue del Louvre, lunghe per le altre, molto ampio, fin sotto le ginocchia, stretto alla vita da una cintura, brache lunghe, strette alla caviglia ed una specie di calzatura dalla chiusura molto complicata.

Dopo Traiano le figurazioni di b. su archi trionfali, sarcofagi e monete si fanno sempre più numerose ma anche più convenzionali. Il tipo di razza germanica con barbe fluenti, capelli a ciocche mosse, profili nobili, brache, tuniche manicate, mantelli frangiati appare sulla colonna di Marco Aurelio insieme con un altro tipo dai tratti più volgari con ciocche irsute e barbe a grosso pizzo appuntito, forse di razza sarmatica; alcuni b. hanno il torques al collo che li identifica con razze celtiche, forse i Cotini. Il tipo germanico compare altresì nella serie di rilievi del periodo di Marco Aurelio adoperati nell'arco di Costantino, mentre il tipo sarmatico, insieme con quello germanico, si ritrova nei sarcofagi con scene di battaglie della fine del II e della prima metà del III sec. d. C. Su questi sarcofagi è ripreso anche il motivo delle lotte contro i Galli.

Caratteri barbarici assumono anche le personificazioni delle Province, e passano a caratterizzare alcune divinità di origine straniera, sia nella statuaria sia nella monetazione imperiale, ma sono motivi idealizzati e convenzionali. Più vivaci notazioni si hanno invece in alcune immagini plastiche dell'arte provinciale, specialmente nella Gallia e nelle province renane, mentre nel tardo Impero più generici divengono i tipi barbarici nel rilievo storico: si distingueranno con i particolari del costume i b. orientali e quelli occidentali, i Persiani, gli Asiatici, i Germani a simboleggiare l'omaggio di tutti i popoli alla maestà dell'imperatore in rappresentazioni che culminano nei monumenti della nuova capitale dell'Impero d'Oriente, come la base della Colonna di Costantino e la Colonna di Arcadio (v.).

Bibl.: R. Zahn, Die Darstellungen der Barbaren in der vorhellenistischen Zeit, Heidelberg 1896; S. Reinach, Le Gaulois dans l'art antique, in Rev. Arch., XII, 1888, II, pp. 273-284; XIII, 1889, I, pp. 11-22; 187-203; 317-352; E. Petersen, Die Germanen in der römischen Kunst, in Röm. Mitt., VIII, 1893, pp. 103-104; A. Furtwängler, Das Monument von Adamklissi und die ältesten Darstellungen von Germanen, in Intermezzi, 1896, p. 47; G. H. Beardsley, The Negro in Greek and Roman Civilization, Londra 1929; R. Delbrück, Antike Porphywerke, Berlino 1932, tavv. 3, 4; D. Faccenna, Rappresentazioni di negri nel Museo Naz. di Napoli, in Arch. Classica, I, 1949, p. 188; A. Calò Levi, Barbarians on Roman Imperial Coins and Sculpture, New York 1952.