CRISTIANI, Beltrame

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 31 (1985)

CRISTIANI, Beltrame

Sergio Zaninelli

Nacque a Varese Ligure (prov. di La Spezia) ai confini dello Stato genovese con il ducato di Parma e Piacenza, il 2 dic. 1702, da Pietro Giulio e da Anna Aquileia Carranza.

La provenienza del casato è incerta, forse milanese; secondo la testimonianza di un membro della famiglia (il fratello Pietro, che diventerà vescovo di Piacenza nel 1747) il C. non si può ritenere "uomo d'oscuri e poveri natali" come vorrebbe il Verri, ma neppure di origine nobiliare, messa in dubbio dallo stesso Cristiani. Il padre, un giureconsulto ricordato per un trattato di casistica giuridica, fu podestà di Borgonovo Val Tidone; successivamente ottenne un'altra carica nel centro di Berceto ed esercitò l'avvocatura.

Nel 1713. il C. fu mandato a Genova per compiere la sua educazione nel collegio delle Scuole pie; negli anni tra il 1717 e il 1720 seguì gli studi di retorica e poi quelli di filosofia, percorrendo in tempi ridotti il curriculum allora richiesto. Seguì studi giuridici a Genova, tra il 1721 e il 1724, sotto la guida di Giuseppe Maria Sanguinetti, e poi a Parma, dove si laureò nel 1725.

Nello stesso anno, sposò Angelica Ferrara Carranza: l'esperienza famigliare sarà travagliata da vicende dolorose come la morte prematura del primogenito avvenuta nel 1743, che gli causerà un intenso sconforto. D'altra parte non gli mancheranno le soddisfazioni dagli altri tre figli: in particolare da Luigi, che sarà presidente della Camera dei conti e consultore di governo.

Sempre nel 1725 aveva inizio la carriera pubblica del Cristiani. La prima tappa fu la questura di Borgonovo, quindi il trasferimento a Parma al seguito del marchese Zandemaria nel 1728 e a Piacenza nel 1732: dello stesso anno è la patente che lo nomina podestà di Fiorenzuola. Due anni dopo compiva un passo avanti notevole nella sua carriera di pubblico amministratore, assumendo l'incarico di fiscale di Piacenza. Nel 1737 fu proposto per la carica di governatore di Piacenza; nominato consigliere nel Supremo Tribunale, nel 1738 poteva essere promosso governatore della città.

Le vicende politiche e militari europee e italiane si erano nel frattempo incaricate di creare una situazione in cui il C. avrebbe trovato la piattaforma ideale per successivi progressi nella assunzione di pubblici incarichi. In una fase caratterizzata dall'insorgere di imponenti necessità finanziarie, il C. poteva far valere tutta la sua abilità di amministratore e di diplomatico, ma anche maturare la sua scelta di mettere tale abilità al servizio di Vienna. Infatti quando, nel 1742, il Modenese fu occupato dagli eserciti sardo ed austriaco, il C. ne fu nominato, per volontà di Torino e di Vienna, amministratore generale. Nel 1744 divenne gran cancelliere di Milano; e la nomina fu accompagnata dalla concessione del feudo di Ravarano, Casola e Salvatica (nel Parmense) e dal titolo di conte.

Qualche caso giudiziario, come quello costituito dal processo contro il marchese Pellegrino Manara di Borgo Val di Taro che si svolse nel 1735, accrebbe il prestigio del Cristiani. Ma di lui, nelle corti straniere attente alle vicende italiane, si apprezzava in modo particolare la capacità di penetrare nei problemi politici e finanziari, tra loro intimamente connessi agli occhi di un potere travagliato dai crescenti bisogni di mezzi monetari per sostenere le spese militari. La positiva accoglienza dei rapporti sulla situazione della pubblica amministrazione del Parmigiano e del Piacentino, richiestigli da Vienna nel 1736, confermano la fiducia che si aveva nelle sue capacità di analisi. A Modena, il C. dovette affrontare concreti problemi di amministrazione in cui era difficile distinguere l'ordinario dallo straordinario. Affrontò questioni relative all'alloggio e alla sussistenza delle truppe - e sarà un'esperienza che metterà a frutto successivamente - ma anche ai bilanci camerali e alla finanza pubblica. L'affare più delicato che gli venne sottoposto fu quello costituito dalla "pretesa" dei fermieri generali che avevano fatto anticipazioni rilevanti al duca di Modena prima della occupazione e che chiedevano di essere rimborsati dagli occupanti. Il C. produsse una Consulta in cui si proponeva al re di Sardegna ed all'imperatore di impegnarsi al solo pagamento degli interessi fino alla fine della occupazione.

