BACCHINI, Benedetto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)

BACCHINI, Benedetto (al secolo Bernardino)

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Nacque a Borgo San Donnino il 31 ag. 1651 da Alessandro e Giovanna Martini di "onesta", ma impoverita famiglia. Passò l'infanzía e la giovinezza a Parma e fu educato dai locali gesuiti. A sedici anni entrò nel monastero benedettino di S. Giovanni Evangelista e vi professò col nome di Benedetto il 21 ag. 1668. Suo maestro di filosofia fu P. Maurizio Zappata, ammiratore del Gassendi e antiquario, di cui pare che il B. riordinasse i Notabilia rerum Parmensium (o Notitia ecclesiarum Parmae) in vista di una pubblicazione, poi non avvenuta, dopo la morte dell'autore nel 1709 (v. Benedictina, XII [1958], p. 95). Teologia il B. studiò con Epifanio Desu. Ma già allora impaziente di filosofia scolastica si interessò soprattutto di storia ecclesiastica. Nel 1675 è sacerdote e comincia a insegnare umanità e retorica. Malato di esaurimento, viene nel 1676 trasferito alla dipendente badia di Torrechiara, dove si distrae studiando musica. Guarito, passa nel 1677 al monastero di S. Benedetto a Ferrara come segretario dell'abate Angelo Maria Arcioni, poeta ed architetto, parmense anch'egli. Segue poi l'Arcioni ad Arezzo e nel 1679 a Piacenza; e dell'Arcioni, allora eletto presidente della Congregazione cassinese, è il braccio destro. La sua prima produzione stampata sembra sia un barocchissimo sonetto per Ferrante III Gonzaga duca di Guastalla, posto avanti la Istoria della Città di Guastalla di G. B. Benamati, Parma 1674.

Di questi anni può essere che sia il grosso Cartulario del Monastero della Pomposa colla Cronologia dei Papi, Re, Imperatori ed Abbati dal X sec. a tutto il XIV, che si conserva autografo tra i mss. Morbio (n. 29) della Biblioteca Braidense di Milano. Il manoscritto venne in mano di C. Morbio dopo che già aveva scritto sulla Pomposa nelle Storie dei Municipi Italiani, I, 2 ediz., Milano 1840. In verità Placido Federici, Rerum Pomposianarum Historia, I, Romae 1781, p. XVI, asserisce che il cartulario fu redatto dal B. poco prima della morte nel 1720, ma ci sono varie ragioni - non ultima la scrittura del B. - per dubitare di data così tarda: si cfr. P. F. Kehr, Italia Pontificia, Berolini 1911, V, p. 179 (e anche D. Balboni, in Benedictina, VIII [1954], pp. 289-300). La questione rimane sub iudice. Il B. si fondava in ogni modo sulle carte della Pomposa che allora si conservavano nel monastero di S. Benedetto di Ferrara.

In quegli anni 1675-83 il B. aveva soprattutto fama d'oratore. Nel 1679 fu designato a recitare l'orazione funebre della madre del duca di Parma: l'Orazione Epicedica per Madama Serenissima Margherita Medici Farnese fu pubblicata nello stesso anno a Piacenza dalla Stamperia ducale di G. B. Bazachi. Il B. predicò a Lucca, Venezia, Padova, Firenze, Milano, Bobbio; e appunto a Firenze nel 1681 strinse la decisiva amicizia con E. Noris e A. Magliabechi. Un volume manoscritto di prediche è conservato dalla Bibl. Palat. di Parma H. H. IV, 112, 949. Istruttivo per la tecnica oratoria del B. è il paragonare la predica La libertà politica non essere tale senza il legame triplicato de' riguardi dovuti al publico, all'anima, a Dio. Predica da dirsi all'Ecc.mo Senato della Republica di Lucca con l'altra da dirsi nel Capitolo generale Cassinense in Venezia "correndo la quarta domenica doppo Pasqua dell'82". Dopo un breve intervallo con l'Arcioni a Pavia, dove pubblica nel 1682 per i tipi di C. F. Magri il panegirico Le cagioni e gli effetti dell'unione di San Nicola da Tolentino con Dio (irreperibile a chi scrive), il B. torna al seguito dell'Arcioni a Parma nel 1683 o 1684. Diventato decano, è liberato da impegni di predicazione e segreteria, si concentra negli studi e ordina la biblioteca del suo monastero. Riprende lo studio del greco con G. B. de' Miro, più tardi sub-custode della Biblioteca Vaticana, e imprende lo studio dell'ebraico con l'ebreo battezzato Ranuccio Costanti: diventa consultore della Inquisizione a Parma.

