BENEFICENZA e ASSISTENZA

Enciclopedia Italiana (1930)

BENEFICENZA e ASSISTENZA

Giselda SORANI
Alessandro RONCONI
Salvatore D'AMELIO
Gennaro Maria MONTI

Il fenomeno dell'indigenza è, si può dire, coevo alla società umana; e, malgrado le generose utopie dei filantropi, forse ineliminabile. Cause individuali e sociali concorrono a determinarlo: sono cause individuali le molteplici forme di inferiorità fisica e psichica, ereditarie o acquisite, che diminuiscono o annullano in molti individui i poteri organici di attività e di resistenza nella produzione dei beni economici; sono cause sociali tutte le forme di squilibrio delle aggregazioni umane, dal punto di vista della loro struttura e della loro vita economica: forme a volte men gravi, a volte più acute, ma che tutte si risolvono nella determinazione o aggravamento del fenomeno dell'indigenza.

Studiare le cause dell'indigenza e del pauperismo dal punto di vista individuale e sociale, il loro attenuarsi o il loro aggravarsi, alla stregua delle diverse forme dell'aggregato sociale nel tempo e nello spazio, è compito spettante alle scienze economiche e sociali. Così, del pari, è compito di dette scienze studiare, da un punto di vista meramente economico-sociale, la genesi e lo sviluppo più o meno vasto, in tutte le forme di civiltà umana e in tutte le epoche, delle forze di reazione contro la miseria e il pauperismo.

Storia.

L'età antica. - Grecia. - Nella Grecia antica le opere assistenziali sono quasi sconosciute; in generale l'iniziativa della beneficenza è lasciata ai privati e ha normalmente il carattere di una prestazione pecuniaria, cioè di una somma certa. La forma più comune di assistenza privata è l'ἔρανος: prestito gratuito fatto da più persone, costituenti una particolare associazione chiamata anch'essa ἔρανος, in favore di un amico comune (v. eranos).

Erano inoltre considerate forme di beneficenza le contribuzioni da parte di ricchi cittadini (ps. Dem., Comra Phorm., § 39; p. 918) o, più tardi, da parte di principi o di repubbliche al rifornimento di grano per una data città, sul tipo di quelle che si ebbero nel mondo romano. Come esempio di siffatta beneficenza può valere la iscrizione cirenaica detta "stele dei cereali" (Riv. di filol., n. s., VI, 1928, p. 232 segg.).

Forme ancora più chiare di beneficenza erano il somministrare alla città il grano a un prezzo minore di quello corrente, ovvero l'erogazione in denaro (ἐπίδοσις εἰς σιτωνίαν) per l'acquisto diretto del grano da vendere sotto prezzo (Inscr. Graec., II, 5,179 b; cfr. ps. Demosth., Contra Phorm., l. cit.) e così pure tutti quei provvedimenti statali, risalenti, per quanto sappiamo, solo all'età ellenistica, con i quali si cercava di assicurare un prezzo fisso nella vendita del grano, come avveniva p. es. in Samo (5 dracme e due oboli; cfr. Wiegand-Wilamowitz, in Sitzungsberichte der k. pr. Akademie der Wissensch., Berlino 1904, p. 917 e segg.).

Esempî di opere assistenziali da parte dello stato sono molto rari. Secondo una disposizione legislativa che si è fatta risalire a Solone o solo a Pisistrato (Plut., Sol., 31), coloro che per invalidità erano incapaci di guadagnarsi la vita (αδύνατοι) ricevevano un piccolo soccorso giornaliero (secondo gli autori da uno a cinque oboli il giorno; cfr. l'orazione di Lisia ὑπὲρ τοῦ ἀδυνάτου). Condizione necessaria perché gli αδύνατοί potessero ricevere questo sussidio era che non possedessero più di tre mine (Bekker, Anecdota Gr., p. 345). Questo però portava una diminuzione di diritti, perché chi era assistito dallo stato non poteva essere eletto magistrato. A spese dello stato erano anche mantenuti, sotto la speciale sorveglianza degli ὀρϕαξισταί, i figli dei caduti in guerra (Arist., Polit., II, 5,1268 a). In Tucidide (II, 32) troviamo esempio di denaro erogato dallo stato per la sepoltura dei morti in guerra.

Altra forma di opera assistenziale sempre da parte dello stato si può vedere nell'elargizione del denaro ai cittadini poveri perché potessero procurarsi un posto al teatro o, anche, solennizzare qualche ricorrenza di carattere religiosa denaro che proveniva da una cassa speciale chiamata teorico (v.). Questi provvedimenti, fra i quali, in certo senso, possiamo mettere anche il triobolo, assegnato ai cittadini che siedevano come giudici, hanno un carattere democratico per il quale lo scopo politico si sovrappone al puro scopo di beneficenza.

Bibl.: Thalheim, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, col. 440 segg.; Ziebarth, ibid., II, col. 328 seg.; Beauchet, Histoire du droit privé de la république Athénienne, Parigi 1897; Th. Reinach, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, II, pp. 805-808, s. v. ἔρανος.

Roma. - Presso i Romani, forma di beneficenza di origini remotissime sono le frumentazioni (v. frumentarie, leggi) o elargizioni di frumento al popolo, e i congiarî (v.), distribuzione di olio, e più tardi carni (visceratio) e spesso denaro: le une e gli altri ebbero origine da munificenze private, in cui il carattere assistenziale si confonde con lo scopo politico; le prime ebbero origine anche dalle vendite a prezzo ridotto.

Ammessa al frumento era la plebe urbana (cioè avente la cittadinanza e residente in Roma), salvo le donne e i fanciulli. Sicché vanno considerate a parte le fondazioni alimentarie (in frumento o denaro) iniziatesi sotto Nerva e Traiano, aumntate da Antonino Pio, a favore dei fanciulli poveri d'ambo i sessi abitanti nell'urbe o nei municipî italici (pueri et puellae alimentari). Anch'esse ebbero un precedente in largizioni private (da parte di membri della famiglia imperiale) che proseguirono parallelamente all'istituto pubblico (durato fino ai Severi), ricevendone anzi impulso maggiore.

Altre beneficenze private si ebbero probabilmente da parte di patroni verso i clienti più poveri, oltre le gratificazioni ordinarie. Troviamo ricordato l'uso di aiutare con collette un amico danneggiato da un incendio (Mart., III, 52, Iuven., III, 220 segg.). Plinio il Giovane in una lettera (IV, 13) promette di concorrere alla spesa per l'istituzione di una scuola in Como. Le prime scuole gratuite aperte per i fanciulli poveri dallo stato si ebbero più tardi con Settimio Severo.

Non ebbero scopo assistenziale, come si è creduto (Mommsen e altri), i collegi funerarî romani: la cassa comune non risulta mai impiegata per soccorrere un membro del collegio: le stesse sportulae distribuite tra i soci non ebbero intento o carattere benefico.

Bibl.: Enciclop. giurid. ital., II, i, s. v. Beneficenza. - Per i pueri et puellae aliment.: De Ruggiero, Diz. epigr., I, p. 402 segg.; Kubitschek, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, col. 1484 segg.; per i collegia: Waltzing, Ét. histor. sur les Corpor. rom., I, pp. 145 segg., 300-332, ove discute la tesi del Mommsen.

L'età medievale e moderna. - Lineamenti generali. Stato e Chiesa. - Si deve al cristianesimo se il sentimento che porta l'uomo ad alleviare le sofferenze altrui fu elevato a precetto massimo e fondamentale. Alla nuova religione fu essenziale il sentimento di fratellanza tra i suoi seguaci. Cristo disse: "Amerai il prossimo tuo come te stesso: altro comandamento maggiore di questo non v'è" (Marco, XII, 31). E infatti, dicono gli Atti degli Apostoli, nei primi tempi del cristianesimo "la moltitudine dei credenti era un sol cuore e un'anima sola: né v'era chi delle cose che possedeva, alcuna dicesse esser sua, ma tutto tra essi era comune" (IV, 32).

