BASSACIO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)

BASSACIO

Alessandro Pratesi

Monaco cassinese di origine franca, è ricordato nell'aprile 834 e nel marzo 835 in due precetti di Sicardo, principe di Benevento, in favore del monastero beneventano di S. Sofia, allora obbedienza di Montecassino, il cui preposito, indicato dalla corrotta tradizione come "Bassari", è sicuramente da identificare con Bassacio. Nell'837 secondo la cronologia cassinese, ma più probabilmente nell'838, B. successe ad Autperto nel governo abbaziale di. Montecassino (il Gattola, sulla base dei cronisti locali, ascrive la morte di Autperto al 20febbr. 837, ma un precetto di Sicardo del giugno di quello stesso anno lo menziona ancora come abate).

Vicende sanguinose caratterizzano la storia di Benevento degli anni immediatamente successivi: nell'839 il principe Sicardo venne assassinato e il suo tesoriere Radelchi, impossessatosi del potere, gli successe sul trono. Ma i fautori dell'ucciso, meditando la riscossa, contrapposero all'usurpatore il fratello esiliato di Sicardo, Siconolfo: la guerra divampò allora tra i due e le loro fazioni senza esclusione di colpi e l'abbazia cassinese ebbe ad attraversare momenti di gravi difficoltà. Mentre Radelchi, che conservava il dominio di Benevento, si serviva di bande saracene per devastare le località controllate dal rivale e per saccheggiare numerose dipendenze dell'abbazia di Montecassino, Siconolfo, con l'appoggio di Landone, conte di Capua, si giovava delle basi di Salerno e di Capua e, assoldati mercenari musulmani, alimentava la guerra finanziando le milizie con preziosi sottratti a Montecassino.

Le fonti monastiche parlano a questo proposito di vere e proprie ruberie, ma il testo di Leone Marsicano lascia intendere che, su sette prelievi effettuati da Siconolfo tra l'843 e l'844, soltanto per il quarto ci fu ricorso alla violenza: in generale dovette trattarsi di prestiti forzosi ai quali B., rimasta l'abbazia fuori dell'orbita beneventana e costretta a orientarsi verso Capua e Salerno, non poté negare il suo consenso; d'altronde, se è vero che i paramenti gemmati, i vasi preziosi, le suppellettili d'oro e d'argento non tornarono mai più nel tesoro di S. Benedetto, è anche vero che Siconolfo di volta in volta cedette in compenso beni immobili o promise denaro a scadenza, facendosi talora garantire da personaggi della sua corte.

Nell'844 Siconolfo pensò di rivolgersi per aiuto a Guido, duca di Spoleto: alle spese di viaggio, compiuto insieme con il cognato Maione, provvide facendosi prestare da B. 2.000 soldi.

Guido consigliò a Siconolfo di rivolgersi a Ludovico, figlio dell'imperatore Lotario I, che era stato incoronato re d'Italia in quello stesso anno (15 giugno) e che si trovava ancora a Roma: per andare da lui il principe ebbe bisogno di altro denaro e prese dal tesoro dell'abbazia di Montecassino la corona donata da suo padre Sicone. Nonostante l'atto di omaggio prestato a Ludovico e l'impegno a pagargli un tributo di mille pezzi d'oro, il principe non ottenne però dal re altro che promesse. Intanto i Saraceni nell'846 attaccarono il centro stesso della cristianità e, reduci dal saccheggio di Roma, incendiarono S. Andrea, S. Stefano, S. Giorgio, tutte obbedienze cassinesi, minacciando anche direttamente S. Salvatore, mentre i monaci si rifugiavano in S. Benedetto; l'anno successivo devastarono S. Maria in Cingla e portarono di nuovo la loro minaccia su Montecassino: sebbene il rispetto per il luogo sacro avesse avuto allora il sopravvento, inducendo il capo delle bande musulmane, Masar, a chiudere le porte del monastero per impedirne l'invasione da parte dei suoi uomini, B. comprese che ormai era il caso di intervenire nelle vicende politiche con decisione maggiore, se voleva evitare all'abbazia minacce future e più gravi. Sicché, quando Salernitani e Capuani, in seguito agli avvenimenti più recenti, decisero d'inviare una ambasceria all'imperatore Lotario I per impetrarne l'intervento nelle cose dell'Italia meridionale, B., se pure non fece anch'egli parte della delegazione insieme con Ademario e col conte Landone di Capua, si adoperò tuttavia per la buona riuscita delle trattative da loro avviate.