Già in rapporto con i maurini, ed evidentemente in profonda. simpatia con il loro lavoro, ha l'onore e la gioia di ospitare a Parma i padri Mabillon e Germain nel maggio 1686. I tre giorni della visita consacrati in pagine famose del Museum Italicum del Mabillon (I, Lutetiae Parisiorum 1687, pp. 208 s.) furono importanti per l'attività successiva del B.: ne risultò tra l'altro l'iniziativa della pubblicazione del Giornale dei Letterati di Parma, finanziato dal carmelitano Gaudenzio Roberti, ma scritto quasi interamente dal Bacchini.

Il Giornale dei Letterati nasceva nel 1686 in un momento di crisi del Journal des Savants, tradizionale portavoce dei maurini: la coincidenza non è forse casuale, ma cessò presto di essere significativa. In Italia il Giornale dei Letterati acquistò subito prestigio e si considerò e fu considerato la continuazione del Giornale dei Letterati di G. G. Ciampini che aveva cessato le pubblicazioni alcuni anni prima: del Ciampini stesso il B. diventò amico. A evitare una interruzione del suo lavoro il B. rinunciò a un trasferimento a Roma nel 1688, e fu nominato teologo del duca di Parma. Il Giornale nella sua edizione parmense durò dal 1686 al 1690. Diede di preferenza resoconti di teologia, storia ecclesiastica, antiquaria, medicina e matematica: la nuova antiquaria si combina con lo spirito sperimentale galileiano, una combinazione non insolita. In contrasto con il Giornale del Campini è cospicua l'indifferenza per le letterature classiche (edizioni, commenti). Il Giornale di Parma rivela la straordinaria varietà di conoscenze storiche e scientifiche dei B., ma non lascia ancora scorgere una personalità robusta di critico. La stessa produzione originale del B. è incerta e svagata, cosa tanto più strana se si deve attribuire agli anni intorno al 1677 il cartulario della Pomposa, che presuppone precise conoscenze di storia medievale. Due dissertazioni antiquarie, una su una pretesa medaglia di Scipione Africano (pubblicata nel Giornale del 1688, pp. 147-155, e ripubblicata nelle Nouvelles del Bayle del gennaio 1689, pp. 35-52, tramite il Magliabechi) e l'altra De sistrorum figuris ac differentia, Bononiae, ex Typographia Pisariana, 1691 (ristampata da J. Tollius, Utrecht 1696 e poi nel vol. VI del Thesaurus del Graevius), non sono più che esercizi.

Nel 1688 il B. si fece editore di Helenae Lucretiae Corneliae Piscopiae Opera, Parmae, Rosati, per incarico della famiglia dell'autrice, morta nel 1684. La prefazione è un riassunto della biografia della Piscopi scritta da M. Deza, 1686: fu poi ristampata in Chr. Bauchius, Vitae Selectae, Wratislaviae 1711, p. 240, ed è lungi dall'illuminare la figura della singolare, dotta e religiosa veneziana. Più interessante l'edizione principe voluta dal Magliabechi del Dialogus de praestantia virorum sui aevi di Benedetto Accolti, Parmae, Haer. M. Vignae, 1689, a cui il B. premise una vita dell'Accolti. L'opera aveva ancora un sapore di polemica contro la corruzione degli ecclesiastici, e ci è attestato da I. Affò che il B. aveva dovuto trovare un tipografo in Francia. Il B. tradusse dal francese dei Saggi di Anatomia, di anonimo, Parma, Rosati, 1688 (più volte ristampati), dopo averli recensiti in Giornale, 1686, p. 76. Inoltre in questi anni attese alla traduzione in latino della classica Histoire des grands chemins de l'Empire Romain di N. Bergier - traduzione che fu tosto resa superflua da quella di H. Chr. Henninius e si trova incompiuta in manoscritto della Biblioteca Estense di Modena (α. J. 4. 10). Nelle intenzioni del B. la traduzione doveva essere seguita da un'appendice originale sulle strade antiche di Italia, per cui ancora stava raccogliendo materiale intorno al 1697 (appunti conservati nella Biblioteca Estense, α. K. 3. 7.), e di cui gli era stata offerta la pubblicazione nel Thesaurus del Graevius. Appartiene a questo periodo anche una confutazione della genealogia fantasiosa dei Farnese, a partire da Noè, preparata da un abate Teodoro Damadeno (materiale rilevante nel ms. estense α. K. 4. 1., e Parma, Bibl. Palatina, ms. 906).

