SCALA, Bartolomeo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCALA, Bartolomeo

Alison Brown

– Nacque a Onci, vicino Colle Val d’Elsa, il 17 maggio 1430, da Giovanni di Francesco, un mugnaio affittuario originario di Vico di Val d’Elsa. Ebbe almeno quattro fratelli, di uno dei quali, defunto nel 1429, prese il nome (da cui l’appellativo di Vopiscus o Opiscus usato nei primi scritti).

Sarebbe andato a scuola a Colle prima di studiare le arti liberali e legge all’Università di Firenze, dove uno dei suoi insegnanti fu certamente Carlo Marsuppini. Dopo aver ottenuto la qualifica di iurisperitus, passò un anno a Milano, probabilmente come precettore presso la famiglia del conte Filippo Borromeo, dove venne presentato all’umanista Francesco Filelfo grazie a due giovani fiorentini di famiglie eminenti, gli Acciaiuoli e gli Alamanni.

La sua carriera decollò due anni dopo il suo ritorno a Firenze nel 1455. Pur non riuscendo a essere scelto per un impiego che combinasse il lavoro di Cancelleria con l’insegnamento universitario nel 1456, nel 1457 divenne il segretario di Pierfrancesco de’ Medici, nipote di Cosimo, un impiego che gli permise di unire gli affari con gli interessi umanistici. I suoi primi scritti (dopo la sua Oratio de iustitia del 1452) vennero prodotti in questo periodo, vale a dire l’Epistola de sectis philosophorum dell’aprile 1458, dedicata al conte Filippo Borromeo, e Ducenda sit uxor sapienti, scritto nella villa del Trebbio di Pierfrancesco il 29 dicembre (di un anno compreso tra il 1457 e il 1459) e dedicato a Piero de’ Medici. Egli tenne anche delle lezioni private su Virgilio nella casa di Pierfrancesco nel gennaio del 1460, sebbene a partire dal maggio, essendo diventato cancelliere della Parte guelfa nel 1459, gli venisse chiesto di vivere in una casa di sua proprietà, aiutato da un prestito del Monte di 500 fiorini da parte di Cosimo. Continuò a scrivere: nel 1459-60 un’Elegia in lode di papa Pio II e nel 1463 un lungo Dialogus de consolatione sulla morte del secondo figlio di Cosimo, Giovanni, dedicato a suo nipote Lorenzo. Nominato primo cancelliere di Firenze nel 1465, da allora gli affari pubblici dominarono la sua vita fino almeno agli anni Ottanta del secolo.

Come Scala ammetteva liberamente, egli dovette il suo successo ai Medici, specialmente a Cosimo e a suo figlio Piero, a cui (come anche a Lorenzo) aveva diligentemente dedicato i suoi primi scritti e che gli prestarono del denaro e una casa in cui vivere dopo che egli ebbe lasciato la famiglia di Pierfrancesco. Nel 1471, dopo la morte di Piero, gli venne concessa la cittadinanza fiorentina con l’eleggibilità ai pubblici uffici («habilem [...] ad officia prout sunt alii cives»; Archivio di Stato di Firenze, Balia, 31, c. 56v) con l’assegnazione da parte del consiglio dello squittino del 1471-72 di due polizze inserite nelle borse elettorali. Ciò si tradusse nella sua elezione a priore nel 1472 e nel 1486 (due anni dopo essere stato armato cavaliere e che gli era stato attribuito un beneficio dal papa a Roma) a gonfaloniere di Giustizia, l’ufficio più importante di Firenze, che lo rese quindi eleggibile al Consiglio dei settanta, il Senato della città. Pur avendo temporaneamente perso l’ufficio alla caduta dei Medici nel novembre 1494, il suo rapido reincarico (sebbene stavolta come cocancelliere) fu dovuto non solo alle sue capacità, ma anche all’appoggio dei figli di Pierfrancesco, Lorenzo e Giovanni, che rientrarono dall’esilio alla caduta del loro cugino di secondo grado Piero. A Lorenzo di Pierfrancesco Scala dedicò il lungo poema De arboribus, rimasto incompiuto.