La gestione di affari così complessi, che implicavano cognizioni teoriche e pratica diretta, lo portarono a stringere una rete di conoscenze che gli consentirono di rafforzare la sua posizione, costruendo su di esse l'immagine di uomo di fiducia e funzionario competente e ricavando utili insegnamenti nella gestione degli affari pubblici: nel 1738 con il vicegovernatore dello Stato con sede a Piacenza, G. B. Trotti; nel 1740 con Carlo Emanuele III e con il duca di Ormea, che lo apprezzarono a tal punto da offrirgli di passare al serviziodel Piemonte; nel 1742 con il Bogino, ed infine con chi da Vienna determinava la nuova politica imperiale: l'imperatrice Maria Teresa ed il Kaunitz, in modo particolare, il quale si vanterà poi di averne scoperto ed utilizzato i talenti.

È, però, nel 1744 che il C. divenne uno dei principali protagonisti della politica che Vienna andava perseguendo nei territori posti sotto la sua dominazione. La piena adesione agli intenti di casa d'Austria veniva sottolineata dal comportamento che il C. tenne nella capitolazione di Genova, quando fece opera di persuasione sul Senato genovese perché la Repubblica si arrendesse alle armate imperiali: di qui accuse e delusioni, nate forse dal calcolo di ottenere da lui protezione. Sempre nel '46 a confermare la sua fedeltà verso Vienna, il C. assunse un ruolo non secondario nella repressione ordinata dall'imperatrice nei confronti di quanti erano accusati di tradimento.

Dal 1744 Milano divenne il centro della attività politica del C.: fino al 1748 assumendo responsabilità "interinali", riordinando il sistema postale (nel 1748, ricevette la patente regia di speciale delegato e giudice delle Poste), poi in coppia con il Pallavicini come plenipotenziario e a partire dal 1750 anche come vicegovernatore di Mantova.

È in questa fase ancora travagliata (fino al 1752), in cui bisognava trovare soluzioni non più di emergenza ai problemi di riordino amministrativo e finanziario, che la linea politica dei C. si precisava, pervenendo ad alcuni significativi risultati. Il primo riguardava gli appalti per gli approvvigionamenti (soprattutto di vettovaglie) all'esercito, in una situazione estremamente critica dovuta alla mancanza di fondi e quindi alla necessità di farvi fronte con "espedienti" che vanificavano ogni prospettiva di soluzione organica del problema. Il C. avvertiva il limite di un simile modo di procedere, costretto come fu, dopo il 1745, a provvedere a rimborsi immediati per le forniture. Con una impostazione tipicamente politica, che cercava soluzioni realistiche rifuggendo da piani globali di riordino della finanza pubblica (quelli cui si applicava il Pallavicini), realizzò contrattazioni molto convenienti e con sovventori in posizione economica solida, capaci di assumersi oneri di riforniture di notevole importanza, e che godevano di fiducia nel loro ambiente.

Finita la guerra di successione, riprendevano il sopravvento i problemi del riordino, sia dei rapporti dello Stato di Milano nei suoi nuovi confini con i paesi vicini, sia, all'interno, del sistema della finanza pubblica.

Più congeniale alle capacità del C. è il risultato raggiunto nel trattato del 1750 con il Piemonte: un "piccolo capolavoro" (Venturi) con il quale, trattando con il Bogino, venne data sistemazione alla questione del confine tra i due domini al Ticino, avendo di mira soprattutto di contrastare contrabbando e brigantaggio con una razionale fissazione dei sistema daziario. Analoghe, felici soluzioni il C. riuscì a trovare per la questione dei confini con Modena e con Parma nel 1752, affari in cui gli dovettero essere di grande aiuto la conoscenza diretta dei termini della questione ed i non interrotti rapporti con gli ambienti interessati. Altrettanto lineari furono i suoi orientamenti in politica interna, ispirati sempre ad estremo realismo politico: ma qui era inevitabile che nascesse un confronto, talora un contrasto, con la politica del Pallavicini.