Nell'agosto 1689 il protettore Arcioni, allora abate di S. Sisto a Piacenza, moriva. Per sfortunata combinazione Vitale Terrarosa, eletto abate di S. Giovanni Evangelista a Parma nel 1690, prese a malvolere il B. ormai indifeso, che in quel tempo esercitava le funzioni di economo delle monache di S. Alessandro, dopo esserne stato il confessore. Per accuse imprecisate (malversazioni ?) il B. ricevette l'ordine nel 1691 (nel 1690 secondo altre fonti) di lasciare entro tre giorni Parma e ritirarsi nel monastero della Cervara. Ma Simeone Belinzani, abate di S. Benedetto di Polirone, ottenne di portarsi il B. nel suo monastero. Il colpo fu grave, e della crisi interiore sono documento i tre dialoghi col morto padre Arcioni, De constantia in adversis, De dignitate tuenda, De amore erga rempublicam Dialogi Tres, poi pubblicati anonimi a Modena, Cassiani, 1692 (ristampati, Bois-le-Duc, Du Mont, 1698, e Parma, Rosati, 1721). I dialoghi ebbero vasta eco, e meriterebbero analisi di competente nella casistica contemporanea: tutti hanno elementi stoici (si sa che il B. studiò allora Boezio), e il terzo è particolarmente vigoroso nel sostenere il dovere assoluto di occuparsi della propria repubblica (cioè del proprio monastero). A S. Benedetto di Polirone il B. concepì una delle sue opere più importanti, l'Istoria del Monastero di S. Benedetto di Polirone nello Stato di Mantova, di cui pubblicò poi il primo e unico volume a Modena, Capponi e Pontiroli, 1696. L'opera, farraginosa e scritta male, ma interamente fondata su ricerche d'archivio, iniziò la revisione a favore del dominio longobardo contro l'opinione del Baronio, e in ciò il Muratori non farà che seguire il Bacchini (cfr. anche Giorn. Letter., 1696, p. 181). Sulla redazione finale del volume, quasi tutto dedicato alle vicende della contessa Matilde e in cui talvolta il monastero di Polirone è perduto di vista, probabilmente influirono gli interessi dinastici degli Estensi, nella cui sfera il B. passò sul finire dei 1691 (auspici B. Ramazzini e G. Cantelli), andando a risiedere nel monastero di S. Pietro di Modena.

Il primo decennio modenese è il più ricco, produttivo e scopertamente battagliero del Bacchini. Riprende il Giornale dei Letterati nel 1692 ancora a spese del Roberti e dopo la sua morte lo continua con alcuni collaboratori per le annate 1693 (finita nel 1696), 1696 (stampata 1697) e 1697 (stampata 1698). Il Giornale è ora sempre più impegnato nel propagare il metodo critico di maurini e bollandisti. Nell'annata 1692 appare la recensione entusiastica del Traité des Etudes Monastiques di Mabillon. Nel 1696, tramite il Magliabecúi, il B. si fa il rappresentante del Papebrochius (Papenbroeck), la cui Responsio contro gli attacchi dei carmelitani egli riassume pezzo a pezzo tanto da farne l'articolo principale di parecchi numeri. Onori e incarichi sono profferti al Bacchini. Nel 1694 - fallita la speranza di diventare professore a Pisa - viene nominato professore di Sacra Scrittura a Bologna, e vi fa qualche lezione fino al 1697: anche dopo l'università lo tiene tuttavia fra i suoi lettori "absens cuin reservatione lecturae": Il duca Francesco II gli dà il titolo di storiografo, e il suo successore Rinaldo lo fa custode della propria biblioteca nel 1697: l'anno prima toccò al B. di preparare la "macchina di fuochi di gioia" per le nozze di Rinaldo. Nella Biblioteca Estense il B. comincia a catalogare i manoscritti e vi fa la sua più famosa scoperta, ritrovando il Libro Pontificale di Agnello Ravennate, alla cui edizione e commento dedicherà alcuni anni. Il Giornale e le ricerche di storia medievale mettono il B. a contatto con molti dotti. Nel luglio 1698 lo visita l'altro grande maurino B. Montfaucon (Diarium Italicum, Parisiis 1702, p. 31; per ulteriore visita, p. 404). La storia di Polirone gli attira in particolare la stima del Leibniz che già lo aveva incontrato nella visita a Parma del 1690 (Allgem. polit. u. hist. Briefwechsel, V, n. 316). Giovani accorrono dal B. come a maestro: tra questi c'è nel 1692 L. A. Muratori che ne riceve indelebile orientamento scientifico e morale (qui sono essenziali le lettere giovanili di Muratori in Epistolario, I, Modena 1901). Il suo monastero di Parma lo richiama per alcuni mesi nel 1697 per il riordinamento della libreria. Ma il culmine di questi anni è il lungo viaggio, a spese di p. Erasmo Gattola, per visitare nel 1696-97 Montecassino e poi fermarsi in altre famose abbazie (tra cui Farfa), nonché in Napoli, Roma e Firenze, raccogliendo documenti e ritrovando, o facendo, amici. Il materiale accumulato in quei mesi non fu mai usato in specifici lavori dal B.: egli lo comunicò tuttavia al Muratori (Epistolario, VI, Modena 1903, n. 2152 dell'8 genn. 1723). Dei viaggio stesso, che per il B. rimase un ricordo felice, esiste un diario parziale nella Biblioteca Palatina di Parma, ms. 951.

