Bene

Enciclopedia Dantesca (1970)

bene (sost.)

Domenico Consoli

Sul concetto di b. si era variamente pronunciato il pensiero greco, che D., se pure in modo parziale, potè conoscere attraverso il trattato ciceroniano De Finibus bonorum et malorum, citato in Cv I XI 14 (Libro di Fine de' Beni), IV VI 12 (Fine di Beni), Mn II V 10 (de Fine Bonorum), oltre che per il normale tramite dei Padri della Chiesa e delle raccolte dossografiche.

Alla concezione oggettivistica di Platone, per cui il b. è collocato prima dell'essere come sua fonte originaria (Rep. VI, 508 e 509b), e a quella immanente di Aristotele che situa il b. nell'essere e lo costituisce fine delle azioni umane, identificandolo con la εὐδαιμονία (Eth. nic. I VI, 1096 a 11-17; Phys. II 2, 8) - ma in Aristotele è presente anche la nozione di un b. separato, da cui dipendono tutti gli altri b. (cfr. Metaph. XI 10 e Tommaso Comm. Eth. I lect. VI) - il cristianesimo sostituisce il triplice concetto di b. come essenza infinitamente buona (Dio), modello di ogni perfezione, e principio di beatitudine per l'anima che lo contempla libera dai lacci terreni.

È ovvio che soprattutto a tale concezione si rifaccia D. quando assegna alla parola un significato specificamente teologico. In senso assoluto il vero b. è soltanto Dio ontologicamente considerato. La coincidenza in Dio, secundum rem, del b. con l'essere, affermata da s. Tommaso, " Ostensum est... ipsum esse primum ens et summum bonum " (cont. Gent. II 11 910 ; v. anche Sum. theol. I 5 2-3, 49 2; cont. Geni. I 37-41), viene implicitamente ripresa da D. in più luoghi e teoricamente dichiarata in Mn I XV 1 Ens enim natura praecedit unum, unum vero bonum: maxime enim ens maxime est unum, et maxime unum est maxime bonum.

Di conseguenza, nella Commedia Dio viene designato con ampie perifrasi: Quello infinito e ineffabil bene / che là sù è (Pg XV 67), Quel bene / che non ha fine e sé con sé misura (Pd XIX 50), o, più semplicemente e frequentemente, sommo bene (Pg XXVIII 91, Pd III 90, VII 80, XIV 47, XIX 87, XXVI 134); sommo bene ricorre anche, con riferimento a Dio, in Cv IV XII 15.

Dio, in quanto verità, è l'appetibile primo dell'intelletto umano, conformemente al commento tomistico dell'Etica nicomachea (VI lectio 3 " verum est bonum intellectus ") che D. interpreta come testo di Aristotele: sì come dice lo Filosofo nel sesto de l'Etica, quando dice che 'l vero è lo bene de lo intelletto (Cv II XIII 6); pertanto i peccatori sono definiti genti dolorose / c'hanno perduto il ben de l'intelletto (If III 18; cfr. anche Pg XVII 85): " Bonum intellectus quod est ipse Deus, tanquam ultima beatitudo et veritas " (Pietro).

Il processo per il quale la conoscenza intellettuale del b. si tramuta in amore di esso, in tensione della volontà buona (cfr. Tomm. Comm. Eth. IX lectio VI " Bonum autem est eligibile et amabile ") è sinteticamente delineato in Pd XXVI 28 ché 'l bene, in quanto ben, come s'intende, / così accende amore, e tanto maggio / quanto più di bontade in sé comprende; ma si considerino anche i passi di Pg XVII 127 Ciascun confusamente un bene apprende / nel qual si queti l'animo, e disira; / per che di giugner lui ciascun contende, e Pd V 6 perfetto veder, che, come apprende, / così nel bene appreso move il piede.