La tesi storiografica dominante è quella che a una concezione "programmatoria" degli interventi, propria del Pallavicini, si contrapponesse - da parte del C. - un procedere legato alla contingenza, scettico di fronte a progetti di riforme radicali, cauto ed attento a non turbare gli interessi locali e quindi una politica economica articolata: "una saggia politica monetaria, un tentativo di ristabilire la bilancia commerciale, il recupero delle regalie, molte economie e riforme amministrative" (Venturi). Coerentemente con questo modo di procedere, il C. non nascondeva le sue perplessità, motivate da una sproporzione tra i costi che venivano sopportati ed i ricavi per le entrate fiscali, sul catasto che era ripreso nel '49.

La posizione del C. - dettata certo più da empirismo e da senso politico che da impostazioni dottrinali - non era priva di efficacia, perché attenta a più direzioni di intervento in campo economico, sempre al fine di contribuire a quel risanamento finanziario che ne costituiva l'obiettivo centrale (e che a Vienna trovava il massimo di attenzione e di adesione).

In questa prospettiva, va valutato il tentativo da lui compiuto di realizzare un accordo tra Lombardia e Piemonte in campo monetario, per facilitare i commerci tra i due paesi: tentativo che non riuscirà per varie ragioni, alle quali il C. però temeva si aggiungessero quelle tecniche che un teorico come Pompeo Neri aveva messo sul tappeto. Parimenti nella aggrovigliata questione del riordino del debito pubblico - che vide impegnata tra il 1751 e il 1752 una giunta appositamente creata e di cui il C. fu membro - egli faceva una proposta ispirata al buon senso politico che permetterà di superare gli ostacoli per la sistemazione del debito di 600.000 fiorini di interessi arretrati: non passandoli a capitale (e non caricandoli quindi tra i debiti del costituendo Monte S. Teresa), ma riducendoli a 200.000 fiorini da rimborsare ai creditori in dieci anni (Bianchi).

L'ultimo periodo della carriera politica del C. s'inizia nel '53 - quando divenne ministro plenipotenziario - e si chiude con la morte nel 1758: sono pochi anni in cui il C. si trovò coinvolto in gravi problemi e messo di fronte a difficili decisioni in ordine ad affari dei quali era stato certamente partecipe già negli anni precedenti, ma con una responsabilità diversa. Questa circostanza e la brusca interruzione che la morte portò al suo operato suggeriscono qualche cautela nel trarre giudizi drastici sulle sue scelte politiche ed economiche.

Il periodo si apre con un grande successo diplomatico, cioè il trattato di successione estense con cui il C. riuscì a conseguire il congiunto obiettivo di assicurare a Vienna il controllo di una area importante e quindi delle vie di comunicazione della Liguria e dell'Italia centrale ed a lui stesso (e quindi ancora a Vienna) l'esercizio effettivo del potere di amministratore, che Francesco III d'Este assumeva in modo del tutto figurativo, dello Stato di Milano. Sempre sul piano diplomatico, altri risultati di rilievo il C. conseguì con alcuni trattati di indubbia portata politica ed economica: per es. quelli di Vaprio (1754) e di Mantova (1756).

Con tali trattati, e con quello precedente di Varese del 1752, venivano risolte le questioni di confine, di contrabbando, di tassazione, di uso delle acque per irrigazione, pesca e navigazione: "abilmente negoziati" (Romani) insieme con il conte Gabriele Verri, essi rivelano le migliori capacità politicodiplomatiche del Cristiani. Prova di realismo darà anche nel '55 a proposito di un temuto interessamento di Venezia per la via dei Grigioni e per il connesso commercio del sale, pericolo di cui il C. mostrava di essere preoccupato, ma in sostanza tranquillizzando Milano e Vienna (Berengo).Del '53 è la sua unica fatica di studioso del diritto, un saggio, pubblicato postumo, sulla limitazione dell'asilo sacro, in cui rivela una rigorosa concezione dello Stato entro la quale vuole ricondurre - e quindi limitare - l'istituto stesso.

