BARZI, Benedetto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)

BARZI, Benedetto

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Di antica e nobile famiglia perugina, primogenito di otto fratelli, nacque, probabilmente in Perugia, nell'ultimo ventennio del sec. XIV.

Questa datazione sembra la più accettabile, perché il B., quando nel 1411 viene citato per la prima volta nelle fonti in nostro possesso, vi appare come professore presso lo Studio cittadino (Annales Decemv., ad an. 1411) e come persona di un certo rilievo politico. Ora, pur non concordando in pieno col Vermiglioli, il quale afferma che il B. era "di una qualche età" (p. 195), bisogna bene ammettere che egli dovesse essere sulla trentina in quell'anno 1411.

Padre del B. fu Paoluccio di Ceccolo dei Barzi, politico e diplomatico perugino di un certo rilievo: ambasciatore a Roma nel 1378 e nel 1379, priore nel 1393, "auditore del Cambio" nel 1398, "primo gonfaloniere" nel 1402, "priore del Magistrato per l'Arte del Cambio" nel 1408, podestà di Gubbio nel 1412 (Genealogia Bigazzini, ff. 1, 7, 12, 16, 22, 30).

Nulla sappiamo della fanciullezza del B., dell'educazione da lui ricevuta, degli studi da lui compiuti; come nulla conosciamo delle vicende della sua vita sino al già ricordato anno 1411. Certo è che egli nel 1411, nonostante la sua giovine età, doveva esser già stimato come giureconsulto valente se insegnava diritto civile nello Studio di Perugia (Ann. Decémv., ad an. 1411, f. 127r, dove è riportato un atto pubblico, datato il 20 dic. 1411); purtroppo non siamo però informati su quando egli avesse iniziato tale insegnamento.

Quello politico è tuttavia, sin da quell'anno 1411, il campo a cui sembra essere maggiormente interessato, quello in cui egli si impegna di più ed in cui trasfonde il meglio della sua attività: ambasciatore, insieme con un Matteo di Vannolo di Monuccio, a Carlo Malatesta, signore di Rimini e di Cesena, "che pur'allhora era stato spedito Capitano dal Re Ladislao", per scongiurarlo, a nome del Comune di Perugia, "per l'amicitia antica, che sempre era stata fra la Città di Perugia, et suoi maggiori a non voler condurre trà le genti, ch'allhora far doueua per servitio del Re alcun fuoruscito, o ribello Perugino, percioche essi non erano solamente nemici della loro patria, ma etiandio del Rè, et che il condurgli a gli stipendij suoi non hauerebbe apportato altro al Re, che ignominia, et danno" (Pellini, pp. 186 s.); e quindi, nell'euforia delle notizie fatte giungere a Perugia da Alberico (II) da Barbiano, gran conestabile del Regno, sul successo della rivolta popolare, da lui fomentata in Bologna contro l'antipapa Giovanni XXIII, e sul ristabilimento nella città emiliana del governo delle Arti (12 maggio 1411), inviato a Napoli presso lo stesso Ladislao, per trattare con lui, dopo il fallimento della prima legazione napoletana di Andrea di Nicola Barigiani, di problemi particolarmente urgenti per Perugia e la sua resistenza ai comuni nemici.

È, a questa ambasceria, non a quella presso Carlo Malatesta, come vuole il Vermiglioli (p. 198), che si riferisce la notizia riportata dagli Annales. Decemvirales, ad an. 1411, f. 73, a proposito di una legazione del B. "ad S. Regiam Maiestatem", notizia ripresa dal Pellini (pp. 188 s.). Il Malatesta, quando giunsero da lui i due legati perugini, si trovava non a Napoli, ma in Italia centrale, inviatovi dal re Ladislao a presidio dei territori di dominio pontificio; in Italia centrale dunque, e non a Napoli, fu spedito il B. dai Priori del Comune nella sua prima missione del 1411. Tanto più che, informato dai propri ambasciatori a Napoli che il re aveva ordinato di ritirare dal territorio perugino tutti i suoi presidi, proprio in quei giorni il magistrato perugino inviava nuovamente Andrea di Nicola Barigiani a Napoli, per ottenere da Ladislao la revoca dell'ordine (Pellini, p. 187).