Morì a Firenze il 24 luglio 1497.

Gli stenti degli inizi della vita professionale di Scala sono documentati dal primo di due superstiti libri di conti (1459-65), nel quale egli elencò il costo dell’arredamento della sua casa presa in affitto, dei suoi vestiti e della sua biblioteca: costarono più quattro manoscritti che la sua veste nera (lucco) da cancelliere. Un anno dopo il suo matrimonio, nel 1468, con Maddalena, la diciottenne figlia di Giovanni Benci, un agiato mercante fiorentino, perse la casa che Piero gli aveva dato senza chiedere affitto e si ritrovò indebitato, ma grazie a doni e a particolari operazioni commerciali su un terreno poco sfruttato in borgo Pinti, giusto all’interno del perimetro cittadino, nel gennaio 1473 iniziò a trasformare una vecchia casa di campagna in un piccolo palazzo rinascimentale, la cui costruzione è attentamente documentata da un secondo libro di conti (1474-77). Una successiva fase di sviluppo negli anni Ottanta aggiunse un atrio disegnato da Giuliano da Sangallo con un fregio (basato sulle sue, parzialmente autobiografiche, favole) di Bertoldo, lo scultore di Lorenzo de’ Medici.

Nel 1480 Scala acquistò due globi, il Mappamundi e lo Zodiaco, dagli eredi di Donnus Nicolaus Germanus, che adornarono il suo studio e certamente influenzarono il suo dialogo del 1483 De legibus et iudiciis, e verosimilmente anche lo Heptaplus di Giovanni Pico della Mirandola, un ospite del palazzo. Allora egli aveva avuto sei figli, cinque ragazze e finalmente un maschio, Giuliano, e sarebbero stati Giuliano e la quarta figlia, Alessandra, che Angelo Poliziano ammirava, a recitare nei primi anni Novanta l’Elettra di Sofocle in greco con grandi lodi nell’atrio del palazzo di Scala.

Due dei fratelli di Scala e due nipoti andarono a vivere con lui a Firenze alla fine degli anni Cinquanta o agli inizi dei Sessanta, uno dei quali (Andrea) rimase lì, mentre il più vecchio, Tomé, restò a Colle, ma aiutò nella costruzione della casa di Scala in borgo Pinti. Nel settembre 1494, appena prima della rivoluzione in Firenze, il figlio di Tomé, Iacopo, permutò una piccola casa e un pezzo di terra vicino a Firenze per la casa e la terra che Scala aveva acquistato nel 1462 a Colle, dove nel 1466 gli erano stati concessi l’esenzione dalle tasse (in seguito impugnata), così come i pieni diritti di cittadinanza colligiana. Pur non avendovi mai esercitato incarichi politici, come cancelliere di Firenze egli fu in grado di ripagare il suo debito nei confronti della sua città nativa come mezzadro o mediatore tra il centro dominante e le città soggette, alleggerendo le sue tasse e, dopo l’assedio del 1479, ottenendo per la sua lealtà privilegi a Firenze.

Il successo di Scala non fu semplicemente il risultato dell’appoggio dei Medici, ma fu dovuto alle sue capacità pratiche e intellettuali come amministratore e scrittore d’avanguardia. Come cancelliere, Scala introdusse importanti riforme che trasformarono insieme gli scopi e l’organizzazione della Parte guelfa e la Cancelleria. Dall’essere un bastione del ceto cavalleresco, la Parte guelfa divenne un ufficio ben organizzato incaricato della gestione delle proprietà confiscate e (brevemente) anche degli affari marittimi. La Cancelleria divenne politicizzata: i suoi ufficiali non dovevano più avere la qualifica di notai imperiali, ma potevano essere segretari esperti umanisti, che scrivevano lettere in accordo con le formule classiche e deliberavano i mandati degli ambasciatori sotto forma di lettere patenti. Sebbene l’influenza personale di Scala diminuisse per il trasferimento di poteri a magistrature dotate di propri segretari, come i Dieci di guerra durante la guerra dei Pazzi e i nuovi Otto di pratica dopo di questa, egli mantenne il controllo generale della burocrazia statale.

