BARTOLOMEO da Parma

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)

BARTOLOMEO da Parma

Bruno Nardi

Scarseggiano le notizie su questo astrologo e geomante, fiorito a Bologna negli ultimi decenni del sec. XIII, ma le poche che abbiamo sono ricavate dalle sue opere pervenute fino a noi.

La prima è il Liber de occultis della Bibl. Imper. di Vienna, cod. 3124, ffiggrb-iggvb, e porta la data del 1280. Il breve scritto parla del modo con cui l'astrologo deve accogliere chi va a consultarlo. Il titolo di magister dimostra che l'autore dell'opuscolo possiede un titolo per l'esercizio della sua arte.

La seconda opera, un po, più ampia, è il Breviloquium de fructu artis tocius astronomiae, che B. compose a Bologna nel 1286, "ad preces et honorem domini Thedisii de Fusto" (cod. 287 della Bibl. Comunale di Metzl f. 279r; Narducci, p. 17) o "de Fusco" (cod. 2 dell'Hertford College, Aula S. Mariae Magdalenae, di Oxford, f. 92V; Narducci, p. 18), ma sicuramente "de Flisco", per ciò che fra poco diremo. Il trattato, diviso in 22 capitoli, dopo alcuni cenni sulla creazione del cielo, sui dodici segni dello zodiaco e sulle principali costellazioni, ha intenti prettamente astrologici e pratici. Il titolo De fructu artis tocius astronomiae riecheggia il concetto di Tolomeo nel Centiloquium che correva ormai per le mani di tutti ben più dell'Almagesto. Data la qualità del personaggio cui l'opera era diretta, l'autore senti il bisogno, dopo averlo scritto, di sottoporlo al giudizio di "uomini prudenti", cioè competenti in astrologia e in teologia, se mai non fosse incappato in qualche eresia.

Due anni dopo, nel 1288, l'astrologo di Parma compose l'opera sua massima, che nel cod. Digby 134 della Bodleian Library di Oxford (Catal. codd. mss.orum Bibl. Bod1.Pars Nona,Oxomi 1883, Col- 140)e nel cod. 5523 della Bibl. Imper. di Vienna descritto dal Narducci (p. 22) s'intitola Ars geomantiae (anzi nel cod. di Vienna Ars geomantiae nova),scritta a Bologna "ad preces domini Tedisii de Flisco, qui erat tunc ellectus in episcopum civitatis Regii".

Questa notizia è davvero preziosa per molti versi, sebbene non sia facile stabilire con esattezza il rapporto genealogico di parentela di questo Tedisio con Innocenzo IV. là risaputo, specialmente dalla Cronica di fra, Salimbene (ed. F. Bernini, Bari 1942, pp. 84-86),che un Opizone Fieschi dei conti di Lavagna in Liguria era stato vescovo di Parma, ove presto fu raggiunto dal giovane Sinibaldo, il futuro Innocenzo IV, e da altri nipoti. Prima di esser papa, Sinibaldo aveva occupato a Parma la carica di arcidiacono, e a Parma aveva onorevolmente maritate ben tre sorelle, una delle quali a Guarino di casa S. Vitale, che n'ebbe sei figli e una figlia, cresciuti tutti in potere e fortuna col favore dei potente zio: "multum enim dilexit propinquos suos papa Innocentius quartus". Fra questi sei nipoti del papa v'è anche un Tedisio, "grossus et pinguis et fortis", e v'è pure un Opizone, che, dopo essere stato per molti anni vescovo di Tripoli in Siria, diventò vescovo di Parma, ov'era potente e temuto. Ma il Tedisio cui è dedicata la Geomantia di B. era un Fieschi e non un S. Vitale come questi ultimi due. Perciò è da ritenere che Tedisio de' Fieschi cui B. dedica la sua opera sia figlio di quel Mazia de' Fieschi, il quale era nipote di Innocenzo IV (cfr. Les registres d'Innocent IV, a cura di E. Berger, n. 6654,del 25 giugno 1253).Bisnipote d'Innocenzo, il giovane Tedisio era investito di vari benefici ecclesiastici in Francia, in Inghilterra e in Irlanda, scrittore in Curia, suddiacono e cappellano pontificio. Sicuramente egli era destinato a far carriera se il papa non fosse morto troppo presto. invece nel 1286 egli era ancora in Curia cappellano di Onorio IV (cfr. Les registres d'Honorius IV, a cura di M. Pron, n. 671, p. 481,del 12 nov. 1286.Il nome Tedisio èstorpiato in Felisio,ma la qualità di "canonico laudunense" e di "cappellano del papa" toglie ogni dubbio). Il 28 ag. 1283 era venuto a morte Guglielmo da Fogliano, da quarant'anni vescovo di Reggio Emilia, "eo quod esset de parentela pape domni Innocentii quarti"(Salimbene, p. 253),sebbene il cronista parmense ci assicuri (pp. 747 s.)che non era uno stinco di santo. Alla sede vacante di Reggio pare aspirasse appunto Tedisio, che di fatto venne eletto con l'appoggio di una fazione a lui favorevole. Ma un'altra fazione gli oppose Francesco da Fogliano.

