BAZZI, Giovanni Antonio, detto il Sodoma

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)

BAZZI, Giovanni Antonio, detto il Sodoma

Enzo Carli

Nacque a Vercelli nel 1477 da Giacomo, calzolaio originario forse di Biandrate, che nel 1476 aveva sposato Angelina di Niccolò da Bergamo: l'anno di nascita si desume da due documenti, rispettivamente del 31 genn. 1502 e del 3 ag. 1503, nel primo dei quali il B. appare sotto la tutela della madre, rimasta vedova, mentre nel secondo risulta maggiorennne (la maggiorità si raggiungeva allora a 25 anni). Il 28 nov. 1490 veniva allogato a imparar l'arte presso il pittore Giov. Martino Spanzotti da Casale, che aveva bottega a Vercelli: l'apprendistato doveva durare sette anni, e nel relativo atto fungeva da mallevadore il nobile vercellese Francesco de' Tizzoni, il cui cognome l'artista si compiacque talvolta di aggiungere al proprio in segno di riconoscenza verso il suo primo protettore.

Incerta e discussa è l'origine del soprannome "Sodoma" che compare nei documenti a partire dal 1512 e col quale il B. stesso si sottoscrisse più volte: sembra tuttavia da escludere che alludesse ai costumi dell'artista, il quale, per quanto di temperamento estroso, bizzarro e spregiudicato, condusse vita moralmente irreprensibile, godette della stima e dell'amicizia dei più ragguardevoli personaggi del tempo e fu insignito da Leone X del titolo di "Cavaliere di Cristo". Il soprannome, che si trova spesso trascritto in varie lezioni (Soddoma, Sodona, Soddona, Sodone, Sogdona, Sobdoma), era probabilmente lo pseudonimo scherzoso che l'artista aveva adottato, o che gli era stato únposto, secondo l'uso del tempo, in qualche congrega o accademia, e, secondo una congettura abbastanza plausibile, sembra che derivasse da un faceto fraintendimento toscano di un suo intercalare in dialetto piemontese ("su'nduma!" = orsù, andiamo!).

Intorno al 1496 lo Spanzotti fece ritomo nella nativa Casale, e sembra che il Sodoma lo seguisse: infatti dai documenti relativi al decesso del padre di questo risulta che nel 1497 il pittore era assente da Vercelli. Il Vasari riferisce che il Sodoma fu condotto a Siena, destinata a diventare la patria di adozione dell'artista, dagli agenti della famiglia Spannocchi, che aveva un banco a Milano: non sappiamo tuttavia esattamente in quali circostanze e in che anno avvenisse questo trasferimento, perché il primo ricordo documentario relativo all'attività del Sodoma in Toscana è il contratto di allogagione, in data 10 luglio 1503, degli affreschi nel refettorio del convento olivetano di S. Anna in Camprena (o in Creta), presso Pienza: vi figurava fra i testimoni un fra, Bartolommeo da Vercelli che, come conterraneo del pittore, ebbe forse qualche parte nel farlo venire dal Piemonte in Toscana. Gli affreschi di S. Anna in Camprena raffiguranti la Moltiplicazione dei pani e dei pesci, la Pietà, la Benedizione delle Costituzioni Olivetane, la Madonna col bambino e S. Anna piùalcune scenette a monocromo con Storie di S. Anna - furono compiuti nell'anno successivo (l'ultimo pagamento è del 25 giugno 1504) e il 15 ag. 1505 il Sodoma imprendeva il suo ampio ciclo di affreschi per la casa generalizia dello stesso Ordine. L'abate Domenico Airoldi da Lecco, eletto nuovamente generale dei benedettini olivetani, gli commise di proseguire la decorazione del chiostro del monastero di Monteoliveto Maggiore che, per ordine dello stesso, era stata iniziata nel 149798 da Luca Signorelli: il Sodoma eseguì 26 Storie di s. Benedetto, cui furono aggiunti una scena allegorica del Santo che dà la Regola ai monaci olivetani e due riquadri col Cristo portacroce e Cristo alla colonna nel passaggio tra il chiostro e l'andito detto "il De Profundis". I pagamenti per tale lavoro si susseguono copiosissimi fino al 22 ag. 1508 e sono ricchi di minute notizie intorno al pittore che in alcuni di essi è designato col nomignolo di "Matazo" (Mattaccio), bonariamente allusivo alle sue stravaganze, e che nella prima scena del ciclo (il miracoloso risaldamento del "capistero", o vaglio del grano) si ritrasse con i sontuosi abiti, acquistati da un gentiluomo lombardo fattosi frate, e con ai piedi due tassi ammaestrati e un corvo "parlante".

