BARLAAM e IOSAFAT

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1992)

BARLAAM e IOSAFAT

M.M. Donato

Personaggi leggendari, inseriti nei sinassari solo a partire dal Duecento, protagonisti di un 'romanzo' assai diffuso nel Medioevo, rielaborazione cristiana della storia di Buddha; i nomi di entrambi derivano da titoli a lui attribuiti: B. da bhagavān, 'il sublime', Iosafat da bodhisat, 'l'illuminato'.La leggenda narra che il principe Iosafat viene cresciuto da suo padre, il re indiano Abenner, all'oscuro di ogni male, nel tentativo di impedire l'avverarsi di una profezia che lo voleva destinato a rinunciare alla vita mondana. Ma invano: grazie agli insegnamenti dell'eremita B., Iosafat si converte al cristianesimo e all'ascetismo. Fondamento della fortuna della storia nell'Oriente cristiano e in Occidente fu la rielaborazione in greco già attribuita a Giovanni Damasceno, ma secondo molti studiosi dovuta a Eutimio il Grande, monaco del monte Athos (955-1028). La 'vulgata' latina del testo greco (sec. 12°) dette luogo a innumerevoli versioni, prosastiche e poetiche, sia in latino, per es. nello Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais (XV, 1-64) e nella Legenda aurea di Jacopo da Varazze (cap. 175), sia nei volgari europei (provenzale, francese, italiano, spagnolo, tedesco, inglese, lingue scandinave). Si ricordano in ambito germanico l'epica di Rudolf von Ems (1225) e, in Francia, l'interpretazione in versi di Gui de Cambrai (fra il 1209 e il 1220); in Italia si diffusero, dal sec. 14°, una Storia conforme alla 'vulgata' e un compendio (Vita), da cui dipende la redazione in versi volgari del senese Neri dei Pagliaresi (m. nel 1406), segretario di s. Caterina (Peri, 1959).La rappresentazione iconica di B. e Iosafat come santi eremiti, nota dal sec. 13° in ambito cristiano orientale, non ebbe fortuna nel Medioevo europeo, dove la loro immagine resta legata ai manoscritti del 'romanzo'; ma la conversione è rappresentata almeno in un codice miscellaneo del sec. 13°, con B., monaco, e Iosafat, re coronato, affrontati e nimbati (Düsseldorf, Landesbibl., B67, c. 41v, proveniente forse dal monastero di Altenberg; Kimpel, 1973, col. 315).Manoscritti illustrati del 'romanzo' nella versione greca sono noti fin dal sec. 11° (Der Nersessian, 1937). Sull'illustrazione delle versioni occidentali manca uno studio sistematico; risale al 1311 un codice del 'romanzo' in latino, proveniente da Brescia (Roma, BAV, Ottob. lat. 269; Einhorn, 1972, p. 413), il cui apparato illustrativo è integralmente replicato in un manoscritto della 'storia' in volgare (Milano, Bibl. Trivulziana, 89; Santoro, 1963); si ricordano inoltre altri due manoscritti vaticani (Ross. 233 e Chigi 2509) e uno della Bibl. Naz. Braidense di Milano (AN. XIV. 21), tutti del 15° secolo.Il solo tema del 'romanzo' che abbia incontrato una fortuna iconografica anche indipendentemente dal testo d'origine è una breve narrazione allegorica, il quarto degli apologhi con cui B. intende mostrare a Iosafat la vanità delle cose mondane: un uomo fugge inseguito da un unicorno (la morte) e cade in una fossa (il mondo); si aggrappa a un arbusto (la vita), ma si accorge che un topo bianco e uno nero (il giorno e la notte) ne rodono le radici; sul fondo della fossa l'uomo scorge un drago (l'inferno), mentre quattro serpi (gli elementi del corpo umano in instabile equilibrio) si agitano sotto di lui. Lungo l'arbusto vede tuttavia scorrere qualche goccia di miele (beni e piaceri mondani); così, fatalmente, dimentica la tremenda situazione. Fin dal sec. 13° l'apologo, estrapolato dal 'romanzo', figura in raccolte di exempla e sermoni a uso dei predicatori, trattati edificanti, compilazioni didascaliche e novellistiche anche in volgare. La figurazione corrispondente, diffusa al di là del 'romanzo' già in ambito bizantino (dal sec. 11° è nota in salteri, dal 14° in pitture murali; Einhorn, 1972, pp. 386-391, 410-413), in Occidente è uno dei più fortunati temi iconografici della vanitas, copiosamente attestato, senza mutar di senso, dal sec. 12° all'età barocca. Frequente nel Medioevo in Francia, Italia, Paesi Bassi e Germania, ricorre nell'illustrazione di libri d'ore (per es. New York, Pierp. Morgan Lib., M. 729, c. 354v, da Amiens, fine del sec. 13°, Pitman, Scattergood, 1977, p. 88ss.; Londra, BL, Stowe 17, c. 84v, forse da Maastricht, 1300 ca., Einhorn, 1972, p. 413) e di opere didascaliche (per es. in due manoscritti fiamminghi fra il sec. 13° e il 14°: Bruxelles, Bibl. Royale, 9416c, c. 19r, e 9229c, c. 