Benvenuto da Imola

Enciclopedia Dantesca (1970)

Benvenuto da Imola

Francesco Mazzoni

Commentatore trecentesco della Commedia. Nacque a Imola da maestro Compagno, come il padre Anchibene e altri familiari giudice e notaio imperiali auctoritate. Attribuito a B. e ai suoi discendenti già in carte della fine del sec. XLV, il nomen gentis Rambaldi risale probabilmente a un proavo menzionato (in atti del 1272) quale appartenente alla imolese arte dei Calzolai. Ignota la madre, benché alcuni eruditi abbiano un tempo ritenuto di poterla ravvisare nella sorella del beato Pietro Passeri (o Passerini). Anche la data di nascita è incerta, e solo si può riportate ai primi decenni del secolo XIV, se Coluccio Salutati, con il quale B. fu in amichevole corrispondenza, lo consolava delle senili tribolazioni in una lettera del 6 aprile 1379.

Appresi i rudimenti di ‛ gramatica ' dal padre - che tenne privatamente in Imola una scuola di diritto - B. si recò poi a Bologna per terminarvi il consueto curriculum scolastico; di altri viaggi, compiuti in età giovanile, e particolarmente di uno a Roma per il Giubileo del 1350, si è creduto desumere prove da luoghi del Comentum (cfr. ad es. If XVIII 28 ss.), ma nulla v'è di sicuro, in quanto in altri casi la fonte si rivela letteraria. Sicuramente a Bologna tra il 1361 e il 1365, attese al Romuleon, compendio di storia romana in dieci libri compilato su richiesta di Gómez Albornoz, nipote del cardinal legato e governatore della città. Inviato il 20 marzo 1365 ambasciatore ad Avignone, per convincere Urbano V a intervenire contro Bertrando e Azzo degli Alidosi, non riuscì nell'intento; e una volta nominati gli Alidosi vicari di Imola, non poté rientrare in patria. Visse così, quale' esiliato, della sua opera di maestro: dapprima ancora in Bologna, con a fianco l'imolese Isabetta di Ser Iacopo Iuanelli, tolta in moglie prima dell'esilio; leggendo privatamente (in quelle case di Giovanni da Soncino ove professavano grammatica e retorica altri maestri: basti citare Pietro da Moglio) gli auctores antichi (da Virgilio a Lucano a Valerio Massimo) e i prediletti fra i moderni (le Eclogae del Petrarca); recandosi poi, verso il 1373, a Firenze, per udire le Esposizioni al poema tenute dal Boccaccio in S. Stefano di Badia (cfr. Comentum 135, 461; III 171; V 145, 301). Rivalità assai probabilmente letterarie e dissapori con studenti e colleghi (cfr. 1523-524) lo spinsero a trasferirsi, dopo il 1375, da Bologna a Ferrara; e lì, protetto da Niccolò d'Este, B. trascorse gli ultimi anni in serena, ferace operosità, votata a rivedere e compiere (talora in nuova stesura) i commenti a Virgilio (Bucoliche, Georgiche, le cui chiose son tramandate sia in precedenti recollectae che nell'ultima redazione), a Lucano (ne restano sia le Recollectiones che le Explicationes), a Valerio Massimo (conservato in due redazioni), alle tragedie di Seneca, e infine alla dantesca Commedia; e a compilare inoltre il Libellus Augustalis, regesto degl'imperatori da Giulio Cesare a Venceslao. E a Ferrara B. morì intorno al 1387: i suoi eredi compaiono espressamente come tali in un documento del 13 agosto 1388.

Se una così vasta operosità letteraria colpisce in ogni caso lo storico della cultura trecentesca (e la figura di B. attende un aggiornato e approfondito bilancio che, anche alla luce degl'inediti, riveda l'ormai annoso volume del Rossi Casè e completi alcune più recenti, meritorie pagine del Ghisalberti) l'interesse del dantologo si polarizza ovviamente sul Comentum, per mole e impegno l'opera capitale dell'Imolese, e, per certi caratteri, insieme singolare e sintomatica nella storia dell'antica critica dantesca. Ad esso, maturo frutto di un'annosa frequentazione, B. si venne lentamente preparando fin dagli anni bolognesi, leggendo privatamente nella propria scuola l'intiera Commedia. Non dunque incarico ufficiale (come altri ritenne), di cui non è rimasta traccia; ma privata iniziativa, condotta (intorno al 1375) nell'ambito di una pubblica attività magisteriale che si svolgeva a fianco dello Studio (cfr. G. Livi, D. e Bologna, pp. 53-59, e M. Barbi, in " Studi d. " X [1925] 154-155, non presenti a C. Calcaterra, Alma Mater Studiorum, pp. 139-140). Di tale lettura un manoscritto torinese, esemplato da Stefano Talice da Ricaldone, ha trasmesso le recollectae; B. tornò poi sull'opera sua, giovandosi di appunti propri e di scolari (questa redazione intermedia è conservata nel codice Laurenziano Ashburnhamiano 839). Ma solo quando, lasciata Bologna dopo un soggiorno più che decennale, si ridusse a Ferrara, egli volle dar forma definitiva, completandola e rielaborandola, alla precedente ‛ lectura ', dedicandola, attorno il 1379-1380, a Niccolò d'Este.