Col compimento degli affreschi di Monteoliveto si conclude il primo periodo di attività del Sodoma: periodo al quale, oltre ai due citati cicli di affreschi, sogliono essere assegnate alcune opere su tela e su tavola, nessuna delle quali peraltro databile anteriormente alla sua venuta in Toscana. Probabilmente la più antica opera che di lui è rimasta è un grande stendardo su seta, raffigurante la Crocifissione, recentemente (1950) riesumato in un deposito del seminario di Montalcino (ora nel locale Museo d'arte sacra) e forse eseguito per la Compagnia di S. Pietro di quella cittadina: è databile intomo al iSoi e precede di poco un altro stendardo su tela, pure raffigurante la Crocifissione, nella Pinacoteca di Siena (n. 610; fatto forse per la Compagnia di S. Giovanni Battista della Morte). Entrambi i dipinti sono di cultura ancora schiettamente piemonteselombardai con ricordi. dello Spanzotti, dei Borgognone e del Civerchio e modesti echi di Leonardo, ai quali ben presto si aggiungeranno impressioni toscane, e specialmente umbre, negli affreschi di S. Anna in Caniprena, tuttavia fiacchi e slegati nella composizione, pesanti nel disegno e violenti di colore. Assai superiori sono i due tondi con l'Adorazione del bambino, il primo proveniente dall'eremo di Lecceto, ora nella Pinacoteca di Siena (n. 512), e il secondo nel Museo Borgogna di Vercelli: nel quale ultimo tende ad accentuarsi l'influsso leonardesco. Allo stesso momento appartiene pure la grandissima pala con la Deposizione dalla Croce che stava nella cappella Cinuzzi in S. Francesco a Siena (ora nella Pinacoteca, n. 413), lodatissima dagli scrittori dei Cinquecento, limpida nel colorito, nitida e incisiva nel disegno.

Ma il capolavoro di questo primo tempo del Sodoma sono, nonostante alcune forti diseguaglianze, dovute alla fretta e alla discontinuità dell'impegno caratteristiche del pittore, le Storie di s. Benedetto a Monteoliveto Maggiore, che rivelano il suo temperamento e le sue qualità di affabile e schietto narratore, ancora legato alle tradizioni naturalistiche ed intimistiche del Quattrocento piemontese-lombardo e volto con semplice e devoto amore alla rappresentazione della più umile e quotidiana realtà: onde alla penetrante indagine psicologica dei personaggi si accompagnano, e non disdicono, l'indugio su ogni particolare e l'amphficarsi del racconto fino a raccogliere nella sua trama anche i momenti meno essenziali, e qualche volta del tutto accessori e addirittura estranei al significato morale degli episodi. Ad un certo ascendente del Signorelli, che lo aveva preceduto nello stesso ciclo, il B. qui unisce puntuali reminiscenze del Pintoricchio, che dové conoscere e frequentare a Siena, e di cui poté vedere i disegni e i cartoni per le Storie di Pio II nella Libreria Piccolomini i quali, stando ai documenti, erano stati approntati prima dell'aprile 1503.