Gli argomenti che il B. avrebbe dovuto trattare nella sua legazione a Napoli erano numerosi e importanti: discutere con Ladislao (cui la città si era sottomessa il precedente anno 1410) le modalità di invio e di pagamento delle derrate di grano che il re doveva far pervenire alla città, ridotta alla fame dai saccheggi che il suo territorio subiva da parte delle bande dei fuorusciti, prima fra tutte quella del Fortebracci; ottenere danaro per i castellani, e che il re lasciasse al viceré in Perugia, Francesco da Ortona, l'autorità di decidere in materia; rendergli noto che sia Berardo II di Camerino sia Ceccolino Michelotti si trovavano nell'impossibilità di difendere Perugia dagli attacchi dei fuorusciti, bastando le loro truppe a difendere a mala pena i loro propri domini; ottenere che inviasse nel territorio perugino Carlo Malatesta, o almeno Angelo Tartaglia, per liberare una volta per tutte la città dall'incubo dei fuorusciti, tanto più grave ora che non si era più sicuri nemmeno dell'appoggio di Ugolino Trinci, signore di Foligno, il quale stava "tosto per diuenir loro apertamente nemico"; convincerlo infine a "fare anco opera, che volendo egli pur far pace con Papa Giovanni, che la Città di Perugia restasse in ogni modo sotto la sua protettione" (Pellini, p. 1891).

Il B. rientrò da Napoli con risposte vaghe e dilatorie da parte di Ladislao, onde i Priori si inducevano, di lì a poco, a inviarvi di nuovo Andrea di Nicola Barigiani, che otteneva che il re, nonostante l'offensiva scatenata dal Fortebracci contro Perugia, riuscisse a far affluire a Perugia novemila some di grano e un forte contingente di cavalleggeri comandati da Alberico (II) da Barbiano e dal conte da Carrara. Negli anni che seguirono e che videro, in una situazione politica generale estremamente confusa, stringersi sempre più intorno a Perugia la morsa di ferro delle armi di Braccio Fortebracci, il B. continuò la sua carriera nella vita pubblica: gonfaloniere nel 1413, ambasciatore a Carlo Malatesta ed a Rodolfo Varano, signore di Camerino, nell'estate del 1414, nel 1415 venne eletto giudice del Comune di Perugia sopra le tutele e incaricato di compiere una nuova ambasceria a Carlo Malatesta e a Ugolino Trinci, signore di Foligno.

Sulle due successive legazioni al Malatesta, su quelle al Varano ed al Trinci non siamo informati altrimenti, e questo per la voluta laconicità delle fonti in nostro possesso. Si è comunque opinato che, dopo la morte di Ladislao di Napoli, i Perugini cercassero nuovi appoggi altrove (Pellini, p. 204).

Nel 1416 la situazione del Comune di Perugia precipitò improvvisamente: di fronte alla sempre crescente pressione del Fortebracci, aumentando i disagi e la fame nella città, i magistrati perugini elessero - con votazione pubblica palese - numerosi ambasciatori che vennero inviati a Firenze, a Napoli, a Ceccolino Michelotti, a Carlo Malatesta, nel disperato tentativo di trovare degli alleati che li aiutassero a salvare la loro libertà. A Carlo Malatesta fu inviato, ancora una volta, il B., il quale doveva proporre al signore di Rimini di mettersi al servizio di Perugia "con titolo di Conservatore della Città per Santa Chiesa". Il Malatesta rifiutò la condotta offertagli con parole assai dure: il B. facesse sapere ai Priori che egli non aveva voluto "accettare gli stipendij loro, col rimproverargli, ch'egli non era soldato mercenario, ma che se, essi lo voleuano a gli stipendij loro, vi sarebbe andato qualunque volta gli hauessero dato il Dominio della città". Falliti i tentativi di mediazione fatti ripetutamente da Firenze, affamata Perugia dall'assedio postole dal Fortebracci, devastato selvaggiamente il contado dai fuorusciti e dalle soldatesche di Braccio, ridotte al minimo le possibilità di resistenza dell'ormai demoralizzato esercito perugino, i supremi magistrati della città umbra si indussero ad accettare le condizioni imposte dal Malatesta, purché egli intervenisse al più presto in loro aiuto. Fu così che ancora una volta il B., in rappresentanza della sua città, firmò e giurò, insieme con il Malatesta, i capitoli con cui questi accettava il compito di proteggere Perugia "col titolo di difenditore de' Perugini per Santa Chiesa" e si dichiarava pronto ad assumere, per sé e per i propri fratelli, "il mero, et misto Imperio della Città di Perugia": era la fine della libertà del Comune, per cui tanto si erano battuti i Perugini e lo stesso B., anche se l'ambasciatore rientrava nella sua città accompagnato da alcuni distaccamenti di cavalleria, segno tangibile della ferma intenzione del Malatesta di venire in soccorso di quella che era ormai la sua città.

