SOZZINI, Bartolomeo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 93 (2018)

SOZZINI (Socini), Bartolomeo

Paolo Nardi

SOZZINI (Socini), Bartolomeo. – Nacque a Siena, dove fu battezzato il 25 marzo 1436, terzogenito di Mariano e di Nicola Venturi.

Il padre, valente giurista, dopo essersi fatto apprezzare disputando a Ferrara e Firenze, proprio nel 1436 ritornò stabilmente a insegnare nello Studio di Siena come titolare di un corso ordinario di diritto canonico. Mariano gli fece anche da maestro, probabilmente da quando Bartolomeo era fanciullo, come proverebbe una lettera al figlio in tema di regole calligrafiche, tradita da un codice contenente la Pharsalia di Lucano, copiato presso Siena nel 1440 (Siena, Biblioteca comunale, Mss., K.V.8, c. 1r), e poi sicuramente allorché il giovane scolaro intraprese lo studio delle leggi nel patrio ateneo. Qui fu allievo anche dei civilisti Tommaso Docci e Giovanni Battista Caccialupi. Inoltre, sul finire degli anni Cinquanta, Bartolomeo dovette ascoltare le lezioni di altri autorevoli giuristi come Francesco Accolti, che insegnava a Siena, e di Alessandro Tartagni, forse mentre costui teneva i suoi corsi a Ferrara o più probabilmente a Bologna.

Distintosi come studente «doctissimus» e «acutissimus» in diritto sia civile sia canonico, Sozzini, nell’aprile del 1459, era impegnato in dispute accademiche con Caccialupi e nell’agosto dello stesso anno fu condotto alla lettura delle Istituzioni giustinianee nello Studio senese per un biennio, con la retribuzione annua di 25 fiorini. Un anno dopo, nell’estate del 1460, sempre a Siena, si laureò in utroque iure in una cornice di festeggiamenti memorabili, avendo per promotori Battista Bellanti e lo stesso Docci, il quale nel gennaio 1461 lo fece iscrivere alla corporazione cittadina dei giudici e notai.

Dopo il conseguimento del dottorato Sozzini continuò a insegnare diritto civile nello Studio senese ottenendo in breve tempo notevoli aumenti di stipendio: dai 35 fiorini annui nel biennio 1460-62 giunse, infatti, a percepirne cento nel 1465, vale a dire la retribuzione più alta tra i civilisti. Inoltre, alla morte del padre, avvenuta nel 1467, gli subentrò nell’esercizio della professione legale, specialmente come consulente di famiglie senesi appartenenti al mondo degli affari commerciali e finanziari, come gli Spannocchi e i Martinozzi.

La fama di Sozzini si stava diffondendo oltre le mura della sua città e ben presto fu conteso dal duca di Ferrara, Ercole I d’Este, e da Lorenzo de’ Medici. A raccomandarlo al duca, nel settembre del 1472, fu il cardinale Iacopo Ammannati Piccolomini: ma a Ferrara Sozzini insegnò solo per un anno accademico, dal momento che non seppe resistere all’offerta di una condotta quadriennale di diritto canonico nello Studio pisano-fiorentino con il lauto stipendio annuo di 800 fiorini. Nonostante il tentativo compiuto dal governo senese, nel maggio del 1473, di richiamarlo in patria, in attuazione di una norma protezionistica che vietava ai concittadini di insegnare in altri atenei, e nonostante il sequestro delle casse contenenti i suoi libri, ordinato dal duca Ercole e protrattosi almeno sino al settembre dello stesso anno, Sozzini si recò ugualmente a Pisa. Ben presto, tuttavia, mostrò di non gradire l’insegnamento canonistico e di aspirare a una cattedra civilistica, anche a costo di mettersi in concorrenza con autorevoli colleghi, come Pier Filippo della Cornia e Baldo Bartolini, sui quali finì per prevalere costringendoli ad andarsene. Sozzini, infatti, godeva del pieno favore di Lorenzo, che in lui riponeva una fiducia destinata ad accrescersi nel corso degli anni Settanta, durante i quali il giurista senese continuò a insegnare nell’ateneo pisano-fiorentino, anche dopo il trasferimento a Pistoia per la pestilenza scoppiata nel 1478, e sostenne le ragioni del Magnifico nel conflitto che lo oppose a papa Sisto IV subito dopo il fallimento della congiura dei Pazzi.

