CONVERSINI, Benedetto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CONVERSINI, Benedetto

Gigliola Fragnito

Nacque a Pistoia nel 1491 dal secondo matrimonio di Antonio di Francesco con Agnoletta di Paolo Mati, contratto il 6 febbr. 1481. Di umili origini, la famiglia si era arricchita nel corso del '400 esercitando la mercatura tanto da riuscire ad ottenere nel 1531 l'iscrizione alla nobiltà pistoiese.

Secondo il biografo ottocentesco E. Bindi (il quale ebbe accesso all'archivio di famiglia), il C. avrebbe compiuto i primi studi giuridici a Siena, dove sarebbe giunto nel 1512 e si sarebbe trasferito nel 1517 a Pisa, addottorandovisi nel 1519. Gli Acta graduum dello Studio pisano, d'altro canto, non menzionano precedenti soggiorni del C. in altre università, mentre attestano la sua presenza in qualità di studente, come testimone ai dottorati di due studenti di Treviri e Colonia il 23 dic. 1517 ed a quello del pistoiese Francesco Tinghi il 10 nov. 1519. Egli stesso vi conseguì il dottorato utriusque iuris il 18 sett. 1520, avendo per promotore il celebre giurista milanese Filippo Decio, lettore ordinario di diritto canonico. A Pisa dovette trattenersi, probabilmente con mansioni didattiche, anche dopo il dottorato: è, infatti, testimone il 27 marzo 1521 al dottorato di Carlo di Pietro Baccio. Poco dopo si sarebbe recato a Roma, avvalendosi di un lascito del card. Forteguerri a favore di giovani giuristi pistoiesi intenzionati, dopo essersi addottorati in qualche celebre università, a fare pratica in quel foro.

Fu presto assunto ai servizi di Alberto Pio da Carpi come auditore. In una lettera del 28 ag. 1523 il Carpi gli dava istruzioni perché difendesse a Roma le ragioni del rifiuto di restituire alla S. Sede le fortezze di Reggio e Rubiera affidategli dal Collegio dei cardinali durante la sede vacante seguita alla morte di Leone X, se prima non gli fosse stata restituita la somma di 3.000 fiorini che aveva prestato alla Camera apostolica. Non è, peraltro, possibile determinare la durata della permanenza del C. ai servizi del Carpi; permanenza che dovette cessare quando, dopo il sacco di Roma e la perdita del suo Stato, quest'ultimo si rifugiò in.Francia alla corte di Francesco I.

Rientrato in patria, partecipò alle lotte fra la fazione dei Panciatichi, fedeli ai Medici, e quella dei Cancellieri, favorevoli alla Repubblica fiorentina, lotte secolari che si erano inasprite durante il lungo assedio di Firenze da parte delle truppe imperiali. Bandito da Pistoia nel 1529, il C. riparò.a Montale, roccaforte dei Cancellieri, divenendo capo dei fuorusciti, mentre nell'ottobre d el 1529 i Panciatichi facevano consegnare a Clemente VII le chiavi di Pistoia, per risparmiarle le atrocità e le distruzioni che le truppe imperiali le avrebbero inflitto. Caduta la Repubblica, insidiato dai Panciatichi che avevano messo una taglia di 500 scudi sulla sua testa, il C. si rifugiò a Bologna sotto la protezione del vicelegato Bernardino Castellari.

Passò quindi, ai servizi del card. Benedetto Accolti, arcivescovo di Ravenna, cui era stata affidata l'8 luglio 1532 la legazione della Marca. Nominato suo luogotenente nel governo di Fano il C. vi fece il suo ingresso il 30 marzo 1533. Vi trovò una popolazione turbolenta e dovette immediatamente chiedere all'Accolti di procurargli un bargello. Poiché la quiete della città era seriamente minacciata dalle attività sovversive dei fuorusciti della Marca, si recò a Pesaro da Francesco Maria della Rovere dal quale ottenne l'assicurazione che avrebbe negato loro asilo nel suo Stato. Queste misure non impedirono che i fuorusciti ordissero a Ferrara tra il novembre e il dicembre del 1533 una congiura sventata per tempo che prevedeva, fra l'altro, l'assassiniodel Conversini.