Battuto il Malatesta da Braccio Fortebracci e svanite così le speranze di Perugia, i Priori decisero di arrendersi a Braccio. Non fu preso alcun provvedimento contro gli avversari politici, né contro quanti avevano contrastato la conquista del Fortebracci; anzi, benché il governo di quest'ultimo su Perugia si fondasse allora, per ragioni di politica contingente, sul partito popolare, cui era invece contrario il B., come dimostra tutto il suo precedente atteggiamento, era nell'interesse del Fortebracci riuscire ad attrarre dalla sua parte gli uomini più eminenti e rappresentativi della città. E poiché non gli mancavano né la dote della simpatia personale né la capacità di soddisfare, prevenendola, l'ambizione degli avversari, Braccio riuscì a portare a sé il B., tanto che in breve quest'ultimo divenne suo collaboratore ed amico. Fin dall'estate di quello stesso 1416 (dopo l'agosto) il B. - era stato scelto dal Fortebracci come, membro di quel collegio di 17 cittadini da lui eletti "per Consiglieri de' Magistrati, et del suo Luogotenente", ma in realtà - dato che "il maggior numero... (di essi)..., fù di famiglie popolari" - con evidenti funzioni di controllo sulle magistrature tradizionali; nel 1418, quando si fu consolidata la signoria braccesca su Perugia e sul suo territorio, il B. venne inviato dal Fortebracci come suo luogotenente a Todi; ed a Todi ricoprì anche la carica di capitano del popolo e di conservatore della pace in quello stesso anno 1418, nel seguente e nel 1421. Né queste furono le sole dimostrazioni di stima che il B. ricevette dal Fortebracci: questi lo volle con sé quando si recò a Firenze per trattare col pontefice Martino V le condizioni di pace con la Sede apostolica (23-26 febbr. 1420); nel settembre dell'anno successivo fu chiamato a far parte del ristretto e scelto numero di gentiluomini e di personalità perugine che il Fortebracci inviò a Camerino perché, a suo nome, ricevessero la sorella del signore di quella città, Niccolina Varano, promessa sposa a Braccio, e le fossero di onorevole scorta sino ad Assisi, dove avrebbero dovuto essere celebrate le nozze.

Scomparso dalla scena politica il Fortebracci, morto in seguito a ferita riportata sotto le mura dell'Aquila (5 giugno 1424), costretto dalle circostanze del momento e dai maneggi della fazione nobiliare il figlio Oddo ad abdicare (Oddo era stato in un primo momento riconosciuto signore della città; ma, essendosi già messi in contatto, a sua insaputa, i magistrati di Perugia con Martino V, egli, non volendo apparire esautorato da terzi, preferì consegnare a Tiberuccio di Guido Signorelli, priore dei Priori, in pubblica e simbolica cerimonia, le chiavi delle rocche di S. Antonio e di S. Angelo, rinunziando così alla signoria sulla città), resasi liberamente Perugia al papa Martino V (Convenzione tra il Comune di Perugia ed il pontefice, 29 apr. 1424), il B., insieme con una quindicina di altre persone, venne colpito da condanna al bando, onde fu costretto a recarsi al confino, nella città di Siena.

Che l'allontanamento del B. da Perugia sia stato conseguenza di una precisa condanna comminatagli dalle magistrature comunali - e non, come sembra affermare l'autore del così detto Diario del Graziani (Cronaca della città di Perugia dal 1309 al 1491, a cura di E. Bonaini, in Archivio storico it., XVI [1850], p. 356), ad una misura precauzionale presa dal giurista perugino, il quale, stimandosi troppo compromesso col passato regime, avrebbe preferito lasciare temporaneamente la città in attesa che le acque tornassero calme - è dimostrato chiaramente dal fatto che a Perugia, tornata sotto l'alto dominio pontificio, rimasero e continuarono ad esercitare l'antica influenza politica persone - come Giovanni di Petruccio Montesperelli, luogotenente del Fortebracci a Todi sino al luglio 1421 (Pellini, p. 269), o come Giovanni di messer Crispolto Crispolti, priore dei Priori nel 1421 (Pellini, p. 257), o addirittura come lo stesso Ruggero d'Antognolla, che Braccio aveva inviato suo luogotenente generale in Abruzzo nel 1422 (Pellini, p. 262) -, le quali si erano ben più compromesse del B. durante la signoria di Braccio; non solo, ma è dimostrato anche dalla durezza del trattamento riservato al B. dai Priori nel corso del suo audace tentativo di rientrare in patria (29 ag. 1431), nonché dalla pena di morte comminatagli nel caso fosse tornato a metter piede nel territorio della città o del Comune (Pellini, pp. 329 s.).