Terminati gli affreschi di Monteoliveto, il B. si recò, per interessamento della famiglia Chigi, presso la quale dovette essere introdotto dagli Spannocchi, a Rdma: quivi infatti Sigismondo Chigi, fratello del celebre banchiere Agostino, il 13 ott. 1508 si faceva garante del B. cui era stato commesso di dipingere, per la somma di 50 ducati, il soffitto della Stanza della Segnatura in Vaticano: Raffaello, che condusse le figurazioni negli scomparti maggiori, rispettò, almeno in parte, il lavoro del Sodoma (gli si attribuiscono i fregi delle spartizioni e otto storiette, di cui quattro a monocromo, intorno all'ottagono centrale), il quale, abbandonata l'impresa, tornò a Siena dove il 28 ott. 1510 sposava Beatrice, figlia di Luca de' Galli, albergatore. Da questo matrimonio nacquero il 29 ag, 1511 Apelle, cui fece da padrino il pittore Girolamo Genga, e che morì bambino, e il 16 ag. 1512 Faustina, che nel 1543 doveva sposare il pittore e architetto Bartolommeo Neroni detto "il Riccio", prediletto scolaro del Sodoma. Il 10 marzo 1512 il Sodoma partecipò al "palio" per la festa del b. Ambrogio Sansedoni mettendo in piazza un cavallo leardo pomehato, montato dal fantino Tempestino da Modena (ad galtre corse il Sodoma parteciperà a Siena, e, nel 1515 e '516, a Firenze, dove era stato raccomandato a Lorenzo de' Medici dal principe di Piombino): il cavallo era forse quello (di cui un documento del 9 nov. 1513) che il Sodoma aveva acquistato per trecento ducati di oro da Agostino de' Bardi; per estinguere il suo debito, il Sodoma s'impegnò a dipingere - a gara con Domenico Beccafumi, che affrescava quella della casa Borghesi - la facciata della casa dei Bardi alla Postierla. Questi affreschi sono andati distrutti, e pochissimo resta anche di un affresco con la Madonna, s. Gimignano, s. Ludovico e s. Cristoforo commessogli per 142 lire il 2 luglio 1513 per l'interno del cosiddetto "Palazzo antico del Podestà" a San Gimignano (ed a San Gimignano il Sodoma era stato anche nell'ottobre 1507 mentre attendeva al ciclo di Monteoliveto, a dipingervi un affresco a monocromo raffigurante S. Ivo che amministra la giustizia nella cappella delle prigioni al pianterreno del palazzo pubblico). Ma l'impresa più importante di questi anni (ancorché non esattamente documentata e datata, la critica è ormai concorde nel collocarla tra il 1512 e il 1514) è la decorazione a fresco della camera nuziale di Agostino Chigi alla Famesina di Roma, sulle pareti della quale il Sodoma raffigurò le Nozze di Alessandro e Rossane, la Famiglia di Dario davanti ad Alessandro, la Fucina di Vulcano e altre storie minori ora rovinate e malamente restaurate.

Le Nozze di Alessandro, ispirate alla descrizione di Luciano di una pittura del greco Ezione, è tra le più celebrate creazioni del Sodoma. La vasta scena, ancorché sovraccarica di particolari, è ariosamente composta e la sua esecuzione pittorica appare di eccezionale raffinatezza nella morbidezza dei chiaroscuri che rivelano ormai la piena ed originale assimilazione dei modi di Leonardo, nella tenera freschezza dei giovanili incarnati, nelle aggraziate proporzioni dei personaggi (soprattutto dell'Imeneo ignudo) improntati ad un ideale di serena bellezza cui non fu estraneo l'esempio di Raffaello.