52r; Pitman, Scattergood, 1977, pp. 89-90). Le interpretazioni monumentali, per lo più inserite entro cicli allegorico-didascalici di svariata composizione, sono, rispetto alla tradizione bizantina, più frequenti e differenziate nelle tipologie: il tema ricorre, nella plastica a rilievo, in decorazioni di portali (Benedetto Antelami, lunetta del portale meridionale del battistero di Parma; Venezia, S. Marco, cappella di S. Isidoro, sec. 14°; Muñoz, 1909), tombe (Joigny, Saint-Jean, tomba di Adelaide di Champagne, 1260 ca.; Vetter, 1960, fig. 12), pulpiti (Ferrara, Mus. del Duomo, primo Trecento; Einhorn, 1972, p. 413); in pitture murali (Roma, abbazia delle Tre Fontane, fra il sec. 13° e il 14°, Mihályi, 1991; Asciano, presso Siena, casa Corboli, sec. 14°, Donato, 1988; chiesa di Bischoffingen, presso Friburgo in Brisgovia, sec. 14°, Einhorn, 1972, p. 414); in vetrate (Rouen, Saint-Ouen, 1330 ca.; L'Europe gothique, 1968, p. 128, nr. 211).Nell'iconografia (compresa l'illustrazione del 'romanzo') si riscontrano costantemente semplificazioni e/o modifiche rispetto al testo d'origine, in virtù delle notevoli varianti prodottesi nella tradizione testuale autonoma dell'apologo, ma soprattutto dell'aspirazione alla massima chiarezza del messaggio visivo, evidente nell'ampio uso di iscrizioni esplicative. La sequenza narrativa si contrae pertanto in un'unica scena (solo in precoci illustrazioni bizantine la vittima è prima inseguita dall'unicorno, poi assediata dalle bestie). Non è rappresentata, di norma, la fossa; sole eccezioni, nel Medioevo occidentale, il rilievo di Ferrara e l'illustrazione dell'apologo nel codice bresciano del 'romanzo' conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana (c. 35v; Einhorn, 1972, p. 143) e nella replica del manoscritto nella Bibl. Trivulziana. L'arbusto diviene albero frondoso sul quale l'uomo sta in piedi, raramente seduto, disteso solo nel citato rilievo di Venezia. Unicorno e drago tendono a disporsi araldicamente ai lati dell'albero (così nei manoscritti di New York, Londra, Bruxelles, 9416c, e nelle pitture delle Tre Fontane e di Asciano; nella lunetta dell'Antelami manca l'unicorno); la disposizione araldica è normale per i due topi, che, spesso tramutati in imprecisati quadrupedi, sono l'elemento più stabile della tradizione (rinforzato nella lunetta parmense dalle personificazioni del giorno, della notte, del sole e della luna; nei rilievi di Venezia e di Joigny sono presenti solo l'uomo sull'albero e i roditori; alle Tre Fontane la loro assenza pare dovuta all'erosione della pittura). Al posto del miele, difficile da rappresentare, sull'albero compaiono spesso fiori o frutta (così nei codici conservati a New York, Londra, Bruxelles, 9229c e 9416c - in quest'ultimo compare forse un cesto di frutta -, e nelle pitture di Asciano e Bischoffingen); di frutti parlano anche alcune versioni autonome dell'apologo, ma nell'iconografia la loro presenza è probabilmente dovuta al ricordo dell'albero dell'Eden. All'influsso di temi iconografici semanticamente contigui si pensa anche quando la vittima è caratterizzata come potente (re, nei manoscritti di Londra e Bruxelles, 9416c) o gaudente (elegante cacciatore, negli affreschi di Asciano e Bischoffingen), analogamente ai protagonisti di altri temi della morte e della vanitas, o quando compare la Morte in persona, come a Bischoffingen (dove sostituisce il drago, mentre in alto si fronteggiano un angelo e un demonio, sormontati da Cristo).Il crescente distacco dal testo d'origine, palese in quest'ultimo esempio, soprattutto dal sec. 15° aprì la strada a varianti sempre più libere e alla commistione con temi di significato affine: la Scelta fra il bene e il male, la Ruota della fortuna, il Trionfo della morte o l'Incontro dei tre vivi e dei tre morti. Ma già nel Basso Medioevo incroci e sovrapposizioni di temi della vanitas coinvolgono singoli elementi dell'apologo: i due roditori s'infiltrano, per es., nel trecentesco Trionfo della morte dipinto in S. Francesco a Lucignano in Val di Chiana (Donato, 1988); li si ritrova ancora, nella seconda metà del Quattrocento, nel Trionfo del tempo in un pannello da cassone di Jacopo del Sellaio (Fiesole, Mus. Bandini; Panofsky, 1939, p. 107). Testimone della fortuna del 'romanzo' e al tempo stesso del distacco dal testo, senza riconosciute influenze di altri temi, è un tavolino tedesco che mostra B. e Iosafat ai lati di un albero cui è incatenato un leone che tenta di spezzare la catena, rósa anche da un topo (Parigi, Mus. de Cluny, 1400 ca.; Stammler, 1937).