Poiché il b. si accoglie in misura massima in Dio, sino a confondersi con Lui, al grado supremo ('l ben, ch'è del volere obietto, / tutto s'accoglie in lei [nella luce divina e quindi in Dio stesso], e fuor di quella / è defettivo ciò ch'è lì perfetto, Pd XXXIII 103), al punto che la creazione del mondo non fu per l'‛ etterno amore ' di bene acquisto, / ch'esser non può (XXIX 13), Dio si qualifica immediatamente come fine ultimo, appagamento definitivo degli affetti e del volere umani: lo bene / di là dal qual non è a che s'aspiri (Pg XXXI 23); E vidi scendere altre luci dove / era il colmo de l'emme, e li quetarsi / cantando, credo, il ben ch'a se le move (Pd XVIII 99); Lo ben che tutto il regno che tu scandi / volge e contenta (VIII 97); E già la vita di quel lume santo / rivolta s'era al sol che la rïempie / come quel ben ch'a ogne cosa è tanto (Pd IX 9; v. anche il v. 11 e Pg XV 56); Per vedere ogne ben dentro vi gode / l'anima santa (Pd X 124); Lo ben che fa contenta questa corte (XXVI 16). Sembra accostabile ai precedenti esempi l'uso di b. nella frase di Stazio a D.: Se tanto labore in bene assommi (Pg XXI 112), " possa condurre la tua fatica a buon termine ", il felice compimento del viaggio dantesco risolvendosi nella visione di Dio e nel possesso della verità.

L'‛ amore d'animo ' (distinto dall'‛ amore naturale ' o istinto) non erra quando s'indirizza verso il primo bene (Pg XVII 97), conformandosi alla volontà divina: il ben nostro in questo ben s'affina (Pd XX 137). Talora però s'illude di individuarlo in altri oggetti: l'anima nostra, incontanente che nel nuovo e mai non fatto cammino di questa vita entra, dirizza li occhi al termine del suo sommo bene, e però, qualunque cosa vede che paia in sé avere alcuno bene, crede che sia esso. E perché la sua conoscenza prima è imperfetta, per non essere esperta né dottrinata, piccioli beni le paiono grandi, e però da quelli comincia prima a desiderare (Cv IV XII 15-16); lo stesso D. si fa accusare da Beatrice di aver seguito, durante il suo traviamento morale e intellettuale, imagini di ben... false (Pg XXX 131). Al passo del Convivio su riportato è evidentemente connesso quello di Pg XVI 85-93, dove l'anima semplicetta che sa nulla s'inganna al sapore di un picciol bene (v. 91) che ella confonde col lieto fattore dal quale muove e a cui volentier torna.

Questi altri b. non sono in grado di appagare compiutamente l'umana sete di felicità e procurare quel piacere altissimo di beatitudine, lo quale è massimo bene in Paradiso (Cv III XV 2): Altro ben è che non fa l'uom felice (Pg XVII 133). Resta comunque valido il principio che ogni b. minore e particolare è riflesso ed effetto del sommo b., universalissimo benefattore (Cv I VIII 3; si ricordi Mn II II 3 restat.., quod quicquid est in rebus inferioribus bonum, cum ab ipsa materia esse non possit, sola potentia existente, per prius ab artefice Deo sii): la buona / essenza, d'ogne ben frutto e radice (Pg XVII 135); nullo creato bene a sé la tira, / ma essa [la prima volontà], radïando, lui cagiona (Pd XIX 89); ciascun ben che fuor di lei [dell'essenza divina] si trova / altro non è ch'un lume di suo raggio (XXVI 32); là [in Dio] 've ogne ben si termina e s'inizia (VIII 87); que' da cui convien che 'l ben s'appari (Rime L 25), tutti concetti presenti in s. Tommaso (cfr. per es. Sum. theol. I 6 4 " Sic ergo unumquodque dicitur bonum bonitate divina, sicut primo principio exemplari, effectivo et finali totius bonitatis. Nihilominus tamen unumquodque dicitur bonum similitudine divinae bonitatis sibi inhaerente, quae est formaliter sua bonitas denominans ipsum "; v. anche Verit. 21 4).

Dalla perfetta bontà di Dio dipende la definizione dell'Empireo, creato ne la prima Mente (Cv II III 11), come luce intellettüal, piena d'amore; / amor di vero ben, pien di letizia (Pd XXX 41), mentre in piena coerenza con la tradizione scritturale si rivela l'uso di b. per designare il messaggio evangelico, le verità della fede: Tu dunque... levato hai il coperchio / che m'ascondeva quanto bene io dico (Pg XXII 95: parole di Stazio a Virgilio, per il senso delle quali cfr. il precedente v. 66); " sicut scriptum est: Quam speciosi pedes evangelizantium bona ", già proclamava s. Paolo (Rom. 10, 15) riecheggiando Is. 52, 7 " Quam pulchri super montes pedes adnuntiantis et praedicantis pacem, adnuntiantis bonum, praedicantis salutem ".

