Beni pubblici

Diritto on line (2012)

Livia Mercati

Abstract

Si descrive la nozione tradizionale attraverso l’analisi delle norme codicistiche in materia di demanio e patrimonio; si mettono in luce i motivi del suo graduale superamento e il percorso verso il nuovo concetto di bene pubblico in senso oggettivo, per poi analizzare le prospettive di riforma della tematica.

1. Premessa

Da tempo la scienza giuridica è concorde nell’evidenziare l’inadeguatezza dell’assetto normativo in materia di beni pubblici, assetto che non è sostanzialmente cambiato dall’unità d’Italia ad oggi. Anche il rapido riferimento che la Costituzione fa alla proprietà «pubblica e privata» (art. 42 Cost.), pur avendo determinato un innegabile mutamento di prospettiva nello studio dei beni pubblici (Giannini, M.S., I beni pubblici, Roma, 1963, 28 ss.), non viene considerato sufficiente per definire un vero e proprio «statuto costituzionale» dei medesimi (Cassese, S., Titolarità e gestione dei beni pubblici: una introduzione, in I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, a cura di Police, A., Milano, 2008, 3 ss.).

Siffatta inadeguatezza, peraltro, si è progressivamente accentuata in ragione dei profondi mutamenti che il contesto sociale, economico e giuridico del nostro ordinamento ha subito, specie nei decenni più recenti. Basti pensare al progressivo affermarsi di interessi collettivi – quali quelli inerenti l’ambiente – connessi a singoli beni pubblici elencati nel codice civile, ma senz’altro diversi, per diffusione, dimensione e complessità, rispetto a quegli interessi, pure collettivi, che si sostanziano nella fruizione dei beni singolarmente considerati.

I cambiamenti tecnologici ed economici, inoltre, hanno creato nuove tipologie di beni non presenti nel codice civile; si pensi ai beni immateriali – quali i beni finanziari, o lo spettro delle frequenze - del tutto estranei alla logica fisicistica del diritto di proprietà. Altre tipologie classiche di beni pubblici, invece, sono profondamente mutate negli anni, come è accaduto, ad esempio, per i beni necessari a svolgere servizi pubblici, le cd. reti; infine, per le risorse naturali – come le acque, l’aria respirabile, le foreste, i ghiacciai, la fauna e la flora tutelate – è progressivamente emersa l’esigenza di una protezione di lungo periodo.

A ciò deve aggiungersi, sul piano ordinamentale, la profonda trasformazione dello Stato in senso federalista, a partire dal trasferimento delle funzioni alle autonomie territoriali (non sempre correlato a quello della proprietà dei relativi beni), fino al cd. federalismo demaniale, in attuazione del quale dovrebbero entrare in proprietà degli enti territoriali i beni immobili che lo Stato riconosce non più utili alle proprie funzioni.

Da ultimo, la pressante esigenza di risanamento dei conti pubblici derivante dalle regole dell’eurosistema ha impresso, a cavallo tra i due secoli, una forte accelerazione al processo di privatizzazione del patrimonio pubblico, fenomeno che ha dato luogo ad una corposa produzione scientifica, approdata, sul piano della teoria dei beni pubblici, a risultati estremamente significativi e ampiamente condivisi, anche se non ancora tradotti in una organica riforma della normativa.

L’insieme di queste considerazioni suggerisce, sul piano metodologico, un percorso che illustri, in primo luogo, concetti e regole così come emergono dalla normativa codicistica; di evidenziare, in seconda battuta, i motivi e i modi del loro superamento e le nuove nozioni proposte dalla dottrina. Di dar conto, infine, di quelle che potrebbero essere le linee portanti di una riforma non più rinviabile.

