LUTI, Benedetto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LUTI, Benedetto

Alessandro Serafini

Figlio di un artigiano fiorentino di nome Iacopo (Pascoli, p. 228), nacque a Firenze il 17 nov. 1666. Secondo Hugford (p. 61), il L. apprese l'arte del disegno e della pittura alla scuola di Anton Domenico Gabbiani.

Ne fa fede una lettera da Pisa dello stesso L. indirizzata a Gabbiani e datata 3 maggio 1684, in cui il giovane artista racconta di copiare le opere di Andrea del Sarto, Raffaello e Ciro Ferri (Bottari - Ticozzi, II, p. 70). L'esercizio della copia, consueto nell'ambito delle botteghe e delle accademie di fine Seicento, è testimoniato anche da numerosi disegni del L., alcuni dei quali conservati al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, con riproduzioni dagli artisti allora considerati classici: Raffaello, Annibale Carracci, Domenico Zampieri detto il Domenichino (Bowron, 1980, p. 66).

Perdute le due scene mitologiche segnalate da Hugford (p. 61), del periodo fiorentino del L. rimane di certo solo la pala con La Madonna e le anime del purgatorio, dipinta tra il 1687 e il 1689 per la pieve vecchia di Pontedera (Sestieri, 1973, p. 234).

Il tema devozionale, largamente diffuso in età postridentina, è sviluppato dal L. in chiave ancora barocca: la scena è divisa in due, separata tra cielo e terra, come nel modello di Filippo Gherardi nella chiesa del Suffragio di Lucca; mentre le fisionomie dei volti si ispirano a quelle più sciolte di Pietro Berrettini da Cortona.

Il delicato uso dello sfumato di questa pala si riscontra anche in una piccola tela sul tema penitenziale della Maddalena in meditazione davanti al crocifisso (Parigi, Louvre), databile a questi stessi anni.

Nel 1690 il L., ormai "superiore al maestro", si trasferì a Roma (Pascoli, p. 228). Suo primo mecenate fu Paolo Falconieri, un conoscitore molto ben integrato sia nell'ambiente della corte granducale (fu agente del cardinale Leopoldo e di Cosimo III de' Medici) sia nei circoli artistici e collezionistici dell'Urbe (Bottari - Ticozzi, II, p. 72). Il L. inoltre non interruppe mai i rapporti personali con i Medici, in particolare con Cosimo III e, attraverso questa prestigiosa protezione, riuscì a integrarsi facilmente nell'alta società romana e a ottenere contatti in Francia, Inghilterra e Germania.

Subito dopo il suo arrivo a Roma cominciò a frequentare l'Accademia di Francia e l'Accademia di S. Luca, ottenendo i primi riconoscimenti per le sue prove grafiche (Bowron, 1980, pp. 79-85): nel 1691 vinse il primo premio del Concorso Clementino, con un disegno raffigurante Mosè raccoglie i doni per la costruzione del tempio (Rudolph, 1989). L'anno successivo dipinse, su commissione di Giovanni Niccolò Berzighelli, una tela monumentale raffigurante Dio Padre caccia Caino dopo l'omicidio di Abele (Kadleston Hall, Derbyshire), che espose pubblicamente all'annuale vetrina del giorno di S. Bartolomeo (Bowron, 1980, p. 28).

Se la composizione si sviluppa secondo il tradizionale modulo barocco della diagonale, con una forte accentuazione dei contrasti chiaroscurali che ricorda i modi di Francesco Furini, l'enfasi delle figure rimanda al S. Francesco di Sales in gloria del suo maestro Gabbiani (Firenze, Ss. Apostoli).

Ancora per Berzighelli eseguì, tra il 1692 e il 1693, il Convito in casa di Simone (Kadleston Hall, Derbyshire), opera che mostra ugualmente i debiti del L. per l'arte barocca romana, in particolare per Ciro Ferri e le sue illustrazioni del Messale di Alessandro VII, che, incise nel 1662 da François Spierre, divennero un modello diffuso e costantemente copiato dagli artisti di fine Seicento.