Controversi - secondo la storiografia più recente - se non autentici insuccessi, i risultati della gestione degli affari interni.

Ai cinque anni della pienipotenza esercitata dal C. vengono imputate significative cadute di iniziativa innovatrice: con la "creazione avvenuta nel 1755 di una giunta per la rettifica delle tariffe del dazio sulla mercanzia della quale si giunse persino a dimenticare l'esistenza"; con "la nomina nel 1755 di una giunta per la redenzione delle regalie (altro vecchio disegno del Pallavicini)" che "non portò a nessun risultato pratico"; infine con la vicenda del rinnovo nel 1757. Cioè prima della scadenza, dei contratto di appalto ai fermieri, dai delicati risvolti personali, se è vero che fu possibile "grazie anche ai compiacenti uffici del Cristiani" (Capra). In particolare, nella conclusione dell'estimo del ducato di Mantova e nell'indirizzo impresso alla fase finale della realizzazione del catasto dello Stato di Milano, il C. si sarebbe lasciato condizionare dai forti interessi locali perdendo di vista in tal modo il profondo significato innovatore del riordino dei tributi.

In effetti, nella vicenda mantovana, il C. impostò l'operazione con obiettivi limitati (quelli di "diseguagliare fra loro i contribuenti, e di sottoporre al Carico tanto i beni ridotti a nova Coltura, quanto i novali a beneficio della Regia Camera" e in ordine al pagamento di carichi straordinari), in tempi brevi (dal marzo del '51 al '56, in quanto mentre il "Censimento di Milano si fa a spese dello Stato, ... quello di Mantova si è fatto a spese di V. M.") e quindi adottando criteri di valutazione basati sulle denunce e non sulla misura e stima ex novo della superficie agraria, con tutti i limiti che i ben più radicali metodi introdotti col catasto milanese avevano messo in evidenza e superato. Nella relazione inviata a Vienna, il C. non nascondeva che il suo scopo era di arrivare ad un incremento rapido delle entrate tributarie con il minimo di spesa (Vivanti).

La conduzione di questo importante affare lo aveva visto coinvolto dal momento stesso in cui era stata ricostruita la giunta del censimento che vi era preposta: il ruolo specifico del C. nelle singole decisioni che vi vennero prese non è stato ancora studiato, ma va ricordato che il Carli ha voluto testimoniare un'opera di mediazione del C. all'interno della giunta tra il presidente ed i ministri (De Stefano).

Il contrasto tra il C. e P. Neri si concretò sulla questione della "colonica", ovvero della imposta fondiaria che gli ecclesiastici si erano sempre rifiutati di pagare nello Stato di Milano da quando essa era stata introdotta, cioè dal Cinquecento; questione che la giunta del censimento dovette affrontare nella linea generale di tutto il riordino del sistema dei tributi, cioè della abolizione di ogni forma di esenzione, e quindi anche di quella ecclesiastica. La controversia non era un problema interno della giunta (cioè come applicazione di un principio da essa fissato); vi si innestavano questioni sia di competenza (la ripartizione dei carichi correnti di spettanza del magistrato camerale), sia di rapporti tra Vienna e Roma. Che l'abilità diplomatica dei C. e la sua autorevolezza venissero chiamati in causa era inevitabile: infatti il C. risolse la controversia stessa attraverso un Concordato colla Santa Sede intorno la porzione colonica de' beni antichi ecclesiastici delloStatodiMilano, condotto e concluso nel 1757, con l'aiuto di un avvocato fiscale di sua fiducia, F. Muttoni. Il problema politico che spinse il C. ad accettare l'esenzione ecclesiastica, compresa quella delle parrocchie cui era contrario, veniva esplicitato nel testo del Concordato, là dove si dice che urgeva conseguire il fine di equità per far entrare in vigore il nuovo catasto.