È curioso vedere come Tedisio de' Fieschi, appunto nel 1286 e di nuovo nel 1288, mentre la sua elezione al vescovato di Reggio era in contestazione, sentì il bisogno di ricorrere all'astrologo e geomante parmense. E non meno curioso è apprendere da fra, Salimbene (pp. 763 s., 766) che gli ambasciatori reggiani a ParTna, e lo stesso vescovo di Pamia, Opizone di S. Vitale, cugino di Tedisio, avevano preso, nel 1284, a consultare il celebre calzolaio Benvenuto Asdente, tenuto in grande considerazione per le sue facoltà divinatorie nell'interpretare "scripturas illoruni qui de futuris predixerunt, scilicet abbatis Ioachiin, Merlini, Methodii et Sibille, Ysaie, Ieremie, Osee, Danielis et Apocalipsis, necnon et Michaelis Scoti * (ibid., p. 739). E fra, Salúnbene, che conosceva questo suo concittadino, da lui giudicato "purus et simplex ac timens Deum et curialis, id est urbanitatem habens, et illitteratus", informa: "Multa audivi ab eo, que postea evenerunt". Ma Tedisio, piuttosto che da questo indovino illetterato, preferì essere edotto sul corso degli eventi da "un uomo di scienza" che s'era stabilito nella dotta Bologna ed ivi non solo praticava l'astrologia giudiziaria e, al sorgere del giomo, descritte a caso alcune figure sulla sabbia, esplorava in oriente il succedersi delle costellazioni e prediceva la fortuna degli uomini, ma la scienza astrologica e geomantica insegnava agli studenti di medicina, come insieme a lui, o poco dopo, Cecco d'Ascoli, commentando l'Alcabizio.

Ma poco la "dottrina" di B. gli valse: ché poco dopo il 1288 Tedisio, canonico di Laon, e il suo antagonista, il canonico Francesco da Fogliano di Reggio, eran morti entrambi, e papa Niccolò IV, il 22 giugno 1290, nominò a vescovo della città emiliana Guglielmo da Bobbio, francescano, che aveva retto con lode la penitenzieria papale (cfr. Les registres de Nicolas IV, a cura di E. Langlois, nn. 2760-2765).

Tuttavia l'opera geomantica maggiore di B. continuò a godere del favore degli intmdenti, sì che da essa lo stesso maestro B. estrasse il Breviloquium artis geomantiae (Monaco, Staatsbibliothek, Cod.Iat. monac. [=CLMI 489, ff. 61-173), che porta la data di Bologna, ottobre 1294 (sebbene l'amanuense per distrazione abbia scritto 1494), e fu composto "ad preces duorum. suorum amicorum. et discipulorum, Ioliannes et Paulus [sic] Theutonicorum" (Narducci, p. 21, d; Thomdike, II, p. 836, nota 3). Questo Breviloquium, tradotto in italiano, è conservato nel cod. Magliabechiano II, 1, 372 (Narducci, p. 23). Nello stesso CLM 489, ff. 1-60 (Narducci, pp. 20 s., c; Thomdike, II, p. 836, n. 4), è un Prolegus librigeomantiae editi a m.ro Bartholomaeo Parmensi astrologo. [V]erba collecta de libro magno geomantiae, quae introducant novum discipulum... E più oltre: "Hoc quidem opus est Bartholomaei astrologi, Natione Parmensis. Compilatum Anno Domini MCCLXXXXV, mense Novembris".