Il 12 apr. 1694 il L. fu eletto accademico di S. Luca (Bowron, 1980, p. 28). Fu il segnale della sua definitiva consacrazione nell'ambiente artistico romano e l'inizio della sua ascesa sociale: a partire da questo momento egli iniziò a lavorare per le grandi famiglie romane - Torri, Colonna, Pallavicini, Odescalchi, Barberini - e per importanti rappresentanti della Chiesa, da papa Clemente XI al cardinale Pietro Ottoboni, da Carlo Agostino Fabroni (cardinale dal 1706), a padre Antonin Cloche, maestro generale dell'Ordine domenicano. Di questi anni (1694-95) sono il Miracolo di s. Chiara (Roma, collezione Augusto Barberini), fortemente influenzato dal soffitto cortonesco di palazzo Barberini, e il S. Benedetto nel roveto.

Presentata il 6 genn. 1695 all'Accademia di S. Luca, dove tuttora si conserva, questa tela riprende il tipo iconografico del santo in estasi, codificato nella Visione di s. Bruno di Pier Francesco Mola, con il protagonista sdraiato supino a braccia aperte e lo sguardo ispirato rivolto verso l'alto; la scena perde forse in drammaticità rispetto al prototipo, ma ne guadagna in chiarezza compositiva e in ricerca naturalistica, quando il pennello del L. si sofferma con meticolosa precisione nella descrizione della vegetazione che anima lo sfondo.

Tra il 1695 e il 1700 possono collocarsi anche le prime scene mitologiche del L., come l'Amore e Psiche dell'Accademia di S. Luca, ordinata dal cardinale Pietro Ottoboni (Pascoli, p. 231), che si basa sul modello di Simon Vouet.

Pur non disdegnando il ricorso al chiaroscuro furiniano, qui il L. mostra di aver assimilato tutta la lezione del colore e della luce della pittura tardobarocca fiorentina e di indirizzarla verso una freschezza decorativa e una leggerezza coloristica che saranno proprie dello stile rococò.

Nel 1697 il suo nome fu inserito tra i Virtuosi al Pantheon (Bowron, 1980, p. 29). Tre anni dopo affrescò la volta della camera dell'udienza di palazzo Colonna a Roma con L'apoteosi di Martino V Colonna, che accompagnava l'Apoteosi di Marcantonio II Colonna eseguita nello stesso anno, ma in un altro ambiente, da Giuseppe Chiari.

In quest'ariosa composizione il L. mette definitivamente a punto il suo linguaggio decorativo e celebrativo, sempre più orientato ad alleggerire i macchinosi impianti barocchi e a privilegiare di contro spazi aperti e luminosi. L'uso di timbri cromatici più brillanti e di velature trasparenti rende palese la ricerca di nuove fonti, soprattutto venete, come il Veronese (Paolo Caliari) e Sebastiano Ricci (quest'ultimo presente in palazzo Colonna con l'Allegoria della vittoria di Lepanto, ante 1695).

La sua prima vera commissione pubblica ecclesiastica in Roma è la Comunione della Maddalena in una cappella della chiesa domenicana di S. Caterina da Siena a Magnanapoli, eseguita nel 1702 contemporaneamente ai dipinti di Giuseppe Passeri (la Madonna del Rosario e i Tre arcangeli) presenti nello stesso luogo (Bowron, 1980, pp. 124-127).

La Comunione è un'opera profondamente marattiana, nonostante o forse in forza dei richiami al Domenichino e a Francesco Albani; d'altro canto, come gli altri giovani artisti residenti a Roma intorno al 1700, anche il L. adottò consapevolmente lo stile pittorico allora in voga, uno stile che si rifaceva alla tradizione classica e devota delle opere di Raffaello, di Annibale Carracci, del Domenichino e di Guido Reni, aggiornata e integrata dal nuovo "insuperabile" modello, quello di Carlo Maratti.

In data imprecisata, ma probabilmente prima del 1705, sposò una donna fiorentina di nome Margherita, da cui ebbe quattro figli: Carlo (1705-76), che fu giurista e sottodatario, Giovanni Angelo (1707-71) che si fece prete, Chiara e Maria Maddalena (Bowron, 1980, pp. 29 s.).

Sono datati al 1707 due piccoli oli su rame dell'Accademia di S. Luca: Il convito in casa del fariseo e la Cena in Emmaus (ibid., p. 116).

Riduzione delle figure, assenza di turbamenti espressivi e di emozioni visibili, imitazione dello stile aulico veneziano (in particolare del Veronese) sono i segni del suo nuovo indirizzo stilistico, orientato sempre più consapevolmente alla chiarezza della composizione già quasi neoclassica.

