LOMELLINI, Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LOMELLINI, Battista

Riccardo Musso

Nato a Genova intorno al 1350, era il secondogenito di Napoleone e di Teodora Di Negro, figlia del giureconsulto Giorgio.

Appartenente a una famiglia da tempo dedita alla mercatura e all'attività finanziaria, egli fece il suo apprendistato - come i suoi numerosi fratelli - nel banco dei Lomellini a Genova, ma anche all'estero, probabilmente nelle Fiandre e in Inghilterra. Dei figli di Napoleone, il L. fu, con il fratello minore Nicolò, quello che maggiormente si impegnò a proseguire l'attività bancaria di famiglia che il padre aveva portato a notevole prosperità.

Già nel 1376 il L. figurava tra i maggiori banchieri genovesi, titolare di un banco proprio; al tempo stesso, però, continuò a interessarsi di commerci su grande scala, in società con quel gruppo di antiche famiglie guelfe (Lercari, Leccavela, Di Negro, Malocelli, Camilla) che con i Lomellini condividevano stretti rapporti di parentela e di vicinato, essendo tutte residenti nell'area di Banchi. Il L., qualificato come bancherius in una serie di documenti notarili, risulta attivo, tra il 1385 e il 1393, soprattutto sulle piazze inglesi (Southampton, Sandwich) e fiamminghe (L'Écluse, Bruges), dove importava guado dalla Toscana e allume da Focea, e da dove esportava grandi quantitativi di panno, destinato non solo a Genova, ma anche a Siviglia, alla Sicilia e ai mercati levantini. La grande disponibilità di denaro contante e il credito goduto sulle principali piazze finanziarie fecero di lui una figura portante della vita politica genovese a cavallo fra XIV e XV secolo. Ne è prova il ruolo da lui svolto negli avvenimenti del 1395, che videro il Comune di Genova (allora retto dal doge Antoniotto Adorno) sconvolto dalle lotte tra la fazione adorna al potere e quelle dei Guarco e dei Montaldo.

Nel marzo 1395, con Leonardo Gentile e Marcellino Grillo, il L. ricevette dal doge e dal Comune 8750 fiorini, da depositare a Firenze come prezzo per ottenere da Antonio Montaldo e dai fratelli la restituzione dei castelli di Gavi e Montaldello, da essi occupati. Due mesi dopo, senza riuscirvi, cercò allo stesso modo di convincere i Guarco a consegnare il castello di Lerma, altro importante fortilizio dell'Oltregiogo genovese, che era stato strappato al controllo del Comune.

Come il padre e i fratelli rivestì varie cariche pubbliche, senza però mai raggiungere l'anzianato: massaro del Comune nel 1384, ufficiale di provvisione nel 1395, nel 1402 e nel 1407 fu membro del Collegio degli elettori degli anziani, venendo chiamato ("requisito") più volte - secondo l'uso genovese - a sedere nel Consiglio generale cittadino.

Fautore della fazione guelfa, come la maggior parte del ceto finanziario genovese sostenne il passaggio di Genova sotto la signoria del re di Francia Carlo VI e, anzi, più volte si adoperò per prestare denaro ai governatori regi, quasi sempre in ristrettezze finanziarie.

Il 24 genn. 1399 fu nominato tra gli otto regulatores istituiti per affiancare il governatore Collart de Colleville, con pieni poteri di procedere a una riforma degli ordinamenti cittadini, oggetto di violenta discordia tra i nobili e i popolari, reclamanti una maggiore partecipazione al governo del Comune. I tentativi di questa commissione non sortirono però effetto e in maggio un nuovo tumulto popolare portò all'assalto del palazzo pubblico e alla fuga del governatore e dei nobili. Il L., con il padre e i fratelli, si rifugiò a Savona, rimasta fedele al governo regio, e qui, il 14 maggio, essi ottennero la cittadinanza, preparandosi a un lungo esilio.