È invece proprio lo stesso autore della Cronaca coluiche ci fornisce le vere ragioni dell'allontanamento del B. da Perugia; annota infatti il cronista sotto la data del 25 giugno 1424: "Adì ditto per suspezione de stato fu fatto comandamento alli infrascritti citadini, che in termine de tre dì devessero partire da Peroscia et andare a confine dove alloro sarà comandato; et prima de P[orta] S. Pietro, meser Alisandro de meser Agniolo... [seguono i nomi di altre 10 persone], meser Benedetto de Pavoluccio de Farrata dei Barzi... [seguono altri sei nominativi]; et fuoro mandati chi in uno luoco e chi nell'altro per terre dintorno et alugnie..." (Diario del Graziani, p. 291). Il provvedimento contro il B. fu dunque motivato da "suspezione di stato" e, quello che è interessante, fu provvedimento preso dalle autorità competenti, con ogni formalità di legge, il 25 giugno 1424, quando cioè era ancora signore della città il conte Oddo Fortebracci.

Ora, poiché il collegio dei Priori era proprio quello che aveva stipulato, valendosi soprattutto dell'opera di Malatesta Baglioni, la Convenzione del 29 aprile ("la palma della pace fra il Papa e 'l Commune di Peroscia, fatta in perpetuo", come la chiama il cronista), e poiché la condanna avvenne lo stesso giorno in cui il Baglioni entrò in Perugia, si potrà meglio comprendere il valore delle parole del Pellini, il quale scrive a questo proposito -che "quelli' in mano de' quali era il gouerno della Città, l'aueuano più tosto a sospetto".

A Siena, dove dunque si era recato al confino e dove con ogni probabilità lo aveva seguito la famiglia, colpita anch'essa dalla condanna all'esilio (Scalvanti, p. 23 n. 1), il B. "honoratamente visse": sappiamo che insegnava diritto civile presso la locale università nel 1430; che da Siena probabilmente partì il 29 ag. 1431 per il suo audace tentativo di rientrare in patria; che a Siena dovette conoscere il futuro imperatore Sigismondo, dal quale sarebbe stato creato, tra il 1431 ed il 1433, consigliere aulico (Diario del Graziani, pp. 365 s.; cfr. Scalvanti, pp. 10-14); che, ancora nel febbraio del 1433, egli si trovava a Siena.

Da Siena il B. continuò a mantenere i contatti sia con la patria sia con i suoi antichi compagni di partito; a questi trasmise anzi, durante il suo soggiorno senese, preziose informazioni riguardanti tanto Perugia quanto, e più direttamente, gli interessi della loro parte. Fu appunto per ripagarlo di questa sua attività che i principali esponenti della fazione nobiliare perugina - Giovanni di Petruccio Montesperelli, Pietro di Giovanni di messer Crispolto dei Crispolti e probabilmente, dato il suo intervento decisivo per la liberazione del B. fatto arrestare dai Priori, anche lo stesso Ruggero d'Antognolla - si adoperarono affinché il decreto di bando contro il B. venisse revocato o, almeno, ignorato nel caso il giurista avesse deciso di rientrare in città (Diario del Graziani, pp. 356 s.; cfr. Scalvanti, pp. 18 s.).

Seguendo dunque i consigli del Crispolti, il 29ag. 1431il B. tornò a Perugia, e la pubblicità che non curò di evitare a questo suo ritorno dimostra quanto egli avesse avuto fiducia nelle parole dei suoi compagni di partito. L'avvenimento, tuttavia, richiamò l'attenzione dei Priori, i quali lo fecero arrestare. Risaputasi la cosa, il Montesperelli riunì "una brigata de cittadini de i più grosse", tra i quali Ruggero d'Antognolla; sotto al guida di quest'ultimo, parlamentarono con i Priori; rifiutandosi questi di dare "audienza né generale né in particolare", il gruppo si recò dal podestà e, quindi, dal luogotenente del govematore, dal quale ottennero il permesso di liberare il B., che riuscì così a scampare dalla condanna a morte.