Talora la nozione di b. rientra negli schemi linguistici dello stilnovismo, come in Rime CVI 135, dove, a proposito della confusione diffusa nel mondo circa l'amicizia, si afferma che solo di radice di ben [da intendersi quasi certamente: dalla bellezza femminile] altro ben [la virtù dell'uomo] tira l'amicizia amorosa; cfr. i vv. 11-14 Io dico a voi che siete innamorate / che se vertute a noi / fu data, e beltà a voi... Analogamente, in Rime LXXXIII 107, la leggiadria è colei che solo al cor genti/ infonde simili beni, b. simili a quelli che il sole infonde nella materia, cioè vita e virtù (cfr. i vv. 100, 108, 111), e in XC 72 Amore è invitato a far sentire la sua potenza alla donna: che par che si convegna / di darle d'ogni ben gran compagnia (ciò dal momento che ogni bontate trae origine dall'altezza d'Amore: cfr. i vv. 48-49).

Il vocabolo ha anche connotazione genericamente morale, ed equivale a " ciò che è buono, onesto, retto ", " virtù ", precisandosi nel suo peculiare valore attraverso il senso dell'intero contesto. È il caso di Rime XC 9, dove i b. che neccesariamente si muovono da Amore sono quelli che l'uomo si sforza di raggiungere " in quanto essere razionale, con l'esercizio delle virtù morali e intellettuali " (Pernicone). Ricca di b. è la donna gentile, intesa come filosofia: e prima la commendo secondo che 'l suo bene è grande in sé, poi la commendo secondo che 'l suo bene è grande in altrui (Cv III VII 1), ma la qualità di tal b. si chiarisce quando D. enuncia la ragione della sua lode: e cotale [divina] dico io che è questa donna, sì che la divina virtude, a guisa che discende ne l'angelo, discende in lei (§ 7), aggiungendo che ella non pur a migliorare lo bene è fatta, ma eziandio a fare de la mala cosa buona cosa (VIII 21); infatti la sua bellezza ha podestate in rinnovare natura in coloro che la mirano... E questo conferma... ch'ella è aiutatrice de la fede nostra (§ 20).

Per converso, il possesso delle ricchezze è privazione di bene, poiché possedendo quelle, larghezza non si fa, che è vertude ne la quale è perfetto bene e la quale fa li uomini splendienti e amati (Cv IV XIII 14).

Il b. che D. trova nella foresta del peccato (If I 8) è Virgilio, la ragione riconquistata (ma esistono altre interpretazioni che possono riassumersi nelle parole del Boccaccio: " per lo qual bene niuna altra cosa credo che sia da intendere altro che la misericordia di Dio... Ella... è quella che, nella oscurità della nostra ignoranza e delle nostre colpe, colle braccia aperte si truova presta a non guardare a' difetti commessi, ma solamente alla buona affezione di chi a lei rivolger si vuole per doverla ricevere "); mentre il ben che a sua volta Virgilio promette a D. (If II 126) s'identifica con il viaggio conoscitivo per i tre regni d'oltretomba sino alla verità suprema e quindi alla salvezza, in contrasto con questo male e peggio di I 132. Lo stesso valore di " salvezza " spirituale ha il ben di cui D. non intende privarsi con imprudente uso dell'ingegno, opponendosi all'azione della provvidenza (If XXVI 24; ma molti interpreti intendono per b. l'ingegno stesso, di cui è menzione al v. 21).

In Pd IX 107 'l bene perché / 'l mondo di sù quel di giù torna, è il fine provvidenziale in vista del quale il mondo di su, cioè il complesso dei cieli, gira intorno al mondo sottostante e lo impronta della sua influenza. La frase di Pg XX 121 al ben che 'l dì ci si ragiona, allude agli esempi virtuosi di povertà e liberalità di cui le anime della cornice ragionano durante il giorno. Quale ignota ricchezza e ben ferace appare a D., nel canto di s. Francesco, la povertà, fonte di virtù e introduttrice alla beatitudine del Paradiso (Pd XI 82).