Venne anche chiamato a tenere orazioni in latino in occasioni importanti, ad esempio presso Federico duca di Urbino nel 1472 e papa Innocenzo VIII a Roma nel 1484, e consegnando il bastone del comando ai capitani di Firenze Costanzo Sforza nel 1481 e Niccolò Orsini, conte di Pitigliano, nel 1485. Accolse anche ospiti stranieri a Firenze con discorsi in latino, nel 1479 e nel 1494 gli ambasciatori francesi di Luigi XI e Carlo VIII, e nel 1496 gli ambasciatori tedeschi dell’imperatore Massimiliano. Scrisse due importanti difese di Firenze, stampate entrambe all’epoca, la Excusatio Florentinorum nel 1478 e l’Apologia contra vituperatores civitatis Florentiae nel 1496.

Un altro dei suoi compiti di cancelliere era quello di partecipare alle pratiche segrete dei cittadini e di trascriverle, e dal momento che era una presenza fissa all’interno di governi che cambiavano ogni due mesi, con un’ampia cerchia di contatti, egli era un’inestimabile fonte di informazioni, non solo per i Medici, ma anche per emissari stranieri. L’ambasciatore milanese Sacramoro Sacramori lo descrisse nel 1469 come «savio» e «così utile amicho quanto pochi se possano havere in questa ciptà» (Archivio di Stato di Milano, SPE Firenze, 276, 7 e 12 gennaio 1469). Per questo, venne ricompensato con onori e doni in denaro dal duca di Milano, così come dai Medici e da altri regnanti, e ancora nel 1493 un emissario fiorentino in Francia cercò «informazione dallo Scala» (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, 18, c. 117) riguardante sia la città sia la famiglia Medici. Nonostante i Medici avessero a disposizione una propria segreteria fino dai primi anni Settanta, la continua presenza di Scala nella Cancelleria assicurò il facile accesso dei Medici ai mandati e alle lettere pubbliche che ne scorrevano in entrata e in uscita, mentre anche l’istituzione dei segretari che accompagnavano gli ambasciatori residenti all’estero nel 1487-88 accrebbe l’influenza dei Medici sulle ambasciate straniere. Allo stesso tempo, in ogni caso, questa riforma migliorò il sistema di copiatura e archiviazione della corrispondenza diplomatica, contribuendo con le altre riforme di Scala alla nuova professionalità nella Cancelleria, che sopravvisse alla caduta dei Medici nel 1494.

Come scrittore, Scala fu costantemente innovatore, anticipando nel suo naturalismo e nello scetticismo religioso gli scrittori del XVI secolo. Sebbene i suoi dialoghi filosofici e le favole non venissero stampati in vita (come lo canzonò Poliziano, «multa tu quidem, credo, scripsisti, non multa adeo tamen edidisti», Opera omnia, Lione 1553, p. 131), essi furono letti e citati dai contemporanei come Bartolomeo Fonzio, che incluse nel suo Dizionario passaggi dal Ducenda sit uxor sapienti e dal De legibus et iudiciis dialogus, e da Francesco Gonzaga e Alessandro Farnese (futuro papa Paolo III): il primo apprezzò i Centum apologi per aver unito «dulcia amaris et iocis seria» (Carteggio umanistico, a cura di A. Frugoni, Firenze 1950, p. 30). Gli ultimi due scritti, insieme con i secondi Centum apologi e l’Apologia, del 1496, il poema incompiuto De arboribus e l’Historia Florentinorum, sono i frutti della maturità. Nel complesso, essi presentano un nuovo importante punto di vista sulla legge e sulla moralità in un mondo in cambiamento, influenzato al tempo stesso dallo scaltro pragmatismo degli anni che Scala passò in Cancelleria e dai testi antichi recentemente riscoperti che aveva assorbito da studente.