Il 3 ott. 1534, a seguito della revoca della legazione all'Accolti, per i contrasti che il suo regime dispotico aveva suscitato ad Ancona, e della nomina del nuovo legato Ippolito de' Medici (5 sett. 1534). il Collegio dei cardinali durante la sede vacante nominò il C. commissario della Marca d'Ancona. Quale sia stato il suo ruolo nell'intricata vicenda che portò all'incarcerazione del cardinale di Ravenna in Castel Sant'Angelo (5 apr. 1535) non è chiaro, ma sembra fosse "incorso in qualche contumacia per essere stato al [suo] servizio ... rispetto alle cose'da lui operate" ad Ancona (E. Bincti, p. 13). Tuttavia, egli doveva essere entrato nella famiglia di Rodolfo Pio da Carpi prima ancora dell'imprigionamento dell'Accolti se - come il Bindi desunse dalla cronaca secentesca di Taddeo Conversini - lo accompagnò in Francia quando vi andò nunzio nel gennaio del 1535. Rientrato a Roma nel luglio del 1537 e divenuto frattanto cardinale (22 dic. 1536), il Carpi, che aveva avuto modo di apprezzare le qualità del C., lo raccomandò a papa Paolo III. Il pontefice non tardò a compiacere il cardinale: il 7 ag. 1537 il C. veniva nominato vicelegato del Patrimonio e si trasferiva a Viterbo. Il 15 Ottobre dello stesso anno gli veniva concessa la diocesi di Bertinoro e il 27 ottobre veniva data al prevosto di. Faenza la facoltà di prenderne possesso a nome del neo eletto vescovo, che nominò suo vicario il pistoiese Domenicp Bruni, noto giurista e scrittore. D'altro canto, la competenza dimostrata nell'esercizio del suo primo ufficio nell'amministrazione pontificia doveva segnalare il C. al pontefice, che preferì servirsene nel governo dello Stato della Chiesa.

Il 21 marzo 1538 veniva, infatti, nominato governatore di Roma, ufficio al quale veniva unito, il 15 ott. 1538, quello di vicecamerlengo e di auditore generale delle cause della Curia della Camera apostolica.

All'inizio del governatorato il C. si trovò a giudicare in due processi che ebbero vasta risonanza: quello contro Ignazio di Loyola e quello contro Benvenuto Cellini.

A seguito della denuncia di Ignazio e dei suoi compagni da parte di quattro spagnoli nella primavera del 1538, il governatore, dopo aver ascoltato il maggior denunciante, Michele Landivar, ed essersi accertato dell'infondatezza delle sue accuse, lo espulse da Roma, mentre gli altri tre accusatori si sottraevano alla convocazione a comparire. Favorevole all'archMazione, il C. si urtò alla decisa volontà del Loyola che fosse istruita un'inchiesta seguita da formale sentenza di assoluzione. Di fronte al tergiversare del governatore, cui aveva fatto presentare una supplica in tal senso il 7 luglio 1538, il futuro fondatore della Compagnia di Gesù ottenne nel settembre un'udienza da Paolo III, a seguito della quale il pontefice ordinò al governatore di chiudere l'affare con una sentenza. Dopo nuovi interrogatori, il 18 nov. 1538 il C. emise la sentenza che attestava che Ignazio di Loyola e i suoi compagni "nullam infamiae notam sive de iure sive de facto incurrisse, verum potius maiorem vitae ac etiam doctrinae sane claritatem retulisse" (M. Del Piazzo, Nuovi documenti..., pp. 139 s.).

Contemporaneamente a questo processo si svolse quello contro Benvenuto Cellini, arrestato a metà ottobre del 1538 sotto l'accusa di aver sottratto gioie a Clemente VII al tempo del sacco di Roma. Il 23 ottobre il governatore fece sequestrare tutti i beni dell'artista e il 24 procedette al suo interrogatorio. Se è poco attendibile il resoconto fantasioso di questo interrogatorio che il Cellini ha lasciato nella Vita, è altrettanto certo che più che alle sue benemerenze nell'amministrazione dello Stato pontificio il C. deve la sua notorietà alle pagine dell'autobiografia del Cellini, il quale, non celando il suo disprezzo per il "pistolese", ora ne deprecò l'"arrovellata natura", ora lo definì "quel birro di quel Governatore".