Diffusa sempre più la nuova religione, resa per necessità di cose impossibile tale unione così intima e completa tra i suoi membri, sorse il problema della beneficenza, nel senso che il clero e i cristiani più ricchi si preoccuparono d'alleviare con l'opera personale e con sussidî i bisogni dei fratelli. Con offerte facoltative di ogni settimana e di ogni inizio di mese (che costituivano la cassa comune, l'arcae genus di cui parla Tertulliano, Apol., XXXIX, 1), da una parte si provvide ai bisogni eccezionali di guerre, persecuzioni, epidemie; dall'altra, si alimentò un'azione continua e locale a favore di vedove, orfani, ammalati, prigionieri, oltre che esercitare ospitalità verso coloro che appartenevano ad altre comunità. Sappiamo, così, da Eusebio (Hist. Eccl., VI, xl111), che nel 251 le vedove e i poveri soccorsi a Roma erano più di 1500.

Divenuto il cristianesimo religione di stato, cresciuto enormemente il numero dei suoi aderenti, le fonti della beneficenza si accrebbero e se ne moltiplicarono le opere, mutandosi così la carità privata e più o meno occulta in beneficenza pubblica e sociale. Largizioni in vita e in morte, anche da parte di imperatori, dando alla Chiesa beni immobiliari, oltre che elemosine, fecero sviluppare tutta una serie di istituzioni: per Roma ricorderemo soltanto Fabiola, la prima a fondare un nosocomio (S. Girolamo, Ad Oceaniam, ep. XXX), Novato e Timoteo fondatori d'un ospedale per pellegrini fra il Viminale e l'Esquilino, Galla Placidia, moglie di Teodosio il Grande, che istituì un ospedale a S. Maria in Portico. D'altra parte, il vescovo - che allora disponeva da solo dell'intero patrimonio della comunità - era obbligato a sostentare i poveri; anzi, verso la metà del sec. V, nelle diocesi dipendenti da Roma, si dispose che un quarto dei redditi dovesse essere destinato ai poveri: regola, questa, che nei secoli seguenti divenne generale in tutta la Chiesa.

Negli ultimi anni dell'Impero romano d'occidente e sotto i nuovi dominî barbarici, se è vero che i n un primo tempo la Chiesa soffrì, è pur vero che, d'altra parte, sorse il monachismo, altra fonte precipua di beneficenza, sì che l'esercizio della misericordia cristiana non venne mai meno. In un secondo tempo, poi, convertiti al cristianesimo i nuovi dominatori, anch'essi largirono beni e privilegi alla Chiesa, che ne uscì rafforzata economicamente e socialmente, potendosi quindi sempre meglio incrementare la beneficenza. E quanto più grande divenne la potenza della Chiesa tanto più crebbe la sua opera a favore dei poveri. La quale opera fu sempre più e meglio ordinata attraverso la direzione ognora più unitaria del Papato - si hanno nei secoli XII-XV molte decretali e canoni di concilî relativi - attraverso la fondazione dei nuovi ordini mendicanti dei francescani e dei domenicani e attraverso una meravigliosa fioritura di confraternite. Se queste anche prima erano esistite, è pur vero che dal 1100 in poi, divenuto il regime dell'associazione il mezzo necessario di ogni movimento, anzi di tutta la vita, la formazione di questi sodalizî di laici si estende per tutta una serie di ragioni morali, sociali, politiche, economiche, oltre che per l'attività della Chiesa che si servì di essi per combattere eresie e per stringere sempre più i legami con il laicato. Si ebbe allora una serie di ospedali e di istituzioni di beneficenza connesse a quelle Compagnie, mentre, sebbene in minor misura, anche le Arti delle città aiutavano il progressivo sviluppo della carità, unendosi mirabilmente l'opera ecclesiastica e quella laica: sorvegliata, quest'ultima, e diretta dalla prima, attraverso l'azione dei direttori spirituali e dei singoli vescovi.

Invece nella seconda metà del sec. XV, sia per effetto delle numerose guerre, sia per le condizioni economiche del tempo, sia per i disordini morali del clero e i soprusi ecclesiastici nell'amministrazione ospedaliera, sia per la decadenza della fede stessa e della morale, l'opera assistenziale della Chiesa non è più sufficiente: nemmeno quella dei conventi che, offrendo elemosine a ognuno che si presentasse alla loro porta senza distinguere i degni dagli indegni, finivano con l'alimentare il vizio. È allora, e specie nel secolo seguente, che interviene lo Stato.

Già prima, veramente, lo Stato era intervenuto, oltre che con offerte di sovrani o di comuni, anche con speciali disposizioni legislative: i re barbarici convertiti al Cristianesimo attraverso il riconoscimento dei legati pro anima; sotto il sacro Romano Impero, attraverso capitolari, privilegi a pro' di monasteri, chiese e opere di beneficenza, riconoscimento della legislazione ecclesiastica relativa. Ma si trattava sempre di un'azione indiretta, in quanto si aiutava la Chiesa perché questa, a sua volta, provvedesse alla beneficenza. Si ebbero delle eccezioni al riguardo, come ad es. la fondazione da parte dei re di Spagna dell'ospedale di Santiago di Compostella o quella dell'Ospedale maggiore di Milano da parte di Francesco Sforza nel 1456; ma si trattava sempre di provvedimenti particolari, più personali che statali - pur confondendosi allora, com'è noto, la persona del principe con lo Stato - così come si avevano fondazioni dovute a privati benefattori laici. La carità legale è sconosciuta, insomma, al Medioevo: non si concepivano allora opere di beneficenza alimentate esclusivamente dallo Stato: anche perché l'autorità statale non si era ancora rafforzata di fatto di fronte alla Chiesa o alte istituzioni locali. È il sec. XVI che nella storia della beneficenza segna un periodo critico, trasformandosi, man mano, da allora le tradizioni e opere medievali sino a giungere a quello che è stato chiamato "il diritto moderno dei poveri". E la riforma cominciò ad attuarsi - specie in Francia dove l'autorità regia si affermò meglio che in ogni altro paese dell'Europa occidentale - trasformando il regime amministrativo degli ospedali (con sostituzione di laici a ecclesiastici), devolvendo doveri di assistenza alle autorità locali, proibendosi la mendicità e l'elemosina, obbligando al lavoro gli adulti, rivedendo le fondazioni già esistenti e sorvegliando che le loro rendite andassero solo a favore di poveri degni, imponendo tasse per i poveri, rinviando alle proprie parrocchie i poveri che se ne fossero allontanati.

Insieme con questo intervento dello Stato nei paesi cattolici - in quelli protestanti si secolarizzarono tutti i beni delle opere di beneficenza ecclesiastiche - si ebbe un risveglio da parte della Chiesa, attraverso la riforma cattolica e l'opera di profonda rigenerazione spirituale e morale che ne seguì: sì che tutta una serie di istituzioni di beneficenza viene creata o riformata dai nuovi ordini dei teatini, barnabiti, gesuiti, somaschi e, più tardi, dagli ospedalieri di S. Camillo de Lellis e dalle Figlie della carità di S. Vincenzo di Paola, dalle compagnie del Divino Amore, dalle nuove confraternite. E ciò soprattutto in Italia, per cui basterà ricordare che Lutero, nel 1515, giudicava gli ospedali e i locali per trovatelli di Firenze "molto ben provveduti, di bella costruzione, dove si mangia e beve bene, dove sono infermieri diligenti e medici dotti, dove i letti e i vestiti sono pulitissimi e gli ambienti bellamente dipinti".