Perciò il nome di B. restò legato alla Ars geomantiae del 1288, come alla sua opera maggiore. E questa è detta, nel codice 5523 della Bibl. Imper. di Vienna, "ars nova" in quanto B. vuol ricondurla ai principi dell'astrologia giudiziaria che dovrebbero darle valore di "scienza". Per questa ragione nel Breviloquium del 1294 (CLM 489, f. 61, e CLM 196, f. i r) è detto che essa "est practica seu filia astrologiae" e, come tale, "connunieratur ars liberalis inter septem artes liberales" (Narducci, pp. 20 s.). È noto infatti che la geomanzia ha origine da pratiche magiche venute dall'India insieme all'idromanzia, all'aeromanzia e alla piromanzia, "quibus associatur necromantia", come dice Pietro d'Abano nel Lucidator astronomiae (cod. Vat. Pal. lat. 1171, L 321V). Si tratta insomma di arti "mantiche " o divinatorie. E per quanto B. si adopri a richiamare l'arte geomantica sotto i principi dell'astrologia, le predizioni del geomante non sono possibili se non "quadam divina inspiratione" nel segnare a caso punti sulla terra arata, onde comporre le figure da interpretare (cod. 5523 della Bibl. Imper. di Vienna, f. i r; Narducci, p. 22).

Presentando la sua opera come "ars nova", B. si proponeva di sottrarla alla proibizione di cui era stato colpito dal vescovo di Parigi, col celebre decreto del 7 marzo 1277, il Liber geomantiae de artibus divinantibus qui incipit: "Estimaverunt Indi", che più d'un secolo prima era stato tradotto in latino da Gerardo da Cremona (A. Bonilla, Hist. de la filos. espaíìola, Madrid 1908, p. 365; ma cfr. L. Thomdike e P. Kibre, A Catal. of Incipits of Mediaeval Scientific Writings in Latin, Cambridge, Mass., 1937, col. 243). A questo scopo, e a fornire agli studiosi di geomanzia e d'astrologia giudiziaria alcuni elementi indispensabili intomo alla sfera celeste, è da ritenere che B. mirasse scrivendo il Tractatus de sphaera, contenuto nel cod. Sessoriano n. 145 (proveniente dalla Bibl. di S. Croce in Gerusalemme), presso la Bibl. Naz. di Roma, descritto dal Narducci (pp. 7-12) e del quale lo stesso Narducci (pp. 43-173) pubblica la prima e la seconda parte (ff. 47r-83r). L'opera fu compilata a Bologna nel 1297, ma una posteriore nota marginale del codice si riferisce al 1298 e un'altra al 1300.

Senza data sono invece l'Epistola astrologica del cod- 3124 della Bibl. Imper. di Vienna (ff. 199V-2oor), le Significationes naturales planetarum (ibid., ff. 2oor-203v), le Significationes planetarum cum fuerint domini anni mundi (ibid., ff. 204r-205r), e il Tractatus de electionibus (ibid., cod. 5438, ff. 116r-128r). Di uno scritto De iudiciis astrorum, cui è fatto cenno alla fine dell'epistola astrologica, e del Liber consiliorum, dal quale erano state estratte le Significationes naturales astrorum, nessun'altra notizia; ma è evidente che si trattava di opere concernenti l'esercizio da parte di B. dell'arte, che doveva procurargli ben maggiori guadagni che non l'insegnamento teorico di essa.