Bibl.:

Fonti. - Giovanni Damasceno, Barlaam et Josaphat, a cura di G.R. Woodward, H. Mattingly, D.M. Lang (Loeb Classical Library, 34), London 1967; id., Vita Sanctorum Barlaam Eremitae et Josaphat Indiae Regis, in PL, LXXIII, coll. 443-606; H. Peri (Pflaum), Der Religionsdisput der Barlaam-Legende, ein Motiv abendländischer Dichtung. Untersuchung, ungedruckte Texte. Bibliographie der Legende (Acta Salmaticensia, Filosofia y Letras, XIV, 3), Salamanca 1959.

Letteratura critica. - A. Muñoz, Studi d'arte medievale, Roma 1909; S. Der Nersessian, L'illustration du Roman de Barlaam et Joasaph, 2 voll., Paris 1937; W. Stammler, s.v. Barlaam und Josaphat, in RDK, I, 1937, coll. 1452-1457; E. Panofsky, Studies in Iconology, New York 1939 (trad. it. Studi di iconologia, Torino 1975); E.M. Vetter, Media Vita, Gesammelte Aufsätze zur Kulturgeschichte Spaniens, s. I, 16, 1960, pp. 189-228; C. Santoro, Le illustrazioni di un codicetto trivulziano, Arte Lombarda 8, 1963, 2, pp. 83-86; K. Wessel, s.v. Barlaam und Joasaph, in RbK, I, 1966, coll. 496-507; L'Europe gothique, XIIe-XIVe siècles, cat., Paris 1968, nr. 211, fig. 71; J.W. Einhorn, Das Einhorn als Sinnzeichen des Todes. Die Parabel vom Mann im Abgrund, FS 6, 1972, pp. 381-417 (con bibl.); S. Kimpel, s.v. Barlaam und Josaphat (Joasaph), in LCI, V, 1973, coll. 313-316; R. Pitman, J. Scattergood, Some Illustrations of the Unicorn Apologue from Barlaam and Ioasaph, Scriptorium 31, 1977, pp. 85-90; M.M. Donato, Un ciclo pittorico ad Asciano (Siena), Palazzo Pubblico, e l'iconografia 'politica' alla fine del Medioevo, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, s. III, 18, 1988, pp. 1105-1271: 1235ss.; M. Mihályi, I Cistercensi a Roma e la decorazione pittorica dell'ala dei monaci nell'abbazia delle Tre Fontane, AM, s. II, 5, 1991, 1, pp. 158-189: 165, 175ss.M.M. Donato

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Scuola normale superiore di pisa

Biblioteca apostolica vaticana

Abbazia delle tre fontane

Vincenzo di beauvais

Jacopo del sellaio