SORANZO, Benedetto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 93 (2018)

SORANZO, Benedetto

Claudia Salmini

SORANZO, Benedetto. – Appartenne al ramo di S. Angelo e nacque, presumibilmente a Venezia, da Giovanni (Zuanne, dal banco) di Vettor e da Lucia (Lucietta) Paruta di Gerolamo, verso la fine del 1442 (il 18 novembre secondo Louis De Mas Latrie, sulla base dell’epigrafe funeraria, qualche settimana più tardi secondo l’archivista e storico veneziano Giuseppe Dalla Santa).

Nel 1464 (20 ottobre) fu iscritto sul registro della Balla d’Oro (dal quale annualmente 30 giovani patrizi venivano estratti per accedere anticipatamente al maggior consiglio) e venne estratto nel 1466. Ma non seguì un effettivo cursus honorum negli anni successivi.

Non è da confondersi con un Benedetto di Giovanni Soranzo che solo nel 1493 risulta eletto come governatore delle entrate (Archivio di Stato di Venezia, Segretario alle voci, Universi, reg. 6, c. 114r), né con un Benedetto Soranzo di Bernardo, a quel tempo frequentemente eletto a cariche de intus e de foris (reg. 7, c. 37r).

Soranzo ebbe tre fratelli (non cinque come nel codice genealogico di Marco Barbaro): Piero, Francesco (che sposò Cattarina Foscari nipote del doge), Vettor (che sposò Lucia Priuli di Francesco di Zuanne procuratore di S. Marco). I quattro «filii mei dilecti» (Notarile, Testamenti, Atti Tomei, b. 1238, n. 361) ereditarono dal padre (che testò il 28 maggio 1468) un cospicuo patrimonio (con un «supplementum etatis sue» di 2000 ducati per il più giovane, e forse prediletto, Vettor); la grande consistenza di queste fortune – non esplicitata, come spesso accade nel testamento dei banchieri – è suggerita dall’importo destinato ai poveri (10.000 ducati in 10 anni) e dalla qualità dei curatori testamentari (quattro procuratori di S. Marco, due futuri dogi come Nicolò Tron e Nicolò Marcello), destinati a consigliare i commissari designati (l’intero clan familiare, compresa la moglie Lucia e i figli stessi, con altri parenti), non senza il parere del doge in carica Cristoforo Moro quanto alla sopravvivenza del banco Soranzo.

La decisione di chiudere il banco sarebbe stata presa dal figlio Vettor soltanto a molti anni di distanza, nel 1491, «a trombe e piffari» (Sanudo, 1897, pp. 49, 125). È stato recentemente chiarito l’equivoco esistente finora negli studi dei banchi veneziani: Giovanni aveva fondato un nuovo banco Soranzo, omonimo di quello antico che suoi parenti, appartenenti a un altro ramo, avevano condotto qualche tempo prima alla vergogna per la famiglia e al fallimento (Mueller, 1985, pp. 10-13). Dal testamento paterno, come dal contenuto delle numerose lettere scambiate tra Benedetto e i suoi fratelli, si conferma una relazione in cui gli interessi economici sono gestiti in modo inscindibile dalla reciproca solidarietà familiare, secondo un modello spesso comune ad analoghi contesti mercantili e finanziari veneziani.

Secondo i principali biografi (De Mas Latrie, Dalla Santa), di Soranzo poco o nulla è noto dal 1466 al 1481, ma nella minuta di una lettera al doge del 17 novembre 1488 egli dichiara di essere stato cortesano (Dalla Santa, 1914, p. 8) nella Sede apostolica per 18 anni. Visse quindi dal 1470 a Roma, ove presumibilmente si occupò, come negli anni per cui esiste la documentazione, degli interessi dello Stato veneziano, del banco e della famiglia Soranzo, e suoi personali. Anche se per prendere gli ordini attese ancora qualche anno: all’autunno del 1481 risale infatti l’intenzione di aderire alla carriera ecclesiastica, che sembra frutto di una strategia familiare.

Soranzo trascorse alcuni mesi del 1481 a Venezia e nel Veneto, e il 10 giugno rientrò a Roma, al fianco dell’ambasciatore veneziano Francesco Diedo. Si intensificarono i tentativi di procurargli un conveniente beneficio ecclesiastico: nell’ottobre del 1481, grazie all’influenza di Diedo, ottenne l’abbazia ravennate di S. Apollinare nuovo. Seguì inoltre i consigli dei fratelli che lo invitarono a divenire protonotario apostolico (lettera del 29 ottobre 1481). Diedo inoltre fece sì che Soranzo accompagnasse, con altri autorevoli curiali, il condottiero Roberto Sanseverino da Siena ad Ancona (ove doveva assumere il comando dell’esercito veneziano per le operazioni militari in Romagna a sostegno di Gerolamo Riario). A missione compiuta, Diedo elogiò Soranzo e il Senato approvò una lettera molto lusinghiera nei suoi confronti, anche se con nove voti contrari (non due, come da una lettera dei fratelli Piero e Vettor): non mancava dunque, in laguna, chi gli era ostile.