2. Beni pubblici in senso ampio e beni pubblici in senso stretto

Il codice civile del 1865, nel classificare i beni «relativamente alle persone a cui appartengono» (artt. 425-435), affermava che «I beni dello Stato si distinguono in demanio pubblico e beni patrimoniali» (art. 426). Il codice civile vigente dedica ai «beni appartenenti allo Stato e agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici» gli artt. da 822 a 831, distinguendo il demanio pubblico (artt. 822-825 c.c.) dal patrimonio, disponibile e indisponibile (artt. 826, co. 2 e 3 e 828 c.c.). È dunque comune ai codici dell’Italia unificata, ma in modo analogo alla normativa contabilistica e alle numerose leggi speciali, una specifica attenzione al profilo dell’appartenenza pubblica, o, meglio, alla natura pubblica del soggetto che ha i beni in proprietà; da ciò consegue il primo e più ampio dei significati attribuibili alla locuzione beni pubblici, che per questa via giunge ad identificare tutti i beni che siano in proprietà di enti pubblici.

Non tutti i beni in appartenenza pubblica sono però sottoposti al medesimo regime giuridico: il codice civile sancisce l’inalienabilità del demanio (art. 823, co. 1), l’impossibilità di alienare il patrimonio indisponibile se non con il mantenimento della sua destinazione pubblica (art. 828, co. 2), l’applicabilità del diritto comune al patrimonio disponibile (artt. 826, co. 1; 828, co. 1). Ragionando sulla diversificazione dei regimi giuridici la dottrina ha identificato una nozione, che può definirsi ristretta, di beni pubblici, nozione che - in accordo con il dettato dell’art. 42 Cost., laddove distingue la proprietà pubblica dalla proprietà privata, - indica quei beni (in proprietà di soggetti pubblici) che sono sottoposti a regole diverse rispetto a quelle del diritto comune della proprietà, regole volte essenzialmente a mantenerne l’integrità, l’uso collettivo e/o la destinazione istituzionale.

3. Tipologie di beni pubblici e loro regime giuridico

Secondo l’impostazione più classica, dunque, beni demaniali e beni patrimoniali indisponibili sono beni pubblici in senso stretto, cioè pubblici perché contemporaneamente in proprietà di enti pubblici e destinati all’uso da parte della collettività e/o a specifiche finalità pubbliche (Renna, M., Beni pubblici, in Diz. dir. pubbl. Cassese, I, Milano, 2006, 714 ss).

Il connubio tra appartenenza e destinazione, l’essere pubblici in senso sia soggettivo che oggettivo, li differenzia dai beni del patrimonio disponibile, in ordine ai quali i soggetti pubblici proprietari hanno poteri e facoltà che in linea di massima ricalcano le norme di diritto comune.

L’art. 822 c.c. («Demanio pubblico») riporta, rispettivamente nel primo e nel secondo comma, due elenchi di beni. Per quelli del primo comma (es.: il lido del mare, la spiaggia, i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi, tutte le acque definite pubbliche dalla legge) la demanialità è, per così dire, in re ipsa e l’appartenenza non può che essere statale (demanio necessario); i beni elencati nel secondo comma, invece (es.: le strade e le autostrade, gli acquedotti, gli immobili di interesse storico e artistico) fanno parte del demanio (accidentale o eventuale) «se appartengono allo Stato», oppure alle province o ai comuni (art. 822, co. 2, e art. 824, co. 1).

L’art. 826, co. 2, elenca i beni del patrimonio indisponibile (es.: le foreste «demaniali», le cose d’interesse storico, paleontologico e artistico da chiunque ritrovate nel sottosuolo, le caserme, le navi da guerra); il co. 3, afferma poi che fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato, delle province e dei comuni, gli edifici (con i loro arredi) destinati a pubblici uffici e, con una disposizione che invece di chiudere l’elenco ne può aprire infiniti altri, «gli altri beni destinati ad un pubblico servizio».