Sozzini deve essere annoverato tra «i primi dottori d’Italia», per dirla con Francesco Guicciardini, che furono nella circostanza incaricati di dimostrare che l’interdetto lanciato dal pontefice contro Firenze e il suo signore «era nullo e non valeva». Da Pistoia, infatti, nell’agosto del 1478, fece pervenire in gran fretta a Lorenzo, per il tramite di Angelo Poliziano, un parere legale nel quale definiva il signore di Firenze «uomo pio, religioso, giusto e adorno di tutte le virtù» (Daniels, 2013, p. 177).

D’altra parte, i servigi resi ai Medici non giovarono alla sua situazione finanziaria: mentre insegnava a Pistoia egli stesso se ne doleva con il Magnifico, affermando di essere «confinato qua senza uno quattrino» e tale condizione di disagio, non meno della fama che stava acquistando, dà ragione dei tentativi compiuti nel 1479 dai bolognesi e dai padovani di condurlo, gli uni, alla lettura civilistica straordinaria vespertina e gli altri alla cattedra ordinaria serale di diritto civile. Sozzini rifiutò in entrambi i casi, mentre la città di Pistoia, nell’agosto del 1480, concesse a lui e ai suoi discendenti la cittadinanza, l’immunità trentennale dal pagamento delle tasse e l’abilitazione a ricoprire le cariche pubbliche. Nello stesso anno, però, a complicare la situazione intervenne il suo pieno coinvolgimento nelle vicende politiche interne di Siena, allorché il «Monte» o partito dei Nove prevalse su quello dei Riformatori, al quale il giureconsulto apparteneva, e anch’egli, accusato di sedizione, ricevette l’ingiunzione a presentarsi dinanzi alla Balìa, pena la definizione di ribelle e la confisca dei beni. Non solo non obbedì, ma si adoperò per tenere uniti i fuorusciti del suo partito e ai primi di dicembre collaborò alla cattura di alcuni concittadini legati alla fazione avversaria, che avvenne in territorio fiorentino, suscitando la reazione dei capi noveschi presenti in Siena e in particolare di Giacoppo Petrucci, il quale per ritorsione sequestrò in casa propria un fratello e un figlio di Bartolomeo, finché per porre fine alla drammatica vicenda si rese necessario l’intervento del Magnifico in persona.

Al principio degli anni Ottanta la posizione accademica di Sozzini nello Studio pisano-fiorentino stava assumendo grande rilievo. Infatti l’unico docente più pagato di lui, Francesco Accolti, lamentava di non ottenere più il successo di un tempo presso gli studenti; inoltre – dato che il cambiamento di regime politico avvenuto a Siena nel 1482, con il prevalere della fazione cui aderiva Sozzini, indusse le autorità senesi a imporre, sotto la minaccia di sanzioni, la sua presenza in patria come docente con il salario di 400 fiorini all’anno, oltre che nel ruolo di componente della nuova Balìa –, il governo fiorentino affermò con forza di non poter rinunciare all’insegnamento civilistico di Sozzini, pena il depauperamento di un importante settore disciplinare, con grave danno pubblico e disonore per l’ateneo. Il giurista preferì restare a Pisa dove percepiva 900 fiorini, ma dal gennaio del 1483 non poté sottrarsi all’espletamento degli importanti incarichi politici che gli furono affidati dai suoi concittadini: dapprima come emissario della Repubblica senese nelle trattative con Firenze per risolvere la questione dei fuorusciti noveschi asserragliati in Monteriggioni; e poi come capitano del popolo di Siena per il bimestre marzo-aprile dello stesso anno e membro della Balìa nei due bimestri successivi.

In tale periodo Sozzini, dal ruolo eminente che ricopriva, tentò di attuare una politica interna volta a favorire la pacificazione tra le fazioni, ma una sommossa popolare scoppiata il 1° aprile fece precipitare la situazione, provocando la condanna a morte dei noveschi detenuti nelle rocche del contado. In politica estera, invece, ebbe più successo perché riuscì a condurre a buon fine, in giugno, la trattativa con il Magnifico per addivenire alla stipulazione di un trattato di alleanza tra Siena e Firenze che, pur comportando la restituzione ai fiorentini di alcuni castelli, tolse Siena dalla condizione di debolezza nella quale si trovava da tempo, specialmente nei confronti del papato e del Regno di Napoli.