Sempre del 1707 è la S. Brigida di Svezia, conservata a Holkham Hall (Norfolk). Nel 1708 e poi ancora l'anno successivo fu eletto reggente dell'Accademia di S. Luca (ibid., 1980, p. 29). Dopo la morte, nel 1710, di Maria Camilla Pallavicini Rospigliosi, di cui aveva dipinto il ritratto qualche anno prima (1700-05 circa; Roma, collezione Pallavicini), egli prese le vesti dell'agente di famiglia per scambiare il celebre Mangiafagioli di Annibale Carracci con un quadro di David Teniers (ibid., 1980, p. 35).

Il ritratto Rospigliosi, insieme con due Autoritratti degli Uffizi e con il Ritratto di William Kent di Chatsworth (Derbyshire), rappresenta al meglio la sua produzione ritrattistica, non vasta ma sempre di alto livello, in cui egli seppe aggiornare il vecchio modello "alla Susterman" con l'acquisizione di stilemi d'Oltralpe, dai toni più freschi e leggeri, esercitando così un'influenza non disprezzabile sul futuro maestro del genere, Pompeo Batoni.

Nel 1712 firmò e datò la Vestizione di s. Ranieri per il duomo di Pisa, di cui esistono numerosi bozzetti.

Questa grande tela, che rientrava in un progetto voluto da Cosimo III per la cappella del patrono di Pisa, presenta una monumentalità di forme e una solennità nella composizione delle figure che sono eredità diretta di Maratti, Andrea Sacchi e Reni; l'opera infatti mostra la capacità del L. di integrare il classicismo romano, evidente anche nelle espressioni misurate e nell'accuratezza anatomica, con le ricerche luministiche e coloristiche del barocco fiorentino, dando vita a uno stile ormai pienamente originale, che si distingue dalla produzione più uniforme dei suoi contemporanei, in virtù degli effetti di luce, del colore velato e della ricchezza di sfumature.

La maniera comunque profondamente retorica e magniloquente dell'impresa pisana sta alla base delle sue successive realizzazioni di soggetto religioso, come il S. Carlo Borromeo amministra l'estrema unzione alle vittime della peste del 1576 (Schleissheim, Neues Schloss, Staatsgalerie) e la S. Anna che insegna a leggere alla Vergine (Burghausen, Gemäldegalerie), dipinti nel 1713 per l'elettore palatino, principe Johann Wilhelm (Bowron, 1980, pp. 30, 165 s.). Nel 1713 fu eletto vicereggente dell'Accademia di S. Luca (ibid., p. 29). Allo stesso anno risalgono probabilmente le prime commissioni dell'arcivescovo elettore di Magonza Lothar Franz von Schönborn, grazie ai buoni uffici del quale il L. fu nominato cavaliere dell'Impero (ibid., p. 30): si tratta di Diana ed Endimione e di Venere e Adone (Pommersfelden, Schloss Weissenstein).

Queste opere a soggetto mitologico-pastorale e a finalità encomiastica, di piccolo ed elegante formato, sono considerate tra le più riuscite dell'intero corpus pittorico del L.: forse proprio il soggetto si prestava meglio alla grazia della sua pittura, alla sua fine sensibilità coloristica e al gusto arcadico imperante. D'altro canto anche nelle opere di soggetto religioso di questi anni - tra cui si può citare la Madonna dei Dolori nella chiesa di S. Caterina a Malta, di cui rimangono preziosi e brillanti bozzetti - il L. impose un gusto improntato alla vena malinconica e pastorale, a una personale dolcezza espressiva di sapore neocorreggesco, che fu particolarmente gradito al milieu francese dell'Accademia romana.

Dopo la morte di Maratti, nel 1713, il L. - che acquistò anche parte della sua collezione di disegni (Bowron, 1980, pp. 38 s.) - divenne il pittore più apprezzato (e più pagato) in Roma; e la sua fama fu oscurata solo dalla concorrenza di Francesco Trevisani e di Giuseppe Chiari. Suoi dipinti e disegni erano presenti nelle maggiori collezioni del tempo, come quella del marchese Torri (il L., insieme con Giuseppe Passeri e Chiari, lavorò alla decorazione perduta della sua villa fuori porta S. Pancrazio), dei cardinali C.A. Fabroni e P. Ottoboni (il quale possedeva un S. Paolo del L., facente parte di una serie di apostoli dipinti dai maggiori artisti del tempo e presentata nel 1713 alla mostra del Pio Sodalizio dei Piceni), ma anche in quelle dei Pallavicini, dei Corsini e dei Miollis già nella villa Aldobrandini di Frascati. Si accrebbero, in parallelo, il ruolo e la stima del L. all'interno delle istituzioni accademiche capitoline, in particolare dell'Accademia di S. Luca: già da un decennio infatti, a partire dalla fine del 1704, egli era stato annualmente eletto giudice per le composizioni accademiche (ibid., 1980, p. 44); e il suo nome compare con continuità nelle pagine dei Verbali delle congregazioni dell'Accademia; giocò poi un ruolo decisivo nelle deliberazioni sul cambiamento degli Ordini e statuti dell'Accademia, che furono pubblicati nel 1715 dopo l'approvazione del pontefice Clemente XI.