In via residuale il codice si occupa del patrimonio disponibile, nel quale rientrano tutti i beni non elencati nell’una o nell’altra categoria (artt. 826, co. 1, e 828, co. 1), collocati al di fuori della nozione ristretta di beni pubblici perché sottoposti al medesimo regime giuridico della proprietà privata.

I beni demaniali sono inalienabili, imprescrittibili, non usucapibili e di conseguenza i privati non possono essere titolari di diritti di proprietà su di essi, potendo usarne solo in virtù di atti di concessione (Cass., S.U., 14.11.2003, n. 17295, in Mass. Foro it., 2003, voce Demanio); inoltre, accanto agli ordinari mezzi posti a difesa della proprietà privata, il codice ne aggiunge ulteriori per la pubblica amministrazione proprietaria, da esercitarsi in via amministrativa, ad esempio con ordini e procedimenti esecutivi (art. 823, co. 1 e 2).

Per il patrimonio indisponibile, invece, si prevede che i relativi beni non possano essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi (art. 828, co. 2). La destinazione pubblica impressa al bene non impedisce cioè che il medesimo possa formare oggetto di negozi giuridici traslativi della proprietà, purché ciò non comporti il venir meno della destinazione medesima (Cass., S.U., 16.2.1966, n. 477, in Foro amm., 1966, I, 1, 222).

Nel tempo, le norme settoriali, la giurisprudenza e la prassi hanno progressivamente esteso l’ambito di applicazione del regime demaniale al patrimonio indisponibile, avvalorando quell’orientamento dottrinale che aveva sottolineato la difficoltà di comprendere la distinzione tra le due categorie in ragione della sostanziale coincidenza dei due regimi giuridici (Falzone, G., I beni del «patrimonio indisponibile», Milano, 1957, 199 ss.; Cassarino, S., La destinazione dei beni degli enti pubblici, Milano, 1962, 148 ss.). Si è così convenzionalmente affermata la diversa distinzione, trasversale rispetto alle categorie codicistiche, tra beni pubblici naturali (il lido del mare, l’alveo dei fiumi, le foreste) e beni pubblici artificiali (il faro costruito in prossimità di un porto, la caserma), distinzione utile soprattutto con riguardo alle problematiche inerenti (l’inizio e) la cessazione della natura pubblica dei beni, in ordine alla quale l’art. 829 c.c. si limita a sancire la necessità della «dichiarazione» da parte dell’autorità amministrativa.

Per i beni pubblici naturali, infatti, possono verificarsi situazioni, del tutto indipendenti dalla volontà dell’amministrazione, che determinano il venir meno delle caratteristiche in base alle quali il bene era originariamente ricondotto ad una certa fattispecie legale e al corrispondente regime giuridico: l’ente proprietario, in questi casi, non può che prendere atto del mutare delle situazioni, adottando atti dichiarativi o provvedimenti costitutivi di accertamento, non rappresentativi di scelte discrezionali; si ammette, per conseguenza, che i beni del demanio naturale e quelli del patrimonio indisponibile naturale possano uscire dal (ma anche entrare nel) regime giuridico pubblicistico in via naturale o di mero fatto, anche se non tacitamente.

Per il demanio artificiale è necessario, invece, «staccare, per così dire, il bene dalla funzione stessa alla quale in origine era stato destinato con atto volitivo di destinazione» (Alessi, R., Diritto amministrativo, Milano, 1949, 403-404) mediante un provvedimento costitutivo discrezionale, oppure con atti univoci, concludenti e positivi della pubblica amministrazione, dai quali sia possibile desumere una volontà della medesima incompatibile con quella di conservare la destinazione pubblica del bene (Cass., S.U., 26.7.2002, n. 11101, in Mass., 2002, voce Demanio).