Per i Chigi, ma probabilmente prima del suo secondo soggiorno romano, il Sodoma dipinse un tondo con l'Allegoria dell'Amore, ora al Louvre (n. 1681), e un fronte di cassone col Ratto delle Sabine, ora nel Museo di Palazzo Venezia; di poco più tarde sono le due tavole con la Giuditta nella Pinacoteca di Siena (n- 354) e con la Carità del Museo di Berlino, (distr. nella seconda guerra mondiale): queste opere probabilmente apparteruiero ad un complesso destinato a qualche nobile dimora. Sembrerebbe però escluso che di questa serie facesse parte l'incantevole Lucrezia del Kestner Museum di Hannover, se essa è da identificarsi con la "Lucrezia" che il Sodoma, in una lettera del 3 maggio 1518, affermava di aver dipinto per Francesco Gonzaga, marchese di Mantova, ma che fu costretto a cedere a Giuliano de' Medici: comunque, poiché quest'ultimo morì nel 1516, la Lucrezia dovrebbe essere anteriore a questa data. Per Sigismondo Chigi il Sodoma decorò di affreschi (ora perduti) con Storie di Ovidio e le Gesta di Giulio Cesare il palazzo di Siena, il cui ampliamento fu iniziato nel 1510, e successivamente dipinse una pala d'altare per la chiesa di S. Bartolommeo alle Volte, dove era la villa suburbana dei Chigi: la tavola fu rubata dalle soldatesche spagnole durante l'assedio del 1555 e trasferita in una chiesa di Colle Val d'Elsa, da dove, nel 1840, passò alla Pinacoteca di Torino (n. 63). A questo periodo va pure riferito il celebre Cristo alla colonna a fresco nella Pinacoteca di Siena (n. 352), quivi trasferito nel 1841 dal chiostro del convento senese di S. Francesco, dove l'aveva fatto dipingere (ma in origine era una composizione assai più vasta, con varie figure) fra, Luca da Montepulciano, che fu guardiano del convento dal 1511 al gennaio 1515: l'opera, ammiratissima. nel secolo scorso, è tra le più intensamente ispirate ai modi di Leonardo. Nel 1515 il Sodoma si recò una prima volta a Piombino, presso il principe Iacopo V Appiani che fino alla morte (1545) doveva restargli amico e protettore; e fu anche, almeno due volte, a Firenze, dove fra il dicembre e il febbraio dell'anno successivo, in casa di Giuliano de' Medici, conobbe Leone X che lo investì cavaliere. Dall'Opera del Duomo di Siena intanto, il 22 giugno 1515, riceveva l'incarico di una statua in bronzo di S. Pietro: non sappiamo se essa fu effettivamente eseguita, ma che l'artista l'avesse modellata lo si deduce dal pagamento, in data 11 ott. 1515, per cera e trementina "per fare i modelli del San Pietro"; comunque sono risultati vani i tentativi di ricostruire l'attività del B. come scultore. Tra il 1515 e il 1518 si colloca una delle più raffinate e fantasiose composizioni del Sodoma, il S. Giorgio che uccide il drago, già nella collez. Cook a Richmond ed ora nella National Gallery di Washington (donazione Kress): si tratta forse del quadro commessogli a Firenze dall'ambasciatore di Alfonso d'Este, duca di Ferrara, al quale il Sodoma scriveva il 3 maggio 1518 dicendogli di tenerlo a sua disposizione. Nel 1518 il Sodoma attese, insieme col Beccafumi e con Girolamo del Pacchia, alla decorazione a fresco dell'oratorio superiore della confraternita di S. Bernardino a Siena: quivi egli eseguì la Presentazione di Maria al tempio, la Visitazione, l'Incoronazione della Vergine, un S. Ludovico, un S. Antonio da Padova e un S. Francesco, mentre un'Annunciazione della Vergine gli veniva pagata nel 1532. Dal 1518 al 1525 tacciono i documenti sul B.: ed è stato supposto, per altro senza prove decisive, che egli si sia recato in Emilia e in Lombardia; comunque il 5 marzo 1525 era a Siena, dove s'impegnava a dipingere uno stendardo in tela per la compagnia di S. Sebastiano in Camollìa. Quest'opera, il cui importo venne definitivamente saldato il 6 nov. 1531 con l'aggiunta, sul pattuito di 20 ducati, di ben 10 ducati in segno di riconoscenza verso l'artista che aveva "servito bene e diligientemente", fu celebrata fra i capolavori della pittura del Rinascimento; ma la compagnia, che stando al Vasari si era rifiutata di venderla per trecento scudi d'oro a certi mercanti lucchesi, fu costretta a cederla per duecento zecchini a Pietro Leopoldo I, granduca di Toscana, ed ora lo stendardo si trova nella Galleria Pitti a Firenze. Da un lato vi è raffigurata la Madonna col bambino adorata da s. Sigismondo e s. Rocco e da sei fratelli e dall'altro il Martirio di s. Sebastiano: ed è stata soprattutto la beltà efebica di quest'ultimo a suscitare la fanatica ammirazione del pubblico e di molti scrittori fino agli inizi di questo secolo e, per contrasto, le riserve e le severe condanne della critica più recente. Eccessiva la prima, ma ingiuste anche le seconde, in quanto entrambe insistono soprattutto sul contenuto patetico della rappresentazione che, se pure incline ad un certo languido sentimentalismo, si riscatta ampiamente nella mirabile realizzazione pittorica, tramata di delicatissimi chiaroscuri, e nella straordinaria potenza evocativa del paesaggio che, prendendo le mosse da Leonardo, si colora di un accento da dirsi già preromantico. Assai più scopertamente si denunzia il lato deteriore della ispirazione del Sodoma negli affreschi con cui l'anno dopo (1526) decorò la cappella di S. Caterina nella basilica di S. Domenico in Siena: qui egli raffigurò, con melodrammatico languore, lo Svenimento e l'Estasi di s. Caterina e, in una composizione dove non mancano bei particolari, ma eccessivamente stivata e concitata, l'Esecuzione di Niccolò di Tuldo.Non sappiamo quale motivo inducesse il Sodoma a interrompere il lavoro della cappella di S. Caterina, per la parete destra della quale aveva preparato dei disegni (ora agli Uffizi) raffiguranti l'Esorcizzazione di una giovinetta