Nacque allora un commento particolarissimo, per la sua stessa dimensione e complessità non facilmente definibile, anche perché coesistono in esso atteggiamenti e interessi vari (chiaro frutto della personalità stessa del critico, ma anche della temperie culturale sullo scorcio del secolo, con la crisi della grande scolastica e l'incipiente fiorire dell'Umanesimo), per di più in ovvia presenza dei risultati di una tradizione esegetica ormai cristallizzata, spesso discussa o rintuzzata con acerbo spirito critico (si veda ad es. I 7, 24, 47), ma sempre tenuta in filigrana (particolarmente guardando al Lana, a Pietro, a Guido da Pisa, al Boccaccio, più volte citato quale maestro). Ed è facile rilevare la presenza, nel Comentum, di due esigenze critiche fondamentali, che improntano e condizionano la lettura; da un lato l'inquadramento concettuale e storico culturale del poema, sorretto da un'accurata dichiarazione della lettera e dall'esposizione del suo significato recondito, ad appagare la richiesta del Marchese d'Este di sviscerare le poetiche invenzioni dell'Alighieri (" evolvere figmenta... figmentorum integumenta eliciens "); dall'altro, l'interesse per l'aspetto retorico letterario, per la " bella veste ", frutto di una tutta nuova capacità di reagire emotivamente sulla pagina e di cristallizzare le proprie reazioni di lettore sensibile alla poesia in un giudizio di valore e di gusto concreto, che muove dalla salda coscienza di una ormai statuita ‛ classicità ' dell'opera dantesca.

Dal punto di vista dell'inquadramento concettuale e storico culturale, il poema è per B. una ‛ visione ' la quale, si badi, per nulla esclude (e anzi nella fattispecie presuppone, in rapporto all'idea di poesia ch'ebbe il Medioevo) la nozione di una fictio globale, che consiste, appunto, nel narrare ciò che non è realmente avvenuto, sibbene postulato (sul piano letterale) come se lo fosse: " poetae, licet fingant, non mentiuntur ", è motivo ribadito dal chiosatore (II 399); d'altronde, se per B. poeti non si diventa ma si nasce " divino quodam spiritu inflante ", sì che D. viene presentato come un poeta teologo e vate, la definizione non contrasta col riconoscimento di una necessaria, conquistata sapienza retorica, e con la concezione, pur viva ed evidente, del " poeta rhetor et philologus ", perché se il contenuto è documento di un processo rivelante e sapienziale, spetta al poeta, e a lui solo, dargli voce e forma d'arte attraverso il reperimento - sul piano dell'invenzione - di un significante (cioè a dire attraverso la fictio): ché altrimenti la didascalica, la parenetica e fin l'escatologia, anziché entrare a buon diritto nel regno della poesia, rimarrebbero sic et simpliciter in quello della filosofia.

Per meglio chiarire la posizione di B. è essenziale, a questo proposito, un passo della chiosa a Georg. II 475 pubblicato dal Ghisalberti: " Illa differentia est inter philosophum et poetam, quae est inter architectorem et pictorem; architector facit domum, sed pictor superinducit postea decorem et ornatum... Et ita a simili, philosophus tractat de naturalibus et moralibus, sed poeta [cod. postea] addit decorem et ornatum huic philosophiae vel naturali vel morali ". Spetterà così al chiosatore rilevare, attraverso l'analisi del significante, il valore esatto, la portata del significato, chiarendo l'" integumentum ": ed è sintomatico che B. riprenda nel Proemio, dal boccaccesco Trattatello, il racconto del sogno profetico della madre di D., e il paragone tra la Commedia e un pavone: come la carne del pavone è odorifera, allo stesso modo il senso del poema contiene e trasmette una verità semplice e incorrotta; mentre (passando dall'interno all'esterno), se il pavone ha penne bellissime, le quali ne coprono e ornano la carne preziosa, nella Commedia " litera ipsa, variis floribus et diversis coloribus adornata, vestit sententiam, quae habet centum oculos, idest centum capitula sive cantus ". La ripresa boccaccesca serve insomma a istituire un canone esegetico, a stabilire un preciso rapporto tra la ‛ littera ' e la ‛ sententia ': tra la " bella veste " e il contenuto di pensiero che il poeta affida alla ‛ fabula '.

