VISCONTI, Bernabò

Enciclopedia Italiana (1937)

VISCONTI, Bernabò

Luigi Simeoni

Nato nel 1323 da Stefano e da Valentina Doria, è il personaggio visconteo che ha più fornito materia con le sue stranezze ai novellieri del suo secolo; d'altra parte la sua costante smania di espansione attraverso guerre o intrighi domina per 30 anni la vita politica italiana, che è un continuo succedersi di leghe per resistergli o tentare di stroncarne la pericolosa attività. Allontanato da Luchino verso il 1346, fu nelle Fiandre e in Francia, donde lo richiamò nel 1349 lo zio Giovanni che fece riconoscere i nipoti, unici discendenti di Matteo I, quali eredi. Nel 1350 gli dava in moglie la figlia di Mastino della Scala, Regina (erroneamente detta Beatrice), a cui malgrado le frequenti infedeltà egli fu teneramente legato: il ricordo di Regina (morta il 18 giugno 1384) è legato al Teatro milanese della Scala, che è sorto sulla chiesa di S. M. della Scala da lei fatta erigere. Alla morte dello zio nel 1354 ebbe come sua parte il territorio oltre l'Adda, cioè Bergamo, Brescia, Cremona e Crema: ma morto nel 1355 Matteo ebbe pure Lodi, Piacenza e Parma, oltre i diritti su Bologna, ribellata da Giovanni da Oleggio. Anche Milano fu divisa e a Bernabò toccarono i quartieri di Porta Romana, Tosa e Orientale; più tardi Galeazzo II finì col ritirarsi a Pavia, sì che Milano fu soprattutto dominata da Bernabò. Giovanni lasciava ai nipoti lo stato in guerra con la Lega promossa da Venezia, guerra che interrotta dalla tregua per la incoronazione di Carlo IV a Milano (nella qual occasione i tre Visconti ebbero il vicariato) finì solo con la pace dell'8 giugno 1358. Bernahò non era riuscito a riaver Bologna e questa finalità dirige la politica di lui nel primo periodo: iniziò la guerra nel '59 contro l'Oleggio e la continuò anche quando questi la cedette alla Chiesa e al cardinale E. Albornoz. Perciò Bernabò fu scomunicato (1362), si predicò contro di lui la crociata finché nel '64 il papa promise al Visconti 500.000 fiorini perché rinunciasse al diritto su Bologna. Anche questa non fu che una tregua: il papa Urbano V, venuto in Italia nel 1367, organizzò con l'Albornoz una nuova lega contro il V., alla quale nel '68 aderì Carlo IV tornato in Italia, che però concluse il 24 agosto una tregua divenuta pace l'11 febbraio 1369. Ma Bernabò subito inviò Giovanni Acuto ad aiutare i Perugini contro il papa: si formò quindi una nuova lega tra il papa, Firenze e stati minori, che, dopo le solite inconcludenti operazioni, portò alla pace di Bologna nel novembre del 1370. Nel 1371, avendo Niccolò II d'Este occupata Reggio insorta contro Feltrino Gonzaga, Bernabò comperatala per 50.000 fiorini se ne impadroniva, donde una guerra con l'Estense che provocò una nuova lega con nuova scomunica e la deposizione imperiale dal vicariato: si combatté in Piemonte e in Lombardia finché nel 1375 (4 giugno) si fece un armistizio. Ma poco dopo avendo Firenze, per sospetti contro il legato di Bologna, cercato di far insorgere lo stato pontificio, si alleò a Bernabò, che però tenne un contegno prudente e lasciò all'alleata il rischio e i danni della guerra col papa: la pace fu conchiusa solo il 24 luglio 1378. ln quest'anno Bernabò guerreggiava nel Veronese contro i figli naturali di Cansignorio della Scala successi al padre per rivendicare i diritti della moglie e dei suoi figli, contentandosi l'anno dopo di un indennizzo di 440.000 fiorini. Contemporaneamente Bernabò, col nipote Gian Galeazzo, si alleava il 23 aprile 1379 con Venezia per combattere Genova, ma l'azione contro questa si ridusse a ben poco. Scoppiato lo scisma, Bernabò aiutò Luigi d'Angiò nel 1382 quando venne in aiuto di Giovanna I, e progettò anzi di dare sua figlia Lucia al di lui figlio. Ma mentre Bernabò mirava così lontano, non s'accorgeva del pericolo che aveva vicino nel nipote Gian Galeazzo, successo al padre nel 1378, a cui aveva dato in moglie la figlia Caterina. Egli lo credeva uno sciocco, ma il 6 maggio 1385, fingendo di passare presso Milano per un pellegrinaggio, Gian Galeazzo catturò Bernabò con parecchi dei suoi figli e lo chiuse nel castello di Trezzo, dove il 19 dicembre Bernabò moriva, probabilmentc avvelenato, dopo che un processo aveva infamato la sua condotta. Fu sepolto nel monumento che egli si era fatto preparare a S. Giovanni in Conca da Bonino da Campione ed ora è al Castello Sforzesco.

Bernabò ebbe 17 figli legittimi e 20 naturali: aveva sposato una figlia al signore di Mantova, due al duca d'Austria, tre a duchi di Baviera, una al re di Cipro, due altre al conte di Württemberg e al langravio di Misnia per le doti fortissime in danaro che loro assegnava: dei figli pochi sfuggirono alla cattura, e invano tentarono di riavere lo stato. Cronisti e novellieri ricordano le stranezze spesso crudeli di Bernahò, la sua frenesia per la caccia, e i cani che in numero di 5000 avrebbe distribuito fra i cittadini. Al di là di questa mania e brutalità, si deve rilevare che col severo mantenimento dell'ordine e della giustizia, la centralizzazione crescente del potere, si veniva costituendo all'interno lo stato sopra le resistenze delle autonomie comunali e feudali, mentre se ne promuoveva l'espansione esterna con ogni mezzo. Si è forse esagerato però nel valutare l'azione di Bernabò sotto questo aspetto per reazione al vecchio ritratto del tiranno solo capriccioso e crudele, in quanto gli interventi brutali contro la giustizia, le vessazioni innegabili verso i sudditi, l'irrequieta politica esterna e peggio la già predisposta divisione dello stato tra i figli certo annullavano quanto, senza un chiaro disegno, egli faceva per consolidare e ingrandire il suo stato.

Bibl.: v. visconti; inoltre: V. Vitale, B. V. nella novella e nella cronaca contemporanea, in Arc. stor. lomb., 1905, fasc. 30°, F. Novati, Per la cattura di B. V., ibid., 1906, fasc. 9°; Seregni, Un disegno federale di B. V., ibid., 1911.