indemoniata: questa scena venne poi eseguita, ad olio su muro, settanta anni dopo da Francesco Vanni. Allo stesso periodo, tra il '25 e il '27, appartengono gli affreschi della chiesa della soppressa Compagnia di S. Croce a Siena, che furono staccati nel 1842: due di essi (Orazione nell'orto; Cristo al limbo)si trovano nella Pinacoteca di Siena (nn. 401 e 443) e un terzo (Andata al Calvario)fu trasportato nella villa Griccioli a Monistero. Questi affreschi, anch'essi assai ammirati, soprattutto per il morbido nudo di Eva nella Discesa al limbo, si collegano stilisticamente a una Ultima cena nel refettorio dell'ex convento di Monteoliveto presso Firenze. A Firenze, nel 1528, il B. cadde ammalato e fu ricoverato nello Spedale di S. Maria Nuova, dove si trattenne parecchi mesi: durante la sua assenza lo scolaro Girolamo Magagni, detto "Giomo del Sodoma", si introdusse più volte nel suo studio asportandone un numero considerevolissimo di oggetti (modelli in bronzo, in marmo e in gesso, colori, strumenti di lavoro, un quadro incompiuto, ecc.) che, in seguito a denunzia, vennero restituiti nel 1529. In quest'anno il Sodoma, di nuovo a Siena, dipingeva nella sala del Mappamondo nel Palazzo pubblico un S. Vittorio e un S. Ansano e iniziava un B. Bernardo Tolomei che però venne terminato nel 1533: inseriti, a guisa di statue, entro finte nicchie riccamente decorate, i primi due sono tra le più vigorose e spirituali creazioni dell'artista al quale, giunto all'apogeo della sua fama e assunta una posizione di predominio nell'ambiente artistico senese, venivano richiesti, con ritmo sempre più incalzante, importanti lavori. Tra il 1529 e il 1530, infatti, attese alla decorazione della cappella della nazione spagnola in S. Spirito, raffigurandovi a fresco, nel timpano, S. Giacomo patrono degli Spagnoli che cavalca sui vinti Saraceni, e, sotto, un S. Sebastiano e un S. Antonio abate mentre sopra l'altare pose una lunetta, su tavola, con la Madonna che' assistita dalle ss. Rosalia e Lucia, dà a s. Ildefonso l'abito domenicano e altre due tavole rappresentanti S. Niccolò da Tolentino e S. Michele arcangelo.Ètradizione che Carlo V, accolto trionfalmente a Siena nell'aprile 1536, tanto ammirasse queste pitture da nominare il Sodoma "conte palatino": tale tradizione per altro. non è suffragata da documenti. Del 1530-31 è il grande affresco con la Natività sopra la Porta Pispini, o Sanviene, purtroppo semidistrutto dalle intemperie nonostante si provvedesse subito, nel 1532, a ripararlo con una tettoia. Rovinatissimo è pure il grande affresco con la Madonna e i quattro santi avvocati di Siena, commesso al Sodoma il 6 marzo 1536 (ma terminato, dopo molte insistenze da parte del Comune, nel 1539) per la Cappella di Piazza, annessa al Palazzo pubblico: per l'intemo dello stesso palazzo il Sodoma aveva eseguito altri due affreschi nel 1537, una Madonna tra s. Ansano e s. Galgano nella attuale stanza del sindaco e, verso il 1535, una Risurrezione che nel 1842 venne staccata e trasferita nell'attuale stanza del segretario generale (una consimile Risurrezione su tavola, firmata e datata 1535, si trova nel Museo di Capodimonte a Napoli, proveniente dalla chiesa di S. Tommaso d'Aquino). A queste pitture murali vanno aggiunti numerosissimi dipinti su tavola, non di rado di grandissime dimensioni: tra questi ultimi, l'Epifania per l'altare della famiglia Arduini nella chiesa di S. Agostino di Siena (successivamente trasferita nella cappella Piccolomini annessa alla stessa chiesa), ricordata fin dal 1533 nel poemetto Lodi delle donne sanesi di Philolauro da Cave, e la Sacra Famiglia con s. Leonardo che dall'altare di S. Callisto nel duomo di Siena (dove la vide e la lodò Annibale Carracci) fu trasferita nel 1681 sull'altare della cappella interna del Palazzo pubblico. Sono esse, per la novità e la complessità della composizione, per la soavità, tuttavia priva di lezio, dei personaggi, per la fantasiosa ricchezza dei particolari e per il poetico incanto dei fondi paesistici sfumanti in vaghe lontananze, le più belle pale d'altare dipinte dal Sodoma nel suo ultimo periodo senese: superiori alla densa e affocata Natività della Vergine ricordata dal Vasari nella sacrestia (ma era l'antica cappella Pecci, ora del Sacramento) del Carmine e alla fiacca Madonna con quattro santi eseguita verso il 1535 per disposizione di Gismondo Gagliardi nella collegiata di Sinalunga. Numerosissime le tavole di piccole dimensioni, per uso domestico, nelle quali il Sodoma, con vario esito d'arte, rielaborò il tema affettuoso della Sacra famiglia: da quella, piuttosto antica, della Pinacoteca di Torino (n. 56), replicata con varianti in una della Pinacoteca di Monaco (n. 1073), a quella della Galleria Borghese (n. 459), databile intorno al 1530, a quella, di poco più tarda, del Museo di Montepulciano, per limitarsi a citare le più felici. Con infaticabile operosità, il B. attese pure a dipinger testate di cataletti, come le quattro, pagategli nel 1527, per la compagnia di S. Giovanni Battista della Morte (ora nell'oratorió dei SS. Giovannino e Gennaro sotto il duomo), le quattro per la compagnia della SS. Trinità (ora in S. Donato) e le quattro per la compagnia di Fontegiusta (ora nella Pinacoteca di Siena, nn. 326 e 331), Pietà, Cristi porta croce ed altri quadri di soggetto sacro: piuttosto rari invece, e di contestata attribuzione, quelli di soggetto mitologico e profano (Lucrezia della Pinacoteca di Torino, n. 376, Leda nella Galleria Borghese, n. 434, ecc.). Tutto questo doveva avergli procurato una certa agiatezza: tra l'altro abitava in una casa propria, in contrada Vallerozzi, acquistata nel 1534 ed attigua ad altre due case di proprietà della moglie.