Di fatto, l'allontanamento dalla città natale fu abbastanza breve; nell'autunno 1401 l'arrivo a Genova del nuovo governatore, Jean Le Meingre (detto Boucicaut), portò, con una dura repressione, alla sconfitta del governo popolare instaurato nei mesi precedenti e al ritorno della maggior parte dei nobili dalle località dove si erano rifugiati. Il L., che probabilmente aveva trascorso alcuni mesi a Roma (dove con altri banchieri genovesi - Andreolo e Simone Doria, Giorgio Centurione e Gherardo Lomellini - era in affari con la corte di papa Bonifacio IX), rientrò a Genova, giusto per spartirsi l'eredità del padre, nel frattempo defunto: gli toccò la domus magna di famiglia, vicino a Banchi, dove egli viveva già nel 1399.

Con la restaurazione dell'ordine regio e la fine della preponderanza popolare, i Lomellini cercarono di riottenere dal governatore Boucicaut l'amministrazione della Corsica, che, affidata nel 1378 a un cartello di imprenditori privati (maona), di cui essi erano i maggiori azionisti, negli anni successivi era stata riassunta dal Comune di Genova per ovviare al loro malgoverno. Il L., in particolare, fu uno dei maggiori finanziatori della battaglia legale intentata dal fratello Leonello per essere reintegrato nella carica di governatore dell'isola, da lui tenuta più anni.

Nel 1403 i Lomellini, in rappresentanza della maona, ottennero una prima sentenza a loro favorevole, ma solo l'anno successivo essa poté divenire pienamente esecutiva. Il provvedimento, dovuto al favore del Boucicaut, fu ricambiato dal L. e da tutti i suoi fratelli con un'assoluta fedeltà ai disegni politici del governatore. Ne è una prova il sostegno da loro dato alla politica ecclesiastica del Boucicaut in relazione al Grande Scisma.

Genova fino ad allora era rimasta fedele al papa romano, e i capitoli di dedizione alla Francia (che sosteneva invece il papa avignonese), nel 1396, avevano dato ai Genovesi ampie assicurazioni di poter restare nella loro ubbidienza a Roma. I primi governatori avevano rispettato tale impegno, anche perché proprio in quegli anni, sotto la pressione dell'Università di Parigi, il re Carlo VI aveva decretato la sottrazione d'ubbidienza a Benedetto XIII, il papa avignonese, in vista di un concilio che ponesse fine allo scisma. Nel 1403, però, i duchi di Orléans e d'Angiò riuscirono a convincere il debole sovrano a riconoscere nuovamente quale unico pontefice Benedetto XIII, che, l'anno seguente, manifestò l'intenzione di venire personalmente in Italia per insediarsi a Roma e cacciare il rivale. Genova doveva essere la prima tappa di questa spedizione e il Boucicaut, che ambiva a guadagnarsi il ruolo di riunificatore della Chiesa, si impegnò per convincere i Genovesi e il loro arcivescovo Pileo De Marini (che era creatura di Bonifacio IX), ricorrendo anche alle minacce, a schierarsi con il papa di Avignone.

Decisiva fu però l'adesione del potente cardinale Ludovico Fieschi, capo della fazione guelfa e punto di riferimento per la Chiesa genovese, il quale era rimasto fino ad allora fedele al papa romano.

Il L. fu l'organizzatore dell'incontro del monastero di S. Gerolamo di Quarto, poco lontano da Genova, in cui, il 9 ag. 1404, Boucicaut riuscì a convincere il cardinale a passare dalla parte avignonese, promettendogli, con la conferma della porpora, ricchi benefici e incarichi. L'accordo fu la necessaria premessa alla riunione di dottori e teologi genovesi che, nell'ottobre successivo, in verità senza molta convinzione, riconobbero come unico, vero pontefice Benedetto XIII. Pochi mesi dopo, nel maggio 1405, lo stesso papa avignonese giunse a Genova, ricevuto con tutti gli onori, trattenendovisi fino all'ottobre seguente. Fu per il L. un grande successo personale che accrebbe ulteriormente la sua influenza in città dove i Lomellini erano, con i Fieschi, i nobili più potenti. I buoni rapporti da lui intrattenuti con la Signoria di Firenze (di cui, nel 1403, si era meritato il plauso per aver perorato, presso il signore di Lucca, Paolo Guinigi, l'apertura al commercio fiorentino del porto di Motrone, vicino Massa) furono determinanti nel convincere il Boucicaut a sceglierlo quale suo accompagnatore nella spedizione di Pisa.