Dalla Curia, nel maggio del 1482, Soranzo veniva definito «commissario de la Serenità de nostro Signor» (Dalla Santa, 1914, p. 17), previa approvazione veneziana. L’iniziale alleanza tra Sisto IV e Venezia (settembre del 1480) – finalizzata a sostenere le ambizioni di Riario su Faenza, Forlì e Ferrara – era però degenerata e si era agli inizi della guerra di Ferrara (1482-84): Soranzo in questa fase svolse la funzione di tenere aperto un canale di comunicazione tra il papa, che lo aveva incaricato di promuovere un trattato di pace, e Venezia; mantenne in effetti i contatti attraverso i fratelli, su incarico del Consiglio dei dieci. Per alcuni mesi nel corso del 1483 l’incarico di Soranzo si concretizzò in una serie di incontri con Riario, ricostruibili nei minimi dettagli grazie al carteggio tra Soranzo e i fratelli (incrociato, nello studio di Dalla Santa, con un inedito copialettere che riportava minuziosamente il resoconto degli abboccamenti tra i due emissari).

Ma già prima della pace di Bagnolo (7 agosto 1484) e della morte del papa (12 agosto), la vita di Soranzo ebbe una svolta importante. Il 2 giugno 1484 infatti il concistoro segreto lo elesse arcivescovo di Nicosia di Cipro, ciò che provocò nell’immediato gravi conseguenze politiche e personali.

Il Senato veneziano si era infatti espresso a favore di un altro candidato, il vescovo di Limassol Nicolò Donà; e Benedetto non era compreso tra i nomi di chi concorreva a quella carica. Si sospettò che Soranzo avesse comunicato a Riario informazioni segrete provenienti da Venezia; il Consiglio dei dieci reagì immediatamente e inviò un proprio esponente a Ravenna per arrestare, con l’aiuto del rettore veneziano, Soranzo e la sua famiglia e sequestrare le sue carte, in vista di un interrogatorio da svolgersi (con possibile tortura) a Venezia. Tuttavia il 19 giugno il collegio giudicante (il consigliere Filippo Tron, Giovanni Gabriel capo dei Dieci, Francesco Pisani inquisitore e Antonio Grimani avogadore di Comun) alla presenza del vicario patriarcale assolse pienamente Soranzo e lo scarcerò.

Nella pace di Bagnolo la Repubblica riconobbe la nomina di Soranzo ad arcivescovo di Nicosia; tra la fine del 1485 e gli inizi del 1486 la Curia romana spedì le bolle definitive. Nel frattempo, Soranzo era stato fatto diacono dall’arcivescovo di Corinto Antonio Saracco (17 aprile 1485) e subito dopo (23 aprile) consacrato sacerdote.

Per l’ostilità subito dichiarata dei ciprioti, Soranzo pensò bene di non prendere servizio effettivo nella sede affidatagli, trovando modo di aggirare o rinviare le prescrizioni del Senato e gli stessi consigli fraterni. In quegli anni i fratelli Piero (sino al 1486, quando morì) e Vettor lo proposero sistematicamente, in Senato, per le probae ai benefici ecclesiastici (le procedure che portavano a indicare il nome da presentare alla corte papale).

Ma Soranzo si trovò molto spesso ostacolato da concorrenti più agguerriti, da relazioni politiche e diplomatiche avverse o da congiunture sfavorevoli. Già tra fine del 1482 e inizi del 1483 aveva aspirato all’abbazia di S. Zeno a Verona, rinunziandovi per non creare tensioni con la Repubblica; nello stesso periodo rinunziò, per il clima politico in quel periodo a lui ostile, all’arcipretura di Montagnana (Padova); nel 1483 ottenne invece il beneficio dell’abbazia di S. Andrea del Bosco, nella diocesi di Ceneda, e altri benefici minori. Nel tempo, Benedetto si fece conoscere come un accanito cacciatore di benefici (Cenci, 1968, p. 431).

Aspirò anche al cardinalato, ma inutilmente, nel 1489, 1493 e 1494; da papa Innocenzo VIII fu invece nominato segretario apostolico, quando quella carica divenne acquistabile per denaro. Nel gennaio del 1490 divenne assistente al soglio pontificio, uno dei componenti della corte pontificia.

Alla fin fine, raggiunse nella sua carriera ecclesiastica risultati modesti, se monsignor datario Juan Lopez ebbe a commentare, in una lettera del 29 settembre 1494 rivolta a Ventura Benassais: «Lo tuo arcivescovo è più misero che uno topo» (Archivio di Stato di Venezia, Carte di Benedetto Soranzo arcivescovo di Cipro, b.1, II, n. 84).

Soranzo morì a Roma improvvisamente, il 6 luglio 1495, all’età di 53 anni (Malipiero, 1844, p. 695). Fu sepolto nella chiesa di S. Maria della Minerva, con un epitaffio curato dal fratello Vettor (dal testo del quale De Mas Latrie ricavò la data di nascita).