Nei secoli seguenti (XVII e prima metà del XVIII) la riforma continua: si stabiliscono soprattutto ospedali generali, per togliere i poveri dalla strada, per farli lavorare nell'interno di quegli stabilimenti. Nel 1656 se ne fonda uno a Parigi, e nel 1662, in Francia, se ne ordina la creazione in ogni città, come, più tardi, nel 1751, Carlo di Borbone fonderà l'Albergo dei poveri a Napoli "per giusta commiserazione degli inabili alla fatica, per dovuta provvidenza ed emenda dei vagabondi" (r. dispaccio 25 febbraio 1751). Si ebbe allora una rigorosa tutela statale sulle opere di beneficenza, anche attraverso unioni e trasformazioni di esse; si cercò allora di estinguere la mendicità, con un'azione più di polizia che di carità, più per provvedere alla sicurezza delle città che per considerazioni morali e religiose, senza nessun proposito di educare o confortare o rigenerare i miserabili. Gli ospedali furono come dei luoghi di detenzione anziché di carità; si cercò persino, in Francia, di relegare i poveri nelle colonie e ciò mentre si applicavano dappertutto - oltre al carcere - pene corporali ai mendicanti non autorizzati: taglio di capelli, marchio, mutilazione di orecchie e, persino, pena di morte: tristemente celebri le leggi di Enrico VIII, Anna e Elisabetta in Inghilterra, di Carlo V nelle Fiandre. Mentre fino alla metà del sec. XIV nessuna disposizione legale era stata mai presa contro i poveri, ecco che ora si giunge all'eccesso opposto.

Ma nella seconda metà del Settecento, sotto l'influsso delle nuove teorie filantropiche dell'illuminismo, anche in questo campo si giunse a concepire diversamente. Mentre prima la carità derivava da una prescrizione religiosa dove preponderava lo scopo della salute eterna dell'uomo caritatevole, avendosi così una certa umiliazione per i beneficati e una certa indifferenza circa i risultati, i riformatori settecenteschi - i quali tendevano a mutar le basi stesse della società - sostennero che il desiderio di fare il bene altrui è ispirato dalla ragione illuminata, dall'ambiziorie di essere utili agli altri e di sollevarli, di addolcire la condizione dei bisognosi con mezzi appropriati ai loro bisogni. "Hommes, soyez humains; c'est votre premier devoir. L'aumône est une action d'homme qui connaît la valeur de ce qu'il donne et le besoin que son semblable en a" proclama il Rousseau nell'Émile (II). Di qui, per conseguenza, deriverà l'affermazione di un diritto dell'individuo, di un diritto cioè dei poveri concepito come principio di assistenza. Nel 1748, Montesquieu proclama "les obligations de l'État qui doit à tous les citoyens une subsistance assurée, la nourriture, un vêtement convenable et un genre de vie qui ne soit point contraire à la santé" (Esprit des lois, XXIII, c. 29), e il Beaudeau nel 1765: "notre axiome fondamental est que les vrais pauvres ont un droit réel à exiger leur vrai nécessaire" (Idées d'un citoyen sur les droits... des pauvres), mentre già dal 1750 Turgot aveva scritto "le pauvre a des droits incontestables sur l'abondance des riches". Di qui, l'opera innovatrice, in Francia, degli ultimi trent'anni della monarchia francese e, negli altri stati, evoluzioni consimili; di qui, finalmente, la trasformazione rivoluzionaria tracciata dal comitato di mendicità - eletto dall'Assemblea nazionale del 1790 sotto la presidenza del La Rochefoucauld-Liancourt - e realizzata dalla Convenzione nel 1793, sulle basi di concessioni di lavoro ai poveri, di assistenza a domicilio, di prevenzione anziché di punizione della mendicità, ma specialmente sulle basi di risorse nazionali anziché locali, facendo una massa comune di tutti i fondi di beneficenza, con personale statale alla loro direzione, abolendo del tutto la carità privata. Con la vendita dei beni ospedalieri (23 messidoro anno II) s'apre un nuovo periodo nella storia della beneficenza.

Come quasi tutte le leggi innovatrici della rivoluzione francese, anche questa non fu eseguita interamente; ché anzi l'anno seguente fu in parte abrogata. Ma è certo che da allora in Francia, e, di conseguenza, in quasi tutta l'Europa, date le ripercussioni che la rivoluzione dappertutto ebbe, viene definitivamente acquisito il concetto della beneficenza dovere dello Stato e diritto del povero, il concetto dell'ingerenza dello Stato nelle amministrazioni degli enti relativi, mediante concentramenti delle opere pie nelle congreghe di carità e mediante la tutela delle pubbliche amministrazioni sulle poche opere conservate autonome. Si considera, così, l'opera della Chiesa solo come opera sussidiaria, complementare a quella statale, capovolgendosi radicalmente questo aspetto secolare dei rapporti fra Stato e Chiesa. Basterà, per l'Italia, citare la legge del 17 luglio 1890, sintesi di tutta l'evoluzione della beneficenza durante il sec. XIX.

Varie fornte di beneficenza. - Questo, il concetto generale della beneficenza nell'epoca medievale e moderna, il suo ricollegamento alla vita religiosa e ai rapporti tra Stato e Chiesa. Veniamo ora alle varie forme di beneficenza dal Medioevo in poi, in Europa e specie nell'Europa centrale e occidentale.

Nell'alto Medioevo, con terminologia ricavata dalla legislazione romano-bizantina, si ebbero nosocomî per infermi, labotrophia per storpî e lebbrosi, villae languentium per convalescenti, paramonaria per invalidi, orfanotrofî, brefotrofî, parthenocomia per vergini abbandonate, cherotrophia per vedove, ptochia per inabili al lavoro, gerontocomia per vecchi, xenodochia per pellegrini; oltre ad aversi soccorsi a domicilio e riscatti di prigionieri. Fra i più antichi, oltre i già citati, ecco gl'istituti di carità dovuti a S. Elena, madre di Costantino il Grande, e all'imperatrice Teodora in Bisanzio, a S. Efrem in Edessa, a S. Basilio in Cesarea, a Pannochia in Porto (Roma), a S. Girolamo in Bethleem, al patriarca Giovanni in Alessandria; e ciò mentre speciali associazioni di chierici e laici si formavano in seno alla Chiesa a scopo di beneficenza. Così quelle di fossores, il cui officio fu di ricopiare in sé stessi la figura di Tobia elogiata dall'Angelo "quando orabas cum lacrimis et sepeliebas mortuos, ego obtuli orationem tuam Domino" (XII, 12); così il collegio di lecticari istituito "ad peragendas in commune omnium hominum exequias" in Bisanzio da Costantino e riformato da Onorio e da Teodosio il Grande, da Anastasio e da Giustiniano; così il collegio di parabolani, formato da chierici esperti in medicina della comunità di Alessandria "ad curanda debilium aegra corpora" riformato da Teodosio II: giunti al numero di 1100 i lecticarii, di 600 i parabolani. E la serie non si arresta nel periodo barbarico: oltre alle erogazioni giornaliere di alcuni papi, come S. Gregorio Magno, Zaccaria e altri, testimoniate da documenti sincroni e dal Liber pontificalis, S. Romano fonda un ricovero per lebbrosi sul monte Giura, Belisario e i papi Simmaco e Stefano II fondano ospedali a Roma, S. Agnello e S. Attanasio e il duca Antimo a Napoli, S. Sulpicio e il vescovo Incmaro in Francia, mentre le Scholae peregrinorum istituite a Roma per le varie nazionalità hanno ciascuna un ricovero per pellegrini e un ospedale.