Non sembra quindi che nel C. il diplomatico abbia preso il sopravvento, nel senso di subordinare (non cogliendone il significato) una questione di politica interna rilevante come il riordino tributario a questioni di politica estera. Piuttosto l'amministratore accorto e realistico sentì la necessità di risolvere sul piano diplomatico una divergenza di interessi che di fatto bloccava la soluzione di un fondamentale provvedimento interno. Che il concordato sia stato la causa ultima del dissidio con P. Neri e portasse all'allontanamento di questo dalla presidenza della giunta del censimento pare assodato e convincente, dato il diverso significato che i due davano a tutta l'operazione. Tra l'altro, era un conflitto che aveva un precedente, quando cioè da Vienna venne riconosciuto al C. - e non invece al Neri - il merito di aver sollecitato la giunta dei censimento a produrre il fondamentale editto sulla Riforma al governo e amministrazione delle Comunità dello Stato di Milano del dì 30 dicembre 1744(Rocchi).

Nel 1757 - con l'allontanamento del Neri - il C. ricuperava tutto il suo potere decisionale sulla materia del censimento, ma la malattia gli impediva, come il Firmian riconoscerà in un rapporto al Kaunitz del 9 sett. 1770, di esercitare tale potere nella fase della giunta interinale e quindi di essere responsabile dei cedimenti di quella. Parimenti interrotti restavano gli sforzi compiuti per far riprendere i lavori del duomo di Milano nonché le iniziative a sostegno delle manifatture seriche.

Il C. morì a Milano il 3 luglio 1758.

Opere: Consulta del Consigliere conte Cristiani Amministratore generale de' Stati di Modena Sopra li pretesi Crediti de' Fermieri Generali in concorso del diritto di guerra, Modena 1744; Deduzione sopra l'asilo sacro, Milano 1766; gli sono inoltre attribuite due memorie storiche: sul marchesato di Malgrate (Deduzione legale sopra le qualità di esso, Modena 1748)e sulle vicende belliche del 1757(Amici ad amicum epistola de belli causis inter augustissimam Romanorum imperatricem, Hungariae et Bohemiae Reginam, et Borussorum regem, s.n.t.).

Fonti e Bibl.: Manca una biografia del C.: solo A. Ostoja, Uno statista del Settecento: il ministro B. C., in Boll. stor. Piacentino, LI(1956), 2-3, pp. 73-102, lo ha proposto all'interesse degli storici dell'età dell'illuminismo riformatore. Elementi biografici - ma che s'arrestano al 1744 - si possono ritrovare nelle memorie manoscritte dei fratello Pietro (Milano, Bibl. Ambrosiana, O 219 sup.): in particolare, si veda O. Masnovo, Il conte B. C. nelle "Memorie" di suo fratello Mons. Pietro, Vescovo di Piacenza, in Arch. stor. per le prov. Parmensi, XVII (1939), 4, pp. 145-183; C. Mesini, Le "Memorie" di mons. Pietro Cristiani vescovo di Piacenza, in Boll. stor. piacentino, XXXIV(1939), 1-2, pp. 22-28; altre notizie nel breve necrologio di G. A. Montorfani, Epistola in obitu comitis B. C., s.n.t., in F. Bellati, Serie dei governatori e dei gran cancellieri di Milano, Milano 1776, pp. 28-29, nonché nel ms. Indice De Diplomi per le cariche e dignità state conferite al conte B. C., con gli emolumenti percepiti, in Archivio di Stato di Milano (fondo Tribunali e uffici regi, p.a., c. 85). Infine una testimonianza di notevole interesse storico ed umano è offerta dal ms. Mem. della malattia e preziosa morte del Sig. Conte Cristiani scritta dal Padre Antonio Lecht della Compagnia di Gesù conservato a Milano, Bibl. Ambrosiana, AD. XV.8. n. 5, e in Archivio di Stato di Milano, fondo Tribunali e uffici regi, p.a., c. 85.

Sull'attività pubblica del C., nell'Arch. di Stato di Milano vedi i fondi Tribunali e uffici regi, p.a. (per i "piani" di riordino presentati dal C. relativamente a Milano ed a Mantova nel 1748 e nel 1750, per le relazioni su Parma e Piacenza del 1736 e in generale per gli affari amministrativi di competenza dei C.); Cancelleria dello Stato di Milano; Dispacci reali; Trattati (con i carteggi relativi alle trattative intercorse); Commercio, p.a. (per le questioni delle vie di comunicazione e dei sostegni alle attività manifatturiere); Censo, p.a. (per il completamento del catasto "teresiano" ed i rapporti con Pompeo Neri). Un carteggio Cristiani-Pallavicini, relativo agli anni 1742-1754, è conservato nel fondo Pallavicini dell'Archivio di Stato di Bologna.