La buona fortuna cessava poco dopo. La storia di Polirone per imprecisate ostilità non fu più continuata. Un capitolo inedito, così detto libro sesto, che va sino a circa il 1138, si trova autografo nell'Archivio Soli-Muratori alla Biblioteca Estense (riassunto in Riv.stor. bened., I [19o6], pp. 248-252). Nel 1698 il B. fu costretto dall'Inquisizione a interrompere la pubblicazione del Giornale: evidentemente la scesa in campo in difesa del Papebrochius alla vigilia della condanna dei suoi Propylaea non gli aveva giovato. Nello stesso anno, più o meno per punizione, fu fatto contro la sua volontà cellerario del suo monastero, e poco dopo dovette interrompere l'attività di bibliotecario del duca.

Il Muratori lo sostituì nel 1700, e le circostanze della sostituzione rimangono poco chiare. I rapporti con il Muratori si mantennero stretti e cordiali, ma forse, a giudicare dalle lettere, non più aperti e confidenziali, come si aspetterebbe tra maestro e discepolo. Delle prime esperienze del B. cellerario sono testimonianza singolare alcuni foglietti di Memorie della mia celleraria conservati nella Biblioteca Estense (α. J-4-7.). All'8 giugno (1698) il B. per esempio annota: "La mattina dopo mattutino il p. Abbate mi prese et hebbe la bontà di domandarmi perdono per li strapazzi fattimi, confessando che s'era ingannato ne' suoi pensieri e che mi considerava huomo honorato. Io lo ringraziai e lo assicurai ch'era tale".

Pur tra le faccende di convento, il B. continuò a studiare e a insegnare. Nel 1703 fu fatto arcade col nome di Ereno Panormio. Nel 1704 diventò priore. Intorno al 1704-05 teneva al monastero corsi di greco, ebraico e storia ecclesìastica, quest'ultima in forma di una Manuductio ad Philologiam Ecclesiasticam di cui si hanno copie (per es. nella Biblioteca Estense, α. F.8.16). Tra i suoi allievi furono il futuro cardinale Fortunato Tamburini e il futuro abate e storico Camillo Affarosi: le lettere a loro scritte sono le uniche in cui il B. si apra sorridente e affettuoso. Attese inoltre al completamento delle opere maggiori. Nel 1703 apparve il De Ecclesiasticae Hierarchiae Originibus per i tipi del Capponi di Modena.

Concepita come lavoro preparatorio alla edizione del Liber Pontificalis di Agnello, l'opera si inseriva nella vasta discussione tra cattolici intorno al rapporto originario fra gerarchia ecclesiastica e gerarchia politica. Il B. negava che le divisioni ecclesiastiche corrispondessero in origine a quelle dell'impero romano. Secondo il B. la gerarchia introdotta dagli apostoli teneva conto anzitutto in Oriente della importanza e organizzazione delle comunità giudaiche (da lui studiate minutamente), mentre in Occidente la scelta di Roma sarebbe stata dovuta al convergervi di ebrei e gentili. In quanto l'argomento del parallelismo tra organizzazione politica e organizzazione ecclesiastica nella Chiesa primitiva era stato usato da scrittori gallicani, il B. era implicitamente anti-gallicano. La sua teoria fu attaccata in Francia da L.-E. Du Pin (Bibl. des Auteurs Ecclés. du Dix Septième Siècle, X, Paris 1708, pp. 129-131. Nella difesa che del B. fece il Giornale dei letterati d'Italia, Venezia, XXII-XXIII, 1715-16 (certo valendosi di materiale fornito dal B. stesso), si osserva che la sua teoria è vantaggiosa alla dignità pontificia e manda "in gran parte a terra la famosa opera di Pier de Marca" (XXII, p. 29). Tuttavia, il parallelismo tra le due gerarchie era stato anche accettato dall'autorevole apologeta antigallicano E. Schelstrate, Antiquitas Ecclesiae, II, Opus posthumum, Romae 1697, e, come già vide qualche contemporaneo, la implicita polemica del B. è piuttosto contro lo Schelstrate. Se una radice emotiva è da indicarsi per la tesi del B. (che ebbe anche in proposito una interessante discussione epistolare con Gisb. Cuperus: v. Spicilegium Benedictinum, II, 150; III, 216), andrà piuttosto cercata in quella insofferenza per ogni interferenza delle autorità politiche negli affari ecclesiastici, di cui egli diede ripetute prove nella vita.