Ma un'altra opera il Narducci ritenne potesse con qualche probabilità attribuirsi a B., e cioè la cosiddetta Philosophia Boetii che nello stesso cod. Sessoriano 145 J. ir-44r) precede, ma acefala e con qualche altra mutilazione, il Tractatus de sphaera,e si ritrova completa in altri due codici: il Marciano lat.class. X, n. 140, ff. ir-61r (G. ValentineW, Bibliotheca manuscripta ad S. Marci Venetiarum, Codices mss. Latini,t. IV, Venetiis 1871, pp. 90 s.), e il Laurenziano Plut. LXXVII, 2, di ff. 76, con data in margine del 1346 (A. M. Bandini, Catalogus codicum: latinorum Bibl. Mediceae Laurentianae, III, Florentiae 1776, col. 129). A sospettare che la Philos. Boetii potesse essere opera di B., il Narducci fu indotto dal ritrovame alcuni passi nel Tractatus de sphaera.Ora questo prova, sì, che B. la conobbe e ne usò, ma non che ne sia l'autore. Il non essersi adoprato a far luce su questa misteriosa Philos. Boetii tolse al Narducci l'occasione di vederne i rapporti con la Philosophia di Guglielino di Conches, pubblicata ora sotto il nome di Beda, ora sotto quello di Onorio d'Autun, ora sotto quello di Guglielmo abate di Hirschau; cosa che vide invece chiaramente il Duhem (Le système du monde' IV, Paris 1916, pp. 210-222). Ma anche il Duhein aveva finito per accogliere la tesi inverosimile del Narducci, che l'opera fosse uscita dalla penna dell'astrologo autore del ciarlatanesco Tractatus de sphaera.

Vero è che nel 1906 H. Ostler (Die Psychologie des Hugo v. St. Viktor,nei Beitrdge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters, VI, 1, Múnster 1906, pp. 11-13, n.) aveva dato notizia dell'esistenza in due codici monacensi (CLM 23.529, del sec. XIV, ff. 1r-12r, e 18.215, del sec. XV, ff. 161r-igiv, copia fedele del primo) di un Compendium philosophiae attribuito a Ugo da San Vittore. Ma l'Ostler non pensò a confrontarli coi tre mss. della Philosophia Boetii segnalati dal Narducci. Più tardi, intorno alla Pasqua del 1928, il Grabinann scoperse nel cod. N 59 Sup. dell'Ambrosiana un terzo esemplare dello stesso Compendium scoperto dall'Ostler nei due codici monacensi, - e per giunta aveva notato che il codice Ambrosiano è del sec. XII e quindi ben più antico dei codici di Monaco.

Del codice Ambrosiano s'accorse nel 1929 Carmelo Ottaviano, il quale ne preparò l'edizione limitata alle prime due parti dell'opera, confrontate coi codici segnalati dall'Osder (C Ottaviano, Un brano inedito della "Philosophia " di G. di Conches,Napoli 1935); ma èveramente strano che neanche l'Ottaviano sapesse dei tre codici della Philosophia Boetii,e di quanto ne aveva detto il Duhem fin dal 1916. Dello scritto dell'Ottaviano fece uso il Grabmann nelle sue Handschriffi. Forschungen u. Mitteilungen z. Schrìfttum d. Wilhelm von Conches (nei Sitzungsberichte der Bayer. Akademie der Wissenschaften,Philos.-histor. Abteilung, 1935, Heft 10, pp. 8-10, 39-47), ove ricorda la Philosophia Boetii e i tre mss. studiati dal Narducci, ma, dimenticato il Duhem, osava scrivere (p. 42) che soltanto G. Sarton nel 1931 aveva per primo richiamato l'attenzione sulla dipendenza della Philosophia Boetii da Guglielmo di Conches. Quanto alla paternità dell'opera egli parrebbe disposto ad accogliere la congettura del Narducci, già accolta dal Duhem, che ne fosse autore l'astrologo di Parma.

Senonché la Philosophia Boetii, giunta a noi nei tre codici studiati dal Narducci, e il Compendium Philosophiae dei due codici segnalati dall'Ostler e dell'Ambrosiano N 59 Sup. sono certamente la stessa opera con lo stesso incipit, la stessa divisione in sei libri o "particulae", differenti soltanto per alcune trasposizioni, aggiunte ed omissioni; sì che per il loro fondo comune, dal quale si distaccano talune particolarità, la Philosophia Boetii e il Compendium sembrano due redazioni d'una stessa opera formate in tempi e in luoghi diversi. Intanto sappiamo che il codice Ambrosiano del Compendium è dei sec. XII; e dall'explicit dei due codici scoperti dall'Ostler siamo informati che nell'abazia di Nonantola si conservava "idem liber de multum antiqua littera". Prima di affrontare la questione del rapporto in cui queste due opere o redazioni di un'opera unica stanno con la Philosophia e con gli altri scritti di Guglielmo di Conches, bisognerebbe chiarire un po, meglio il n-ùstero della loro ancora oscura origine.