Il secondo filone di interessi, retorico letterario, fondato su una schietta capacità di aderire alla grammatica della lettera e su un senso della lingua tanto più notevole in un non fiorentino (vedi ad es. le chiose a If I 70 e IV 139) si determina in frequenti giudizi di gusto, talora epidermici, che assai piacquero al Momigliano: il quale (Commento alla Commedia, p. 326) ebbe a definire B. " non solo il più attento e il più chiaro dei commentatori letterali del poeta, ma anche, talora, un lettore che ne illumina poeticamente l'arte ", e più volte inglobò passi del Comentum nella propria chiosa. E indubbiamente B. mostra sensibilità per la poesia e un concreto gusto per l'immagine e per la comparazione, sempre apprezzata e rilevata con precisa e sensibile acutezza (vedi, almeno, le postille a If I 22-24: " Et sic nota quomodo comparatio est proprissima ad propositum "; a Pd XXIII 123: " Ergo bene comparatio praedicta est proprissima "; a Pd XXV 19: " Vide quomodo est debita comparatio de columbis ad apostolos "); mentre il punto più alto di questo giudicare è forse in una chiosa a Pg XXVIII 48 (sul ‛ canto ' di Matelda): " Nota... lector, quam pulcros rhytmos poeta noster fabricavit in tam pulcra materia: ex quo apparet verum esse illud quod festive dixit quidam in commendationem eius: dicebat enim quod quando Dantes primo parabat se ad condendum tam nobile poema, omnes rhytmi mundi presentarunt se conspectui eius tamquam pulcerrimae domicellae, suppliciter rogantes singulae, ut dignaretur admittere illas libenter in opere tanto. At ille coepit vocare nunc istam, nunc illam, et unamquamque in ordine secundum exigentiam materiae collocare; tandem, libro ad felix complementum perducto, nulla remanserat extra ".

Si comprende bene, di fronte a questi giudizi, nati da schietta e vivace ammirazione, come B. sia il più reciso, fra tutti i commentatori trecenteschi, nell'affermare non solo la grandezza di D., la sua ‛ classicità ', ma addirittura, per ciò che è della poesia volgare, la sua superiorità su tutti gli altri poeti, nessuno escluso. Giudizio più volte ripetuto nell'opera, e già in limine nel Proemio, là dove di D. si parla metaforicamente come di quel sole che illumina col suo ingegno l'Italia: " illius fulgentissimi solis cuius perspicui ingenii radiis... noster orbis Italicus illustratur " (I 5), definendolo poeta nobilissimo, " qui caeterorum poemata illustravit, ne dicam superavit ", unico insomma nel suo genere: " Nullus autem poetarum scivit excellentius aut efficatius laudare et vituperare quam perfectissimus poeta Dantes " (I 8). E si veda un ancor più chiaro giudizio, esteso era anche all'eccezionalità dell'invenzione, all'altezza della ‛ fantasia ': " Nemo umquam poetarum, nullum excipio, habuit umquam tam altam phantasiam, aut tam nobilem materiam scivit, vel potuit invenire, in quam tam eleganter tradit cognitionem rerum humanarum et divinarum virtutum et morum, et omnium fere actuum humanorum et agibilium mundi " (I 12-13; e si veda anche V 219).

È su questo terreno che fiorisce spontaneamente il confronto tra la musa dantesca e quella virgiliana, in un quadro di storia letteraria e d'incipiente comparazione tra latino e volgare che prelude alle motivazioni umanistiche: " Virgilius poetarum latinorum princeps cum in metro ceteros antecellat, in prosa tamen non praevalet; e contra autem Tullius, fons Romanae eloquentiae, quamvis in prosa non habeat parem, in metro multis inferior reperitur... Ita hic noster Dantes, quamvis in litera non superavit alios, tamen in vulgari transcendit eloquentiam ceterorum; imo, quod mirabile est, illud quod viri excellentissimi vix literaliter dicere potuissent, hic autor tam subtiliter et obscure sub vulgari eloquio paliavit " (I 52).