Uscito indenne dalla pubblicazione di questo trattato, il B. ebbe invece grandissime difficoltà a ottenere il permesso di pubblicare la edizione del Liber Pontificalis di Agnello. A Roma gli furono ostili F. Bianchini e L. A. Zaccagni. All'ostilità del Bianchini può aver contribuito l'incidente del 1704 tra il medesimo e il Muratori, a proposito del progetto della Repubblica Letteraria. Mentre il Bianchini, coinvolto a sua insaputa dal Muratori, si dimostrò violentemente contrario al progetto, il B. approvò e incoraggiò il Muratori (documenti in Benedictina, VI, 1952). A un certo punto fu perfino proibito al B. di conservare in manoscritto i suoi lavori su Agnello (A. Zeno, Lettere, I, Venezia 1752, n. 81). Dopo un viaggio a Roma del B. nel 1706, il permesso di stampa fu infine ottenuto, ma con considerevoli modificazioni del commento e un completo rifacimento della introduzione. Aiutarono il B. i filogiansenisti G. Fontanini e D. Passionei, ma soprattutto ebbe effetto l'intervento del futuro cardinale G. M. Tommasi (importanti documenti in proposito sono riportati da G. L. Amadesi, In Antistitum Ravennatum Chronotaxim... disquisitiones perpetuae, I, Faentiae 1783, pp. 211-224).

Le difficoltà per la pubblicazione del Liber Pontificalis erano molteplici. Si temeva che essa riaccendesse non interamente sopite polemiche sui diritti della sede episcopale di Ravenna e sul suo tentativo di asserire autocefalia, e più ancora gettasse nuovo materiale combustibile nella controversia del diritto esclusivo del papa a inviare il pallio: Agnello (cap. 40) asseriva che l'imperatore Valentiniano III aveva concesso il pallio al vescovo di Ravenna. L'opera uscì nel 1708 per i tipi di Capponi di Modena. Per quanto le temute discussioni ecclesiologiche non mancassero, come si vede dalle critiche degli Acta Erud. Lips., 1710, agosto, pp. 330-336, riprodotte e amplificate in C. Oudin, De Scriptoribus Ecclesiae Antiquis, II, Lipsiae 1722, pp. 156-167, il lavoro del B. fu salutato per quel che era: una edizione modello di un difficile testo medievale. Essa fu ristampata dal Muratori nel secondo volume dei Rerum Italic. Script., e il commento fu ancora usato da O. Holder Egger in calce alla sua edizione critica del testo di Agnello nei Monumenta Germaniae del 1878. Un confronto tra il capitolo dedicato alla posizione di Ravenna nel De Eccl. Hier. Orig. e la introduzione al Liber Pontificalis permette di rendersi conto delle modificazioni imposte al B. per ottenere l'imprimatur. Più precisi particolari in proposito si dovrebbero poter raggiungere con l'esame di materiale inedito. Su taluni punti il B. era certo meno esplicito nel De Eccl. Hier. Orig.: sembrava ammettere l'origine imperiale del titolo metropolitano di Ravenna ed era piuttosto vago sul pallio. Il B. fu però sempre convinto che Agnello, per quanto fonte importante, non desse nel complesso una versione degna di fede delle vicende ecclesiastiche di Ravenna (su ciò cfr. anche la lettera al Muratori in Benedictina V [1951], p. 179).

Il Liber Pontificalis fu anche l'ultimo libro pubblicato dal B. stesso. Le vicende della sua carriera in parte spiegano questo silenzio. Egli fu nominato abate titolare di S. Maria di Lacroma in Dalmazia (rimanendo a Modena) nel 1708, poi abate di governo a S. Pietro nel 1711. Seguì un conflitto, e la sua salute sempre delicata andò peggiorando. Nel difendere il feudo di S. Cesario per conto del suo monastero, il B. suscitò le ire del duca Rinaldo e dovette essere trasferito all'abbazia di S. Pietro in Reggio nel 1713 (documenti nell'Archivio di Stato di Modena, e inoltre Disquisitio de directo dominio in iurisdictionem Castri S. Caesarii, in Biblioteca Estense, α. J.4-7-). A Reggio egli rimase umiliato sino al 1719.

La ragione principale della prematura cessazione delle pubblicazioni è tuttavia questa che i suoi scritti destavano crescenti sospetti. Ammiratore del cardinale C. Sfondrati, protettore del suo Ordine, quando questi fece scandalo con l'opera postuma semi-pelagiana Nodus praedestinationis (1697), il B., sotto lo pseudonimo trasparente di Barachia Scutensis (=Benedetto Parmense), aveva scritto un opuscolo in scusa, più che in difesa. Il B. stesso non condivideva le opinioni teologiche dello Sfondrati, come si può vedere dalla sua difesa della Historia Pelagiana del Noris in Giorn. Letter., 1696, p. 83. L'opuscolo su Sfondrati non poté essere pubblicato: se ne ha una copia nella Bibl. Palatina di Parma, ms. H. H. IV, 69, 906, col titolo Epistola B. B. ad amicum. Nel medesimo ms. segue un Monitum ad eos qui theologiae polemicae operam dare intendunt. Può anche essere significativo che nel 1705 le lettere di Isidoro Chiari, vescovo cinquecentesco benedettino di Foligno, fossero edite dal B., ma l'edizione fosse attribuita all'abate Mauro Piazza.