Lasciò un archivio privato che costituisce, nella documentazione veneziana, un’eccezione molto rilevante, dal momento che è andata perduta la maggior parte dei carteggi pubblici e privati che consentono, in altre realtà italiane, di ricostruire nel dettaglio lo scambio di informazioni tra le corti italiane e con la S. Sede (Del Torre, 2010, p. 136).

Le vicende archivistiche di queste carte, inventariate e studiate in modo dettagliatissimo dall’archivista veneziano del primo Novecento Giuseppe Dalla Santa, sono complesse. Rimane aperto il problema del motivo per cui si trovassero ancora presso il Consiglio dei dieci. Si è sempre ritenuto che si trattasse di quelle sequestrate nel 1484 con l’arresto a Ravenna; dopo l’assoluzione piena sarebbero dovute ritornare al proprietario, e in effetti vi sono compresi anche documenti successivi a quella data. In particolare, ve ne sono numerosi relativi ai beni mobili dell’arcivescovo (con elenchi di quanto veniva riposto nelle casse, di solito per un viaggio: vesti, stoffe, libri, candele, oggetti, argenti). Tuttavia è probabile che tali elenchi di beni siano connessi al procedimento aperto a seguito del testamento ‘per breviario’ – una particolare tipologia contemplata dagli Statuti veneti – dello stesso Benedetto. Si legge infatti, in un frammento (privo di data, ma posteriore al 6 luglio 1495): «Questa nota è apreso quela mandai l’altro dì de li habuta da quel servitor di l’arcivescovo morto che è qui, di le robe havea epso arcivescovo» (Archivio di Stato di Venezia, Carte di Benedetto Soranzo arcivescovo di Cipro, b. 6, f. Inventari di oggetti appartenuti a B. Soranzo, c. n.n.). Si ritiene che questi documenti siano pervenuti al Consiglio dei dieci a cagione di una causa – fino a ora sconosciuta – mossa da Benedetto contro il fratello Vettor unito agli eredi degli altri due fratelli (che avrebbero avviato la divisione dell’eredità del padre Giovanni senza notificarglielo; ibid.). La causa proseguì anche dopo la morte di Soranzo; nell’autunno del 1497 vi fu coinvolto l’insigne giurista Giovanni Campeggio, lettor primario in iure nello Studio di Padova (che nel 1492 compare anche nel carteggio di Soranzo), e non se ne conosce la conclusione. Il Senato la definiva «maxime [...] momenti et importantie, ut omnibus patet» (ibid., Senato, Deliberazioni, Terra, 13, c. 24r). Il processo relativo ai beni di Benedetto, datato 31 agosto 1495, è stato rintracciato in occasione della presente ricerca (Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Curia patriarcale, Sezione antica, Causarum delegatarum et appellatarum, b. 12).

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di comun, Balla d’oro, reg. 164, III, 1464-1496, c. 311r; Prove di età per magistrati, reg. 170-2 (1465-1473) c. 170r; Segretario alle voci, Universi o misti, reg. 6, c. 114r; reg. 7, c. 37r; Carte di Benedetto Soranzo arcivescovo di Cipro, bb. 1-6; Notarile, Testamenti, Atti Tomei, b. 1238, n. 361 e b. 1240, 203-204; Cancelleria inferiore, Miscellanea testamenti notai diversi, b. 25, n. 1771; Senato, Deliberazioni, Terra, reg. 13, c. 24r; Misc. codd., s. I, 20, St. veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de patritii veneti, VII, c. 43; http://www. rulersofvenice.org, Segretario alle voci. Registri Universi o misti, s.v.; Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Curia patriarcale, Sezione antica, Causarum delegatarum et appellatarum, b. 12.

D. Malipiero, Annali veneti dall’anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo, in Archivio storico italiano, s. 1, 1844, vol. 7, parte II, p. 695; M. Sanudo, I diarii, a cura di R. Fulin et al., I, Venezia 1897, p. 377; L. De Mas Latrie, Benôit Soranzo, archevêque de Nicosie, d’après les papiers secrets du Conseil des Dix, in Revue des questions historiques, XXIII (1878), pp. 571-579; G. Dalla Santa, B. S. e Girolamo Riario. Una pagina della guerra di Ferrara degli anni 1482-1484, Venezia 1914; C. Cenci, Senato veneto “Probae” ai benefici ecclesiastici, in C. Piana - C. Cenci, Promozioni agli ordini sacri a Bologna e alle dignità ecclesiastiche nel Veneto nei secoli XIV-XV, Florentiae 1968, pp. 415, 421 s., 425 s., 430 s.; R. Mueller, Sull’establishment bancario veneziano. Il banchiere davanti a Dio (secoli XIV-XV), in Mercanti e vita economica nella Repubblica Veneta (secoli XIII-XVIII), a cura di G. Borelli, Verona 1985, I, pp. 45-103, ora in www.rmoa.unina.it/1000/1/RM-Mueller-Banchieri.pdf, pp. 6, 9-13; G. Del Torre, Patrizi e cardinali. Venezia e le istituzioni ecclesiastiche nella prima età moderna, Milano 2010, pp. 121, 135-137.

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