Nell'Österreichische Staatsarchiv di Vienna, Haus-, Hof und Staatsarchiv, serie Archiv des Spanischen Rates, fondi Lombardei (Korrespondenz e Collectanea), vedi l'intenso scambio epistolare tra il C. e i responsabili della politica a Vienna, e in particolare il Kaunitz.

Anche la bibliografia sul C. è insoddisfacente: vedi, oltre ai già citati lavori di Ostoia e di Masnovo, P. Verri, Memoria sul conte B. C., in Lettere e scritti inediti di Pietro e Alessandro Verri, IV, Milano 1881, pp. 435-441; F. Cusani, Storia di Milano dall'origine a' nostri giorni, III, Milano 1865, passim; O. Masnovo, La corte di don Filippo di Borbone nelle "Rèlaz. segrete" di due ministri di Maria Teresa, in Arch. stor. per le prov. parmensi, XIV(1914), pp. 165-205; Le radiose giornate genovesi del dicembre 1746 secondo nuovi documenti, in Giorn. stor. e lett. della Liguria, IV (1928), pp. 181-209; E. Nasalli Rocca, Piacenza sotto la dominazione sabauda (1747-1749), Piacenza 1929, passim; Id., Podestà di Borgonovo nel sec. XVIII, in Boll. stor. piacentino, XXV(1930), p. 130; Studi storici sulle condizioni giuridiche del contado, Piacenza 1941, p. 157; A. Ostoja, Genova nel 1746, Bologna 1954, pp. 101-102; valutazioni sul significato complessivo del suo operato politico in F. Valsecchi, L'assolutismo illuminato in Austria e in Lombardia, Bologna 1934, II, 1, pp. 99-109; A. Annoni, Gliinizi della domin. austriaca, in Storia di Milano, XII, Milano 1959, pp. 293-297; F. Venturi, Settecento riformatore, Torino 1969, ad Ind.; C. Mozzarelli, Sovrano, società e amministr. locale nella Lombardia teresiana. 1749-1758, Bologna 1982, passim; A. Wolf-H. Zwiedineck v. Südenhorst, L'Austria ai tempi di Maria Teresa, Milano 1914, p. 166; sul piano econ. in F. De Stefano, G. R. Carli (1720-1795), Modena, 1942 passim; M. Romani, L'econ. milanese nel Sett., in Storia di Milano, XII, Milano 1959, passim; M. Berengo, "La via dei Grigioni" e la Politica riformatrice austriaca, in Arch. stor. lomb., s. 9, IV (1958), p. 11; M. Bianchi, Le origini del Monte S. Teresa, in Economia, istituzioni, cultura in Lombardia nell'età di Maria Teresa, I, Bologna 1982, pp. 115-132; C. Capra, L'amministrazione delle finanze e le prime riforme asburgiche nello Stato di Milano (1737-1753), in Atti del Convegno Istituzioni e attività finanziarie milanesi dal XIV al XVIII secolo, Milano ottobre 1977 (in corso di pubblicazione); Id., Riforme finanziarie e mutamento istituzionale nello Stato di Milano: gli anni Sessanta del secolo XVIII, in Riv. stor. ital., XCI(1979), pp. 313-323; G. Rocchi, Pompeo Neri, in Arch. stor. ital., s. 3, XXIV (1876), p. 257; L. Sebastiani, La tassazione degli ecclesiastici nella Lombardia teresiana, in Nuova Riv. stor., LIII (1969), 3-4, pp. 484-497; A. Tirone, Finanza Pubblica e intervento privato in Lombardia durante la guerra di successione austriaca. Precedenti e cause dell'istituzione della Ferma generale, Milano s.d.; C. Vivanti, Le campagne del Mantovano nell'età delle riforme, Milano 1959, ad Ind.

CATEGORIE
TAG

Guerra di successione austriaca

Ducato di parma e piacenza

Borgonovo val tidone

Francesco iii d'este

Bilancia commerciale