Nel 1710 e 1710 il B. intervenne nella polemica suscitata dall'oratoriano G. Laderchi che aveva pubblicato (1707) come documento dell'età di Decio gli atti di s. Crescio (cfr. Acta Sanctorum, Oct., X, p. 589).

Nel primo scritto (Hypercrises ad Crises p. M. Gerhardi Capassii et Anticrises Tyronis Laderchiani super actis SS. Crescii et Sociorum) il B. in sostanza prendeva posizione per il Capassi contro il Laderchi per la tarda origine degli atti. Nel secondo scritto (Epistola D. Virginio Valsechio super Historiam Sanctorum Crescii et Socioruni italice scriptam a M. Antonio Mozzi) ribadiva la sua posizione in relazione a uno scritto del Mozzi. I due scritti, del più alto interesse metodico, basati su una rigorosa distinzione tra la Bibbia e documenti come gli atti dei martiri "quae humana fide nituntur", ebbero diffusione manoscritta (copie per es. nelle Biblioteche Estense e Braidense), e il primo fu riassunto nel Giornale dei Letterati d'Italia di Venezia, III, 1710, pp. 222-252. Ma né l'uno né l'altro fu mai pubblicato: pare che vi si opponesse il granduca Cosimo III di Toscana.

Nel 1715 il B. intervenne nell'ultima fase della polemica suscitata dal gesuita B. Germon contro la Diplomatica di Mabillon. Anche questo scritto dal titolo Eleutherii Ilicrini Sanctae Irenes incolae de libro p. B. Germonii... epistola (Biblioteca Estense, α. K-5.1.), che naturalmente difendeva la posizione dei benedettini e in specie di p. P. Coustant, non poté essere pubblicato. Infine inedite rimasero, finché il B. visse, le Lettere Polemiche contro il Signor Giacomo Picenino Ministro in Soglio. Erano lettere polemiche contro i protestanti, ma i censori romani obiettarono a molte affermazioni, specie sull'autorità papale: che tra i censori ci fosse il Fontanini non sembra esatto (vedi la nota di S. Maffei in Osserv. Letter., VI, 1740, p. 433). L'opera rimase interrotta, e fu poi pubblicata postuma nel 1738 per cura del benedettino Sisto Rocci con il falso luogo di stampa Altorf: in realtà fu stampata a Milano da F. Argelati. Il testo stampato include le censure dei revisori ecclesiastici, e le repliche energiche del Bacchini.

Eppure in tutti quegli anni, in cui il B. non poté più pubblicare, la sua autorità in storia ecclesiastica, paleografia, storia medievale italiana, diritto feudale, non aveva fatto che crescere. Pareri giuridici gli erano richiesti in controversie. Ad Asti nel 1718 venivano pubblicate due risposte legali del B. su un diritto di intervento nelle congregazioni dell'Ospedale di Savigliano: Risposte del Rev.mo Padre Abate B. al Rev.mo, Padre D. Pietro Fruttero (esemplare in Bibl. Pal. di Parma, K. q. 123). Le Prove del Giuspatronato della Chiesa Parrocchiale e Priorato di S. Giacomo Maggiore della città di Reggio spettante alla Casa Tacoli furono redatte dal B. prima del 1719 e poi stampate a Modena, dopo la sua morte, nel 1725. L'Affò cita anche Riflessioni intorno all'Eredità Roberti rispetto al Monte di Pietà di Reggio. Scipione Maffei, che già aveva avvicinato il B. prima del 1710, indirizzò a lui il rapporto sui manoscritti di Torino nel 1711, poi gli si rivolse nel 1713 nella controversia con il Pfaff; e nello stesso 1713 andò a Reggio per istruzione in paleografia dopo la scoperta dei manoscritti della Capitolare. Il debito del Maffei verso il B. in metodo storico fu grande (e, cosa insolita per Maffei, generosamente riconosciuto). Sarebbe ancora più grande se fosse vera la diceria che un trattato sulla sincerità e falsità dei diplomi del B. sta alla base della Istoria Diplomatica pubblicata dal Maffei nel 1727; ma il diniego di Maffei stesso in Osser. Lett., VI, 1740, p. 434, sembra convincente (vedi per altro Affò, V, p. 419).

