BARCE

Enciclopedia Italiana (1930)

BARCE (Βάρκη; A. T., 113-114)

Attilio MORI
Ettore GHISLANZONI

Antica città della Cirenaica nel mezzo d'una vasta terrazza a circa 250 metri sul mare, da cui dista, in linea d'aria, circa km. 10; a occidente di Cirene dalla quale dista 500 stadî, e a 600 stadî da Euesperide (Bengasi; v. Ps.-Scylax, in Geogr. gr. min., I, pp. 83, 108).

Nei primi secoli fu, dopo Cirene, per importanza politica, la seconda città della Cirenaica. Secondo la tradizione accettata da Erodoto (IV, 160; cfr. Stefano Bizantino e Schol. in Soph. El., 727), venne fondata dai fratelli del quarto re di Cirene, Arcesilao II, salito al trono intorno al 560 (Beloch, Griech. Gesch., I, 11, p. 216), col quale essi erano tosto venuti in discordia. La nuova città sorse quindi in antagonismo con Cirene.

Il suo territorio si estendeva fino alla costa, e il suo porto era nel luogo ove sorse Ptolemais (Tolmetta), che nei primi secoli non ebbe una denominazione propria (Ps.-Scylax, loc. cit., 837; Plinio, Nat. Hist., IV, 5, 32). La popolazione era costituita in gran parte di Libî. Assoggettato l'Egitto ai Persiani (525), Barce, come Cirem, pagò un tributo a Cambise (Erodoto, III, 13, 91), certo per evitare la dominazione diretta dei potenti re persiani, i quali da allora furono i protettori delle case regnanti in Cirenaica.

In una ribellione scoppiata in Barce, ordita dall'opposizione al predominio persiano, nel 510, furono uccisi il re Alazeir, testé nominato, e suo genero, Arcesilao III re di Cirene, colà rifugiatosi. La madre di Arcesilao, Feretime, assunse la reggenza di Cirene, e per vendicare la morte del padre e del figlio implorò aiuto da Ariande, governatore persiano dell'Egitto. Questi, certo per riaffermare l'influenza persiana in Cirenaica, mandò un esercito al comando di Arsames (Erodoto lo chiama Amasi, ma cfr. Beloch, Gr. Gesch., I, 11, p. 213) e una flotta agli ordini di Badres. Barce fu presa a tradimento e saccheggiata. I ribelli superstiti furono deportati in servitù in Egitto e quindi nella Battriana. Ivi Dario assegnò loro delle terre, e sorse una modesta borgata chiamata pure Barce, che esisteva ancora al tempo di Erodoto (Erodoto, IV, 167 e 200-204; Aen. Tact., 27, 6; Ps-Heracl., in Fragm- Historic. Graec., II, 212). La seconda occupazione persiana di Barce, di cui è cenno solo in Polieno (VII, 28), non è che la duplicazione della precedente (Beloch, loc. cit.).

Annullata l'influenza persiana sul paese ellenico per le gravi sconfitte subite da Dario e da Serse in Grecia, il partito democratico, che propugnava l'indipendenza, prevalse. Barce, come Cirene cacciati i re, circa la metà del sec. V, si costituì in repubblica. Nella seconda metà di quel secolo assurse di nuovo a notevole potenza estendendo la sua sovranità anche su Tauchira (Erodoto, IV, 171; v. arsinoe). Possedeva una notevole flotta e riuscì una volta, non sappiamo precisamente quando, a vincere i Cartaginesi in una battaglia navale (Servio, ad Aeneid., IV, 42; cfr. Gsell, Histoire de l'Afrique du Nord, 3a ed., I, p. 451). Ma nel quarto secolo andò rapidamente decadendo e nel 331, con Cirene e le altre città della Cirenaica, si sottomise spontaneamente ad Alessandro. Nel 322 essa favorì l'infelice tentativo di Tibrone contro Cirene (Diodoro, XVIII, 20, 3; Arriano, presso Fozio, p. 70). Quindi, come il resto della Cirenaica, passò sotto il dominio dei Tolomei. La sua decadenza aumentò sempre più, mentre crebbe rapidamente in importanza e splendore il suo porto (Strabone, XVII, 837; Plinio, Nat. Hist., V, 32) che sotto Tolomeo III prese il nome di Ptolemais (l'odierna Tolmetta).

Divenuta la Cirenaica provincia romana, Barce non fu che un semplice vicus.

Fu sede di vescovi, e, dopo l'occupazione araba, divenne uno dei centri principali della regione (Edrisi, Descrizione dell'Africa e della Spagna, clim. III, sez. 3a, in fine) e diede il nome a tutto l'altipiano.

Barce era famosa per i suoi veloci cavalli (Sofocle, El., v. 727 e schol. cit.); e che i suoi cittadini prendessero parte alle gare atletiche anche della Grecia può ritenersi attestato da un vaso panatenaico colà scoperto.

Tranne qualche colonna, alcuni frammenti architettonici incastrati qua e là nei muri delle modeste case, e resti di cisterne romane, nulla rimane della città antica. L'unico monumento veramente grandioso è la tomba a due piani detta di Mnekrat, scavata nella viva roccia a circa quattro chilometri da el-Merg, simile ad altre che sono a Cirene, la quale deve risalire al sec. VI o V a. C.

Barce moderna. - Nel luogo dell'antica Barce già decaduta al tempo di Edrisi (sec. XII) e da secoli poi scomparsa, in mezzo a una fertile conca verdeggiante a m. 286 d'altitudine, i Turchi eressero verso il 1840 un castello e contemporaneamente sorse una zavia senussita, intorno alla quale si sviluppò un centro abitato di forma regolare, il solo di tutta la Cirenaica interna; esso prese il nome di el-Merg "prateria" e a popolarlo concorsero gl'indigeni di Orfa e di altre tribù, e insieme Ebrei, Turchi e Cretesi. L'occupazione italiana, avvenuta il 20 aprile 1913, gli diede un nuovo incremento, intensificatosi dopo che vi ha fatto capo il tronco della ferrovia in costruzione Bengasi-Cirene-Derna, e che venne iniziata la colonizzazione agricola del suo fertile piano, onde el-Merg divenne il principale centro della Cirenaica interna, con decorose e civili costruzioni. All'abitato di el-Merg è stato con recente provvedimento (1927) restituito l'antico uome di Barce. Conta oggi circa 3680 ab. di cui circa 250 Ebrei e 957 Italiani.

Bibl.: Thrige, Res Cyrenensium, Copenaghen 1828, §§ 35, 35, 44; Barth, Wanderungen, Berlino 1849, p. 406; Sethe, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, col. 19 segg.; Ghislanzoni, in Notiziario Archeologico del Ministero delle Colonie, I, p. 110 segg.; L. Müller, Numismatique de l'ancienne Afrique, I, Copenaghen 1860, nn. 286-331 (pp. 78-88), p. 820; I. B. Head, Hist. Numorum, 2ª ed., Oxford 1921, p. 872; E. Babelon, Traité des monnais grecques et romaines, II, iii, Parigi 1914, nn. 1943-1973 (coll. 1111-1119); E. S. G. Robinson, Catalogue of the Greek Coins of Cyrenaica, Londra 1927, p. clxiv segg.

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