Maggiori notizie, naturalmente, si hanno per i secoli posteriori: fra gli ospedali fondati direttamente dalla Chiesa: Pistoia (S. Luca) 1089; Hildesheim (di Cristo) 1097; Winchester (S. Croce) 1132; Londra (S. Tommaso) 1215; Gand (La Biloque) 1227; Roma (S. Antonio) 1312, (S. Giacomo in Augusta) 1339. D'altra parte, ordini militari religiosi attendono anche ad opere di carità: primo fra tutti, quello di S. Giovanni di Gerusalemme (sec. XI), poi di Rodi e poi di Malta, che fondò, tra i primi, gli asili di S. Ermegonda in Halle verso il 1100, un altro a Colonia nel 1219; l'Ordine Teutonico (1142-1525) e altri minori. E, specialmente, si ebbe l'opera delle confraternite: accanto all'assistenza a domicilio (ad esempio, fra le prime, quella del Contado Fiorentino - S. Appiano - del sec. XII, quella di S. Calocio di Viterbo del 1196), ecco fondazioni di ospedali per confratelli e per estranei bisognosi: Innocenzo III istituisce a Roma la confraternita di S. Spirito come il sostegno più valido dell'omonimo ospedale, a Cortona S. Margherita, quella di S. Maria; e a Firenze sorgono quelle del Bigallo e della Misericordia, a Siena quella di S. Maria della Scala - tutte fondatrici di omonimi ospedali -; e a Viterbo l'ospedale di S. Apollonia e eretto dai disciplinati (tutti nel Duecento). Che se poi si vogliano ricordare anche beneficenze italiane extra ospedaliere, ecco che a favore di cittadini poveri sorsero a Firenze la Compagnia di Or San Michele (sec. XIII) e i Bonomini di S. Martino (sec. XV); a favore di carcerati e condannati a morte molti sodalizî a Firenze (sec. XIII), a Siena e Perugia (sec. XIV), a Roma, Viterbo, Cortona, Milano, Cremona (sec. XV); per seppellire cadaveri insepolti la stessa Misericordia a Firenze; per dotare ragazze povere la Confraternita della SS. Annunziata a Roma (sec. XV). Delle quali tutte - a dare un solo esempio più preciso - ricorderemo che quella di Or S. Michele, intorno al 1339, distribuì ai poveri quasi 10.000 libre di denari e nel solo aprile 1348 ben 3200 libre, dando per ogni povero 5 soldi, 10 alle partorienti e 20 ai carcerati; e nel 1373, a Ognissanti, distribuì 400 tuniche d'inverno, spendendo in quell'anno 733 fiorini per vestir poveri; e nel 1347 diede ai carcerati più di 100.000 pani che costarono non meno di 2500 lire. A parte, poi, sorsero numerosi ricoveri per i lebbrosi.

E forma particolare, ma oltremodo proficua di beneficenza, furono quei monti di pietà, la cui attuazione è vera gloria italiana (v. monti di pietà). Uno dei promotori di essi fu il beato Bernardino da Feltre: al quale pure si deve la creazione di nuove confraternite, dedicate non solo alla riforma cattolica, ma anche a fine di beneficenza: ricorderemo solo quella di S. Girolamo da lui fondata a Vicenza nel 1494, la quale assisteva moralmente e materialmente l'ospedale della Misericordia di Pusterla, che accoglieva sifilitici. Seguendo il suo esempio, ecco la Compagnia del Divino Amore di Genova, fondatrice dell'ospedale degl'Incurabili - la sovvenzione era di ben 16.000 lire annue -, quella di Roma, che restaurò l'ospedale già detto di S. Giacomo in Augusta, quella dei Bianchi a Napoli, che si ricollega, attraverso il fondatore, Ettore Vernazza, all'ospedale degl'Incurabili di Napoli; oltre a molti istituti consimili a Firenze, Verona, Venezia e Padova.

Dal sec. XVI al XIX, oltre all'azione benefica di ordini religiosi e di confraternite e oltre agli ospedali generali statali - di cui già dicemmo - troviamo, com'è naturale, un numero enorme di istituzioni di beneficenza: ospedali per ogni sorta di malati e di malattie senza restrizioni di cittadinanza. Come l'Hôtel de Dieu di Parigi, in cui dal 1737 al 1748 furono ammessi 251.178 ammalati e 27.000 per ciascuno degli anni 1740 e 1741, l'ospedale di Santa Croce di Barcellona, quello di S. Bartolomeo a Londra, quello già citato di S. Spirito a Roma, quello di S. Eligio di Napoli (ma solo per donne). Ma più spesso si ebbero ospedali specializzati: la SS. Annunziata a Napoli escludeva malati cronici e sifilitici (1739), The London Hospital (1740) accoglieva solo i feriti, quello di S. Giacomo a Villa solo donne partorienti (1733), mentre l'Inoculation Hospital di Londra sin dal 1745 curava solo i malati di vaiuolo, a mezzo di inoculazioni; a parte poi v'erano gli ospedali per stranieri, come quello di S. Andrea a Madrid (1604) per Fiamminghi e altri cinque nella stessa città per altri stranieri (secoli XVI-XVII), e come a Roma, ove nel 1679 ve n'erano ben 22.

Ricoveri per pellegrini si ebbero anche numerosi: in Italia, fra gli altri, è ancora celebre la SS. Trinità dei Pellegrini, istituita da S. Filippo Neri, a Roma nel 1550 e a Napoli nel 1581 - poi fondatrice di ospedali -; e in Spagna ebbe notevole importanza l'ospedale di S. Giorgio a Siviglia (1703). E anche stabilimenti per invalidi e vecchi: così a Louvain ne sorsero cinque dal 1551 al 1757, all'Aja il più ampio fu quello dovuto a Giovanni de Bruin van Binten-Weck, dietro spesa di 100.000 fiorini (1662), a Parigi celebre l'Hôtel royal des Invalides dovuto a Luigi XIV (1674). Per orfanelli, si ebbero, ad esempio, la Colombina a Parigi, l'Ospizio dei Ss. Pietro e Paolo e quello dello Spirito Santo a Napoli, quello di S. Pietro a Milano, quello di S. Filippo Neri a Firenze, quello della Trinità a Parigi (1545), uno a Lindow per opera di Guglielmo I di Prussia (1726), il Christ's Hospital a Londra (che accoglieva oltre 340 ricoverati ai tempi di Eduardo VI). Per pentite, ecco, ad esempio, l'opera di S. Valeria a Parigi (1688), il Ritiro dell'Ecce Homo di Porto a Napoli (1794), la Casa d'istruzione ed emenda a Palermo (1784), il Magdalen Hospital a Londra (1758).

È in questa epoca, anzi dall'ultimo secolo del Medioevo, che comincia anche l'assistenza per pazzi ed epilettici, sino allora considerati come ossessi e come persone inoffensive da carcerarsi ove divenissero pericolose e del cui agire fossero responsabili i familiari. Se ne ha traccia a Londra nel 1400 (ospedale di Bedlam), a Valencia nel 1409 (Asociación de los Inocentes), a Saragozza nel 1425, a Siviglia (1436), a Toledo (1487), Valladolid (1489), Liegi (1519), Roma (1548), Firenze (1645), Chambéry (1774), York (1772), Francoforte (1783), Liverpool (1792), Pietroburgo e Mosca (sotto Caterina II); in Francia ne troviamo ad Aix nel 1695, a Marsiglia nel 1671, a Lilla nel 1688 per opera di terziarî francescani, nello stesso secolo a Saint Lazare per opera di S. Vincenzo di Paola, a Charenton per opera dei Fratelli di S. Giovanni di Dio (1641).

Quasi contemporancamente, ecco sorgere ospizî per ciechi: veramente già nel sec. XIII se n'erano avuti esempî, come i famosi Quatre-Vingts fondati dal re S. Luigi a Parigi e altri italiani (Padova e Venezia, sec. XlV) e stranieri; ma è nell'età moderna che essi prendono davvero sviluppo, sia con nuove riforme che con creazione di nuovi ricoveri: fra le prime, quella dell'ospedale di Cristo a Londra (1774), fra i secondi, l'opera fondata a Parigi nel 1786 da Valentino IIaüy. Più tardi, sorsero istituzioni per sordomuti: l'abate de l'Épée ne fonda a Parigi nel 1791, l'abate Silvestri Amoroso a Roma nel t784, l'abate Stork a Vienna, per impulso di Giuseppe II, il Guyot a Groninga nel 1790.