Nonostante le critiche del Cellini e le difficoltà che incontrò nell'imporre la sua autorità nell'estate del 1538 quando Paolo III si recò a Nizza, il governo del C. nell'Urbe suscitò ampi consensi ed il 27 giugno 1540 gli fu concessa la cittadinanza di Roma. Paolo III, dal canto suo, gli mostrò la sua benevolenza e stima, annoverandolo fra i prelati domestici, trasferendolo dalla Chiesa di Bertinoro a quella più ricca di Iesi (30 luglio 1540), e nominandolo governatore e vicelegato di Bologna (14 apr. 1542), su suggerimento del cardinale Gasparo Contarini, allora legato in quella città.

Il C. giungeva a Bologna il 1° maggio 1542"molto ben visto" dal legato. Anche se l'auditore del Torrone, Pier Filippo Martorelli da Osimo, alludeva, scrivendo al cardinale Alessandro Farnese, ad una certa divergenza fra la linea seguita nel governo di Bologna dal Contarini, che accusava di eccessiva indulgenza, e quella del C., "quale di continuo faticha con destreza provedere alli inconvenienti che ocurreno" (Bologna, 15 luglio 1542, in Archivio di Stato di Parma, Carteggio Farnesiano, Bologna 1540-1543, 4.183), la intesa tra legato e vicelegato nel governare una città in cui le lotte tra fazioni nemiche nonerano sopite e violenze venivano perpetrate quotidianamente. si dimostrava perfetta. La loro collaborazione fu, tuttavia, di breve durata, poiché il 24 ag. 1542 il cardinale, dopo brevissima malattia, decedeva. Ma qualche giorno prima della sua scomparsa si colloca l'episodio della fuga del generale dei cappuccini, Bernardino Ochino, in cui venne a trovarsi coinvolto il morente cardinale, sospettato di aver dissuaso il cappuccino, durante la sosta a Bologna, dal presentarsi dinanzi al tribunale dell'Inquisizione che lo aveva convocato a Roma, dove era diretto.

Se l'atteggiamento del legato fu quanto meno ambiguo, è difficile precisare il ruolo svolto dal C. in questa vicenda. L evidente che qualora, come è stato sostenuto da alcuni, fosse esistito un mandato di cattura contro l'Ochino, il non avergli dato esecuzione, com'era tenuto a fare in quanto governatore, dimostrerebbe una certa connivenza del C. con gli ambienti "spirituali" per salvare il generale dei cappuccini. Tuttavia, se a questo riguardo sembra pertinente l'osservazione del Giberti, vescovo di Verona, il quale giudicava il C. "tanto creatura et fidato de sua Beatitudine" (Fragnito, pp. 806 s.) da escludere che in presenza di un mandato di cattura non lo avesse eseguito, il comportamento assunto dal C. qualche mese dopo in un'analoga vicenda legittima l'ipotesi di un accordo tra legato e vicelegato per facilitare la fuga dell'Ochino.

Morto il Contarini, il C. rimase per un anno da solo al governo di Bologna, città in cui i crimini erano fin troppo frequenti (la sua quiete fu seriamente minacciata in quei giorni dall'assassinio di uno dei Ringhieri ad opera dei Pepoli) e l'eresia andava dilagando in misura sempre più allarmante. Nel gennaio dell'anno 1543, a seguito di una denuncia per eresia contro Bedetto Accolti, figlio del cardinale Pietro e cugino del cardinale di Ravenna, il C. avrebbe mandato il bargello ad arrestarlo, il quale "trovandolo scappato" (R. Ristori, p. 252) si sarebbe limitato a perquisire la sua casa ed arrestare alcuni suoi discepoli. Ma alcuni anni dopo, quando Benedetto Accolti fu arrestato a Roma, il C. dichiarava al cardinale di Ravenna: "Et incolpi se stessa anzi me che per respetto suo restai di farlo appiccare in Bologna" (Roma, 17 dic. 1547: Archivio di Stato di Firenze, Carte del Card. di Ravenna, b. ins. 32, 1, f. 475r). Cosa effettivamente lo avesse spinto a fare scappare l'eretico - l'amicizia verso l'antico "patrone" o la convinzione della necessità di metodi non repressivi verso gli eterodossi maturatasi a contatto con il tollerante Contarini, è difficile stabilire.

