BERARDO d'Orte

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)

BERARDO d'Orte

Alessandro Pratesi

Nato nel 1017, fu monaco e poi abate (primo di questo nome) dell'abbazia imperiale di Farfa, succeduto nel governo della comunità monastica a Suppone un mese dopo la morte di quest'ultimo, il 14 ott. 1047- Il giorno stesso della sua elezione, insierne con i legati del capitolo, si pose in viaggio verso la Germania, e il 26 dicembre ottenne dall'imperatore Enrico III la conferma dell'elezione e l'investitura dell'abbazia. Fu in seguito latore di una lettera a Leone IX, con la quale i cinquecento monaci della comunità prestavano ossequio al pontefice e chiedevano conferma delle immunità e dei privilegi: poiché la missiva è giunta senza note cronologiche, s'ignora se il viaggio a Roma di B. fu compiuto in seguito alla consacrazione del nuovo papa (12 febbr. 1049: un suo privilegio di conferma dei possedimenti di Farfa reca la data del 26 febbr. 1049) 0 Piuttosto, come ritiene il Kehr, nel 1051, allo scopo di sollecitare l'intervento pontificio nella contesa tra l'abbazia farfense e il monastero romano dei SS. Cosma e Damiano in Mica Aurea circa il possesso di S. Maria in Minione, contesa allargatasi poi anche ai vasti possessi nel territorio di Tuscania.

Il 29 apr. 1051, a Cometo, la causa veniva discussa alla presenza di Adelberto, messo del marchese Bonifacio di Toscana, e di Ingelberto vescovo di Bleda, delegato del pontefice: l'abate Rainerio di Mica Aurea veniva condannato in contumacia. La causa si trascinò tuttavia ancora per molto tempo e si concluse solo dopo il 1073, dopo la morte dell'abate dei SS. Cosma e Damiano Odimondo, che era stato monaco farfense.

Verso la fine dell'estate del 1050 B. passò di nuovo le Alpi e raggiunse la corte dell'imperatore a Goslar: il 16 settembre ottenne da lui un diploma di conferma del vastissimo patrimonio abbaziale; il 21 novembre dell'anno successivo ebbe invece un nuovo privilegio pontificio con la conferma dei beni in S. Maria in Formello. Ma i possessi dell'abbazia erano troppo vasti per non destare continue rivalità e appetiti mai sazi: un'aspra contesa, senza esclusione di colpi, si ebbe tra l'abate e Giovanni vescovo di Sabina, a proposito della chiesa di S. Michele sul monte Tancia, più volte devastata dalle truppe episcopali e restaurata da B., che non esitò a mettere in atto vendette feroci contro i fautori del vescovo, il quale nell'aprile del 1051 lamentava, davanti al pontefice e al sinodo da lui riunito in Roma, gli eccessi compiuti dal rivale: ciò nonostante l'11 dicembre dello stesso anno Leone IX confermava di nuovo a B. i possessi dell'abbazia. Più lunga e difficile fu la lotta contro i Crescenzi di Sabina per il possesso dei castelli di Tribuco e di Arce: una intimazione a restituire all'abate il castello di Tribuco era già stata fatta da Leone IX, ìn data difficilmente precisabile, ai figli di Crescenzio di Ottaviano, ma evidentemente senza esito; non si conoscono gli sviluppi della contesa durante i brevi pontificati di Vittore II e di Stefano X (IX); ma, salito sulla cattedra di Pietro Niccolò II, l'abate parve deciso a far risolvere in suo favore quella che minacciava di trasformarsi in una vera guerra locale. Probabilmente già nel febbraio 1059, allorché il pontefice, diretto nella Marca anconitana, sostò a Farfa, dove fu raggiunto da Desiderio di Montecassino, B. preparò l'azione per riguadagnare il possesso delle rocche contese; nel gennaio 1060, da Firenze, il papa dava ordine a Giovanni Tignoso, prefetto di Roma, di intimare ai Crescenzi di non molestare i servi dell'abbazia; nel marzo, sulla via del ritorno da Fano a Roma (e non è da escludere che vi sia stata una nuova tappa a Farfa), intimava formalmente ai figli di Crescenzio di presentarsi al proprio cospetto entro otto giorni dal suo rientro a Roma per definire la contesa; il 29 marzo, tuttavia, la causa venne discussa con la presenza, da parte dei Crescenzi, del solo Giovanni, il quale riuscì ad ottenere una dilazione di dieci giorni e successivamente, l'8 aprile, un ulteriore rinvio di venti giorni. Finalmente nel placito del 28 aprile, dopo che il procuratore del monastero ebbe esposto davanti al sinodo riunito per la deposizione dell'antipapa Benedetto X le ragioni dell'abbazia, il pontefice condannava in contumacia i Crescenzi a restituire all'abate di Farfa i castelli di Tribuco e di Arce, riconoscendo in pieno i diritti dei monaci; due giorni dopo il papa inviava a Crescenzio il giudice Sasso con l'intimazione di presentarsi al suo cospetto per rendere giustizia a B., e soltanto il 26 apr. 1061 la lite poté dirsi veramente cessata.