In questa prospettiva di giudizio si risolvono sia il notissimo paragone tra D. e il Petrarca (" Tempore quo florebat Dantes novissimus poeta Petrarcha pullulabat, qui vero fuit copiosior in dicendo quam ipse. Sed certe quanto Petrarcha fuit maior orator Dante, tanto Dantes fuit maior poeta ipso Petrarcha ", IV 309) che la sintetica caratterizzazione stilistica di Guittone: " Frater Guittonus de Aretio pulcerrimus inventor in lingua materna, non tam ratione stili, quam gravium sententiarum " (IV 76). Di fronte a questa entusiastica, quanto per certi aspetti esatta caratterizzazione e graduazione di valori, anche le forzature esegetiche hanno un preciso senso, diventano peccato veniale: come nella chiosa a Pd XXX 135, al vertice del poema, quando B. vuole a ogni costo trasmettere al lettore la sua stessa certezza che anche a D. non mancherà il riconoscimento supremo, e crede di vederne la promessa da parte di Beatrice, mentre ella mostra al poeta il seggio destinato all'alto Arrigo: " Unde volo quod intelligas tacite quod Beatrix ostendit auctori sedem ipsius vacuam, cum corona laurea suspensa desuper ".

Un altro notevole aspetto del Comentum è poi l'apertura sia pure del tutto asistemica, e certo da riconnettere alle esperienze dal Salutati - a notazioni testuali, che discutono la varia lectio e la trascelgono mediante l'uso talora assennato, ma sempre appassionato, del iudicium e dell'interpretatio: sono circa 80 i casi in cui B. si sofferma sulla lezione tradita, raffrontando altri codici e valendosi delle proprie conoscenze grammaticali e linguistiche: si veda almeno I 25, 172-173, 268; II 543; III 212; V 140, 216, 280.

Altra caratteristica del Comentum è poi l'interesse per il dato novellistico, per l'aneddoto sapientemente narrato e quasi di volta in volta assaporato, in un autonomo gusto per il quadretto di genere (si veda almeno I 226, 524-525, 541-542; Il 88-89, 166, ecc.); più spesso, pur cedendo a motivi schiettamente realistici e popolari, B. inserisce la sua pagina in una dimensione letteraria, inglobando nella chiosa intieri paragrafi (decameroniani) del " curiosus inquisitor omnium delectabilium historiarum ", com'è definito appunto il Boccaccio. E del " venerabilis praeceptor suus " (I 79) B. cita copiosamente anche le opere erudite, a sostanziare di elementi nuovi il dettato. Basta scorrere l'Index del Toynbee per cogliere l'estensione e l'importanza - sul piano culturale - di queste citazioni; lo stesso utile repertorio evidenzia altresì tutta una serie di riferimenti al Petrarca (col quale B. fu in corrispondenza, e che da Padova gl'inviò la Seniles XV 11 del 9 febbraio 1373), a segnare un'ulteriore apertura verso la cultura nuova, verso una dimensione ormai intenzionalmente letteraria, che inserisce il Comentum in parametri ben precisi e che attinge, sia pure restandone ai limiti, le esperienze dei primi umanisti (basti rammentare la conoscenza dell'Iliade e dell'Odissea nella traduzione di Leonzio Pilato).

Se è vero che il latino di B., tutto parlato e popolarmente ai limiti del volgare, dispiacque al Salutati, il quale lo esortava per lettera ad alzare il tono " altiori parumper stilo ", in quanto " attenuato genere figurae altitudinem materiae deprimere, meo iudicio, turpe est "; era pur sempre il Salutati, nelle proprie lettere, a definire il sodale " divinus prorsus vir, Benvenutus meus ", giungendo - tanto lo sentiva congeniale - a riconoscerlo " non fratrem, non amicum, sed geminum " (Epistolario I 198, 321). Non tenue conferma che al di là del mezzo linguistico vi era una comunanza di prospettive, di ricerche, di valutazioni, nel coincidere dell'interesse per il dato letterario.