Continuano, intanto, a sorgere e prosperare ospizî per l'infanzia abbandonata: Maria Teresa ne crea a Milano nel 1770, un lazarista a Varsavia nel 1736, Caterina II a Mosca nel 1763, Gustavo Adolfo e Cristina di Svezia, durante il secolo precedente, in Svezia, alcuni mercanti inglesi il Foundling Hospital a Londra (1741), il governo inglese uno omonimo a Dublino nel 1704; mentre a Parigi fu celebre la Maison de la Couche. Più antichi - come già vedemmo- i sodalizî per soccorso ai carcerati: a parte le confraternite italiane citate più sopra, ecco sodalizî francesi ad Aix (1517 e 1671), a Marsiglia (1674), a Lione (1636), a Londra (1772) e specie l'opera di S. Vincenzo di Paola a Marsiglia nel 1645. Ancora più antichi - sec. XII - quelli per riscatto di prigionieri, come gli Ordini dei Trinitarî (1198) e quello dei Frères de la Merci (1218); ma l'opera relativa si esplicò specialmente nell'età moderna, quando le scorrerie dei Barbareschi turbinarono nel Mediterraneo sino al principio del secolo diciannovesimo: ricorderemo soltanto i Lazaristi e i Redentoristi.

Tutto questo, per quanto riguarda opere e istituzioni di beneficenza: ma, accanto a queste, fiorì e si sviluppò assai l'assistenza a domicilio, la quale, secondo alcuni illuministi, avrebbe dovuto persino sostituire quella ospedaliera. Attraverso visite di medici, di levatrici, d'infermieri, con invio di soccorsi in danaro e vivande, continuò quanto già vedemmo nel Medioevo attuato da alcune confraternite italiane: e ciò veniva specialmente operato da privati, da corporazioni di arti, da sovrani, da comuni. Per la loro azione temporanea, spesso occasionale e quasi sempre senza organizzazioni precise come quelle sinora studiate, non possiamo certo averne una conoscenza assai definita. Ci basterà dire che in Savoia un editto reale del 1717 prescrisse che una congregazione di carità sorgesse in ogni comune; che le misericordie portoghesi sorsero nel sec. XV a imitazione delle italiane; che la confraternita di Nostra Dama del Rifugio fu fondata a Napoli nel 1675; che a Cracovia, alla fine del Cinquecento, fu istituita quella della Carità; che società di soccorso si ebbero a Zurigo e a Basilea fin dal Settecento, nello stesso tempo che in Olanda e in Inghilterra; che, anche in questo campo, rifulse l'opera di S. Vincenzo di Paola con le sue confraternite di carità fondate a Montreuil (presso Parigi) nel 1617, ad Amiens nel 1620, e poi, man mano, in molte città francesi. Sorsero, infine, nella Parigi del Seicento e Settecento, anche compagnie di carità parrocchiali, oltre che le Recommandaresses e il Bureau général des nourrices (1769-70).

A parte, in ultimo, ricorderemo istituzioni per dotare fanciulle povere, sia per matrimonî sia per monacazioni (oltre che a Roma, come già vedemmo, ad esempio ad Aix nel 1573); assistenze sotto leorma di lavoro temporaneo in occasione di crisi economiche, per cui i poveri ebbero lavori in fabbriche speciali (Bruxelles, 1538; Tolosa, 1562; Parigi, 1602, e poi 1790; Rouen, 1685; Tours, 1770); monti di pietà, fondati con gli stessi criterî già seguiti nel Quattrocento (Roma, 1539; Benevento, 1592; Ypres, 1534; Bruges, 1572; Avignone, 1610; Amsterdam, 1614; Nancy, 1640; Cracovia, 1654; Londra, 1708; Vienna, 1713; Madrid, 1724; Praga, 1747; Monaco, 1754; Parigi, 1777), insieme con istituzioni consimili, come il Banco di Napoli (1539) o il Monte dei Paschi di Siena (1624), o come i "monti frumentarî" spagnoli e svizzeri, francesi e italiani.

Come si è visto, quindi, l'età moderna si ebbe dal Medioevo una preziosa eredità di opere di beneficenza e la trasmise, aumentata e migliorata, all'età contemporanea, in cui la maggiore autorità dello Stato, le più favorevoli condizioni economiche e sociali e i progressi della medicina servono sempre meglio ai fini della beneficenza.

Bibl.: L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, III, Milano 1740 (dissert. XXXVII, De Hospitalibus, ecc.); id., Della carità cristiana, 2ª ed., Venezi 1751; T. Filangieri Ravaschieri, Storia della carità napoletana, voll. 5, Napoli 1875-79; Querini, La beneficenza romana dagli antichi tempi fino ad oggi, Roma 1892; G. Giorgi, La dottrina delle persone giuridiche, ecc., V, ii, Firenze 1901, pp. 20-78; Yves de la Brière, L'assistance par le travail à Paris au début du XVIIe siècle, Parigi 1903; Baumgarten, Methods of Charity, Londra 1903; E. Caetani Lovatelli, Le istituzioni di beneficenza presso i Romani, in Nuova Antologia, 16 gennaio 1905, pp. 193-202; A. Moscatelli, La Beneficenza nella Casa di Savoia, Roma 1908; C. Bloch, L'Assistance et l'État en France à la veille de la Revolution, Parigi 1908; L. Lallemand, Histoire de la Charité, voll. 5, Parigi, 1902-12; P. Paschini, La Beneficenza in Italia e le Compagnie del Divino Amore, Roma 1925; G. M. Monti, Le Confraternite medievali dell'Alta e Media Italia, voll. 2, Venezia 1927; S. d'Amelio, La beneficenza nel Diritto italiano, Roma 1928.

Nel mondo moderno le forze sociali che reagiscono ai mali del pauperismo hanno origine diversa, ora in esigenze collettive di difesa e di prevenzione contro i pericoli insiti nel pauperismo, per la conservazione stessa e il progresso dell'aggregato sociale (il che spiega come lo Stato, espressione massima di organizzazione della società, non si sia mai del tutto disinteressato del fenomeno del pauperismo), ora in sentimenti individuali di solidarietà e di altruismo, stimolati specialmente dalla pietà religiosa. In rapporto a queste due forme di reazione e di difesa contro le dissolventi influenze del pauperismo, le quali si alternano nella storia secondo i tipi di civiltà, l'indole speciale dei popoli, lo sviluppo assunto dall'organizzazione dello Stato, diversi sono i giudizî: per alcuni la carità è e deve rimanere un fatto privato, a cui lo Stato deve mantenersi estraneo, sia per non togliere ad essa, con la spontaneità, il valore etico-religioso che ne è l'essenza; sia perché si teme che l'ingerenza statale, lungi dal combattere e attenuare le cause del pauperismo, possa, fiaccando o almeno intorpidendo l'attività produttiva delle classi povere, aggravare le cause stesse; per altri la lotta contro il pauperismo fa parte del compito dello Stato: si tratta soltanto di stabilire i limiti e l'intensità di questo suo compito.

Se non che, dopo alterne vicende di queste due tendenze (li tendenza liberistica e individuale della carità e quella giuridico-statale) il cui contrasto culminò specialmente tra la fine del secolo XVIII e il principio del sec. XIX, la tendenza a una sempre maggiore ingerenza dello Stato nella funzione caritativa si è affermata e si è ormai consolidata, tra la seconda metà del secolo scorso e i nostri giorni, presso tutte le nazioni civili. Il possente sviluppo di organi e di funzioni assunto dallo stato moderno non poteva non condurre alla preoccupazione del fenomeno dell'indigenza e dei pericoli sempre più gravi che esso implica per la conservazione e il progresso dell'aggregato sociale. Pericoli sempre più gravi dovuti all'aumento della popolazione, a cui non è sempre proporzionato l'incremento della ricchezza; dovuti all'indole stessa della moderna produzione industriale e alle ripercussioni sempre più gravi che esercitano su di essa le perturbazioni e gli squilibrî del mercato internazionale di produzione e di scambio delle ricchezze; dovuti, infine, alle cresciute e sempre crescenti esigenze di un più alto tenore di vita nelle classi non abbienti.