Studioso di grido e ricercato maestro - quando i Savi dello Studio senese lo chiamarono al loro ateneo per il biennio 1438-1439, gli fu accordato uno stipendio annuo di 900 fiorini, il fiorino calcolato a 4 lire precise (Archivio di Stato di Siena, Delib. del Concistoro, vol. 434, c. 33, anno 1438, giugno 5) -, il B. insegnò diritto civile presso l'università di Siena sino al 1439; in quest'anno, scaduta la sua condotta, passò in quella di Firenze, dove il suo insegnamento iniziò il 18 ottobre (Statuti dell'Università e Studio fiorentino..., p. 444), e dove si trattenne, con ogni probabilità, sino al 1444, quando sappiamo che si trovava con tutta la famiglia a Ferrara, e che vi leggeva diritto civile presso quell'ateneo (Genealogia..., ad an. 1444; cfr. Scalvanti, pp. 22 s.).

Secondo il Persi (p. 53), il B. avrebbe insegnato in precedenza a Ferrara nel 1429 o, almeno, sino a quell'animo, dopo il suo esilio da Perugia e dopo essersi soffermato per qualche tempo a Siena. Non siamo in grado di accertare meglio tale notizia; in ogni caso non sembrano accettabili le ragioni esposte dallo Scalvanti (pp. 18 ss.) per rigettare come infondata e priva di attendibilità la notizia data dal Persi, dato che lo Scalvanti identifica il Barzi che insegnò a Ferrara nel 1429 con il Benedetto Barzi da Piombino, che invece morì nel 1410.

Dal 1444 le fortune del B. sembrano risollevarsi: fatto oggetto di speciali onoranze da parte del duca di Urbino nel 1446, nel 1447, continuando ancora il suo insegnamento nello Studio ferrarese (come appare, evidente dall'incipit del suo trattato De guarentigiis), venne creato dallo stesso Federico I, duca di Urbino, "Signore e Patrone del Castello e fortezza di Magrano nel territorio di Gubbio donatoli... assieme con possessioni e Molini come si vede per patenti fattoli dal suddetto Duca d'Urbino delli anni 1447, 1449, 1453" (Prot. Barzi, f. 140 v; Genealogia..., f. 138). Poco si trattenne a Ferrara: i professori venivano assunti per un periodo di quattro anni, e, poiché nel ruolo dei professori di quell'ateneo per il 1450 il suo nome non figura, è da ritenersi che il giurista abbia abbandonato, terminato il contratto, l'università di Ferrara, per recarsi nei suoi possedimenti, o presso i Montefeltro. A Urbino, infatti, il B. godette di considerazioni particolari, ed una grande familiarità lo legò al duca Federico I, se dobbiamo prestar fede al sonetto, composto su commissione dello stesso B. dal poeta urbinate Angelo Gallo, indirizzato "a lo Magnifico Signore Octaviano de li Ubaldini" (Bibl. Apost. Vat., Urbin. lat. 699, f. 187 v).

Qualche anno dopo, il 1450, per il tramite di suo figlio Camillo (il che dimostra che il B. non risiedeva allora a Ferrara), egli stipulò un contratto, valido per tre anni, ma rinnovabile, a discrezione del duca di Ferrara, anche per un quarto, per insegnare diritto civile presso quella università per lo stipendio di 1.000 marchesani annui (atto notarile, in Scalvanti, pp. 27 s.); pur insegnando a Ferrara, tuttavia, continuò a mantenere stretti rapporti con la corte urbinate, tanto che, quando il duca Federico I dovette incontrarsi a Belfiore per trattare col signore di Rimini, Carlo Malatesta, lo volle portare con sé (1457: B. Baldi, Vita di Federigo I, Roma 1824, I, p. 182). Nel 1458 il duca di Urbino creava il B. conte palatino "con facoltà amplissima di legittimare bastardi, di crear Notari"; nel diploma di nomina il duca confermava inoltre un privilegio, presentatogli dal B., attestante le pretese di nobiltà della famiglia Barzi e la sua parentela con S. Costanzo (Genealogia..., ad an. 1458; Scalvanti, pp. 29-30). Tuttavia, proprio quando sembrava che il B. stesse per giungere al vertice delle sue fortune, lo colse la morte (1459).

