BENEDETTO XV papa

Enciclopedia Italiana (1930)

BENEDETTO XV papa

Filippo Crispolti

Giacomo Della Chiesa, nato a Genova il 21 novembre 1854 dal marchese Giuseppe e da Giovanna dei marchesi Migliorati, morto il 22 gennaio 1922. Seguì i corsi di giurisprudenza e si laureò nel 1875 svolgendo una tesi sull'interpretazione delle leggi. Negli studî giuridici il giovane Della Chiesa temprò la mente a quel rigore quasi scolastico, che durante il pontificato gli servì di punto fermo a regolare la fervida libertà delle proprie iniziative; studi giuridici che dal campo civile allargò a quello ecclesiastico e internazionale, quando, vestitosi chierico, appartenne in Roma al collegio Capranica e poi all'accademia dei nobili ecclesiastici. Disse la prima messa il giorno di Natale del 1878. Monsignor Rampolla lo volle suo segretario alla nunziatura di Madrid. Lasciarono Roma il 2 gennaio 1883 e rimasero in Spagna quattr'anni. Ivi il Della Chiesa apprese la pratica diplomatica, perché a quel tempo diedero ad essa buona occasione le lotte fra alfonsisti e carlisti e i gravi dissensi con la Germania, terminati con l'arbitrato di Leone XIII per le isole Caroline.

Quando il Rampolla, fatto cardinale, tornò a Roma nel 1887 e fu nominato segretario di stato, ricondusse il Della Chiesa con sé, procurandogli il grado di minutante alla segreteria. Nei casi difficili, benché la carica di minutarite fosse modesta, i diplomatici, e altri che avessero grandi affari col Vaticano, andavano spesso a consultare "il piccoletto", alludendo con tale nomignolo alla sua esile e mal conformata persona, in cui spiccavano l'alta fronte e gli occhi penetranti.

Fu fatto sostituto della segreteria di stato il 23 aprile 1901, e tale rimase anche dopo che morì Leone XIII e il Rampolla cessò di essere segretario di stato. Nel 1907, Pio X lo nominò arcivescovo di Bologna. Per lui era affatto nuovo il ministero pastorale, ma vi si diede con l'alacrità consueta, spiegandovi un'autorità forte; acquistandovi l'esperienza del governo delle anime e quella, riuscitagli per la sua prudenza pacifica e facile, dei contatti con le autorità civili del regno.

Elevato alla porpora da Pio X nel giugno 1914, due mesi erano appena trascorsi quando si apriva la successione al soglio pontificio; e il mondo era a fuoco per la grande guerra. Chi mai, prima dell'apertura del conclave, avrebbe pensato che egli potesse essere candidato? Da più di quattro secoli, ossia da Niccolò V, nessuno era stato eletto papa dopo pochi mesi di cardinalato. Viceversa, la mattina del 3 settembre fu annunziata urbi et orbi l'elezione di Giacomo Della Chiesa che, sempre per affetto a Bologna, aveva preso il nome dell'arcivescovo e papa bolognese, Lambertini, e aveva quindi voluto chiamarsi Benedetto XV.

Suscitò subito le meraviglie per la prontezza con cui si mostrò padrone dell'altissimo grado. Non si era giunti alla sera, che aveva dato ordini di mille specie: decise di tenere l'incoronazione non nella basilica di S. Pietro, ma, più modestamente, nella cappella Sistina, per dare al rito il puro necessario ed evitare dinanzi al lutto della guerra quanto sapesse di festeggiamento; partecipò di sua mano la propria elezione al presidente della Repubblica francese, col quale non c'erano più da tempo relazioni diplomatiche, in vista di quel riallacciamento futuro che più tardi venne; verificò i conti sommarî dei beni della Santa Sede, per sapere qual somma potesse donare nella giornata stessa al seminario di Bologna ed escogitò infine i modi, sia per risolvere la più aspra vertenza col governo italiano, ossia il negato exequatur all'arcivescovo di Genova, sia per aver persona scelta d'accordo tra lui e il governo (che fu poi il barone Carlo Monti), la quale servisse d'intermediaria confidenziale negl'inevitabili e invisibili rapporti quotidiani. Il giorno dopo nominò segretario di stato il cardinale Ferrata, che doveva vivere soltanto poche settimane, ed essere sostituito dal card. Pietro Gasparri.

La sua principale missione gli fu determinata dalle circostanze tragiche del proprio avvento; essere tal pontefice quale richiedeva l'immane conflitto scatenatosi nel mondo. Dal proprio carattere sacro, e dalla generale tradizione del papato dedusse due norme: invocare la pace e serbare fra i belligeranti l'imparzialità; ma a queste due norme egli diede fin da principio e sempre un'impronta nuova e sua. I noti e in parte vani quattordici punti di Wilson furono preceduti con maggior senso pratico da quelli di Benedetto, che si possono riassumere così: 1. Diminuzione reciproca degli armamenti e istituzione di un arbitrato obbligatorio; 2. Libertà e comunanza dei mari; 3. Condono reciproco delle spese di guerra e dei crediti per riparazioni, salvo eccezioni per ragione di giustizia e d'equità (a favore del Belgio); 4. Restaurazione reciproca dei territorî occupati e garanzia per il Belgio della sua piena indipendenza politica, militare ed economica; 5. Regolamento, secondo le aspirazioni dei popoli, delle questioni territoriali discusse fra Germania, Francia, Italia e Austria; 6. Lo stesso equo esame per l'Armenia, gli stati balcanici e per i territorî dell'ex regno di Polonia.