Nella primavera del 1484 si riaccese il conflitto tra le due università toscane anche perché Sozzini, dinanzi alle offerte di generosi compensi da entrambe le parti, assunse un atteggiamento ambiguo e soltanto nel tardo autunno dello stesso anno, allorché apprese che Accolti era stato incaricato di sostituirlo, si decise a fare ritorno a Pisa. In realtà, l’anziano civilista aretino si trovava in cattive condizioni di salute e quando, nel luglio 1485, ottenne il permesso di partirsene, Sozzini fu pronto a succedergli sulla cattedra con lo stipendio portato a 1000 fiorini e senza subire la concorrenza di altri colleghi. Egli però non si mostrava soddisfatto e se, tra l’agosto e l’ottobre del 1485 figurò tra i promotori alle lauree nello Studio senese, nell’inverno del 1486 giocò addirittura su due tavoli, tenendo contatti con le autorità senesi e trattando con quelle fiorentine per ottenere da quest’ultime un cospicuo aumento di 350 fiorini, finché dovette piegarsi alle condizioni poste dal Magnifico e nell’agosto dello stesso anno accettò per 1100 fiorini di tenere il corso ordinario serale di diritto civile.

Il suo rinnovato impegno nell’insegnamento universitario fu favorito dalle condizioni politiche nelle quali versava Siena, dove la sua fazione, tra il 1484 e il 1487, si trovò emarginata rispetto a un gruppo dirigente costituito per lo più da elementi ostili sia ai Nove sia ai Riformatori. Nell’autunno del 1486 numerosi fuorusciti appartenenti a questi ‘monti’ si incontrarono a Pisa e si accordarono per riconquistare il potere giovandosi anche dell’opera di mediazione di Sozzini, che nel luglio 1487 rientrò in città partecipando da protagonista al colpo di Stato ordito da Pandolfo Petrucci e andò a occupare un ruolo di primo piano nel nuovo governo senese, tornando a rivestire la carica di capitano del Popolo nel bimestre novembre-dicembre dello stesso anno.

Nonostante le assenze da Pisa e le ‘appuntature’ nelle quali era incorso, Sozzini veniva considerato il civilista più autorevole dell’ateneo mediceo e altrove, come a Padova, era ritenuto addirittura «el primo et più famoso doctor de tutta Italia» (Bargagli, 2000, p. 153). Nel corso del 1488, per impedire che ricevesse proposte più lusinghiere, gli ufficiali fiorentini dello Studio si adoperarono per farlo restare a Pisa, concedendogli per due anni la lettura ordinaria serale di diritto civile con lo stipendio di 1350 fiorini e l’esenzione dalle ‘appuntature’. Nello stesso tempo, però, fu creata un’alternativa alla posizione egemonica del giurista senese mediante l’ingaggio di Giasone del Maino alla lettura ordinaria di diritto civile mattutina con la medesima retribuzione. Il successo subito ottenuto da Giasone, che riuscì ad attirare alle sue lezioni numerosi studenti, suscitò in Sozzini notevole disappunto, ma contribuì anche a vivacizzare l’ateneo a motivo delle dispute sostenute pubblicamente dai due maestri, ad alcune delle quali furono presenti anche il Magnifico e il Poliziano, tanto che quest’ultimo, poco tempo dopo, definì Sozzini, forse con una venatura di ironia tipicamente umanistica, «Papiniano della sua epoca» (Ascheri, 1998, p. 328).

D’altra parte, il clima di tensione che s’instaurò nell’ambiente accademico pisano, tra gelosie e antagonismi che coinvolsero quasi tutti i giuristi, non era propizio al sereno svolgimento delle attività didattiche e le difficoltà nel rinnovo delle condotte dei più famosi docenti parvero risolversi a fatica soltanto nel tardo autunno del 1489, allorché Maino optò per una cattedra all’Università di Pavia, chiamatovi da Ludovico il Moro. Sozzini, però, sebbene gli fosse stata offerta la considerevole somma di 1500 fiorini, non si decideva ad accettare il nuovo contratto, perché intanto si era impegnato con il governo veneziano a trasferirsi all’Università di Padova e di questa sua scelta erano al corrente i funzionari dello Studio mediceo, i quali in dicembre, mentre egli percorreva la strada tra Lucca e Firenze, persuasi che volesse recarsi a Padova, lo fecero arrestare dal podestà di Pisa e tradurre nel carcere fiorentino delle Stinche.