Dopo aver tentato di tornare a Modena, il B. accettava nel 1719 di andare abate a S. Colombano di Bobbio. Vi rimase pochi mesi e promosse l'ordinamento di quanto restava dell'archivio e della biblioteca. Malato di nefrite e in contesa con il vescovo locale, dopo un breve passaggio a S. Sisto di Piacenza, si rifugiò nel monastero di S. Giustina di Padova (ottobre 1719). L'amico A. Vallisnieri lo curò con il vin caldo, i dotti del Veneto si affollarono nella sua camera, ed egli aiutò la catalogazione dei manoscritti della biblioteca (cfr. Ch. Astruc, B.B. et les manuscrits de Sainte Justine de Padoue, in Italia Medievale e Umanistica, III, Padova 1960, p. 341). Scrisse anche una Dissertatio in chartam donationis Opilionis quae adservatur Patavii in Archivo Monasterii D. Justinae, pubblicata postuma nella Raccolta di opuscoli del Calogerà, III, Venezia 1730, pp. 463-483. L'autenticità della carta di Opilione fu tosto negata dal Muratori, Antiq. Italiae M. Aevi, III, Mediolani 1740, col. 35 e poi variamente discussa (A. Barzon, Padova Cristiana, Padova 1955, p. 232). Sempre sofferente, irrequieto e minacciato nella sua posizione di abate di Bobbio (si cfr. la Informazione dei motivi di sua partenza dal governo del Monastero di Bobbio, in Biblioteca Estense, α. J.4.7), passò al monastero di S. Benedetto in Ferrara nel settembre 1720. Traccia di questo passaggio a Ferrara sarebbe il Cartulario del Monastero della Pomposa, se, come avvertimmo, non ci fosse l'alternativa di una data assai anteriore. Nel luglio 1721 il B. fu richiamato alla cattedra di Bologna a migliori condizioni delle precedenti. Preparò la prolusione - conservata autografa nella Biblioteca Estense, α. J.4.7 - che ribadiva i suoi principi critici (libero esame limitato dal consenso dei padri ortodossi e dall'autorità della Chiesa). Ma la prolusione non fu mai pronunciata. Il B. morì nel monastero di S. Procolo in Bologna il 10 sett. 1721.

Il giudizio del Muratori sul B. è ben noto: "egli sapea, come fu detto di Socrate, mirabilmente far la balia degli ingegni, e chiunque il praticava, ne usciva sempre più dotto, e spogliandosi del gusto cattivo, facilmente pigliava il migliore" (Epist., V, n. 1999, p. 2137). Il necrologio del Giornale dei Letterati d'Italia (XXXV, p. 358), ispirato, se non scritto, da S. Maffei, così lo descrive: "Leggeasi nel suo volto un certo che di melancolico e di aspro, senza mitigarlo mai con maniere dolci e piacevoli, tal che sapea bene conciliarsi la venerazione di tutti e il rispetto, ma di pochi l'amore. Dove trattavasi dell'osservanza del suo istituto, de' diritti del suo monastero, delle ragioni della Chiesa cattolica, avrebbe anzi lasciato cadersi il mondo addosso, che retrocedere un passo".

Introduttore e difensore in Italia dei metodi critici di Mabillon e di Papenbroeck, iniziatore della revisione della storia medievale, specie per il periodo longobardo, studioso indipendente della storia delle gerarchie ecclesiastiche, il B. dà il tono alla erudizione italiana del primo Settecento e contribuisce decisamente alla formazione di L. A. Muratori e di Scipione Maffei. La sua austerità, il suo disinteresse, il suo coraggio, la sua tenacia si impongono come ideali. Egli determina anche negativamente la cultura italiana del Settecento con la sua indifferenza (condivisa da Muratori e Maffei) per le letterature classiche, per la storia greca e romana, per il medioevo greco − e per quella parte del Rinascimento italiano che vi si connette. Ma Muratori e Maffei si interessarono assai più di storia profana che di storia ecclesiastica. Come studioso di origini cristiane, di agìografia, e perfino di monasticismo, il B. non ha veramente né allievi né successori. Egli stesso, nell'ultimo periodo della sua vita, trovò impossibile di pubblicare quanto scriveva. Perciò il suo nome cessò presto di avere risonanza all'infuori del cerchio degli specialisti, e la sua opera non assunse una posizione stabile nella tradizione culturale italiana. La raccolta delle sue opere e del suo epistolario, a cui attendeva intorno al 1780 il benedettino parmense abate Andrea Mazza, non fu mai pubblicata. L'Elogio letto da G. Prandi all'università di Bologna nel 1814 rimane un episodio locale e isolato. Solo in quest'ultimo decennio il nome del B. è tornato in onore - sulla scia di un nuovo interesse per il Muratori - per quanto egli contribuì agli studi storici italiani e anche per quanto non riuscì a trasmettere ai suoi discepoli.

Una raccolta di lettere del e al B. si trova nella Biblioteca Estense, α. K.3.20, nonché in Parma, Biblioteca Palatina, ms. 951, e nel monastero di S. Paolo a Roma, ms. 95. Da quest'ultimo, che è incompleto, furono ricavate le lettere stampate in Spicilegium Benedictinum, a collection of unpublished papers edited by the nuns of St. Benedict's, I-V, Rome 1896-1900. Le lettere al Muratori sono state pubblicate in Benedictina, V-VI (1951-1952), quelle del Papenbroeck, ibid., VI. Le lettere al Magliabechi sono inedite, e ancora da studiare. Due lettere del Cuperus al B. sono in Lettres inédites di G. Cuypert, ed. L. G. Pélissier, Caen 1903, pp. 183-193.