" Virtù " in senso lato vorrà significare il vocabolo in Rime XCVI 8, dove D. si scusa con Cino da Pistoia del suo lungo silenzio, soltanto imputabile al luogo in cui egli si trova (forse Firenze, forse il Casentino), ch'è sì rio, / che 'l ben non trova chi albergo li doni, concetto ripetuto al v. 14 con più vasta applicazione: Oh, messer Cin, come 'l tempo è rivolto / a danno nostro e de li nostri diri, / da po' che 'l ben è sì poco ricolto!

Se piuttosto complesso è in Pg XIV 93 il giro della frase che presenta la stirpe dei Calboli e di altri Romagnoli spoglia del ben richesto al vero e al trastullo, non sembra sussistere dubbio che b. qui equivalga a " virtù ", qualunque sia il valore da attribuirsi a vero e a trastullo, per l'individuazione del quale si rimanda alle voci relative.

La parola indica anche, naturalmente la nozione più generica di b., sia in rapporto con l'opera della provvidenza divina (O è preparazion che ne l'abisso / del tuo consiglio fai per alcun bene / in tutto de l'accorger nostro scisso?, Pg VI 122; Pd XXVI 66), sia relativamente a meriti e qualità più propriamente umane. Di tal tipo sono gli esempi di Vn XIX 11 49, Cv I II 9 (due volte), VIII 4 (due volte), III XIII 8, IV XIV 7 (due volte), XXI 1, XXVII 16; Pg IX 91 (dove ha il valore specifico di " bene operare ", come in Pg XXVIII 92 e in Pd XI 109), X 89, XIX 121; XXIV 80, XXVIII 129; Pd IV 137, Fiore CCII 11.

Immesso in una traduzione dalle Pandette, La ragione scritta è arte di bene e d'equitade (Cv IV IX 8; " Ius est ars boni et aequi ", Digestum vetus: De lustitia et Iure Tit. I), il vocabolo assume implicazioni giuridiche. Ancora più intensa si rivela la relazione tra ius e b. a proposito del ‛ pubblico b. ', il " bene che riguarda l'utile di tutta la comunità umana " organizzata nell'impero, poiché Quicunque... bonum reipublicae intendit, finem iuris intendit (Mn II V 1), e poiché impossibile est ius esse, bonum comune non intendens (V 2; cfr. anche § 5). Intendere al pubblico b. è compito primario dell'imperatore eletto da Dio (Cv IV IV 9), ma ad esso possono e debbono contribuire tutti i cittadini, secondo l'esempio di Torquato, giudicatore del suo figliulo a morte per amore del publico bene (Cv IV V 14).

L'implicito nesso di opposizione che lega l'idea del b. a quella del male, lungo l'intera orbita dei significati in cui i due vocaboli si muovono, si rende in alcuni casi manifesto: la fama dilata lo bene e lo male oltre la vera quantità (Cv I IV 1; concetto ripreso ai §§ 8 e 12 [due volte]), [il guidano, o] male [o] bene (I XI 4); ell'apre lume che mostra lo bene e l'altro [il male] de la persona chiaramente (II X 9); non fora giustizia / per ben letizia, e per male aver lutto (Pg XVI 72); lume v'è dato a bene e a malizia (XVI 75); Uomini... a mal più ch'a bene usi (Pd III 106); Cv IV XIII 10; Fiore XLIV 9, CXXXIX 2.

Negli esempi che seguono il contrasto con ‛ dolore ', ‛ doglienza ', ‛ male ' (nel senso, quest'ultimo, di ‛ sofferenza ') conferisce a b. l'accezione di " gioia ", " felicità ", " godimento ": 'l mal d'Amor non è pesante il sesto / ver ch'è dolce lo ben (Rime LXII 8); d'Amor dica s'ha bene o dolore (Rime dubbie XIX 14); Ritorna a tua scienza, / che vuol, quanto la cosa è più perfetta, / più senta il bene, e così la doglienza (If VI 108).

In Cv IV Le dolci rime 90 Dico che nobiltate in sua ragione / importa sempre ben del suo subietto, si afferma che la nobiltà importa sempre il " pregio ", la " lode " di colui del quale si ragiona; altrove (Rime dubbie III 8) lo bene è la " ricompensa ", il " premio " promesso dalla donna all'amante, mentre lo ben / che ne la quinta luce è chiuso (Pd XIII 48) si dimostra chiaramente per un'" anima " del Paradiso.