Per il patrimonio indisponibile artificiale, qualora si tratti delle fattispecie non tipizzate di cui all’art. 826, co. 3, deve sussistere, perché il bene vi possa rientrare, il doppio requisito della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio) e dell’effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio; a contrariis, il bene esce dal patrimonio indisponibile laddove l’amministrazione esplicitamente manifesti la propria volontà in tal senso e/o esplicitamente sottragga il bene alla destinazione pubblica (cfr., Cass., S.U., ord., 27.5.2009, n. 12251, in Giust. civ., 2010, I, 2267).

4. Il regime giuridico dei beni pubblici e l’«amministrazione del patrimonio»

La normativa in materia di beni pubblici, sia quella di carattere generale che quella riferita a singole tipologie di beni, risponde ad una medesima ratio, cioè la protezione della appartenenza soggettivamente pubblica quale garanzia di soddisfacimento degli interessi pubblici. In quest’ottica, il codice civile si occupa esclusivamente del rapporto tra l’ente pubblico proprietario e gli altri soggetti per quanto riguarda la circolazione dei beni; sono invece del tutto assenti, in quel contesto normativo, disposizioni regolative del rapporto tra proprietario e bene in ordine alla fruizione di quest’ultimo, o, meglio, in ordine alla sua gestione, intesa come utilizzazione economica. Di questo diverso rapporto si occupa la normazione in materia di «amministrazione del patrimonio» e «contabilità generale dello Stato», la quale, tuttavia, non utilizza il termine gestione, ma, per l’appunto, quello di amministrazione, disciplinando, però, solo la formazione e la tenuta degli inventari (art. 2, R.d. 18.11.1923, n. 2440 e artt. 1-30, R.d. 23.5.1924, n. 827), l’obbligo del «pubblico incanto» in caso di alienazione (art. 3, R.d. n. 2440/1923), le assegnazioni in uso governativo e le concessioni (art. 1, R.d. n. 2440/1923; artt. 1-19, R.d. n. 827/1924). Il concetto di amministrazione del patrimonio che se ne ricava è evidentemente basato sulla medesima logica conservativa e statica che ispira il regime civilistico dei beni pubblici, rimanendo ad esso estranea ogni implicazione economica e dinamica dell’uso dei beni pubblici (sulle diverse tipologie di usi cfr. Arsì, M., I beni pubblici, in Tratt. Cassese, pt. spec., II, Milano, 2003, II ed., 1723-1726). A conferma di ciò si osserva che nelle modalità per la tenuta degli inventari non si prevede l’assegnazione di alcun valore in termini finanziari ai beni demaniali; al contrario, per quelli patrimoniali – cioè per quelli alienabili perché sottoposti allo stesso regime della proprietà privata – è prevista anche l’esposizione dei relativi valori e delle loro variazioni. La matrice di siffatta impostazione risiede proprio nel regime giuridico del demanio e nella particolare concezione economica che viene allo stesso collegata: il bene demaniale (ma nello stesso modo i beni del patrimonio indisponibile) non può essere finanziariamente valutato perché è inalienabile ed incommerciabile, cioè privo del valore di scambio (Colombini, G., Demanio e patrimonio dello Stato e degli enti pubblici, in Dig. pubbl., V, Torino, 1990, 1 ss.), con la conseguenza che lo Stato spesso ignora, oltre al valore dei beni posseduti, anche quali essi siano.

Diversamente avviene, invece, per i beni del patrimonio disponibile: a partire dall’unità d’Italia, sono numerose le leggi che, per sopperire al difetto nelle entrate ordinarie e per non incrementare il debito pubblico, ne prevedono l’alienazione (es.: l. 21 agosto 1862, n. 793, cd. “Legge Sella”), secondo un meccanismo che si ripete nel tempo fino al grande processo di privatizzazione degli enti di gestione delle partecipazioni statali, fenomeno che ben può essere letto come attività di gestione del patrimonio disponibile intesa come alienazione del medesimo.