La data di morte del B. è riportata in vari luoghi del Protocollo Barzi e dalla Genealogia da cui il Protocollo deriva, ed è confermata anche da una lettera di Cesare di Bartelo de' Barzi del 22 settembre 1635.

Il B. appartiene alla folta schiera dei giuristi pratici del sec. XV. Profondo conoscitore del pensiero dei commentatori, ad esso si rivolge nelle sue opere: l'unico suo scopo sembra infatti essere quello di riferire per ogni questione quanto è stato detto prima di lui. Il suo intervento è limitato alla sola sistemazione organica di tale pensiero: esula dai suoi intenti la formulazione di un'opinione personale.

Il primo dei trattati del B., quello De Guarentigiis, scritto a Ferrara nel 1447, ebbe varie edizioni: fu pubblicato a Venezia nel 1480, a Pavia nel 1495 e a Siena nel 1498; di una edizione del secolo XV dà notizia il Fabricius senza indicazione di luogo e di data; le altre, citate dal Vermiglioli, sono del 1579 a Roma, del 1584 a Venezia nei T.U.I. (= Tractatus Universi Iuris), VI, 2, ff. 340v-349v, del 1625 a Venezia (insieme con un trattato di Antonio Massa). Presso la Biblioteca Apostolica Vaticana esiste un'altra edizione romana del 1588 (per Vincentium Accolti) che comprende anche un trattato e un sermo del Massa e un trattatello di Antonio da Cannara. L'argornento di questa opera del B. è particolarmente interessante: si tratta dello strumento guarentigiato che la pratica notarile aveva da tempo fatto divenire un titolo esecutivo di primaria importanza. L'opera è divisa in tre parti: nella prima viene definito l'istituto e sono vagliate le norme relative alla formazione dello strumento; nella seconda sono esaminati gli effetti finali dell'atto e nella terza i modi di opposizione alla sua esecuzione. Il B. sembra non conoscere il breve trattato sullo stesso argomento attribuito al civilista postaccursiano Guido da Suzzara (De instrumento guarentigiato, nei T.U.I., VI, 2, ff. 338v-339r). Mai, infatti, nel corso del De guarentigiis è fatto cenno all'opera del glossatore, mentre abbondantemente è riportato il pensiero dei commentatori con particolare preferenza per Antonio da Budrio, Iacopo Butrigario, Cino e soprattutto Bartolo e Baldo.

Anche nella seconda opera del B., il Tractatus de filiis non legitime natis, scritto a Ferrara nel 1456 ed edito nei T.U.I. VIII, 2, ff. 24v 29r, i giuristi più citati sono Baldo e Bartolo: ma qui, accanto al pensiero civilistico, il B. riferisce quello canonistico che ampiamente si era occupato del problema della filiazione illegittima. La divisione del lavoro in tre parti ritorna anche in questo trattato: nella prima il B. definisce le due categorie di illegittimi, i naturali e gli spuri; nella seconda esamina la possibilità per gli illegittimi di essere chiamati alla successione dei genitori; nella terza illustra i modi, le condizioni e i limiti della legittimazione. Il Besta (La famiglia..., p. 206) chiama le pagine del B. a proposito degli illegittimi "lezioni aride"e in realtà il B. mostra un eccessivo rispetto per la discussione giuridica, restando del tutto chiuso agli afflati umanistici del mondo culturale a lui contemporaneo. Tuttavia nell'ambito della scienza giuridica il B. sembra preferire le impostazioni più aperte, rappresentate in genere da Bartolo, nei riguardi delle condizioni per la successione e la legittimazione dei figli naturali e spuri.