Il 1538 fu trascorso quasi tutto dal B. a Piombino, ospite di Iacopo V Appiani per il quale dipingeva una tavola (andata perduta o comunque non identificata): ed è da rilevare il tono deferente delle lettere che la Signoria di Siena gli indirizzò in questa occasione, per indurlo, a ritornare e terminare l'affresco della Cappella di Piazza. Ai primi del 1539 il Sodoma era a Siena, ma alla metà dell'anno partì di nuovo alla volta di Volterra, dove per Lorenzo di Galeotto de' Medici dipinse una tela da soffitto, con la Caduta di Fetonte, andata perduta, ma di cui si conserva un bellissimo disegno agli Uffizi; a Volterra pure ritoccò la Circoncisione del Signorelli, ora alla National Gallery di Londra. Successivamente si recò a Pisa (fine del 1539) dove, per incarico di messer Bastiano della Seta, operaio della primaziale, eseguì per la sagrestia del duomo una Deposizione e un Sacrificio di Abramo (ora nel coro del duomo): quest'ultimo quadro era tenuto in tanto pregio che quando nel 1812 fu prescelto, insieme con altri, dai Francesi per arricchire il Musée Napoléon, venne offerto (e per quello solo) un forte indennizzo in denaro e si attese, prima di trasportarlo a Parigi, che ne fosse eseguita una copia dal Guillemot; non solo, ma fu l'unico dei dodici dipinti razziati che, dopo la pace del 18, 4, fu restituito a Pisa. Sempre a Pisa il Sodoma eseguì tra il 1542 e il 1543 una grande pala d'altare - Madonna col bambino e sei santi - perl'oratorio di S. Maria della Spina (ora nel Museo): fu l'ultimo capolavoro del pittore, la cui arte andò declinando negli ultimi anni della sua vita, come appare dalla tarda, e piuttosto rovinata, tavola con l'Andata al Calvario nella chiesa di S. Giacomo in Salicotto, ora della contrada della Torre, a Siena. Ricordi di un nuovo soggiorno a Piombino e di uno a Lucca si hanno nel 1545: e dell'agosto di quest'anno è una affettuosissima lettera indirizzata al Sodoma da Pietro Aretino, che allude alla loro lunga amicizia nata a Roma in casa di Agostino Chigi. Dopo di che tacciono i documenti sull'artista fino a quando, in una lettera (Hobart Cust, p. 237) scritta da Siena il 15 febbr. 1549, Alessandro Buoninsegni informava suo fratello Bernardino, ambasciatore a Napoli, che "il Cavaliere Sodoma questa notte si è morto".