D'altra parte non è da credere che questa inserzione della Commedia in una nuova prospettiva di lettura avvenisse pacificamente: tutte le battaglie, anche quelle vittoriose, esigono vittime. E la conquista della dimensione critica che abbiamo man mano caratterizzato avvenne tanto più facilmente, in quanto B. era ormai lontano dall'orizzonte culturale che fu di D., specie per quel che riguarda il pensiero filosofico o alcune precise scelte ideologiche e pratiche. Il critico, scorrendo il Comentum, deve perciò registrare frequenti cadute interpretative, sia rispetto all'individuazione di capitali motivi di pensiero, che per quanto riguarda la messa a fuoco del motivo ispiratore che, nel dar vita ai singoli episodi, animava di volta in volta il poeta. E sarebbe facile darne le prove, mostrando fin dal Proemio il dissolversi ad esempio della nozione relativa al " genus philosophiae " cui è sottoposta la Commedia (I 15), o del concetto di " morale negotium " come esperienza catartica di D. personaggio; oppure analizzando partitamente lo scarto interpretativo nei confronti dei simboli concreti, delle " dramatis personae ", primo Virgilio, inteso sì come la " ratio naturalis ", ma (si affretta a precisare B.) " in homine qui novit scientiam et artes liberales ": postilla che svuota dall'interno la nozione filosofica di " naturalis ratio " (I 42). E si veda ancora l'interpretazione in chiave passionale dell'amore di D. novenne per Beatrice, addotto per giunta a sostegno, anzi a prova, della priorità (nei giovani) del vizio di lussuria; o la grossolana materializzazione della nozione di " cor gentile ", che investe di sé non solo l'episodio di Francesca, ma indica il superamento di tutto un pensiero, e della tradizione letteraria che di quel pensiero si nutriva: " quia nobilis plus vacai ocio et vivit delicatius, ideo cor eius citius accenditur quam cor rustici " (I 209). E si potrebbe continuare. Ma ogni commento è, di necessità, l'espressione del proprio tempo e del proprio orizzonte culturale, e non converrà certo aspettarsi dall'Imolese il possesso di un patrimonio ideologico, di un clima di pensiero ormai tramontato, nello svariare di prospettive legato alla crisi della cultura aristotelico-domenicana e alle esperienze, tutte diverse, entro cui si veniva preparando la nuova civiltà dell'Umanesimo. Da questo punto di vista, B. è egli stesso un esempio di questa crisi; e il suo commento vale anche oggi soprattutto per i nuovi fermenti che contiene, per la messe di notizie storiche che fornisce (sulla scorta dei cronisti), per l'appassionata laudatio dantesca, per l'impegno grande dell'autore, che ben poteva, chiosando le terzine iniziali di Pd XXV, affermare senza iattanza: " Nec mireris, lector, si autor diu laboravit, et si labore macruit in hoc opere altissimo componendo, quia mihi simile accidit in ipso exponendo " (V 354).

Bibl. - Edizioni: L.A. Muratori, Antiquitates italicae medii aevi, I, Milano 1738, 1029-1298 (ed. parziale di excerpta storici); B. De Rambaldis De Imola, Comentum super D. Aldighierii Comoediam..., a e. di G.F. Lacaita, Firenze 1887, voll. 5. Traduzioni: B. Rambaldi da Imola illustrato nella vita e nelle opere, e di lui commento latino sulla D.C. voltato in italiano dall'avv. G. Tamburini, Imola 1855-1856 (opera di scarso valore scientifico). I brani del Comentum composti in versi in onore di D. e intercalati alla chiosa furono pubblicati anche da C. Del Balzo, Poesie di mille autori intorno a D., Roma 1890, II 476-497.