Un ritratto del B., dipinto da L. De Cesaris e intagliato in rame da B. Bonvicini in Reggio circa il 1717, è riprodotto con leggera variante in fronte alle Lettere Polemiche del 1738 (Affò-Pezzana, Parma 1827, VI, p. 888).

Fonti e Bibl.: Il B. scrisse uno schizzo autobiografico sino al 1705 pubblicato in Giornale dei Letterati d'Italia, XXXIV (1723), pp. 295-319, e completato redazionalmente, ibid., XXXV (1724), pp. 340-373. La più importante biografia è quella di I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, V, Parma 1797, pp. 345-420; VI, 2, ibid. 1825, pp. 864-9o8 (a cura di A. Pezzana). Ma vedi G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 6-11; M. Armellini, Bibliotheca Benedictino Casinensis, I, Assisii 1731, pp. 76-89; G. Lami, Memorabilia Italorum eruditione praestantium, I, Florentiae 1742, pp. 215-228; M. Ziegelbauer, Historia rei liter. Ord. S. Benedicti, III, Aug. Vindel. 1754, pp. 445-451; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excell., VII, Pisis 1781, pp. 182-223; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., Milano 1833, IV, pp. 418 ss., 540; P. Pozzetti, Elogio di Andrea Mazza, Carpi s. d. [ma 1797 circa]. L'apporto più importante di dati biografici in anni recenti è rappresentato dal fascicolo di Benedictina, VI (1952), dedicato al B., che qui si presuppone in generale. Si cfr. inoltre H. Hurter, Nomenclator literarius Theol. Catholicae, IV, Oeniponte 1910, pp. 1227-1231, e per l'appendice di documenti l'Elogio su citato di G. Prandi. Una bibl., non perfetta, del B. è in Benedictina, VI (1952), pp. 151-164.

In generale E. Raimondi, I padri maurini e l'opera del Muratori, in Giorn. stor. d. letterat. ital., CXXVIII (1951), pp. 429-442; G. Gasperoni, B. B. nella storia della cultura e della erudizione, in Benedictina, XI (1957), pp. 57-96, 275-316. Per il giornalismo del B., L. Piccioni, Giornalismo letterario in Italia, Torino 1894, pp. 34-46. Per i rapporti con i maurini, M. Valéry, Correspondance inédite de Mabillon et Montfaucon, I-III, Paris 1847. Per Magliabechi, M. Battistini, A. Magliabechi e la sua collaborazione all'opera bollandiana, in Bulletin de l'Inst. hist. belge de Rome, XXII (1942-43), pp. 113-258. Per Ciampini è utile cfr. P. Paschini, Mons. G. Ciampini e la conferenza dei Concilii a "Propaganda", in Rendic. d. Pont. Accad. di Archeol., XI (1935), pp. 95-106. Per Leibniz, M. Campori, Corrispondenza tra L. A. Muratori e G. G. L., Modena 1892. Per Muratori cfr. tra gli altri T. Leccisotti, Il contributo di Montecassino all'opera muratoriana, in Benedictina, IV (1950), pp. 207-240; A. Andreoli, Il ritorno del Muratori da Milano a Modena, in Atti e Mem. d. Deput. di storia patria per le antiche prov. modenesi, s. VIII, vol. IX (1957), pp. 225-232; Id., Di alcune relaz. intellettuali del Muratori ventenne, in Convivium, n. s., IV (1950), pp. 635-665; Id., Di alcuni ined. di B. B., in Atti e Mem. della Deput. di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. IX, vol. II (1962), pp. 121-144; S. Bertelli, Erudiz. e storia in L. A. Muratori, Napoli 1960, pp. 16-24 e passim (importante in generale per la storiografia contemporanea). Per Maffei, G. Gasperoni, Scipione Maffei e Verona settecentesca, Verona 1955, pp. 174-176., Per il B. all'università di Bologna, U. Dallari, I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio Bolognese dal 1384 al 1799, III, 1, Bologna 1891, p. 168. Per il B. a Bobbio, G. Mercati, Prolegomena de fatis bibliotecae monasterii S. Columbani Bobiensis, Città del Vaticano 1934, p. 149. Su uno strano episodio di falsificazione per cui fu sfruttato il nome del B., G. Schwartz, Die Fälschungen des Abtes Guido Grandi, in Neues Archiv, XI, (1916), pp. 185-189, confermato da G. Tabacc0, La vita di San Bononio di Rotberto Monaco e l'abate Guido Grandi, Torino 1954. Cfr. inoltre H. S. Noce, Lettere di P. J. Martello a L. A. Muratori, Modena 1955, p. 40.

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