Dalla prigione, dove fu richiuso con l’accusa di avere tentato più volte di «mettere in confusione» lo Studio, Sozzini scrisse una memoria difensiva, l’11 gennaio 1490, nella quale dichiarò che era sua intenzione continuare l’insegnamento a Pisa, tanto da avere preso in affitto un’abitazione in quella città, ma che nel frattempo aveva sperato invano di essere «comandato» dal Magnifico «di non potere uscire di Toschana per uno anno» (Verde, 1985, IV, II, p. 881), sì da restare sciolto da qualsiasi impegno verso il governo veneziano, e che di conseguenza aveva deciso di recarsi a Bologna per attendere colà la conferma ufficiale del comando, oppure ritenersi libero di andare a Padova. Solo per interessamento del pontefice Innocenzo VIII e soprattutto del Magnifico, Sozzini poté uscire dal carcere l’8 marzo 1490, non senza l’intervento di un gruppo di fideiussori, soprattutto senesi, i quali garantirono per 15.000 fiorini che il loro concittadino non sarebbe uscito dai domini fiorentini per almeno tre anni.

La drammatica vicenda della prigionia, seppure di breve durata, gettò un’ombra sui rapporti tra Sozzini e i funzionari dello Studio mediceo, anche se nel novembre del 1490 egli ottenne una condotta triennale di diritto civile con lo stipendio di 1025 fiorini all’anno. La morte del Magnifico, sopraggiunta nell’aprile del 1492, indebolì ulteriormente tali rapporti e già nell’estate dello stesso anno Sozzini tentò di farsi chiamare a Pavia, ottenendo da Ludovico il Moro la promessa di una retribuzione senza pari in quell’ateneo; ma nello stesso tempo il signore di Milano si dichiarò piuttosto scettico circa l’eventualità che il giureconsulto senese riuscisse a liberarsi dagli impegni assunti con i fiorentini. Inoltre in autunno, a seguito dell’elezione di Alessandro VI, sembrò che Sozzini, avendo ricevuto dal nuovo papa un «certo officio» (Verde, 1985, IV, 3, p. 1064), si dovesse trasferire a Roma, ma egli nonostante le buone relazioni instaurate con l’ambiente curiale, restò a Pisa ancora per un anno, allorché nell’ottobre del 1493 stipulò un nuovo contratto con il medesimo stipendio, avendo a lezione un considerevole numero di scolari. Fu quella l’ultima condotta nello Studio mediceo: la fine della politica dell’equilibrio tra i potentati italiani attuata dal Magnifico riaccese i contrasti entro e fuori le principali città d’Italia, incoraggiando le mire espansionistiche di Francia e Spagna.

Anche Sozzini, al quale Pandolfo Petrucci e il partito novesco riconoscevano una certa abilità, venne nuovamente coinvolto nelle vicende della politica senese, soprattutto con l’elezione a capitano del Popolo per il bimestre maggio-giugno, e successivamente nella gestione delle relazioni diplomatiche della Repubblica di Siena con Milano e Firenze, durante la discesa in Italia di Carlo VIII. L’anno seguente Sozzini svolse ancora un ruolo da protagonista, dapprima facendo parte della delegazione di concittadini che il 16 giugno 1495 stipulò il trattato di alleanza mediante il quale il re di Francia prese Siena sotto la sua protezione e poi, in settembre, partecipando come plenipotenziario alle trattative per la formazione di una lega con il papa, Milano, Venezia e la Spagna.