5. Esigenze di finanza pubblica e utilizzazione economica del patrimonio: dall’alienazione alla valorizzazione

L’evidente legame funzionale tra alienazione dei beni ed esigenze di finanza pubblica diventa ancora più esplicito e stringente all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, quando la necessità del risanamento dei conti pubblici diventa, sotto la spinta dell’ordinamento comunitario, più pressante. Si moltiplicano, nelle leggi finanziarie, le previsioni relative alle dismissioni del patrimonio pubblico disponibile, quasi sempre in deroga alle procedure di gara previste dalla legislazione di contabilità (v., ad es., art. 2, co. 5, l. 29.1.1992, n. 35; art. 9, l. 24.12.1993, n. 537).

Accanto alla dismissione delle componenti del patrimonio immobiliare che non sono, o non sono più, utili per i fini pubblici, la legislazione comincia però a porre espressa attenzione alla valorizzazione e alla gestione degli altri beni, esprimendo così l’esigenza di trarre utilità economiche anche da quelli che rimangono sottoposti ad un regime pubblicisticamente connotato, non necessariamente sotto il profilo proprietario, introducendo e disciplinando strumenti giuridici a ciò espressamente finalizzati. Nell’ottica dell’utilizzazione economica dei beni pubblici – declinata nelle diverse accezioni di dismissione, razionalizzazione, valorizzazione e gestione – sono state introdotte nell’ordinamento profonde innovazioni, con ampie ricadute sul versante dell’organizzazione e dell’attività amministrativa.

Per il primo profilo, è significativa la creazione dell’Agenzia del demanio, alla quale è stata «attribuita l’amministrazione dei beni immobili (…) utilizzando in ogni caso (…) criteri di mercato» e la gestione «con criteri imprenditoriali i programmi di vendita, di provvista, anche mediante l’acquisizione sul mercato, di utilizzo e di manutenzione ordinaria e straordinaria di tali immobili» (cfr. art. 65, co. 1, d. lgs. 30.7.1999, n. 300; art, 1, lett. f, l, d.lgs. 3.7.2003, n. 173, di modifica del d.lgs. n. 300/1999), con un evidente scissione tra soggetto pubblico proprietario (Stato) e soggetto che gestisce secondo regole privatistiche (l’Agenzia, ente pubblico economico, agisce secondo le norme del codice civile).

Rileva sempre sul piano dell’organizzazione la creazione di soggetti privati ai quali è stata trasferita la proprietà di beni, anche demaniali, in ordine ai quali il legislatore ha espressamente mantenuto il regime pubblicistico, come è accaduto per la Patrimonio dello Stato S.p.a. (art. 7, d.l. 15.4.2002, n. 63, convertito con modificazioni dalla l. 15.6.2002, n. 112) e per le società di trasformazione urbana (cfr. art. 30, co. 1 e 2, d.l. 30.9.2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla l. 24.11.2003, n. 326).

Altrettanto rilevanti le novità sul piano dell’attività, con l’introduzione di strumenti del tutto nuovi rispetto al tradizionale impianto contabilistico dell’«amministrazione del patrimonio dello Stato». Tra questi, alcuni sono palesemente finalizzati a fare cassa in tempi rapidi – quali, ad esempio, la cartolarizzazione ed i fondi immobiliari ad apporto pubblico, (d.l. 25.9.2001, n. 351, convertito con modificazioni dalla l. 23.11.2001, n. 410); altri - quali, ad esempio, le concessioni di valorizzazione (art. 1, l. n. 296/2006, co. 259 che ha inserito l’art. 3 bis, nella l. n. 410/2001); i programmi unitari di valorizzazione (art. 1, co. 313 e ss., l. 24.12.2007, n. 244) ed i piani delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari (art. 58, d.l. 25.6.2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla l. 6.8.2008, n. 133), si inseriscono invece in un più ampio e complesso quadro di valorizzazione in senso economico e sociale del patrimonio immobiliare (Dugato, M. , Beni e servizi pubblici nelle leggi finanziarie, in Foro amm. - TAR, 2008, 2275 ss.; cfr. artt. 33 e 33 bis, d.l. 6.7.2011, n. 98 conv. in l. 15.7.2011, n. 111; art. 27, d.l. 6.12.2011, conv. in l. 22.12.2011, n. 214).