Oltre a difendere e rafforzare i domini dell'abbazia, accattivandosi da un lato la benevolenza dell'imperatore, da un altro quella del papa, B. si preoccupò del decoro della chiesa abbaziale: con le elemosine dei fedeli e la ricca elargizione del figlio di Melo, Argiro, duca bizantino d'Italia, Calabria e Sicilia (il quale mirava forse a rinnovare la politica di alleanza con l'Impero di Occidente, sfruttata dal padre contro Bisanzio, per usarla contro i Normanni), rinnovò completamente gli altari, che vennero solennemente consacrati il 6 luglio 1060 dallo stesso pontefice; nella medesima circostanza il papa pronunciava anche sentenza di scomunica contro chi violasse i beni del monastero, sentenza rafforzata e circostanziata poi il 14 settembre, per mandato pontificio, dai legati Umberto cardinale vescovo di Silva Candida, Pietro vescovo di Gubbio e Ailardo abate e vescovo di S. Paolo fuori le Mura di Roma.

Morto Niccolò II, i legami tra l'abbazia farfense e il nuovo papa, Alessandro II, non risultarono più così stretti, e B. ritenne più sicuro impetrare di nuovo il sostegno dell'imperatore: nel 1065 si recò ancora in Germania e in settembre ottenne dal nuovo imperatore Enrico IV un diploma solenne che, nel confermare i possessi dell'abbazia, riaffermava il suo carattere imperiale. Per qualche anno ancora B. vide accrescersi il prestigio della comunità farfense: nel luglio 1072 il figlio del conte Rainerio gli confermava l'investitura di metà di Civitavecchia, che era stata conferita all'abate dal padre in punto di morte; l'anno seguente si risolveva in favore di Farfa una contesa per il possesso di Catino.

Ma la lotta delle investiture travolse nel suo vortice anche l'abate Berardo. Nel febbraio 1076 Gregorio VII scomunicò Enrico IV, il quale, dopo l'apparente sottornissionedell'anno successivo a Canossa, riprese e con più accanimento la lotta. B. si pose al suo fianco e nell'ultimo giorno del sinodo lateranense, il 3 marzo 1078, il papa gli minacciò la scomunica se entro otto giorni non avesse fatto ammenda della sua condotta: può darsi che l'avvertimento non cadesse nel vuoto, se nel marzo 1080, a Corneto, egli appare in ottimi rapporti con la contessa Matilde, fiera sostenitrice di Gregorio VII; ma si dovette ad ogni modo trattare di una resipiscenza breve: in quello stesso anno 1080 Enrico IV scaténò lo scisma, facendo eleggere dal conciliabolo convocato a Bressanone, il 25 giugno, un antipapa, Guiberto arcivescovo di Ravenna, che prese il nome di Clemente III. L'anno successivo, quando l'imperatore, sceso in Italia, tentò di entrare in Roma per ricevervi la corona imperiale (ma fu costretto ad accamparsi fuori le mura, nei Prati di Nerone, ove rimase con l'antipapa e tutto il suo seguito per circa quaranta giorni), B. era con lui, a contatto con Guiberto: la rottura col papa legittimo era ormai definitiva, anche se non si hanno elementi per affermare che l'abate abbia mai aderito, da un punto di vista dogmatico, allo scisma, né risulta da alcuna testimonianza che fosse presente, il 28 giugno 1083, alla presa di possesso della basilica lateranense da parte di Guiberto; sembra invece che abbia partecipato alla consacrazione dell'antipapa in Roma (24 marzo 1084) e all'incoronazione imperiale di Enrico per le mani dello stesso antipapa (31 marzo). Certamente B. seppe mettere a profitto della propria abbazia il favore imperiale; nel maggio 1083 ottenne la restituzione di S. Maria in Minione, caduta in mano di usurpatori; il 15 giugno dello stesso anno ricevette dall'imperatore un donativo di alcuni moggi di terra del patrimonio regio in Italia; nel 1084, dopo che Enrico IV ebbe cinto la corona imperiale, ottenne un nuovo privilegio di conferma dei beni dell'abbazia. Ma la fedeltà all'imperatore gli impose anche duri sacrifici e notevoli rinunce: di fronte all'avanzare delle truppe del Guiscardo, B. fu costretto a seguire la ritirata del suo protettore e fu con lui a Civitacastellana, a Viterbo, nella prepositura farfense di S. Valentino in Silice; non varcò tuttavia le Alpi con lui, né più lo rivide.

