BARNA

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1992)

BARNA.

E. Carli

Pittore senese del 14° secolo. Le più antiche notizie di un pittore "el quale fu chiamato Barna" sono fornite, nel secondo dei suoi Commentari (ca. 1450), da Lorenzo Ghiberti, che lo pone tra i maestri senesi attivi a Firenze e che menziona gli affreschi da lui eseguiti in due cappelle nella chiesa di S. Agostino (od. Santo Spirito) - tra i quali la storia di un giovane condotto al supplizio e confortato da un frate -, "molte istorie del Testamento Vecchio" a San Gimignano e lavori non precisati a Cortona, dicendo che nella pittura fu "peritissimo" e "dottissimo". Tali notizie appaiono in parte riprese dall'Anonimo Magliabechiano (Firenze, Bibl. Naz., fondo Magliabechiano, cl. XVII. 17, ca. 1533-1542; Frey, 1892), che chiama l'artista una volta B. e una volta Berna; gli affreschi ricordati da Ghiberti in S. Agostino a Firenze sono dati come esistenti in S. Agostino a Siena, mentre vengono citati degli affreschi in una non meglio precisata chiesa di S. Nicolò. Vasari, attingendo in parte da Ghiberti e in parte dalla fonte ignota di cui si servì l'Anonimo Magliabechiano, dedica una delle sue Vite a B., chiamandolo "Berna sanese" (tuttavia viene detto fiorentino nella targhetta dell'incorniciatura che, nell'edizione del 1568, doveva contenere il suo ritratto, peraltro mancante, al pari di quelli di Cavallini, di Giovanni da Ponte, di Duccio e di Taddeo di Bartolo). Vasari descrive con "somma lode" la scena del condannato a morte come facente parte di "alcune storiette" affrescate in due cappelle di S. Agostino a Siena e cita "molte [...] cose sparse in più luoghi" a Cortona, tra le quali "la maggior parte delle volte e della facciata della chiesa di S. Margherita" nella stessa Cortona, da dove nel 1369 B. si sarebbe recato ad Arezzo; quivi B. avrebbe dipinto in S. Agostino, nella cappella di S. Jacopo, "alcune storiette" di questo santo. Vasari loda la "molta vivacità" degli "affetti dell'animo" con cui è rappresentata la "storia di Marino Baratiere" liberato da un patto con il diavolo, riferendo erroneamente che Ghiberti aveva detto che lo stesso episodio era stato raffigurato da B. in una cappella intitolata a s. Nicolò in Santo Spirito a Firenze. Ad Arezzo, sempre secondo Vasari, B. avrebbe dipinto la Crocifissione nella cappella di Ciuccio Tarlati in duomo, "molte storie" della Vergine nella cappella Paganelli in S. Maria della Pieve, delle storie del Vecchio Testamento e dei Magi in S. Bartolomeo e "alcune storie" di s. Giovanni Evangelista nella chiesa dello Spirito Santo; a Siena, "molte pitture e piccole e grandi" su tavola; a San Gimignano, infine, "alcune storie del Testamento Nuovo", che furono terminate dal suo "creato" Giovanni da Asciano perché quando erano giunte "assai presso alla fine" B. cadde da un'impalcatura e in due giorni morì. Vasari afferma che "furono l'opera del Berna sanese nel 1381".Delle opere ricordate da Vasari sussistono solo la Crocifissione nella cappella Tarlati ad Arezzo e le Storie del Nuovo Testamento nella collegiata di San Gimignano: ma la prima non è mai stata riconosciuta a B. e ha servito di base alla ricostruzione (Bellosi, 1966; Donati, 1968) della figura di un pittore aretino della prima metà del Trecento, detto il Maestro del Vescovato, mentre le seconde sono tuttora oggetto di un vivace dibattito attributivo che è giunto in questi ultimi tempi a negare la stessa esistenza di Barna. Un solo ricordo documentario resta infatti di lui: nel Libro dei sottoposti alla Mercanzia di Siena, al gennaio-luglio 1340, si trova citato un "Barna Bertini dipentore de populo Santo Pelegrino". Milanesi (1854), che rinvenne il documento, non riteneva sicuro che si trattasse del pittore: ma il dubbio, per altro