Del 1717 circa sono altre sue tele conservate a Pommersfelden (Schloss Schönbrunn), dipinte per l'elettore palatino di Magonza: Venere, Mercurio e Amore e Atalanta e Ippomene.

A una data vicina si colloca anche la bella tela di Holkham Hall, con Rebecca al pozzo, in cui il tema sacro è narrato con la leggiadria di una scena mitologica e reso con il tocco morbido e sfumato che gli conferisce l'aspetto di un pastello (Sestieri, 1973). I pastelli del resto furono un genere prediletto dal L., che realizzò squisite testine - di angeli, apostoli, santi e bambini - delicatamente sfumate (Roma, Galleria nazionale d'arte antica di Palazzo Corsini). Il L. imita qui deliberatamente l'arte di Antonio Allegri, detto il Correggio, e degli emiliani del Cinquecento, il cui stile era ritenuto esemplare soprattutto per la grazia del colore e del disegno.

Nel 1718 il L. partecipò all'impresa promossa da papa Clemente XI in S. Giovanni in Laterano: doveva dipingere, insieme con altri valenti pittori del tempo, una serie di profeti nelle arcate della navata; suo è l'Isaia, che, come quello di Marco Benefial, si distingue dagli altri per l'originalità e la scioltezza del tocco. Il 14 genn. 1720 fu eletto finalmente principe dell'Accademia di S. Luca, non senza contestazioni (Bowron, 1980, pp. 46 s.). Negli anni successivi, tra il 1721 e il 1724, fu nominato primo e poi secondo consigliere dell'Accademia. Intorno al 1720 dipinse una tela destinata al soffitto del palazzo del marchese Livio De Carolis a Roma, ora sede della Banca di Roma (i cui interni furono decorati dai maggiori artisti del momento), raffigurante Diana come personificazione della Luna (Allegoria di Diana): felice invenzione, con un bel notturno abitato dalla luminosa dea lunare circondata dalle ninfe, la Diana del L. rimanda chiaramente all'Endimione di Pier Francesco Mola (Roma, Pinacoteca Capitolina), ma si presenta come prototipo del nuovo gusto rococò, per la composizione rarefatta, la grazia, la leggerezza e la finissima eleganza, nonché per l'originale composizione a sottinsù.

Dallo stesso palazzo proviene anche il David che calma la pazzia di Saul, incompiuto, ora a Roma, Galleria nazionale d'arte antica di Palazzo Barberini. Del 1722 è il S. Antonio da Padova nella basilica dei Ss. Apostoli di Roma, opera decisamente più convenzionale e retorica.

Si chiude qui il percorso delle opere sicure del L. che, al contrario dei suoi contemporanei, non fu affatto prolifico: si conoscono infatti solo settantacinque opere autografe.

Una spiegazione di questa limitata produzione, a dispetto di un ruolo importante in seno alle accademie del tempo, può essere trovata considerando le sue altre numerose attività: egli fu anche mercante, conoscitore, collezionista e maestro di disegno. Grazie infatti anche alla protezione concessagli dal granduca Cosimo III ebbe modo di farsi conoscere dai viaggiatori stranieri e dagli agenti dei collezionisti presenti a Firenze e a Roma; in breve divenne noto come "the best connoisseur in the City" (Richardson; anche Pascoli, p. 230, dichiarò che il L. aveva una "grandissima cognizione dell'altrui maniere") e fu senz'altro uno dei commercianti d'arte più stimati del mercato romano. In questo ruolo fu coinvolto nelle aste di vendita di importanti collezioni, come quando, nel 1714-15, riuscì a convincere Pierre Crozat ad acquistare, per conto di Filippo duca d'Orléans e reggente di Francia, la collezione della regina Cristina di Svezia (Bowron, 1980, p. 33). Quanto al suo habitus da collezionista, Pascoli (p. 230) informa che egli possedeva disegni, stampe e dipinti, in numero stimato intorno ai 15.000, tanto che la sua raccolta costituiva una tappa obbligata per ogni studioso o amatore di passaggio a Roma. In seno all'Accademia di S. Luca fu anche maestro di disegno, soprattutto a partire dal 1710, quando la sua attività didattica si fece sistematica e continua. Fra i suoi allievi diretti figurano Giovanni Domenico Piastrini e Antonio Grecolini; ma ruotarono intorno alla sua bottega anche Pietro Bianchi, Placido Costanzi, William Kent, Jean-Baptiste Vanloo, Carle Vanloo e Giovanni Paolo Panini.