Nello stesso tempo gli Ufficiali fiorentini, a seguito della ribellione di Pisa, avevano deciso di trasferire l’Università a Prato e questa fu probabilmente una delle cause che indussero Sozzini a lasciare per sempre lo Studio nel quale aveva insegnato per oltre un ventennio, mentre un’altra motivazione si deve ricercare nell’esito positivo della trattativa che egli condusse con i Sedici riformatori dello Studio di Bologna, iniziata nel marzo 1495 e conclusasi in autunno con l’attribuzione di un corso civilistico da tenere nell’anno accademico 1495-96. Sozzini, però, non fu in grado di raggiungere subito la nuova prestigiosa sede, essendo impegnato in un’intensa attività diplomatica per conto del governo senese, che lo costrinse a dimorare a Milano, tra il gennaio e il settembre del 1496, allo scopo di favorire un accordo tra lo Sforza, Genova, Pisa e Siena in funzione antifiorentina. È probabile che risiedesse così a lungo a Milano anche per esercitare l’ufficio di consigliere di giustizia, incarico che gli era stato affidato dal duca Ludovico nel marzo dell’anno precedente. In agosto, tuttavia, le autorità bolognesi, pur esprimendo disappunto per il mancato assolvimento da parte di Sozzini dei suoi doveri accademici con grave danno per il loro ateneo, scrissero al giurista senese affermando di comprendere le ragioni che avevano reso impossibile la sua presenza e lo condussero a leggere diritto civile negli anni accademici 1496-97 e 1497-98, con il risultato di veder crescere considerevolmente il numero degli studenti.

D’altra parte, nella primavera del 1498, il governo veneziano gli offrì condizioni particolarmente favorevoli e, pur di condurlo a un prestigioso insegnamento civilistico nello Studio di Padova, non esitò a corrispondergli 1200 ducati di stipendio, oltre al privilegio di leggere senza concorrenza, suscitando la reazione sdegnata di Giovanni Campeggi che, essendo stato sino a quel momento il professore di diritto civile più autorevole, protestò presso il doge. Dal settembre dello stesso anno, dunque, Sozzini insegnò a Padova, dove si trattenne negli anni accademici 1498-99 e 1499-1500, ma nello stesso tempo, a seguito della cacciata di Ludovico il Moro, fu ancora una volta incaricato di svolgere missioni diplomatiche per conto della Repubblica di Siena e pur manifestando alla Balìa la sua contrarietà a interrompere l’attività didattica «essendo pagato per ciò» (Bargagli, 2000, p. 196), nei mesi tra l’ottobre del 1499 e l’aprile del 1500 dovette recarsi a Roma e più di una volta a Venezia.

I contrasti con Campeggi e il fatto che il Senato veneto restituisse al rivale il primato tra i giuristi furono tra le ragioni che indussero Sozzini a lasciare Padova e ad accettare la nuova chiamata a una cattedra civilistica nell’Alma mater studiorum, deliberata all’unanimità dai Sedici riformatori il 12 settembre 1500. Pertanto egli fu ancora professore a Bologna, ma solo durante la prima metà del successivo anno accademico, perché nella primavera del 1501 fece ritorno in patria, dove in giugno e agosto fu promotore ad alcune lauree conferite dallo Studio senese, esercitò la professione legale, assistette come garante e testimone all’atto di pacificazione tra le famiglie Petrucci e Borghesi e patì la prematura scomparsa del figlio Girolamo, nono dei dieci avuti da Ludovica di Francesco Orlandini, che aveva sposato nel 1455.

I legami di Sozzini con la sua città si stavano rinsaldando e dopo una trasferta romana che ebbe luogo tra il febbraio e il marzo del 1502, forse per esercitare le funzioni di avvocato concistoriale, nell’autunno dello stesso anno egli dimorava di nuovo in patria. Ai primi del 1504, però, giaceva ammalato a Bologna, dove non risulta che insegnasse, e Pandolfo Petrucci, dichiarando di essere a lui legato da un rapporto filiale, chiedeva alle autorità fiorentine di lasciarlo transitare dal loro territorio per consentirgli di farsi curare a Siena. Eletto capitano del Popolo per il bimestre giugno-luglio dello stesso anno, esercitò le sue funzioni solo nella seconda metà del mandato, né tornò a insegnare nel patrio ateneo, dove nel gennaio del 1505 fu promotore alla laurea del nipote Mariano, figlio del fratello Alessandro.

Dopo avere sofferto la perdita di tutti i figli maschi, il 9 luglio 1506 Sozzini fece testamento in Siena nel palazzo di famiglia e poco prima del 19 settembre morì nella villa di Scopeto. Nel rispetto delle sue ultime volontà venne sepolto, con funerali a spese del Comune, sul colle della Capriola presso Siena, dimora prediletta di s. Bernardino degli Albizzeschi.