L'appello alla pace, che li conteneva, dell'agosto 1917, indirizzato quella volta ai capi di stato, non al pubblico, e conosciutosi soltanto per indiscrezione d'una cancelleria, suscitò, specialmente in Italia, ire clamorose a causa delle parole "l'inutile strage" con cui definiva lo stato guerresco di quell'ora. Senza voler dichiarare nonostante le pressioni, quale delle parti belligeranti fosse rea della guerra e della sua atroce condotta, troppi elementi mancandogli a ciò e non essendo simili sentenze nella tradizione apostolica, egli condannò volta per volta le violazioni del diritto delle genti chiunque ne fosse l'autore; e intanto si adoperava, talvolta con buon esito, perché esse, rispetto ai condannati a gravi pene e alle popolazioni inermi, fossero tolte di mezzo o attenuate. Moltissimo fece a favore dei prigionieri e dei feriti; inviò soccorsi proprî e stimolò soccorsi altrui in aiuto delle popolazioni e specialmente dei bambini affamati. Un ufficio di novanta impiegati funzionava all'uopo in Vaticano, offrendo a chiunque vi ricorresse servigi interamente gratuiti, nonostarite l'enorme spesa che alla Santa Sede ne veniva.

Così il papa fu nella guerra un elemento essenziale, pure opponendosi ad essa. E quantunque gli stati si alternassero nel dir male del pontefice, perché si rifiutò di parteggiare, finirono per comprendere che non potevano ignorarlo. Quando egli fu eletto, ne erano rappresentati presso di lui soltanto quattordici; quando egli morì, lo erano ventisei: la maggiore rappresentanza che la Santa Sede abbia mai avuto.

La politica, come fu ispirata in lui dalla missione religiosa, così andò di pari passo con gli atti più propriamente religiosi. Fin dalla prima enciclica riconfermò la condanna di Pio X contro il modernismo, ma raccomandando il caritatevole discernimento prima tli gettarne contro le persone il sospetto e l'accusa.

Spese molte cure a elevare l'istruzione e l'educazione dei seminarî, affidandone la vigilanza alla Congregazione degli alti studî e delle università. Combatté l'uso della rettorica e degli abbellimmti profani nella predicazione, riprese l'opera interrotta da Leone XIII per il ritorno delle chiese orientali dissidenti, e a questo scopo staccò l'Oriente dalla Propaganda, costituendo la Congregazione della chiesa orientale e l'Istituto pontificio degli studî orientali. Promulgò con la più grande solennità il nuovo Codice di diritto canonico, coronando l'iniziativa di Pio X e l'opera monumentale diretta e coordinata dal caldinal Gasparri. Celebrò numerose canonizzazioni e beatificazioni, tra le quali memoranda quella di Santa Giovanna d'Arco, che facilitò la ripresa delle relazioni tra la Santa Sede e la Francia.

Il propugnatore della pace sperò forse che gli fosse dato di vedere coi proprî occhi mortali il giorno della pace aperta e sancita, anche tra il papato e l'Italia? O presentisse che le ore della sua vita erano contate; o temesse che le innegabili difficoltà avessero ad essere accresciute dal pubblico entusiasmo, egli ad ogni augurio che gli si facesse di ciò, crollava mestamente il capo.

Tuttavia, quando mandava un proprio inviato presso il presidente del consiglio Salandra, al fine di aprir trattative sull'exequatur di Genova, non mancava di dirgli: "Noi intendiamo che sia interamente salva anche la dignità del governo italiano"; quando s'iniziava la guerra italiana contro la maggior potenza cattolica, egli faceva apertamente comprendere che in quella guerra i cattolici d'ogni regione non avevano da guardare che ai proprî doveri di cittadini; quando, considerati i vantaggi che porta alla causa della pace lo scambio di visite tra i capi di stato, toglieva la regola, vigente dal 1870 in poi, di non ricevere sovrani cattolici che contemporaneamente visitassero il Quirinale, egli dava, come in molte altre occasioni, un segno dei riguardi verso "la sua diletta Italia" sostituita in unico stato, sempre sperando che un giorno, dal diritto pubblico tradizionale nei secoli, si traesse la formula d'un assetto pontificio sovrano.

Bibl.: G. Arnaud d'Agne, Benoît XV et le conflit européen, Parigi 1916; L. Degli Occhi, Benedetto XV, Milano 1921; H. Le Floch, La politique de Benoît XV, Parigi 1920; O. Cavar, Un curioso tra i grandi della Chiesa: Benedetto XV, Milano s. a.; Sergius, Le Pape d'hier; le Pape d'aujourd'hui, Benoît XV, Parigi 1922; F. Vistalli, Benedetto XV, Roma 1928.

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