Il 10 giugno 1724 il notaio registrò il testamento del L., nominato con il titolo di "eques" (Bowron, 1980, p. 40). Pochi giorni dopo, il 17 giugno 1724, morì a Roma, nella sua residenza di villa Medici al Pincio (ibid., p. 50). Solenni furono la cerimonia funebre e la sepoltura in S. Nicola dei Prefetti in Campo Marzio, doverosamente organizzate dalla Congregazione dei Virtuosi e dall'Accademia di S. Luca.

Fonti e Bibl.: J. Richardson, An account of some of the statues, bas-reliefs, drawings and pictures in Italy(, London 1722, p. 182; N. Pio, Le vite di pittori, scultori et architetti (1724), a cura di C. Enggass - R. Enggass, Città del Vaticano 1977, pp. 24 s.; L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori e architetti moderni, I, Roma 1730, pp. 228-234; I.E. Hugford, Vita di A.D. Gabbiani pittor fiorentino, Firenze 1762, passim; G.G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura, Milano 1822, II, pp. 70-84; V, pp. 304 s.; VI, pp. 165-170; V. Moschini, B. L., in L'Arte, XXVI (1923), pp. 89-114; H. Voss, Die Malerei des Barock in Rom, Berlin 1924, pp. 360-366, 608-611; P.H. Dowley, Some drawings by B. L., in The Art Bulletin, XLIV (1962), pp. 219-236; B. Heinzl, The Luti Collection: toward the reconstruction of a seventeenth-century Roman collection of master drawings, in The Connoisseur, CLXI (1966), pp. 17-22; G. Sestieri, Il punto su B. L., in Arte illustrata, VI (1973), pp. 232-255; E.P. Bowron, The paintings of B. L. (1666-1724), dissertazione, University Microfilms International, Ann Arbor, MI, 1980 (con bibl.); Id., B. L.'s pastels and coloured chalk drawings, in Apollo, CXI (1980), pp. 440-447; H. Carlsen - J. Mejer, B. L.: Atalanta and Hippomenes and other mythological paintings, in Città e architettura nella Roma imperiale. Atti del Seminario(, Roma( 1981, Odense 1983, pp. 33-40; S. Rudolph, La pittura del '700 a Roma, Milano 1983, pp. 404-410, 783; G. Sestieri, Nuovi contributi al L. disegnatore, in Prospettiva, 1985, nn. 33-36, pp. 283-286; Id., La pittura del Settecento, Torino 1988, pp. 29, 34 s. e passim; S. Rudolph, I premiati dell'Accademia 1682-1754 (catal.), Roma 1989, pp. 20 s.; L. Barroero, La pittura del Settecento a Roma, in La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1990, I, pp. 384-398 e passim; M. Coccia, ibid., II, pp. 773 s.; G. Bonaccorso - T. Manfredi, I Virtuosi al Pantheon 1700-1758, Roma 1998, ad ind.; F. Berti, I dipinti di artisti fiorentini del Barockmuseum di Salisburgo, in Barockberichte, XXIV-XXV (1999), pp. 446-454; A. Laing, B. L.'s The Ecstasy of st. Mary Magdalene, in Mélanges en hommage à Pierre Rosenberg(, a cura di A. Cavina - J.-P. Cuzin, Paris 2001, pp. 245-250; E.P. Bowron, La Madeleine en méditation devant un crucifix de B. L. (1666-1724)(, in Revue du Louvre, LII (2002), 1, pp. 45-51; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, pp. 480 s.; The Dictionary of art, XIX, pp. 816 s.

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