E, per cominciare, è sicuramente falsa la tesi di chi vorrebbe farci credere che la Philosophia Boetii possa essere opera, mettiamo pure giovanile, di Bartolomeo. Per ammetterlo, bisognerebbe credere che egli avesse plagiato il Compendium Philosophiae che il codice Ambrosiano attesta del sec. XII e che l'explicit dei due codici monacensi *informano esistesse nell'abazia di Nonantola "de multurn antiqua littera". P, vero che il Narducci (p. 26;cfr. Grabmann, p. 45) ha osservato che nei codici Marciano e Laurenziano è ricordato il nome di Averroè; ma ciò indica senza dubbio che la Philosophia Boetii non è anteriore, se non forse di qualche anno, al 1230 quando il commento di Averroè cominciò a divulgarsi. Troppo evidente è l'arcaicità della compilazione pseudoboeziana, in confronto alle molte scempiaggini che accade di leggere nel Tractatus de sphaera,scritto da B. alla fine del sec. XIII.

Due esempi di.siffatte scempiaggini riferisce il Duhern (pp. 221 s.; cfr. Narducci, pp. 96, 116 s.), per concludere che B. si rivela, non un astronomo esperto dell'arte, sibbene "un verboso imbecille". Noi possiamo aggiungere amenità come queste che si leggono fin dalle prime pagine del Tractatus,e che paiono fraintendimenti della Philosophia Boetii (cod. Sessoriano 145, f.18rb), la quale nel suo arcaicismo è cosa seria: "Ergo duo sunt poli [dell'asse cosmico], scilicet polus superius et polus inferius. Polus superius vocatur polus antarticus, polus vero inferius dicitur polus articus". E fin qui niente di male; era l'opinione di Aristotele e di Averroè (cfr. B. Nardi, La caduta di Lucifero e l'autenticità della "Quaestio de aqua et terra", Torino-Roma 1959, pp. 8-15),e B. era padronissimo di farla sua. Ma egli continua: "in polo enim. antartico est ursa maior, et in polo artico est ursa minor...", con tutte le altre corbellerie che seguono per varie pagine.

Al principio del Tractatus de sphaera, B. aveva dichiarato che egli si proponeva di dire in esso molte cose intorno alla sfera cosmica "que non dixit Iohannes de sacro bosco in tractatu suo". Certo il trattatello del Sacrobosco è un manualetto elementare per coloro che si accingono a studiare la scienza astronomica con intelletto di matematici. B. invece mostra di non avere alcuna preparazione né attitudine matematica, e copiacchia dalla Philosophia Boetii e dai manuali dell'astronomia greco-arabica, da poco tradotti in latino, frasi e periodi ove si accenna ad importanti dottrine delle quali egli non capisce niente, mentre impolpetta pagine su pagine senza senso comune. L'intento da lui perseguito non è quello dell'astronomo, ma quello dell'astrologo, cioè non quello di risolvere i problemi posti dalle contrastanti apparenze celesti, bensì quello d'"intendere" (proprio così!) le "significationes" delle varie costellazioni e delle "congiunzioni " planetarie, ossia di quelli che Tolomeo nel Centiloquio aveva chiamato / "vultus celestes" in rapporto ai "vultus huius seculi"/.

Tuttavia se, come sospetta il Narducci, il cod. Sessoriano 145 per più indizi si volesse ritenere autografo di B., questi, anziché autore della Philosophia Boetii, potrebbe considerarsi trascrittore di essa e autore di alcune delle glosse da lui inserite ora nel testo ora in margine, le quali non concordano affatto col pensiero di Guglielmo di Conches.

Bibl.: E. Narducci, I primi due libri del "Tractatus sphaerae " di B. da Parma, ecc.,estr. dal Bullett. di bibl. e di storia delle scienze matematiche e fisiche, XVII (genn.-marzo 1884); G. Boffito, Dante e B. da Parma,in Rendic. del R. Ist. lombardo di scienze e lettere, s. 2, XXXV (1902), pp. 733-743; Id., Intorno alla "Quaestio de Aqua et Terra" attr. a Dante, in Memorie d. Accad. d. scienze di Torino, s. 2, LI (1902), pp. 105-107; L. Thomdike, A History of magic and experimental Science, II, New York 1923, pp. 835-838; G. Sarton, Introd. of the history of science, II, Washington 1931, p. 988.

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