lieve, dello studioso dipendeva dalla difficoltà di accordare la menzione del 1340 con il testo vasariano, secondo il quale B. morì giovane nel 1381. Ma poiché la critica moderna è ormai concorde nel riconoscere, su basi stilistiche, che gli affreschi di San Gimignano furono eseguiti nella prima metà del secolo - già Berenson (1930) ritenne che il 1381 fosse un errore di stampa per 1351 -, il riferimento del 1340 all'autore di quegli affreschi acquista maggiore probabilità. Bacci (1927), avendo rinvenuto un'iscrizione "Lippo me pinse" graffita nella zona bassa degli affreschi (vi ricorre quattro volte, di cui una con la dizione "Lipo" e una "Lapa") e basandosi sul fatto che né questi né altre opere risultano documentate a B., concluse che un pittore di tal nome non era mai esistito, affermando tuttavia che l'iscrizione non poteva riferirsi né a Lippo Memmi né a Lippo Vanni. La tesi di Bacci venne respinta da Brandi (1928), Cecchi (1928a), Faison (1932) e da tutta la copiosa critica successiva; ma Moran (1976) ha avanzato l'ipotesi che il nome B. si debba a una scorretta trascrizione di Bartolo da parte del copista del manoscritto dei Commentari di Ghiberti nella Bibl. Naz. di Firenze e pertanto che quest'ultimo non abbia errato nell'attribuzione degli affreschi dell'Antico Testamento nella navata sinistra della collegiata di San Gimignano, che sono firmati da Bartolo di Fredi (v.), mentre Vasari, che nella prima edizione delle sue Vite (1550) li aveva assegnati a B., dopo aver visto la loro iscrizione (che riporta con la data 1356, mentre vi si legge 1367), nella seconda edizione (1568) li avrebbe restituiti a Bartolo, assegnando a B. quelli del Nuovo Testamento, che ad avviso di Moran (1976), sarebbero di Federico (Tederico) Memmi, fratello di Lippo e documentato a Siena nel 1343 e 1344 ma di cui non esistono opere, essendo perduto il polittico da lui firmato con Lippo e datato 1347 che si trovava a Carpentras. A Lippo Memmi (v.) gli affreschi sangimignanesi sono stati attribuiti da Caleca (1976; 1977) sul fondamento di una presunta identità di mano con gli scomparti di uno smembrato polittico citato da Vasari con la firma di questo artista nella chiesa pisana di S. Paolo a Ripa d'Arno, da cui proverrebbe un S. Andrea ora a Pisa (Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo) che un inventario del 1796 cita come opera di Lippo dell'anno 1325. Nei più recenti interventi (Simone Martini e 'chompagni', 1985) relativi a una tavola concordemente ritenuta dello stesso autore delle storie sangimignanesi questi viene battezzato con l'appellativo esegetico di 'Compagno di Simone' [Martini].La personalità anagrafica di un B. sembrerebbe dunque del tutto eliminata dalla storia, se non sussistesse una certa difficoltà nel ritenere che essa sia una pura invenzione di Vasari (e di Ghiberti), il quale non ha dedicato alcuna delle sue Vite a un artista che non fosse, o non risultasse poi, documentato. Che il biografo aretino attingesse a una tradizione locale secondo la quale uno dei più illustri pittori senesi sarebbe deceduto cadendo da un'impalcatura mentre attendeva agli affreschi di San Gimignano, e non fosse pertanto un parto della sua fantasia, è dimostrato dall'epitaffio da lui riportato nella prima edizione delle sue Vite, nel quale i sangimignanesi ne lamentavano la scomparsa dovuta a quell'infortunio. L'epitaffio, di incerta epoca, forse trasmesso a Vasari da uno dei suoi corrispondenti, fu omesso nella seconda edizione, probabilmente perché lo storico, recatosi nel frattempo sul posto (dove poté rettificare l'indicazione ghibertiana relativa alle storie dell'Antico Testamento, presente nella prima edizione, in quella del ciclo del Nuovo Testamento), si avvide che non esisteva più. Esso è dedicato a Bernardo Senensi, un