L’attività didattica svolta da Sozzini per l’arco di circa quarant’anni tra Siena, Pisa, Bologna e Padova produsse alcune letture e numerose repetitiones su titoli o singole leges prevalentemente del Digestum novum e dell’Infortiatum, concernenti materie utili per la formazione non solo dei futuri docenti, ma anche di giudici, avvocati e funzionari. A tal fine il civilista senese affrontò argomenti e questioni di rilevanza essenzialmente pratica, mirando non tanto a «fornire il quadro completo delle teorie» relative a un determinato istituto, quanto a ricercare le soluzioni più conformi alla «verità» oggettiva e «dimostrarne la validità e l’inattaccabilità» (Bargagli, 2000, p. 226) sul piano della logica giuridica. Tenuto conto di queste esigenze e della costante applicazione degli strumenti dialettici offerti dal metodo dei commentatori nonché delle frequenti citazioni di opere dei principali maestri del diritto comune, anche gli interessi filologici manifestati da Sozzini nel rapporto privilegiato che mantenne con il Poliziano appaiono finalizzati all’interpretazione corretta del testo legale per scopi pratici, piuttosto che alla ricostruzione storica della normativa contenuta nelle fonti giustinianee secondo la nascente metodologia umanistica. Del resto anche la produzione di consilia e allegationes non si allontana dai criteri e dalle regole che si osservavano nel redigere pareri e consulenze, poiché Sozzini era persuaso che le teorie professate nelle scuole, per quanto originali e innovatrici, non dovessero essere recepite nell’esercizio dell’attività professionale, mentre riteneva assai più proficuo e conveniente il ricorso alle opinioni condivise da autorevoli giureconsulti.

Le opere esegetiche di Sozzini sono pervenute in modo assai frammentario attraverso pochi manoscritti, come il Vat. lat. 5922 della Biblioteca apostolica Vaticana e il Magl. XXIX.127 della Biblioteca nazionale di Firenze, ma presumibilmente in modo completo tramite le edizioni a stampa licenziate dallo stesso autore e realizzate dai principali tipografi attivi a Milano, Bologna, Venezia e Pisa durante gli ultimi due decenni del XV secolo. Molti consilia si trovano sparsi nelle fonti manoscritte e solo agli inizi del XVI secolo furono stampati due volumi, il primo dei quali contenente anche consilia del padre Mariano, mentre il terzo e il quarto furono pubblicati tra il 1506 e il 1518; il quinto, contenente solo quattro pareri di Bartolomeo, vide la luce addirittura nel 1594.

Fonti e Bibl.: Siena, Biblioteca comunale, Mss., K.V.8, c. 1r; A.F. Verde, Lo Studio fiorentino, 1473-1503. Ricerche e documenti, IV, 1-3, Firenze 1985, passim; M. Ascheri, Poliziano filologo del diritto..., in Agnolo Poliziano poeta scrittore filologo. Atti del Convegno..., Montepulciano 1994, a cura di V. Fera - M. Martelli, Firenze 1998, p. 328; R. Bargagli, B. S. giurista e politico (1436-1506), Milano 2000; T. Ferreri, Per la storia dello Studio di Siena. Documenti dal 1476 al 1500, Milano 2012, pp. 78, n. 174, 82 s., nn. 186-188, 85, n. 193, 99, n. 227, 228, n. 448; G. Murano, B. S. (1436-1506), in Autographa, I, 1, Giuristi, giudici e notai (sec. XII-XVI med.), a cura di G. Murano, Bologna 2012, pp. 264-272; T. Daniels, La congiura dei Pazzi: i documenti del conflitto fra Lorenzo de’ Medici e Sisto IV. Le bolle di scomunica, la “Florentina Synodus” e la “Dissentio” insorta tra la Santità del Papa e i Fiorentini. Edizione critica e commento, Firenze 2013, pp. 27, 29, 37, 42, 62, 96, 114, 121, 143, 146, 155-159, 177, 178; P. Nardi, Socini (Sozzini, Soccini), Bartolomeo, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, Bologna 2013, pp. 1877-1879.

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