Certo è che la scoperta di numerose conventicole a Bologna e l'arresto di vari sospetti dovette suscitare nel vicelegato non poche perplessità se inviava a Roma gli atti di uno dei processi "parendomi di qualche importanza et da non deliberarvi sopra senza la risolutione di costà" (lettera al card. A. Farnese, Bologna, 14 febbr. 1543:Archivio di Stato di Parma, Carteggio Farnesiano, Bologna 1542-1543. 4.183), e se venne organizzata in casa Campeggi, il 14 maggio 1543, alla presenza di numerosi cardinali, una disputa sui "luterani" incarcerati, all'indomani della quale furono fatti abiurare sul sagrato di S. Petronio.

Nonostante gli impegni derivatigli dalla sosta a Bologna di Paolo III, che andò ad accogliere a Castel San Pietro il 16 marzo 1543, e dall'organizzazione del soggiorno del pontefice e della corte, il problema degli eretici lo assorbì fino alla vigilia della partenza per Imola, dove si recava in qualità di presidente della Romagna e dell'esarcato di Ravenna (era stato nominato il 15 luglio 1543). Ancora il 20 luglio scriveva al cardinale Farnese di volere sistemare prima della partenza le cose dei "lutherani". Il 21 fu emessa la condanna a morte contro Angelo de Ruggeri, imprigionato nel quadro delle indagini intorno all'Accolti - condanna che già il Rainieri, autore d'una cronaca coeva, diceva che non sarebbe stata eseguita -, mentre con rammarico lasciava da risolvere il caso d'un altro eretico, il Montalcino, al suo successore Bernardino Castellari, detto della Barba, che non risparmiò critiche al suo predecessore per l'eccessiva indulgenza.

Il 1° agosto il C. lasciava Bologna per assumere le prove funzioni di presidente, che detenne fino all'agosto 1545. Nel maggio del. 1545 ricevette dal pontefice l'ordine di arrestare Sigismondo e Leonida Malatesta per compiacere Pier Luigi Farnese. Riuscì soltanto a fare rinchiudere nella rocca di Forlì Leonida, il quale l'8 giugno comunicava al cardinale di Ravenna di essere fuggito dopo che il segretario del presidente lo aveva interrogato sul suo conto. Operò altri arresti quali quelli di una certa Marta, serva del conte Carlo di Sogliano, e di un Antonio da Lucca, che furono inviati su ordine del cardinale Farnese a Roma, mentre il figlio di sette anni del conte veniva condotto a Rimini e tenuto sotto custodia.

Terminato l'ufficio di presidente fu nominato tesoriere dell'esercito che Paolo III inviava in soccorso di Carlo V contro la lega smalcaldica. Non è chiaro se esercitasse tale funzione risiedendo a Bologna o a Roma, città in cui si trovava certamente nella primavera del 1547. In quell'anno si recò a Perugia dove il pontefice gli concesse un beneficio a Pistoia "di pochi bagliocchi di valuta", per ottenere il quale chiedeva l'intervento del cardinale di Ravenna presso Cosimo I e Lelio Torelli. Stando al Bindi, negli ultimi anni del pontificato di Paolo III avrebbe ricoperto la carica di sovrintendente generale dello Stato pontificio.