6. Una nuova nozione: i beni pubblici in senso oggettivo

Le analisi stimolate dalla produzione normativa in materia di privatizzazione del patrimonio immobiliare concordano sulla necessità di una profonda rivisitazione concettuale della proprietà pubblica e della teoria dei beni pubblici.

Le diverse linee di indagine convergono su risultati comuni che, confermando la crisi dei modelli tradizionali, mettono in evidenza la moltiplicazione e la differenziazione dei regimi giuridici e sottolineano che questi ultimi vengono applicati ai beni in modo trasversale, cioè indipendentemente della loro originaria collocazione in una o nell’altra delle categorie civilistiche. Non mancano riflessioni di carattere generale – che mettono in evidenza, attraverso l’analisi del diritto positivo, il tema del rapporto tra destinazione pubblica del bene e sua utilizzazione economica, individuando i modelli della loro possibile coesistenza – e indagini su singole tipologie di beni pubblici, dalle quali emergono gli aspetti più particolari di quel rapporto e di quei modelli (cfr. gli scritti pubblicati in AA.VV., Titolarità pubblica a regolazione dei beni, Annuario Aipda, 2003, cit.; Police, A., a cura di, I beni pubblici: tutela valorizzazione e gestione, cit.; Colombini, G., a cura di, I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali. Profili di diritto interno e internazionale, Napoli, 2009).

Viene infine proposta una chiave di lettura con effetto sistematizzante: prendendo come principale parametro di riferimento quello ampiamente collaudato dagli studi in tema di privatizzazioni degli enti pubblici, si individua la distinzione tra privatizzazioni sostanziali e privatizzazioni formali dei beni. Nelle prime viene meno, insieme alla proprietà pubblica, anche qualsiasi pubblicistica destinazione del bene; nelle seconde il passaggio del bene alla titolarità privata è accompagnato dal mantenimento della destinazione pubblicistica, garantita da una serie di norme di regolazione e tutela concettualmente indipendenti «dai tradizionali regimi limitativi della (…) commerciabilità e della (…) circolazione» dei beni (Renna, M., La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, cit., 109-116). Si conferma, così, il superamento della distinzione tra demanio e patrimonio indisponibile e la presenza di molteplici ed oggettivi «regimi moderni della “proprietà pubblica”»; viene identificata la nozione di bene a destinazione pubblica, id est, di bene pubblico in senso oggettivo cui corrispondono, da un lato, la costruzione di una proprietà pubblica in senso oggettivo e, dall’altro, diverse metodologie di riclassificazione dei beni pubblici, posto anche che i concetti della demanialità e della indisponibilità appaiono ormai dissociabili dalle funzioni alle quali queste discipline erano in origine preordinate.

7. Le prospettive di una necessaria riforma

In definitiva, è davvero innegabile che la parte del codice civile dedicata ai beni in appartenenza pubblica e i concetti sulla medesima costruiti, risultino, oggi, decisamente obsoleti.

Molteplici sono gli indizi che lo confermano e che si aggiungono a quelli evidenziati in premessa: la dimostrazione della omogeneità tra il regime giuridico del demanio e quello del patrimonio indisponibile; la constatazione del fatto che, nell’ambito della proprietà soggettivamente pubblica, la summa divisio è, in realtà, tra beni naturali (sia demaniali che patrimoniali indisponibili) e beni artificiali (sia demaniali che patrimoniali indisponibili); la moltiplicazione delle leggi speciali, la progressiva scissione tra proprietà soggettivamente pubblica e regime pubblicistico dei beni, regime che può accompagnare questi ultimi anche quando, per l’appunto, la proprietà venga trasferita in capo a soggetti formalmente privati, con la conseguente moltiplicazione e differenziazione dei regimi giuridici dei beni medesimi.