Se, però, lo stato moderno ha definitivamente riconosciuto come suo il compito del soccorso all'indigenza e al pauperismo, esiste tuttavia una notevole differenza da stato a stato rispetto ai limiti e all'intensità dell'ingerenza statale in questo campo. Tra i popoli di civiltà anglo-sassone l'ingerenza statale, detta beneficenza o carità legale, ha assunto uno sviluppo completo e organico, non tanto in rapporto alla più solida struttura statale, anzitempo raggiunta da quelle nazioni, quanto in rapporto alla ben nota evoluzione storica di quei popoli, presso i quali la beneficenza spontanea o facoltativa, fiorita nei paesi latini specialmente sotto l'egida della Chiesa, o non ebbe un grande sviluppo o, se anche lo ebbe, fu presto arrestata, e le stesse radici ne andarono distrutte, per effetto delle rivoluzioni dei secoli XVI e XVII.

Presso le nazioni latine, invece, e tra esse segnatamente l'Italia, grande fu ed è il fiorire della beneficenza facoltativa; e allorché, nei tempi moderni, lo Stato, sotto la spinta delle cause innanzi riassunte, si è proposto il compito d'una vera ingerenza nel campo dell'assistenza e della beneficenza, ha trovato in questa vasta messe di istituti, già predisposti, gli strumenti della sua attività.

Si trattava, unicamente, di dare ad essi una disciplina giuridica rispondente ai loro fini, e di completarne l'efficienza, per un più completo raggiungimento dei fini stessi, il che fu appunto il compito perseguito dalle legislazioni dei detti paesi, tra la metà del secolo scorso e i primi lustri del nuovo secolo. La legislazione e l'attività presso le dette nazioni hanno, come loro contenuto fondamentale, la disciplina giuridica della beneficenza facoltativa; e, soltanto accanto e in aggiunta a questa, l'organizzazione della carità legale.

Sono, dunque, due le forme dell'attività dello Stato in questo campo. Con la prima esso conferisce la personalità giuridica alle istituzioni di beneficenza, le sottopone a controllo, ne coordina gli scopi, ne trasforma, ove ne intraveda il bisogno, la personalità. Con la seconda la beneficenza è resa obbligatoria ed elevata a pubblico servizio. La prima forma di attività, poiché si svolge attraverso enti giuridici disseminati diversamente sul territorio dello Stato, si esplica con diversa efficienza nelle varie località; la seconda, essendo organizzata dallo Stato, o con mezzi proprî o con mezzi da esso coattivamente imposti ai comuni, alle provincie o ad enti giuridici di propria creazione, ha un'esplicazione uniforme su tutto il territorio dello stato.

L'indole di questo scritto non ci consente di dare uno sguardo, fosse anche sommario, alla legislazione dei vecchi stati italiani, anteriori all'unificazione del regno, in materia di beneficenza e assistenza. Ma se ciò ci fosse consentito, noi troveremmo presso quegli stati la piena conferma dei concetti che precedono. La beneficenza facoltativa prevalse presso di essi sulla beneficenza legale, sebbene non mancassero mai frammentarie manifestazioni anche di quest'ultima.

La prevalente azione dello Stato fu dedicata alla disciplina giuridica delle cosiddette opere pie, fiorite in passato per impulso e sotto l'egida della Chiesa, ma non mancarono applicazioni e derivazioni del principio della carità legale, specie tra la fine del secolo XVIII e i primi anni del sec. XIX, sotto l'influsso del pensiero illuministico dei principi riformatori e della legislazione francese della Rivoluzione e dell'Impero. Si tratta, però, sempre di istituti frammentarî e disorganici che, nel quadro d'insieme della legislazione sulla beneficenza e l'assistenza, occupano un posto secondario. E tale a un dipresso rimane lo stato della legislazione anche con le prime leggi che seguirono l'unificazione del regno: sebbene, in progresso di tempo, col rafforzarsi del nuovo stato, col crescere e l'acuirsi delle pubbliche necessità, i principî della carità legale si siano venuti anch'essi sensibilmente affermando e abbiano trovato in leggi e provvedimenti successivi un nucleo cospicuo e discretamente organico di istituti e di norme.

Volendo tracciare in proposito, prima di illustrare con una qualche specificazione lo stato odierno del nostro ordinamento dell'assistenza e beneficenza, una sintesi storica della nostra legislazione, possiamo dire che le due leggi organiche del 3 agosto 1862, n. 753, sull'amministrazione delle opere pie, e del 17 luglio 1890, n. 6972, sulle istituzioni pubbliche di beneficenza, ebbero appunto entrambe lo scopo di disciplinare la vasta mole degli enti pii, che la carità dei privati aveva accumulato nei secoli. Differiscono, per altro, le due leggi nel loro contenuto e nel loro spirito: giacché nella prima l'ingerenza dello Stato è più debole, maggiore è l'autonomia degli enti, più gelosamente rispettata la volontà dei fondatori: nella seconda l'ingerenza dello Stato è maggiore, è rafforzata la responsabilità degli amministratori, sono accresciuti i controlli, e il sacrificio della volontà dei fondatori alla pubblica utilità degli enti è più intenso. Di pari passo con questo accentuarsi della ingerenza dello Stato in rapporto alla disciplina giuridica, al coordinamento, e alla trasformazione delle opere pie, si ha, come si accennava innanzi, un graduale espandersi e intensificarsi di una collaterale attività dello Stato per ciò che si riferisce alla carità o beneficenza legale. Così la legge di pubblica sicurezza 30 giugno 1889, n. 6144, disciplinò il ricovero degli inabili al lavoro; la legge 14 febbraio 1904, n. 36, provvide al ricovero e mantenimento dei mentecatti poveri; la legge sanitaria 1 agosto 1907 n. 636 disciplinò la distribuzione gratuita dei medicinali e la cura sanitaria gratuita ai poveri. Sono le forme fondamentali di assistenza obbligatoria, che sorgono contemporaneamente alla legge del 1890, la quale, a sua volta, traccia le norme di quell'istituto di coordinamento dei varî organi e funzioni della carità legale, che è il domicilio di soccorso.

Ma, prima di dare un breve sguardo a tutte le forme della carità legale, sancite e disciplinate dalle nostre leggi, sarà opportuno soffermarsi brevemente sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza; sugli enti, cioè, attraverso i quali è esercitata la beneficenza facoltativa, che, come abbiamo accennato, allo stato odierno dei nostri ordinamenti, ha importanza prevalente. Ci limiteremo a esporre i concetti fondamentali di essa, relativi alla definizione degli enti di beneficenza quali risultano dalla legge del 1890 e dalle leggi successive, il che è necessario per dare un'idea generale della loro natura giuridica e delimitare la sfera delle loro attività in rapporto a quella della carità legale, che forma oggetto della seconda parte di questa nota.

I concetti a cui accenniamo sono racchiusi nei primi articoli della legge 17 luglio 1890, n. 6972, modificata dal r. decr. 30 dicembre 1923, n. 2841, che dice: art. 1: "Sono istituzioni di assistenza soggette alla presente legge, le opere pie e ogni altro ente morale che abbia in tutto o in parte per fine: a) di apprestare assistenza ai poveri, tanto in stato di sanità che di malattia; b) di procurarne l'educazione, l'istruzione, l'avviamento a qualche professione, arte o mestiere, o in qvalsiasi altro modo il miglioramento morale ed economico. Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza sono divise in due classi. Appartengono alla prima classe quelle che esercitano l'assistenza e la beneficenza a favore dei poveri esistenti nel territorio di tutto il regno e quelle che hanno una entrata ordinaria effettiva superiore alle lire 50.000. Tutte le altre appartengono alla seconda classe. La presente legge non innova alla disposizione delle leggi che regolano gl'istituti scolastici, di risparmio, di previdenza, di cooperazione e di credito. Con decreto reale, promosso dal Ministero dell'interno, di concerto con quello dell'istruzione, possono essere dichiarati istituti scolastici e posti alla dipendenza del Ministero dell'istruzione quegli istituti a favore dei ciechi, nei quali gli scopi della educazione ed istruzione, in base alle tavole di fondazione e agli statuti, siano esclusivi o abbiano una prevalenza notevole sui fini di assistenza, i quali saranno tuttavia riconosciuti".