Riapertosi sul finire del 1547 il caso di Benedetto Accolti, che a seguito delle accuse di eresia da lui lanciate pubblicamente contro il cugino cardinale, fu imprigionato con la speranza di ottenerne più precise confessioni sull'eterodossia del parente, il C., che si mostrò anche nelle traversie fedele all'antico "patrone", fu incaricato dal cardinale di fornire informazioni sulle "scelleraggini che come lutheranissimo fece in Bologna, et peggio che lutherano, cioè sacramentario" (R. Ristori, p. 285). Inteso che i giudici speravano "cavar assai" contro il cardinale, il C. li mise in guardia avvertendoli che Benedetto Accolti era "una bestia paza spirittata" (ibid., p. 292) e prodigandosi nella difesa del cardinale.

Morto nel novembre del 1548 Paolo III, il C., ormai in età avanzata e probabilmente meno gradito a Giulio III, dovette decidersi a ritirarsi a vita più tranquilla. Chiese ed ottenne il 19 luglio 1549 un breve pontificio con Pautorizzazione a fare testamento e a disporre dei suoi beni ed alla stessa data gli fu concesso un breve di esenzione dal pagamento di qualsiasi tipo di decima. L'anno successivo era a Pistoia e nel novembre procurava al Giovio per il suo museo un ritratto di Cino da Pistoia. Nel dicembre una grave malattia fece temere per la sua vita e costrinse il nipote Alessandro. che egli aveva sistemato al servizio di Ottavio Farnese, a rientrare a Pistoia e a chiedere la protezione di Cosimo I e del card. Alessandro Farnese qualora lo zio fosse deceduto. Riavutbsi, egli dovette trascorrere i due anni successivi a Pistoia dove il Giovio gli faceva pervenire notizie sugli avvenimenti di rilievo del tempo. Nell'ottobre del 1552 si recò nella sua diocesi di Iesi, dove morì all'età di sessantatre anni a Castel del Piano nel giugno del 1553.