Fu così che, dopo un abboccamento col giovine re d'Italia, Lotario I decise una spedizione contro i musulmani di Benevento: l'avrebbe guidata lo stesso Ludovico II, che avrebbe avuto ai suoi ordini l'esercito italico rinforzato da contingenti franchi, burgundi e provenzali; luogo di raccolta del corpo di spedizione, la capitale del Regno, Pavia, da cui ci si sarebbe dovuti muovere il 25 genn. 848 per marciare su Benevento. Contemporaneamente una squadra navale, fornita dai Veneziani e dalle città costiere di dominio pontificio, avrebbe dovuto partire da Venezia e da Ravenna per ricongiungersi col grosso dell'esercito nei pressi di Larino (primavera-estate 847; cfr. Capitulare de expeditione contra Sarracenos facienda, VIIII e XII). Ma, poiché la spedizione era diretta a liberare tutta l'Italia meridionale dal pericolo arabo, Lotario I si era voluto anche assicurare la cessazione delle lotte intestine fra i due principi longobardi, lotte nel corso delle quali i due avversari avevano fatto appello a mercenari musulmani, provocandone l'intervento: il vescovo Pietro d'Arezzo e Guido di Spoleto ricevettero dall'imperatore l'incarico di recarsi dal principe di Benevento per ottenere da lui, tramite i buoni uffici del duca Sergio II di Napoli, la conclusione di un formale trattato di pace con Siconolfo (Capitulare..., XI e XII).La spedizione, che si fece realmente nella primavera del seguente anno 848, si concluse con un duplice successo: battuti ripetutamente i musulmani, Ludovico II entrava in Benevento e faceva passare per le armi il reparto arabo che la presidiava (12 maggio 848); quindi, grazie all'opera dei messi imperiali e all'intervento di Sergio II di Napoli, Siconolfo e Radelchi si indussero a firmare, alla presenza dello stesso re d'Italia, Ludovico II, un formale trattato di pace e di non aggressione che sanzionava definitivamente la divisione del territorio dell'antico principato di Benevento nei due principati minori di Salerno e di Benevento. Parte di grande rilievo dovette avere l'abate di Montecassino nei negoziati che portarono a quest'accordo, se con esso, là dove si stabilivano le norme che avrebbero regolato le terre e le proprietà ecclesiastiche, solo alle abbazie di Montecassino e di S. Vincenzo al Volturno venivano riconosciute e la defensio imperiale e l'esenzione totale da ogni tributo.

Questo privilegio conferì ai due monasteri una posizione di tale preminenza nell'Italia meridionale, che vennero riguardati non soltanto come un efficace fattore di equilibrio nelle contese locali ma anche, e soprattutto, come un sicuro baluardo contro le incursioni arabe. Ai due monasteri si fece infatti ricorso allorché, intorno all'851, i musulmani di Bari cominciarono a devastare l'Apulia e la Calabria, spingendosi con le loro scorrerie sino alle terre di Benevento e di Salerno. B. e l'abate di S. Vincenzo al Volturno, Giacomo, furono allora inviati presso l'imperatore Lotario I dalle popolazioni di Capua con l'incarico di promettere al sovrano una sottomissione piena ed incondizionata, a patto che un corpo di spedizione franco venisse inviato nell'Italia meridionale per cacciarne, una volta per tutte, gli Arabi. L'imperatore rispose all'appello e, nell'852, un grosso corpo di spedizione franco, sotto il comando del re Ludovico II, si diresse contro Bari: un contingente arabo, che aveva tentato di arrestarne la marcia, fu disfatto ed il re pose l'assedio alla città.