Sul piano delle cose materiali o delle qualità non virtuose, normale e diffuso è nel termine il senso di " bene terreno, temporale ", sempre con sottaciuto o espresso riferimento ai b. celesti e sovrannaturali. Per la dottrina esposta in Pg XVII 91-139, l'uomo pecca quando il suo amore si rivolge al male, o con più cura / o con men che non dee corre nel bene (v. 101), dove b. ha contemporaneamente il valore di ‛ b. secondo ' o secondario (cfr. il v. 98), troppo e viziosamente desiderato, e quello di ‛ primo b. ' (cfr. il v. 97), di Dio, a cui tiepidamente aspirano le anime degli accidiosi: il peccato si origina dunque quando l'amore si dirige al b. con ordine corrotto (v. 126), in maniera irregolare e disordinata. Di qui l'alta responsabilità attribuita, nella sfera degli eventi storici, al pontefice, tutto inteso al godimento delle cose mondane e perciò stesso malo essemplo (Pd XVIII 126) al gregge dei cristiani: la gente, che sua guida vede / pur a quel ben fedire ond'ella è ghiotta, / di quel si pasce, e più oltre non chiede (Pg XVI 101); amara constatazione, se pure un filosofo pagano come Platone non si curava dei b. temporali (Cv III XIV 8). Son questi i b. vani e labili che la Fortuna detiene e governa (If VII 62 e 69) permutandoli a tempo di gente in gente secondo il volere della provvidenza (v. 79), destinati a scemare di quantità quanto più numerosi ne sono i possessori (cfr. Pg XV 61), ma dei quali i legislatori non possono non tener conto nell'emanare le norme regolative del vivere civile: vedemo li ponitori de le leggi massimamente pur a li più comuni beni tenere confissi li occhi, quelle componendo (Cv I VIII 4).

Nel passo di Fiore CIX 8 Guardami, Iddio, per la tua gran pietade, / di gran ricchezza e di mendichitade, / e dammi del tu' ben sol per ragione (parafrasi di Prov. 30, 8 " mendicitatem et divitias ne dederis mihi; tribue tantum victui meo necessaria "), b. corrisponde a " victui... necessaria ", " ciò che basta a vivere ". Sta invece per " ricchezze ", " possedimenti ", in altri luoghi dove è usato al plurale o in costruzioni di senso plurale: Puote omo avere in sé man vïolenta / e ne' suoi beni (If XI 41); insin che d'ogne ben s'è spodestato (Fiore CVIII 13; cfr. anche CXXII 5 e 8, CLXXIV 3).

In Pg XI 31 il termine b. ha forse il senso di " orazione ", " preghiera ": Se di là sempre ben per noi si dice, si prega sempre per noi. Diversamente, in Cv IV XXVII 2 l'anima nobile ne la senetta sì è prudente, si è giusta, sì è larga, e allegra di dir bene in prode d'altrui, dove l'espressione ‛ dir b. ' significa propriamente " dire cose buone ", e contestualmente " parlare favorevolmente "; e il vocabolo ha valore neutro.

Con analogo valore proprio di " cose buone ", in Cv IV XXIX 6 coloro che hanno udito bene de li suoi maggiori (cfr. poco prima quelli che hanno udito la buona fama di colui di cui è la statua).

Nel Fiore è presente due volte il sintagma ‛ voler b. ': E priegoti, se mai ben gli volesti (CXLII 5); solamente a costui ben volea (CXCII 11); e anche ma era tanto il ben ch'ella volea (CLXI 12); una volta il sintagma ‛ far b. ', col valore di " beneficiare " e più precisamente " dar l'elemosina " (CXIII 4).

Con tono ironico, sarcastico (quindi con valore antifrastico; e si noti la correlazione con peggio), la locuzione ‛ far b. ', in Rime LXXV 1 Ben ti faranno il nodo Salamone, / Bicci novello, e petti de le starne, / ma peggio fia la lonza del castrone.

Infine, tre volte la locuzione ‛ è b. ' unita con una proposizione infinitiva: e però non è bene a me di dichiarare cotale dubitazione (Vn XIV 14); dare a uno e giovare a uno è bene; ma dare a molti e giovare a molti è pronto bene (Cv I VIII 3); dare cose non utili al prenditore pure è bene.., ma non è perfetto bene (VIII 5).