Art. 2: "Non sono compresi nelle istituzioni di assistenza e beneficenza soggette alle presenti leggi: a) i comitati di soccorso e altre istituzioni temporanee, mantenute col contributo dei soci, o con obbligazione dei terzi; b) le fondazioni private destinate in pro di una o più famiglie determinate, non soggette a devoluzione a favore della beneficenza pubblica; c) le società ed associazioni regolate dal codice civile e dal codice di commercio. I comitati e le istituzioni di cui alla lettera a non possono promuovere pubbliche sottoscrizioni senza la preventiva autorizzazione del sottoprefetto, e sono sottoposti alla vigilanza dell'autorità medesima allo scopo di impedire abusi della pubblica fiducia. Il sottoprefetto ha facoltà di decretare la chiusura degl'istituti privati di assistenza e beneficenza, aventi per fine il ricovero anche momentaneo, nel caso di abuso della pubblica fiducia o di cattivo funzionamento in rapporto ai buoni costumi o all'esercizio dell'assistenza. Sono salve le attribuzioni spettanti al prefetto in materia di pubblica igiene, a norma della legge sanitaria".

Art. 3: "In ogni comune è istituita una congregazione di carità con le attribuzioni che le sono assegnate dalla presente legge. Alle congregazioni di carità saranno devoluti i beni destinati ai poveri, giusta l'art. 832 cod. civ.".

Dal testo di questi articoli si rilevano le linee fondamentali della organizzazione e della disciplina della carità facoltativa, che ha origine, di regola, da spontanea volontà dei privati, ma che può assumere carattere privato o carattere pubblico, a seconda dei fini che essa si propone di perseguire o di raggiungere. Ha carattere pubblico se la elargizione è rivolta a una generalità o a determinata categoria di poveri; ha carattere privato se è rivolta a persone determinate o a determinate famiglie. Si può, inoltre, trattare di una elargizione temporanea o di una elargizione permanente, avente la sua base in una dotazione o in un patrimonio, sia l'una sia l'altra con fini privati o con fini pubblici. Delle elargizioni temporanee con fine privato le nostre leggi si disinteressano, ed è logico che sia così, non avendo esse interesse collettivo. L'ingerenza statale riflette le elargizioni temporanee aventi finalità pubblica, quelle permanenti con finalità sia pure privata, quelle permanenti con finalità pubblica.

Le manifestazioni caritative temporanee con finalità pubblica sono previste in forma dimostrativa dalla lettera a dell'art. 2 e sui detti comitati e istituzioni lo Stato esercita un'attività di vigilanza, allo scopo di prevenire e reprimere gli abusi a danno della pubblica fiducia.

Le manifestazioni caritative permanenti aventi finalità private sono previste dalla lettera b dell'art. 2 e il fine privato di dette istituzioni le sottrae all'impero della legge sulla beneficenza; ma, se sia prevista, nell'atto costitutivo di esse, la devoluzione a pubbliche finalità caritative, esse rientrano al pari delle istituzioni originariamente pubbliche nell'orbita delle leggi anzidette.

Non è, poi, il caso di soffermarsi sulla norma contenuta nella lettera c dell'art. 2; le società e associazioni previste dal codice civile e di commercio esorbitano dalla sfera di applicazione delle leggi sulla beneficenza. Oltre le attività di polizia che lo Stato esercita sui comitati di soccorso e le istituzioni temporanee di pubblica beneficenza, e che un decreto legge 24 gennaio 1924, n. 64, ha esteso alle associazioni e corporazioni di qualsiasi natura, le quali traggano, in tutto o in parte, i mezzi finanziarî per l'esplicazione della loro attività da contributo dei lavoratori, si è prevista dall'art. 1 la sfera d'ingerenza statale sulle elargizioni caritative permanenti con finalità pubblica, aventi base in una dotazione patrimoniale destinata a beneficio dei poveri. Sono esse le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, di cui dànno una precisa definizione, delimitandone il concetto e precisandone il contenuto, le lettere a e b dell'art. 1. Sono esse le opere pie e ogni altro ente morale che abbia in tutto o in parte per fine di prestare assistenza ai poveri tanto in stato di sanità quanto di malattia, di procurarne l'educazione, l'istruzione, l'avviamento a qualche professione, arte o mestiere o in qualsiasi modo il miglioramento morale ed economico.

Come si scorge da questa definizione, vasto è, ma ben delimitato da zone affini, il campo a cui si estendono l'impero della legge sulla beneficenza e la relativa attività e ingerenza dello Stato.

Sono istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza non soltanto le opere pie ed enti morali, che hanno come loro scopo il soccorso al povero a sollievo delle sue miserie, ma anche quelli che hanno per scopo l'avviamento dei poveri a un'attività sociale produttiva; non solo, dunque, gli enti di soccorso ma altresì quelli di prevenzione del pauperismo. Questa ampia sfera di applicazione alle istituzioni preventive e riparatrici del pauperismo non è una novità del testo odierno della legge del 1890, modificato dal decreto sopra citato del 1923: anche la legge del 1862 e la legge del 1890, nel testo originario, comprendevano nell'orbita del loro impero tanto le une quanto le altre istituzioni. Ma il decreto anzidetto ha creduto di precisare espressamente la sfera di applicazione di esso e del vasto complesso delle altre leggi sulla beneficenza, aggiungendo alla parola "beneficenza" quella di "assistenza" per significare ancora una volta l'ampiezza del dominio di dette leggi, sebbene nel comune significato della parola "assistenza" si voglia piuttosto intendere la carità o assistenza legale.

Ampia, dunque, è la nozione legislativa degli enti pubblici di assistenza e beneficenza: vi si comprendono, oltre alle istituzioni puramente caritative, quelle che, più che a soddisfare i bisogni dei singoli, mirano a scopi generali di concordia, tranquillità, benessere, miglioramento economico e morale della società, e pur senza confondersi con le istituzioni di previdenza, si propongono il miglioramento delle nuove generazioni mercé l'assistenza alla maternità e infanzia, la prevenzione degli effetti dell'inabilità al lavoro, della vecchiaia, della disoccupazione, ecc. Ne esorbitano, naturalmente, le istituzioni esclusivamente di credito e di previdenza o d'istruzione ed educazione o di culto, ma vi rientrano le cosiddette istituzioni miste di beneficenza e di credito, o di beneficenza e di culto, o di beneficenza e previdenza, nelle quali, però, il fine di assistenza o beneficenza si trova misto a fini collaterali.

Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza sono persone giuridiche pubbliche: il loro riconoscimento giuridico ha luogo per decreto reale, e lo Stato esercita su di esse una complessa ingerenza, che va dal controllo normale amministrativo a una serie di provvedimenti straordinarî quali il concentramento, la fusione, la trasformazionc.

Abbiamo detto che le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza hanno origine, di regola, nella volontà dei privati, giacché nulla esclude che la provincia, il comune, lo stesso stato diano vita a istituzioni siffatte. Tra le istituzioni pubbliche di assistenza e beiieficenza di creazione statale è da far menzione della congregazione di carità (v.), istituzione esistente in ogni comune ed esercitante un complesso di funzioni previste e disciplinate dagli articoli 3, 7 e 8 della legge del 1890: ad essa sono devoluti i beni destinati ai poveri giusta l'art. 832 del cod. civ., essa cura gl'interessi dei poveri del comune e ne assume la rappresentanza legale, promuove i provvedimenti amministrativi e giudiziarî di assistenza a tutela degli orfani e minorenni abbandonati, dei ciechi e sordomuti poveri, assumendone provvisoriamente la cura nei casi urgenti.