Tra questi erano gli Academica priora e Posteriora di Cicerone, le Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, la storia universale di Diodoro Siculo tradotta da Poggio Bracciolini e specialmente il De rerum natura di Lucrezio, riscoperto di recente, che esercitò una grande influenza sui primi e gli ultimi scritti di Scala, in particolare sul suo scetticismo circa l’origine divina della legge e sul suo approccio comparato alla religione. L’Oratio de iustitia, del 1452, fu influenzata non soltanto dal De studiis et litteris di Leonardo Bruni, ma anche da Carlo Marsuppini e, attraverso lui, da Gemisto Pletone, una probabile fonte per la invocazione di Scala degli dei del mito, i cui nomi, se interpretati correttamente, rappresentano differenti aspetti della saggezza. Il De sectis philosophorum, del 1458, fu una delle numerose opere sopravvissute su questo argomento, inclusa una di Marsilio Ficino, scritta probabilmente in risposta alle letture di Cristoforo Landino (successore di Marsuppini nello Studio fiorentino come professore di poesia e retorica) sulle Tusculanae di Cicerone. Sia lo scritto di Ficino sia quello di Scala sono innovativi per quanto dicono su Epicuro, e altrettanto innovativo è lo scritto di Scala Ducenda sit uxor sapienti, che segue la Vita di Epicuro di Diogene Laerzio.

L’Elegia in laudem Pii II del 1459-60 e il Dialogo della consolazione del 1463 adottano anch’essi argomenti pro e contra per contrastare il coraggio e la ragione stoici con l’atomismo e il naturalismo epicurei; il Dialogo introduce tre citazioni dirette dal De rerum natura, inclusa una già citata da Ficino nel suo trattato De voluptate del 1457, che insieme sono tra le primissime citazioni dirette da Lucrezio; dal momento che a quel tempo Ficino e Scala erano compagni di studi e intimi di palazzo dei Medici, è probabile che entrambi si siano serviti della copia stessa dei Medici di questo testo appena riscoperto. La Consolazione, inoltre, fa riferimento agli Scritti ermetici che Ficino nel 1462 stava allora traducendo per Cosimo e al De evangelica preparatione di Eusebio. Alla morte di Cosimo nell’agosto 1464, Scala inviò a Lorenzo una raccolta di elogi funebri, le Collectiones Cosmianae, tratta anch’essa dal materiale della biblioteca dei Medici, la cui collezione di manoscritti ebraici, arabi e orientali, così come greci e latini, era abbondantemente cresciuta.

Il ritorno di Scala all’erudizione privata alla fine della guerra dei Pazzi segnò la seconda fase produttiva della sua carriera di scrittore. La prima raccolta di favole, il Centum apologi, dedicata a Lorenzo nel 1481, venne seguita alla fine del decennio da un altro centinaio; un’altra favola, Mundus, fu inviata a Pico della Mirandola dopo la pubblicazione dell’Heptaplus di Pico nel 1489 e altre due a Piero de’ Medici il giorno di Ognissanti del 1492 per commemorare la morte di Lorenzo in aprile. Esse offrirono un genere flessibile, nel quale convogliare commenti concisi e talvolta astrusi sull’esercizio del potere, sulla religione, sulla superstizione, sul fato, sul caso, sull’ambizione, e così via, illustrati anche dai pannelli decorativi nell’atrio della sua casa. Il De legibus et iudiciis dialogus (1483) è una discussione riguardo alla legge tenuta in casa di Scala durante il carnevale con Bernardo Machiavelli (il padre di Niccolò). Esso riflette l’influenza non soltanto di Livio, Erodoto, Diodoro Siculo, Epicuro e del Minosse pseudoplatonico, ma anche delle recenti esplorazioni dentro e intorno all’Africa, che i globi Zodiaco e Mappamundi di Scala avranno proficuamente illustrato.