Fonti e Bibl.: L'archivio della famiglia Conversini (il cui inventario, redatto nell'anno 1731, si trova a Firenze, Biblioteca nazionale, Raccolta Rossi Cassigoli, ms. 139) è depositato, ma in condizioni tali da renderlo inconsultabile, a Pistoia presso gli uffici sanitari degli Istituti raggruppati, in via della Provvidenza. Dall'inventario risulta che almeno parte del materiale documentario utilizzato dal Bindi e dal Capponi nel profilo biografico del C. si trovava originariamente in quell'archivio. Peraltro, nella summenzionata Raccolta Rossi Cassigoli non vi è traccia della corrispondenza del C. esule a Montale nel 1529 che il Capponi vide nel 1883 in quella collezione. Cfr. Arch. Segr. Vaticano, Arm. XLI, t. 8, f. 380r, n. 356; Arm. XLI, t. 9, f. 390r, n. 249; Arm. XLI, t. 11, f. 262r, n. 894; Arm. XLI, t. 18, f. 421r, n. 659; Arm. XLI, t. 24, f 48r, n. 316; Arm. XLI, t. 27, f. 346r, n. 469; Arm. XXIX, Divers. Camer. 129, f. 230v; Arm. XXIX, Divers. Camer. 144, ff. 72v-73r; Arm. XXIX, Divers. Camer. 159, ff. 94v-97r, 105v-106v; Arm. XXIX, Divers. Camer. 184, ff. 7v-8r; Firenze, Bibl. nazionale, Poligrafo Gargani 652; Arch. di Stato di Firenze, Carte del card. di Ravenna, b. 1, ins. 32, f. 157r (Leonida Malatesta all'Accolti), ff. 474r-488v (sette lettere dei C. all'Accolti, 1533-1547); b. 12, ins. 18, f. 653r (lettera card. A. Farnese al C., 19 ag. 1544); b. 14, ff. 156r-158v, 316r-317r; Bologna, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Collez. Autogr. XX, 5839 (lettera del C., 28 nov. 1542); Modena, Bibl. Estense, Autogr. Campori. Beccadelli L. (lett. di questo a C. Gualteruzzi durante la legazione di Bologna del card. Contarini); Parma, Bibl. Palatina, Carteggio del card. A. Farnese, Conversini, cassetta 99 (tre lett. del C. ad A. Farnese, 1542-1547); Ms. Pal. 1022, fasc. II (lett. di S. Bianchini a L. Beccadelli, Bologna 1542-43); Archivio di Stato di Parma, Carteggio Farnesiano, Bologna 1542-1543, 4.183 (diciassette lettere del C. al card. A. Farnese, 12 ag. 1542 - 31 luglio 1543 e P. F. Martorelli al card. A. Farnese, 15 luglio 1542); Carteggio Farnesiano, Roma 1543, 7. 325 (lettera di M. Cervini ad A. Farnese, Roma 11 genn. 1543); Carteggio Farnesiano, Imola 1534-1696, 1.158 (C. ad A. Farnese, Imola, 23 maggio 1545); Delle lettere miscellanee del sig. Bonifatio Vannozzi, dottor pistolese & protonotario apostolico, I, Roma 1606, p. 247; II, ibid. 1608, pp. 305 ss. (tre lettere dei Giovio al C., assenti dalla raccolta di G. G. Ferrero); J. Rainieri, Diario bolognese, a cura di C. Ricci - O. Guerrini, Bologna 1887, pp. 71-81; P. Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, I, 2, Roma 1950, pp. 47 s.; P. Giovio, Lettere, a cura di G. G. Ferrero, II, Roma 1958, pp. 84, 183, 188; Lettere del card. G. Con tarini durante la sua legaz. di Bologna, a cura di A. Casadei, in Arch. stor. ital., CXVIII (1960), pp. 89, 104, 108, 117, 120, 253; B. Accolti: a Proposito di un riformato toscano del Cinquecento (Testi e documenti), a cura di R. Ristori, in Rinascimento, s. 2, II (1962), pp. 236, 252, 285, 288, 292, 293, 297, 300; B. Cellini, La vita, Torino 1973, pp. 225 ss.; A. F. Verde, Dottorati a Firenze e a Pisa 1505-1528, in Xenia Medii Aevi historiam illustrantia oblata Thomae Kaeppeli O. P., a cura di R. Creytens - P. Kiinzle, Roma 1978, pp. 656 s., 666 s., 672 s., 676 S.; L. Alberti, Descrittione di tutta Italia, Bologna 1550, cc. 37v-38r; M. Salvi, Historia di Pistoia e fazioni d'Italia, III, Venezia 1662, pp. 142, 161, 164, 175. 189; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, p. 284; II, coll. 613 s.; I. Affò, Vita di P. L. Farnese, II, Milano 1821, pp. 67 s.; S. Muzzi, Ann. della città di Bologna dalla sua origine, VI, Bologna 1844, pp. 495-99; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, II, Venezia 1844, p. 473; VII, ibid. 1848, p. 300; E. Bindi, Notizia biogr. di mons. B. C. pistoiese vescovo d'lesi, Prato 1851; A. Bertolotti, Artisti lombardi a Roma nei secc. XV, XVI e XVII. Studi e ricerche negli archivi romani, I, Milano 1881, pp. 260-68; V. Capponi, Biografia pistoiese, Pistoia 1883, pp. 135-38; S. Bernicoli, Governi di Ravenna e di Romagna..., Ravenna 1898, pp. 64 s.; L. Dorez, La cour du pape Paul III d'après les registres de la Trésorerie Secrète, Paris 1932, I, pp. 86 s., 99, 112, 279; II, p. 190; M. Del Piazzo, Nuovidocumenti del processo subito da s. Ignazio nel 1538, in Arch. della Soc. romana di storia Patria, LXXXIX (1966), pp. 133-140; M. Del Piazzo-C. de Dalmases, Ilprocesso sull'ortodossia di s. Ignazio ... svoltosi a Roma nel 1538. Nuovi docum., in Arch. hist. Societatis lesu, XXXVIII (1969), pp. 431-53; N. Del Re, Monsignor govern. di Roma, Roma 1972, pp. 90 s.; G. Fragnito, Gli "spirituali" e la fuga di B. Ochino, in Riv. stor. ital., LXXXIV (1972), pp. 777-813; C. Eubel-G. Van Gulik, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1923. pp. 97, 139.

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