Che il pittore bizzarro, irrequieto e disordinato, che molto dovette guadagnare e molto dovette spendere, non terminasse i suoi giorni in miseria - come affermò il Vasari che lo chiamò "Cavaliere senza entrate" - appare dimostrato dall'inventario dei beni redatto il giorno stesso della sua morte da ser Luca Salvini notaio di Asciano: inventario dal quale risulta che il B., tra l'altro, era proprietario di una vigna "cum domo, casalone, et cellario cum onmibus massaritiis" in quel di Murlo..

Artista di straordinaria fecondità (le opere che abbiamo ricordato sono solo una parte delle innumerevoli che egli eseguì o che gli sono state, più o meno a ragione, attribuite), apprezzatissimo finché visse, il Sodoma seguitò ad essere ammirato anche in seguito, e nonostante la denigratoria biografia, improntata ad un acido moralismo, dedicatagli dal Vasari. La sua massima fortuna critica si verificò ai primi di questo secolo, quando, nel breve spazio di undici anni, furono pubblicate su di lui, oltre a vari saggi, ben otto monografie in volume, tra le quali quella, fondamentale per l'accuratezza delle indagini biografiche e documentarie, ma irrilevante sotto l'aspetto critico, di R. H. Hobart Cust, edita nel 1906. Dopo di che, mutati gli orientamenti del gusto, sopravvennero il silenzio e l'oblio, rotti solo da qualche severo o diffidente giudizio, prevalentemente volto a condannare il dolciastro sentimentalismo di talune sue opere e il preteso eclettismo del suo stile di imitazione leonardesca e raffaellesca. Una mostra delle sue opere, allestita nel IV centenario della sua morte a Vercelli ed a Siena parve risollevarne per breve tempo le sorti: ma ancora il Sodoma attende di veder criticamente ridimensionata la sua personalità di artista che, se non fu tra le maggiori del grandissimo secolo in cui visse, vi ebbe un posto assai ragguardevole ed onorevole, mentre la sua opera fu di grande importanza per il determinarsi del gusto e della cultura nell'ambiente pittorico senese fino al cadere del Cinquecento.

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