Sebbene interpretato recentemente come una satira carnevalesca, il suo ragionamento che il controllo flessibile di un uomo o giudice giusto sia migliore delle leggi codificate ebbe a quel tempo una rilevanza pratica, non solo per il governo mediceo, ma anche per il movimento per la riforma della legge. Nel preferire le leggi naturali alle leggi positive, che riteneva avessero l’approvazione divina, Scala fu un precorritore nel ritenere che gli antichi legislatori, incluso Mosè, usassero la religione per costringere all’obbedienza. Il dialogo è attuale anche nel descrivere le usanze di popoli sinora sconosciuti nelle isole scoperte da Giovanni del Portogallo e nel mostrare le differenze fra i turchi musulmani, gli arabi e gli indiani. Tale approccio comparativo anticipò il suo ultimo scritto maggiore dopo l’Historia Florentinorum, che è l’Apologia contra vituperatores civitatis Florentiae del 1496. Dopo aver aperto con un riferimento all’atomismo epicureo per spiegare il ruolo del caso nella vita, essa prosegue con la difesa del governo popolare e il ruolo della religione e della profezia (o premonizione) nella Firenze di Girolamo Savonarola come qualcosa di comune a tutti i popoli, romani, ebrei e perfino barbari. La sua descrizione del nuovo governo nel quale dominano tutti i cittadini come la sola costituzione capace di difendere la libertà e l’interesse comune è stata definita da David Wootton «un momento chiave nella transizione al moderno linguaggio del repubblicanesimo» (Wootton, 2006, pp. 292 s.).

L’Historia Florentinorum rimase incompiuta, così come il lungo poema De arboribus. Secondo Mario Martelli, una prima versione dell’Historia... potrebbe essere stata scritta negli anni 1470-80 (insieme con la prefazione al libro secondo), e una seconda versione negli anni Novanta (Firenze, Biblioteca medicea Laurenziana, Laur. 68, 26, trascrizione di Luca Ficini, che si interrompe a metà del libro quinto, anno 1268). Essa fu altrettanto funzionale che l’Excusatio e l’Apologia nel servire come scritto ufficiale, come le storie patriottiche redatte da Bruni e da Poggio Bracciolini, suoi predecessori alla Cancelleria, laddove il nuovo posto di annalista creato nel 1483 riflette senza dubbio la discussione di Scala (libro terzo, prefazione) del valore degli annali nella scrittura della storia. Le sue fonti includono Plinio, Livio, Seneca, Plutarco e Dionigi di Alicarnasso, così come Bruni e Bracciolini, Giovanni Villani, Matteo Palmieri, Flavio Biondo e Marcantonio Sabellico (Coccio). Nonostante il suo uso retorico delle orazioni (come in Livio) e il suo ricorso ai miti e alle leggende in mancanza di testimonianze sicure, il suo valore come opera storica risiede nell’importanza che attribuisce alla citazione delle fonti, sia documentarie sia archeologiche, forse un altro tratto connesso con la prassi di Cancelleria.

Il poema De arboribus, per converso, fu un lavoro intrapreso per ripagare nella vecchiaia il debito che aveva contratto con il mecenate dei suoi primi scritti: «Ad te principium studiorum et prima iuventa / Haec quoque debentur tibi iam et postrema senectus» (vv. 10-11, al figlio di Pierfrancesco, Lorenzo). Ma nonostante il naturalismo della lunga descrizione delle differenti specie di alberi, influenzata da Plinio, Teofrasto e Palladio, l’opera riflette anche il mondo primordiale di Empedocle e Lucrezio, condividendo il pessimismo di quest’ultimo circa la crudeltà inflitta dalla civilizzazione.