Stanco seguace della scuola dei commentatori il B. appare, pertanto, indotto alla compilazione delle sue opere dal desiderio di offrire, a chi quotidianamente affronta questioni giuridiche, una sorta di antologia delle migliori formulazioni della scienza sull'argomento. I suoi trattati sono dunque destinati sia al foro sia alla scuola: ed è significativo a questo proposito il fatto che il B. dichiari, nell'introduzione dei suoi lavori, di aver scritto l'opera mentre era titolare di un corso di lezioni nello Studio ferrarese. Lo stesso schema adottato nelle opere è indice degli intenti pratici del Barzi. Ogni argomento è diviso in quaestiones relative a singoli problemi concreti: chiunque, nella scuola o nel foro, debba affrontare tali problemi vi trova indicata l'opinione dei maestri. Si può quindi dire che l'attività di professore e quella di consulente - anche quest'ultima svolta ampiamente dal B. e concretizzatasi in numerosi consilia (uno di essi si trova nel ms. Vat. lat. 8069, f. 121 della Biblioteca Apostolica Vaticana) - hanno influenzato in modo determinante la sua produzione scientifica.

Nella Biblioteca Feliniana di Lucca, oltre al manoscritto del trattato De guarentigiis (codd. 332 e 401), sono conservate, ancora inedite, due opere minori del B., un Tractatus de legatis et fidecommissis (cod. 169) e un Tractatus de excussione (cod. 439; porta la data del 1458).

Fonti e Bibl.: Archiviodi Statodi Perugia, Consigli e Riformanze (= Annales Decemvirales) a. 1415, c. 56r; a. 1416, cc. 17r, 72 v; Ibidem, Lettere ad alcuni di Casa Barzi, ms. Famiglie Perugine (senza numero); Archiviodi Statodi Siena, Quattro Maestri del Sale, vol. 6, c. 91 (1432, Ag. 12 s.); Archivio di Stato di Firenze, Giudici e notai 115, ff. 8 r-22 v; Todi, Archivio Comunale, Liber Decret. del Comune di Todi, ad an. 1418; ibid., Protocollo di ser Iacomo di Niccolò, ad an. 1414; Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, ms. 1424, G. Bigazzini, Protocollo, copia di Pompeo di Fabrizio Barzi (Protocollo Barzi); Statuti dell'Università e Studio fiorentino dell'anno MCCCLXXXVII..., a cura di A. Gherardi, in Doc. di storia italiana pubbl. a cura della R. Deputaz. sugli studi di storia patria per le prov. di Toscana, dell'Umbria e delle Marche, VII, Firenze 1881, pp. 443 s., doc. CLXXXVI; Genealogia di Casa Barzi, compilata da G.Bigazzini, conte di Coccorano, ms. visto e consultato dallo Scalvantipresso l'Archivio della famiglia Angelini-Paroli, dal medesimo citata in Alcune notizie..., pp. 22 s., 26 s., 29 s., 30 e n. 1; Epistola di Cesare di Bartolo Barzi da Gubbio del1635, citata dallo Scalvanti in Alcune notizie..., p. 30; Cronaca della Città di Perugia dal 1309 al 1491 nota col nome di "Diario del Graziani"..., a cura di A.Fabretti, e con annotazioni del medesimo, di F. Bonaini e di E. Polidori, in Arch. stor. it., s. 1, XVI, 1 (1850), pp. 291, 293, 356 s., 365 s. (cfr. Scalvanti, ibid., pp. 10-14); A. Campitelli-F. Liotta, Notizia del ms. Vat. lat. 8069, in Annali di Storia del Diritto, V-VI (1961-62), p. 395; P. Pellini, Dell'Historia di Perugia..., II, Venetia 1664, pp. 186 s., 188-190, 204, 214 ss., 216 ss., 2, 26, 251 s., 257, 262, 279, 281 s., 329 s.; Io.A. Fabricii Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis..., II, Patavii 1754, p. 205; V. Bini, Memorie istoriche della Perugina Università, I, Perugia 1816, p. 298; B. Baldi, Vita di Federigo I, Roma 1824, p. 182; G. B. Vermiglioli, Biografia degli scrittori perugini e notizie delle opere loro, I, 1, Perugia 1828, pp. 197-201; E.Cugusi Persi, Notizie sull'Università di Ferrara, Ferrara 1873, pp. 9, 53; L. Zdekauer, LoStudio di Siena nel Rinascimento, I, Milano 1894, pp. 56 e n. 4, 163 s., 172 ss.; O. Scalvanti, Alcune notizie su B. de B., giureconsulto perugino del sec. XV, Perugia 1895; P. Salvioli, Storia della procedura civile e criminale, in Storia del Diritto italiano, a cura di P. Del Giudice, III, 2, Milano 1927, p. 664; E. Besta, La famiglia nella stor. d. diritto ital., Padova 1933, p. 206.

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