L’insieme di questi elementi suggerisce di invertire il tradizionale percorso concettuale, che va dai regimi ai beni, per adottarne uno che vada, invece, dai beni ai regimi (Dugato, M., Il regime dei beni pubblici: dall’appartenenza al fine, in Police, A., a cura di, I beni pubblici, tutela, valorizzazione e gestione, cit., 17 ss.): è infatti l’analisi della rilevanza economica e sociale che dovrebbe individuare i beni medesimi come oggetti, materiali o immateriali, con diversi fasci di utilità; i beni possono essere così classificati in base alle utilità prodotte, collegandole alla tutela dei diritti della persona e di interessi pubblici essenziali.

Con questo metodo, la Commissione Rodotà, incaricata di redigere uno schema di delegazione legislativa per la riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, ha elaborato un nuovo disegno della tematica.

Nello schema è ravvisabile, innanzi tutto, il riavvicinamento concettuale tra beni pubblici in senso giuridico e in senso economico (Napolitano, G.-Abrescia A., Analisi economica del diritto pubblico, Bologna, 2009, 64-67), con la previsione della categoria dei «beni comuni» (i fiumi, i laghi, l’aria, i lidi, i parchi naturali, le foreste, i beni ambientali, la fauna selvatica, i beni culturali), beni le cui utilità sono collegate all’esercizio dei diritti fondamentali e al libero sviluppo delle persone e per i quali si prescinde, anche sotto il profilo della protezione, dalla considerazione della appartenenza pubblica o privata (Marella, M.R., a cura di, Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Verona, 2012).

In secondo luogo, si codifica il superamento della distinzione tra demanio e patrimonio indisponibile; i beni pubblici, intesi come quelli che appartengono a soggetti pubblici, si distinguono in beni ad appartenenza pubblica necessaria, beni pubblici sociali, beni pubblici fruttiferi, a seconda degli interessi che sono chiamati a soddisfare: interessi generali fondamentali i primi (ad es.: sicurezza, libera circolazione e dunque opere destinate alla difesa, autostrade, ferrovie); esigenze corrispondenti ai diritti civili e sociali i secondi (ad es.: sanità, istruzione e dunque ospedali, scuole); interessi di carattere economico/finanziario per gli ultimi, che possono essere venduti o messi a reddito nel rispetto delle regole della pubblicità e della libera concorrenza. Diversi, per conseguenza, i regimi giuridici e, cioè, le forme di protezione: inalienabilità e tutela in via amministrativa e inibitoria per i primi; rispetto del vincolo di destinazione per i secondi, gestione con strumenti privatistici per i beni fruttiferi (Reviglio, E., Per una riforma del regime giuridico dei beni pubblici. Le proposte della Commissione Rodotà, in Pol. dir., 2008, 531 ss.; Renna, M., Le prospettive di riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, in Dir. econ., 2009, 11 ss.).

La proposta della Commissione Rodotà, nel passaggio da una legislatura all’altra, non ha purtroppo avuto alcun seguito; ad oggi, mentre il tema delle dismissioni del patrimonio pubblico ritorna ancora alla ribalta come uno degli indispensabili strumenti per il conseguimento degli obiettivi di risanamento del bilancio statale, ci si può solo limitare, in conclusione, a formulare l’auspicio che questa voce debba essere presto oggetto di un sostanziale aggiornamento.

Fonti normative

Artt. 822-831, c.c.; R.d. 18.11.1923, n. 2440; R.d. 23.5.1924, n. 827; art. 65, co. 1, d. lgs. 30.7.1999, n. 300; d.lgs. 28.5.2010, n. 85; l. 23.11.2011, n. 410; l. 15.7.2011, n. 111; l. 22.12.2011, n. 214

Bibliografia essenziale

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