Salito intanto sul trono pontificio Desiderio di Montecassino, con il nome di Vittore III, che, pur mostrando nello scisma ben altra fermezza, aveva condiviso con B. un certo atteggiamento filoimperiale e gli si era mostrato amico, l'abate farfense, ormai stanco e in età avanzata, poté rientrare nell'obbedienza al papa legittimo. La sua resipiscenza èdocumentata dall'invito al capitolo farfense di eleggere il proprio successore in perfetta libertà, senza sottostare a pressioni esterne, né da parte di vescovi, né da parte di laici o dello stesso imperatore. B. morì nella sua abbazia, la notte tra il 31 ottobre e il 10 nov. 1089, e fu piamente sepolto in un antico sarcofago che, privato delle sue spoglie e lasciato in abbandono, si conserva oggi nel Museo di Perugia.

Educato alla scuola dell'abate Ugo, pur non avendone assimilato la fermezza di carattere e le capacità di moderatore, B. ne subì l'influsso nella propria formazione letteraria e negli studi. Accolse nel monastero Gregorio da Catino che, scrivendo al tempo dell'abate Berardo III, tratteggiò di B. un ritratto affettuoso ed entusiasta, pur senza nasconderne i difetti, e riprese da lui - se, come sembra accertato, è da attribuirsi a B. il Fratris Berardi monachi et abbatis monasterii Farfensis liber - una dissertazione storico-giuridica sui diritti patrimoniali dell'abbazia, inserendola quasi alla lettera nel suo Chronicon.

Fonti e Bibl.: Gregorio di Catino, IlRegesto di Farfa, a c. di I. Giorgi e U. Balzani, IV, Roma 1888, pp. 209-375; V, ibid. 1892, pp. 1-120; Il Chronicon Farfense di Gregorio di Catino…, a c. di U. Balzani, II, Roma 1903, in Fonti per la storia d'Italia, XXXIV, pp. 119-207 (e, per la parte ripresa dal Liber di B., pp. 23322-25529); Ph. Jaffé-S. Loewenfeld, Regesta pontif. Rom..., I, Lipsiae 1885, nn. 4154, 4263 a,4264, 4315, 4430, dopo il n. 4433, 4434, dopo il n. 4437, 4438, dopo il n. 5064; P. F. Kehr, Italia Pontificia, II, Berolini 1907, pp. 64-68, nn. 28-48; A. Potthast, Bibliotheca historica medii aevi, I, Berlin 1896, p. 538; K. Heinzelmann, Die Farfenser Streitschriften, Diss., Strassburg 1904 (con ediz. del Liber di B. a pp. 40-64); I. Schuster, L'imperiale abbazia di Farfa, Roma 1921, pp. 189-218; O. Vehse, Die päpstliche Herrschaft in der Sabina bis zur Mitte des 12. Jahrhunderts, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XXI (1929-30), pp. 155-158; Dictionnaire d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, coll.315, 317.

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