Due anni prima, infatti, i possessi toscani di Gian Galeazzo Visconti (Pisa, Siena, Sarzana) erano passati alla sua morte al figlio naturale Gabriele Maria che, sentendosi minacciato dai Fiorentini, nel 1404 si era posto sotto la protezione del re di Francia. Nel luglio di quell'anno la notizia di negoziati segreti tra Gabriele Maria Visconti e Firenze per addivenire a una vendita di Pisa spinse i Pisani a ribellarsi, costringendo il loro signore a rifugiarsi a Sarzana. I Fiorentini, che dopo l'intervento del Boucicaut a favore di Gabriele Maria avevano interrotto le operazioni militari contro Pisa, ripresero la guerra e, al contempo, aprirono trattative anche con il governatore regio per convincerlo a favorire l'acquisto della città, dichiarandosi pronti a riceverla in feudo dal re di Francia.

Il 27 ag. 1405, a Livorno, presente il L. quale rappresentante del Comune di Genova, fu firmato il trattato mediante il quale Firenze acquistava Pisa e il suo territorio pagando 80.000 fiorini d'oro a Gabriele Maria Visconti e 200.000 al Boucicaut, il quale si riservava il possesso di Livorno e Porto Pisano, in seguito da lui retrocessi ai Genovesi.

Nel 1407 il L. fu nominato aggiunto alla magistratura dei quattro procuratori che il Boucicaut aveva preposto al governo del Banco di S. Giorgio, da lui istituito pochi anni prima. Fu il suo ultimo incarico pubblico: il L. morì poco dopo, presumibilmente tra il 1410 (quando è ancora menzionato in un atto notarile) e il 1412, anno in cui la sua seconda moglie risulta già vedova.

Si sposò infatti due volte: prima moglie fu Caterina di Carlotto Lomellini, mentre in seconde nozze sposò Luisina di Lodisio Doria; da esse ebbe numerosi figli, tra i quali Gioffredo, Oberto e Battista, che continuarono, in verità con minore fortuna, l'attività finanziaria paterna.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, 501, c. 166; Genova, Biblioteca civica Berio, m.r. IX.4.20: Famiglie nobili di Genova, cc. 192v-194r; m.r. IX.5.1: F. Federici, Scrutinio della nobiltà ligustica, c. 53r; Ibid., Biblioteca universitaria, Mss., B.VIII.2: Albero genealogico dei Lomellini, p. 18; Giorgio Stella - Giovanni Stella, Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVII, 2, p. 272; Inventari e regesti del R. Arch. di Stato di Milano, II, 1, Gli atti cancellereschi viscontei, Milano 1920, p. 137; Les relations commerciales entre Gênes, la Belgique et l'Outremont d'après les archives notariales génoises (1320-1400), a cura di L. Liagre-De Sturler, Bruxelles-Roma 1969, pp. 471 s., 524, 579, 618 s., 727 s., 750, 756, 764, 770; Carteggio di Pileo de Marini, arcivescovo di Genova, a cura di D. Puncuh, Genova 1971, pp. 53, 197, 204, 206; A. Giustiniani, Castigatissimi annali…, Genoa 1537, c. CLXXr; E. Jarry, Les origines de la domination française àGênes (1392-1402), Paris 1896, pp. 126, 134, 140, 323; H. Sieveking, Studio sulle finanze genovesi nel Medio Evo…, Genova 1906, p. 16; A. Esch, Bankiers der Kirche im grossen Schisma, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XLVI (1966), pp. 357, 360 s.; G. Petti Balbi, Una città e il suo mare. Genova nel Medioevo, Bologna 1991, pp. 234, 237, 242.

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