nome che non è esattamente quello di B., ma praticamente lo stesso di Berna e in ogni caso altra cosa dal Lippo dei graffiti, che comunque non può essere preso per una firma. D'altra parte i dipinti firmati da Lippo e quelli che a essi più strettamente si avvicinano, pur accomunati da una medesima cultura di impronta martiniana agli affreschi sangimignanesi (ma in questi ultimi con qualche spunto giottesco e richiami iconografici a Duccio, che mancano in Lippo), si caratterizzano per una raffinata e sottile eleganza lineare non esente da preziosi calligrafismi e per una ispirazione intima e aristocratica che li distinguono dalle sobrie e incisive profilature e dal robusto plasticismo con cui sono condotte le storie neotestamentarie, infuse di una prorompente e immediata espressività quasi di sapore popolaresco, spesso di violenta tensione drammatica, senza paragoni nella pittura senese e che corrisponde alla "molta vivacità degli affetti dell'animo" rilevata da Vasari nelle opere di Barna. La loro datazione "nel quarto o al massimo quinto decennio del Trecento" (Carli, 1981 p. 127) troverebbe conferma in un documento (Simone Martini e 'chompagni', 1985) con il quale gli Operai della Pieve nel 1333 chiedevano denari "per fare le pitture e per far mettere in volta la detta Pieve". Assai dibattuto è il problema della collaborazione di Giovanni da Asciano (un pittore cui attendibilmente si attribuiscono alcune frammentarie Storie di Cristo in S. Francesco di Asciano, ma al quale non è detto che si riferiscano due documenti del 1359, forse relativi a un 'maestro della pietra') e di altri probabili aiuti nei diciannove riquadri (uno, con la Crocifissione, grande quattro volte gli altri, due comprendenti un'unica scena, l'Ingresso in Gerusalemme, e quattro frammentari) e nelle sei lunette della parete destra della collegiata sangimignanese; sembra certo che B. abbia ideato l'intero ciclo fornendo lo schema compositivo di ogni storia, a eccezione della parte destra dell'Ingresso in Gerusalemme dovuta interamente a un aiuto influenzato da Bartolo di Fredi, il che rende più credibile l'abbandono dell'impresa da parte di B. dovuto al suo improvviso decesso.Quanto ai dipinti su tavola, moltissimi sono quelli in più tempi e da vari autori attribuiti a B. (o al pittore degli affreschi di San Gimignano), ma su nessuno esiste un accordo completo in tal senso, sì che la ricostruzione della sua attività prima dell'impresa sangimignanese appare oltremodo incerta, anche per la difficoltà di paragonare la tecnica della tempera su tavola con quella più larga e corposa degli affreschi. Comunque, tra le opere su tavola che con maggiore frequenza e attendibilità sono state assegnate a B., possono citarsi la Madonna in trono con il Bambino e un donatore di Asciano (Mus. d'Arte Sacra), forse la più antica (ca. 1320-1325), e il Cristo portacroce di New York (Coll. Frick), prossimo come tempo al ciclo sangimignanese. Da B. vanno in ogni caso distinte varie personalità collaterali - a cominciare da Lippo Memmi, con il quale forse B. collaborò, per es. nel polittico con i quattro santi 'in faldistorio' (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo; Palermo, Coll. Chiaramonte-Bordonaro; Altenburg, Staatl. Lindenau-Mus.; Douai, Mus. de Douai; coll. privata), probabilmente per S. Paolo a Ripa d'Arno di Pisa, e da Giovanni da Asciano - come il Maestro della Madonna Straus alias 'dell'Ashmolean Museum' o supposto Donato Martini, il Maestro della Madonna di Palazzo Venezia, fino all'autore del famoso Trionfo di s. Tommaso in S. Caterina a Pisa, per il quale appare ancora valida (Carli, 1958; Volpe, Lonjon, 1983; Chelazzi Dini, 1988) la paternità del pisano Francesco Traini affermata da Vasari.

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