Sul problema delle redazioni del Comentum, si veda: L. Rocca, Di alcuni commenti della D.C. composti nei primi vent'anni dopo la morte di D., Firenze 1891, 135-136; Barbi, Problemi 1429-453; II 435-470. Studi Biografici E Critici: l'esistenza di un'accurata bibliografia nella voce B. da I. preparata da L. Paoletti per il Dizion. biogr. degli Ital. VIII (1966) 691-694, cui si rimanda, dispensa da indicazioni esaustive. Segnaliamo le voci più importanti, aggiungendo quelle che per varie ragioni (anche cronologiche) non sono state ivi registrate. Monografia complessiva quella di L. Rosse-Casè, Di M°B. da I., commentatore di D., Pergola 1889 (su cui v. M. Barbi, in " Bull. " vecchia serie 4 [1890] 36-37, e F. Novati, in " Giorn. stor. " XVII [1891] 88-98); sempre di L. Rosse-Casè, Ancora di B. da I., commentatore dantesco, Imola 1893. Altri studi: C. Hegel, Ueber den historischen Werth der älteren D.-Commentare, Lipsia 1878, 40-49; F. Novati, Per la biografia di B. da Imola, in " Giorn. stor. " XIV (1889) 258-268; P. Toynbee, Index of Authors quoted by B. da Imola in his Commentary on the D.C., in " Annual Report of the D. Society " 18-19 (1899-1900), Boston 1901; ID., B. da Imola and his Commentary on the D.C., in D. Studies and Researches, Londra 1902, 216-237; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci nei secoli XIV e XV, Firenze 1905, II 28; F.P. Luiso, Le ‛ Chiose di D. ' e B. da Imola, in " Giorn. d. " XIV (1906) 252-261; P. Barbano, II commento latino sulla D.C. di B. da Imola e la ‛ Cronica ' di G. Villani, ibid. XVII (1909) 65-105; L. Frati, Di M° B. da Imola: nuovi documenti, in " Giorn. stor. " LXXII (1918) 90-95; G. LIvI, D., suoi primi cultori sua gente in Bologna, Bologna 1918, 112-114; ID., D. e Bologna, ibid. 1921, 53-59; L. Baldisserri, B. da Imola, Imola 1921; E. Cavallari, La fortuna di D. nel Trecento, Firenze 1921, 212-218; D. Guerri, Il commento del Boccaccio a D. Limiti della sua autenticità e questioni critiche che n'emergono, Bari 1926, 35-44; E. Palandri, Andrea de' Mozzi nella storia e nella leggenda, in " Giorn. d. " XXXII (1929) 93-118; A. Sorbelli, Storia dell'Università di Bologna, Bologna 1940, 1120; N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1945 (ristampa) 117-118; C. Calcaterra, Alma Mater Studiorum, Bologna 1948, 139-140; A. Prezioso, Note sul commento di B. da Imola alla D.C., in " Aevum " XXVI (1952) 49-58; L.R. Rosse, D. and the Poetic Tradition in the Commentary of B. da Imola, in " Italica " XXXII (1955) 215-223; A. Campana, Antico epitaffio di B. da Imola in un codice imolese del commento dantesco, in " Studi romagnoli " VI (1955) 15-29; E. Auerbach, Mimesis, Torino 1956, 195-196; D. Minuto, Note sul valore letterario del ‛ Comentum super Dantis Comoediam ' di B. da Imola, in " Aevum " XXXI (1957) 449-464 (assolutamente da respingere la datazione " forse dopo il 1387 "); A. Ciotti, Il concetto della figura e la poetica della visione nei commentatori trecenteschi della Commedia, in " Convivium " n.s., III (1962) 264 ss., 339 ss.; N. Sapegno, Storia letteraria del Trecento, Milano-Napoli 1963, 183-184; F. Mazzoni, La critica dantesca del secolo XIV, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 287, 295-296; G. Vecchi, Motivi di poetica nel ‛ Comentum ' di B. da Imola, in D. e Bologna nei tempi di D., Bologna 1967, 306-319; M. Welber, " Visio " e " Fictio " nel " Comentum super Dantis Comoediam di B. da Imola, in Lectura Dantis Mystica, Firenze 1969, 188-226 (errato nell'impostazione e nella valutazione).

Per notizie sulle opere non dantesche di B. (un elenco in L. Rossi cit., pp. 129-153) v. ancora: V. Crescini, Di un codice ignoto di B. da Imola su la ‛ Pharsalia ' di Lucano, in Studi editi dall'Università di Padova a commemorare l'VIII centenario dell'origine dell'Università di Bologna, Padova 1888, III 115-131; V. Ussani, Di una doppia redazione del commento di B. da Imola a Lucano, in " Rendiconti Accad. Lincei classe sc. morali " V II (1902) 199-211; F. GhiSalberti, Le chiose virgiliane di B. da Imola, in " Studi virgiliani.

Pubblicazioni Accad. virgiliana Mantova " IX (1930) 71-145. Il commento di B. al Bucolicum carmen petrarchesco fu pubblicato da A. Avena, Il Bucolicum carmen e i suoi commenti inediti, Padova 1906 (cfr. i cenni alle pp. 59-60).

Le lettere del Salutati a B. furono pubblicate da F. Novati, Epistolario di C. Salutati, Roma 1891-1911: cfr. le lettere del 25 luglio 1374, 24 marzo 1375, 22 giugno 1375, 6 aprile 1379, 28 giugno 1383. Una lettera di P.P. Vergerio con la notizia (tardiva) della morte di B., in L. Smith, Epist. di P.P. Vergerio, Roma 1934, 39 (lettera del 17 giugno 1390).

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