La carità facoltativa, di cui abbiamo esposto per sommi capi il nostro ordinamento positivo, è, come ognuno intende, insufficiente a sopperire alle necessità della pubblica assistenza. Le istituzioni relative sono inegualmente distribuite sulla superficie del regno, alcune sono dotate di mezzi sufficienti, altre hanno mezzi inadeguati alle loro finalità. Esse, infine, sono rette da tavole di fondazione e da statuti conformi alla volontà dei fondatori, normalmente inderogabile, salvo il provvedimento eccezionale della trasformazione. Soltanto le congregazioni di carità esistono in tutti i comuni ma poche di esse hanno mezzi economici più o meno cospicui. La maggior parte è sfornita di patrimonio. Soltanto, dunque, la carità legale dovrebbe poter sopperire alle necessità più imperiose dell'assistenza, e, come dicevamo, un complesso di leggi è venuto organizzando i servizi relativi alle dette necessità e ai detti bisogni, addossandone l'onere ora allo Stato, ora alla provincia, ora al comune, ora alle stesse istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. Ciò sulle basi d'uno speciale istituto giuridico, il domicilio di soccorso, il quale è come il centro di riferimento e di collegamento dei più importanti servizî di assistenza, in quanto da un lato fissa il titolo giuridico del povero a ricevere i soccorsi, dall'altro fissa gli enti a carico dei quali sono poste le relative spese. L'assistenza legale nella nostra legislazione comprende: a) l'assistenza sanitaria ai poveri (art. 24 testo unico legge sanitaria 1 agosto 1907, n. 636); b) la distribuzione gratuita dei medicinali ai poveri (art. 36 suddetto testo unico); c) il mantenimento dei mentecatti poveri (art. 241, n. 6, della legge comunale 4 febbraio 1915, n. 148); d) il mantenimento degl'indigenti inabili al lavoro (art. 155 testo unico della legge di pubblica sicurezza 6 novembre 1926, n. 1848); e) il mantenimento degli esposti (art. 329 legge comunale 4 febbraio 1915, n. 148); f) l'assistenza agli orfani di guerra (legge 18 luglio 1917. n. 1143); g) l'assistenza agl'invalidi di guerra (legge 25 marzo 1919, n. 481); h) l'assistenza alla maternità e infanzia (legge 10 dicembre 1925, n. 2277); i) l'assistenza e cura degli orfani e minorenni abbandonati, dei ciechi e sordomuti poveri (art. 8 legge 17 luglio 1890, n. 6972); k) i soccorsi ospedalieri d'urgenza (art. 34 r. decr. 30 dicembre 1923, n. 2841); l) l'assistenza agli ammalati celtici (regolamento 25 marzo 1923, n. 846), ai malarici (art. 158 leggi sanitarie sopra citate), ai pellagrosi (art. 184 stessa legge); m) ai tubercolosi e agli affetti dalla rabbia (art. 7 r. decr. 30 dicembre 1923, n. 2889); n) ai lebbrosi (legge 11 febbraio 1926, n. 172). Di questa serie di servizî di carità legale i più importanti sono regolati dall'istituto del domicilio di soccorso, altri ne prescindono: tanto per i primi quanto per i secondi il soccorso è prestato nel luogo ove il povero si trova; ma, mentre per i primi l'ente che presta l'assistenza ha diritto di rivalersi sull'ente del domicilio di soccorso del povero, per i secondi non vi è diritto di rivalsa.

Sono retti dalle norme di domicilio di soccorso: il mantenimento dei folli poveri, il cui onere grava sulla provincia; il mantenimento degli esposti successivamente riconosciuti dalla madre, il cui onere grava del pari sulla provincia del domicilio di soccorso di costei; il mantenimento degl'inabili al lavoro, il cui onere incombe alle congregazioni di carità, alle opere pie elemosiniere, alle confraternite del domicilio di soccorso e, soltanto in via sussidiaria, allo stato; i soccorsi ospedalieri urgenti.

Tutti gli altri servizî prescindono dalle norme sul domicilio di soccorso. Ne prescindono: a) l'assistenza degl'inabili al lavoro, in tutti i casi d'obbligazione sussidiaria dello stato, di cui già si è detto; b) l'assistenza alla maternità e infanzia, cui provvede l'opera nazionale istituita dalla legge 21 ottobre 1926, n. 1904; c) l'assistenza agl'invalidi di guerra, cui provvede l'opera nazionale per l'assistenza ai detti invalidi; d) l'assistenza e cura provvisoria degli orfani e minorenni abbandonati, ciechi, sordomuti poveri, cui deve provvedere la congregazione di carità del luogo ove si trovano i bisognosi; e) l'assistenza sanitaria ai poveri, cui deve provvedere il comune ove quelli si trovano, indipendentemente dalla loro origine; f) la somministrazione dei medicinali ai poveri, retta dalle medesime norme; g) l'assistenza agli ammalati celtici, in quanto è compresa nella assistenza sanitaria dei poveri. Per la profilassi delle malattie celtiche sono, poi, istituiti dispensarî e sale celtiche col contributo dello stato; h) l'assistenza ai malarici, che è compresa nell'assistenza sanitaria ai poveri; l) l'assistenza agli esposti noi riconosciuti dalla madre. Circa la nozione di domicilio di soccorso, limitandoci a riferire il testo degli articoli 72 e 73 della legge del 1890, diremo solo che esso si acquista col verificarsi di una delle seguenti condizioni, la cui prevalenza è determinata dall'ordine numerico: 1) che il povero abbia per più di cinque anni dimorato in un comune senza notevole interruzione; 2) ovvero che sia nato nel comune senza riguardo alla legittimità della nascita; 3) ovvero che, essendo cittadino nato all'estero, abbia, ai sensi del codice civile, domicilio nel comune. I figli legittimi o riconosciuti, minori dei quattordici anni, seguono il domicilio di soccorso dell'esercente la patria potestà, mentre il domicilio di soccorso del maggiore di quattordici anni e quello della donna maritata sono determinati indipendentemente dal domicilio legale e dal domicilio di soccorso dell'esercente la patria potestà o del marito.

Tali norme sul domicilio di soccorso riflettono, come abbiamo avvertito, l'assistenza e la carità legale; e propriamente quegli speciali servizî che da dette norme sono governati. Essi non riflettono i servizî di carità legale che ne prescindono, e soprattutto non riflettono le istituzioni di assistenza e beneficenza, non tenute a obblighi di carità legale, le quali possono pure disciplinare, nelle tavole di fondazione e negli statuti, nel modo che esse ritengono migliore, il domicilio di soccorso (art. 75 della legge del 1890). Se, però, i detti enti di carità facoltativa dispongono dei mezzi necessarî, essi, in specie le congregazioni di carità, non possono rifiutare soccorsi urgenti col pretesto che, per le norme sul domicilio di soccorso, l'ente potrebbe non riconoscere al povero il titolo al soccorso (art. 76).

Bibl.: O. Luchini, Le istituzioni pubbliche di beneficenza nella legislazione italiana, Firenze 1894; G. Giorgi, Dottrine delle persone giuridiche, Firenze 1895, V; G. Saredo, Codice della beneficenza pubblica, Torino 1896; Brondi, Carità legale, in V. E. Orlando, Trattato di diritto amministrativo, Milano 1901; C. Schanzer e C. Peano, La nuova legge sulla pubblica beneficenza, Roma 1905; Pironti e Lo Monaco-Aprile, Codice dell'assistenza e della beneficenza pubblica, Firenze 1925; S. D'Amelio, La beneficenza nel diritto italiano, Roma 1928; Gambarucci, Commento organico alla legge sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, Padova 1929.

TAG

Impero romano d'occidente

Monte dei paschi di siena

Santiago di compostella

Diritto amministrativo

Rivoluzione francese