La reputazione di Scala come di un autoproclamato uomo nuovo ebbe a soffrire dagli attacchi dei contemporanei. Un epigrammista anonimo scrisse di lui nel 1472: «Tolluntur in altum ut lapsu graviore ruant», e nelle loro lettere e poesie Luigi Pulci e Poliziano misero in ridicolo la sua pomposità e le sue pretese e la sua «villam urbanam», follemente costruita con denaro pubblico appena all’interno delle mura cittadine («intraque tutum moenibus pomerium [...] villamque dives publico peculio insanus urbanam struit», A. Poliziano, In Bartholomaeum Scalam, in Id., Prose e poesie, a cura di I. Del Lungo, Firenze 1867, p. 273). L’orgogliosa difesa da parte di Scala dei suoi risultati come homo novus nel suo scambio epistolare con Poliziano nel 1494 è ben conosciuta, e nella sua favola Nobilitas (I, 93) egli sostenne come Giovenale (Satirae, VIII, 20, citato nel conferimento della sua cittadinanza nel 1471) che la vera nobiltà consisteva nella virtus, non nel lignaggio. Ciononostante, nel Cinquecento Francesco Guicciardini condannò l’elezione del figlio di un mugnaio al più alto ufficio come un affronto a «tutti gli uomini da bene» (Storia fiorentina, Bari 1931, p. 79), mentre il poeta Altissimo si chiese se la nobiltà di un uomo nuovo come Scala meritasse di essere ereditata dai suoi figli. Di fatto, Scala non dimenticò mai le sue origini e, pur disprezzando la massa (multitudo), nella favola Nobilitas diede voce al timore del popolo di essere escluso in quanto ignobile. Suo figlio Giuliano soffrì sotto il regime repubblicano di Firenze e iniziò ad accedere agli uffici soltanto dopo il 1530, ma lui e suo figlio Giulio non divennero mai uomini di corte del duca. Attraverso il matrimonio con famiglie mercantili come i Villani, e connessi per via matrimoniale ai Cerretani, essi formarono parte di un’élite intellettuale che condivideva l’approccio scettico dello stesso Scala.

Opere a stampa. Excusatio Florentinorum, Firenze 1478; Oratio pro imperatorii militaribus signis dandis Constantio Sfortie Imperatori, Firenze 1481; Oratio ad Innocentium VIII, Roma 1484 (Roma ca. 1490; Firenze e Venezia 1485-1486); Apologia contra vituperatores civitatis Florentiae, Firenze 1496; Oratio [...] Nicolao Orsino, Venezia 1565 (ma attribuita a C. Landino, cfr. Maxson, 2015); Historia Florentinorum, Vita Vitaliani Borrhomaei, a cura di C. Bartolini, Roma 1677; De sectis philosophorum, a cura di L. Stein (ma attribuito a G.B. Buoninsegni), in Archiv für Geschichte der Philosophie, I (1888), pp. 540-551; Oratio facta per messer Bartolomeo Scala [...] 1472, a cura di G. Zannoni, in Rendiconti d. R. Accademia dei Lincei, V (1894), pp. 239-244; Apologi Centum, a cura di C. Müllner, Vienna 1896; Alcune rime di Bartolomeo Scala, a cura di A. Dobelli, in Giornale dantesco, VI (1897), pp. 118-123; B. Scala, De legibus et iudiciis dialogus, a cura di L. Borghi, in La Bibliofilia, XLII (1940), pp. 256-282; Humanistic and political writings, a cura di A. Brown, Tempe (Ariz.) 1997; Apologues (1481, 1488-1492), in Renaissance fables..., a cura e trad. di D. Marsh,Tempe (Ariz.) 2004, pp. 85-271; Essays and dialogues, trad. di E.N. Watkins, introduzione di A. Brown, Cambridge (Mass.) 2008.

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