La campagna dell'852, tuttavia, non ebbe quel successo che i due abati e coloro che avevano sollecitato la loro missione si attendevano: non riuscendo a vibrare il colpo definitivo contro gli Arabi per i sospetti, l'ostruzionismo e la mancata collaborazione delle città alleate nel sud Italia e della stessa Capua, Ludovico II si vide costretto, suo malgrado, ad accontentarsi dei successi parziali ottenuti, e si ritirò, dopo aver regolato la. successione del principato di Salemo, soddisfacendo le mire del reggente Pietro contro i diritti del piccolo Sicone, figlio di Sidonolfo.

B. attese però anche a consolidare i possessi dell'abbazia e numerose donazioni sono documentate per il periodo del suo governo; tra l'altro, nel febbraio dell'852 egli ottenne in cessione da Gontario abate di S. Modesto di Benevento gli immobili nel territorio di Canosa che, già ceduti per convenientiam dal suo predecessore Autperto al principe Sicardo, erano stati donati da questo alla consorte Adelchisa, la quale, nel lasciare morendo le sue sostanze a S. Modesto, non aveva dato per tali beni particolari disposizioni. Si occupò altresì di restauri degli edifici monastici e fece rinnovare tutti gli altari della chiesa di S. Salvatore.

Nulla si sa delle relazioni tra Montecassino e la Santa Sede durante il periodo in cui B. fu sulla cattedra abbaziale: due privilegi a lui indirizzati e attribuiti a Niccolò I sono certamente spuri.

Pietro Diacono presenta B. come studioso di Sacra Scrittura e di teologia dogmatica e autore di alcuni trattati: ma nulla si conserva dei suoi scritti.

Morì il 17 marzo 856 (la cronologia del Traube, che lo fa sparire dalla scena politica già nell'848, è certamente errata), lasciando indicata al suo discepolo e successore Bertario la via di una politica attiva in senso filoimperiale e di un sempre più netto orientamento verso Capua. Il suo corpo venne sepolto nell'area capitolare del monastero di S. Benedetto.

Fonti e Bibl.: Petri Diaconi De viris illustribus Casinensibus, a cura di I. A. Fabricius, in Bibliotheca ecclesiastica..., Hamburgi 1718, p. 170; Leonis Marsicani Chronica monasterii Casinensis, a cura di W. Wattenbach, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, VII, Hannoverae 1846, pp. 596-602; Radelgisi et Siginulfi divisio ducatus Beneventani, ibid., Leges, IV, Hannoverae 1868, pp. 221-225; W. Lippert, Das Capitulare des Kaisers Lothar L vom Jahre 846, in Neues Archiv..., XII (1887), pp. 531-543; Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rer. Langobardic. et Italic., Hannoverae 1878, p. 242; Anonymi Chronica Sancti Benedicti Casinensis, a cura di G. Waitz, ibid., pp. 471, 472-474; Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, I, a cura di V. Federici, Roma 1925, in Fonti per la storia d'Italia, LVIII, pp. 305 s., 328, 355 s.; F. Bartoloni, Le più antiche carte dell'abbazia di S. Modesto in Benevento, Roma 1950, pp. 5-7; E. Gattola, Ristoria abbatiae Cassinensis..., I, Venetiis 1733, pp. 59, 65 s., 69; Id., Ad historiam abbatiae Cassinensis accessiones, I, Venetiis 1734, pp. 36 s.; L. Tosti, Storia della badia di Montecassino, I, Napoli 1842, pp. 44-47; R. Poupardin, La date du "Capitolare Hlotharii de expeditione contra Sarracenos facienda", in Etudes sur l'histoire des principautés lombardes, in Moyen Age, s. 2, XI janvier-février 1906, pp. 80-83 dell'estr.; Id., Louis le Pieux et Lothaire..., ibid., pp. 58-79; Id., Les institutions politiques et administratives des principautés lombardes de l'Italie méridionale, Paris 1907, pp. 77 s., nn. 29 e 31; G. Falco, Lineamenti di storia cassinese nei secc. VIII e IX, in Casinensia, Montecassino 1929, pp. 510, 512-517; P. F. Kehr, Italia pontificia, VIII, Berolini 1935, p. 125, nn. 33 s. Per la cronologia ricostruita dal Traube, cfr. l'introd. ai Bertharii carmina a cura di L. Traube, in Mon. Germ. Hist., Poetae latini aevi carolini, III, Berolini 1896, pp. 394 ss.

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